Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26193 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26193 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3064/2020 R.G. proposto da: BANCA POPOLARE BARI SOCIETA’ COOPERATIVA PER RAGIONE_SOCIALE ARAGIONE_SOCIALES., e per essa RAGIONE_SOCIALE, per il tramite di RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso il DECRETO di TRIBUNALE ANCONA n. 8111/2019 depositato il 05/12/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con il decreto indicato in epigrafe il Tribunale di Ancona ha rigettato l’opposizione ex art. 98 l.fall. proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto con cui il giudice delegato al Fallimento RAGIONE_SOCIALE, nonostante i curatori avessero concluso per l’ ammissione parziale del credito chirografario di € 1.242.501,23 -ritenendo che solo euro € 512.444,16 fossero da escludere in quanto riconducibili alla fattispecie di abusiva concessione di credito -aveva escluso il credito per l’intero, ritenendolo « tutto riferibile ad una attività di sostegno finanziario in favore di RAGIONE_SOCIALE, rivelatasi foriera di danno alla società e ai creditori avendo consentito la prosecuzione dell’attività sociale nonostante ormai palese e riconoscibile lo stato di insolvenza » ed aggiungendo che « impregiudicata ogni altra deduzione e allegazione nelle ulteriori sedi giudiziali, il patrimonio netto esposto in bilancio al 31.12.2014 era formalmente positivo per € 7.937.576,00 ma lo stesso era da ritenersi eliso dalla perdita ormai conclamata del credito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, pari alla maggior somma di € 8.582.806,00. La RAGIONE_SOCIALE era infatti socio unico della fallita e, pertanto, partecipe dello stesso piano di risanamento che nel settembre 2014 la società fallita aveva sottoscritto con tutto il ceto bancario. Anche i crediti verso le partecipate, esposti formalmente in bilancio, dovevano ritenersi non più esigibili in ragione delle conclamate difficoltà di queste ultime. Salva in ogni caso la revocabilità delle rimesse e di ogni altro pagamento, nonché l’azione di ripetizione e risarcitoria per ogni eventuale eccedenza ».
-La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, frattanto posta in Amministrazione straordinaria, ha impugnato la decisione con ricorso per cassazione in due mezzi, cui il Fallimento intimato ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., in quanto il tribunale, con una « sterile e laconica motivazione », avrebbe violato « non solo il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato di cui all’art.
112 c.p.c., avendo deciso ultra petita, ma anche il principio della domanda ex art. 99 c.p.c. ». Inoltre, il procedimento camerale ex art. 99 l.fall. non avrebbe potuto ospitare l’accertamento d ella responsabilità della banca, da svolgere in sede di cognizione piena, e il tribunale non si sarebbe potuto pronunciare su eccezioni non rilevabili d’ufficio, come l’eccezione di compensazione, ex art. 1242 c.c.; invece esso avrebbe «implicitamente accertato la responsabilità della banca opponente per aver abusivamente concesso credito alla società fallita» ed altresì «autonomamente provveduto alla liquidazione del relativo danno ponendolo in compensazione con il credito oggetto di insinuazione», senza che ne sussistessero i presupposti di certezza, liquidità ed esigibilità.
2.2. -Il secondo mezzo denuncia la violazione del combinato disposto degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere il tribunale «inammissibilmente accertato, in maniera apodittica, una responsabilità della banca nella concessione del credito insinuato, presumibilmente in una cornice -rimasta, all’evidenza, però nebulosa -di responsabilità degli organi amministrativi e gestori».
-Il primo motivo è infondato e il secondo è inammissibile.
3.1. -L’infondatezza del primo deriva dal fatto che non si registra una decisione ultra petita , poiché, al di là della discussa posizione assunta dalla curatela nel giudizio di opposizione -nel decreto impugnato si legge che aveva chiesto la conferma del provvedimento del giudice delegato; nel ricorso si sostiene che aveva invece dichiarato di non opporsi alla richiesta della RAGIONE_SOCIALE e chiesto di modificare quel provvedimento con conseguente ammissione al passivo dell’importo di € 477.105,85 al chirografo -per un verso è evidente che la dichiarazione di ‘non opporsi’ ad un’ammissione parziale non identifica la domanda , per altro verso è lo stesso ricorrente a riferire che, in sede di verifica, la curatela aveva eccepito l’esistenza di una « attività di sostegno finanziario in favore della società rivelatasi foriera di danno ai creditori per aver consentito la prosecuzione dell’attività sociale nonostante l’ormai palese e riconoscibile stato di insolvenza ».
Sta di fatto che , all’esito della verifica , il giudice delegato ha escluso totalmente il credito e il curatore non ha impugnato la
decisione, sicché il tribunale ha deciso l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE iuxta alligata et probata . E nel far ciò non ha accertato in via principale un credito risarcitorio spettante al Fallimento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ritenuta responsabile di concessione abusiva del credito (evocando la scorta della « giurisprudenza di legittimità cha ha stabilito come il sostegno finanziario da parte di una banca, sia nelle forme di concessione di nuova finanza che in quelle di mantenimento e rinnovo di quella già in precedenza concessa, rappresenta un illecito civile ove intervenga in favore di una società che si trova già in stato di insolvenza e di intervenuto azzeramento del capitale sociale. Ne consegue che la banca, la quale eroga e/o mantiene colpevolmente li credito nonostante vi sia una condizione economica tale da non giustificare più il merito creditizio supporta l’operato contra legem degli amministratori e dei sindaci »), ma si è limitato ad un accertamento incidenter tantum del relativo ‘illecito civile’ al solo fine di ‘paralizzare’ la pretesa creditoria insinuata al passivo del Fallimento. In altri termini, la quantificazione del danno secondo « il criterio equitativo differenziale dei netti patrimoniali » è stata strumentale solo a verificare che esso superasse l’entità del credito insinuato, sì da giustificarne la disposta esclusione.
3.2. -L’inammissibilità del secondo motivo deriva dal fatto che le censure sono volte a mettere in discussione, in questa sede, l’accertamento effettuato, ai fini sopra indicati, dai giudici di merito, come non è consentito nel giudizio di legittimità.
Deve infatti ricordarsi che la violazione dell’art. 115 c.p.c. ricorre solo quando il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa, fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il principio di non contestazione e il notorio), mentre non è ammesso dolersi che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, trattandosi di attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U, 16303/2018, 20867/2020, 23650/2022; Cass. 2001/2023, 4599/2023, 9427/2024).
Analogamente, la violazione dell’art. 116 c.p.c. ricorre solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad es. valore di prova legale), oppure, ove la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento. Quando invece si deduca, come nel caso di specie, che il giudice ha male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura, un tempo ammissibile ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., lo è ora solo in presenza dei gravissimi vizi di motivazione individuati da Cass. Sez. U, 8053/2014 (Cass. Sez. U, 34474/2019, 20867/2020; Cass. 20553/2021, 34459/2022, 2001/2023, 14703/2024) che però non ricorrono in questo caso, in quanto la motivazione è comprensibile e rispetta il cd. ‘minimo costituzionale’ .
-Segue il rigetto del ricorso con condanna alle spese. Sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione proposta, se dovuto, a norma del comma 1-bis del l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/02 (Cass. Sez. U, 20867/2020 e 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 11/09/2024.