Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1596 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1596 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5060/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO IN CASORIA INDIRIZZO INDIRIZZO, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè contro
CONDOMINIO IN CASORIA INDIRIZZO INDIRIZZO, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (-)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 5562/2018 depositata il 30/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.NOME COGNOME ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe denunciandone la contrarietà agli artt. 1100, 1102, 2697, 2727 e 2729 c.c. e 115 e 116 c.p.c.
La Corte di Appello ha confermato la decisione del Tribunale di Napoli di rigetto della domanda di esso ricorrente per ottenere dal ‘RAGIONE_SOCIALE‘, di INDIRIZZO in Casoria la rimozione di una sbarra apposta su un viale privato largo 7.40 metri, tra detto RAGIONE_SOCIALE e il frontistante ‘INDIRIZZO‘ di cui esso ricorrente è condomino e per ottenere, in subordine, dai due Condomini la chiave necessaria alla sollevazione della sbarra.
Le domande erano state proposte sull’assunto di fondo per cui il viale doveva ritenersi oggetto di comunione incidentale tra i due Condomini ‘ ex collatione agrorum privatorum ‘.
La Corte di Appello ha motivato la decisione su rilievo per cui detto assunto, per un verso, era rimasto indimostrato, dato che non vi era prova dell’essere il viale ‘un bene funzionalmente autonomo’, né ‘del conferimento in comunione da parte dei due condominii di una porzione delle rispettive proprietà per la realizzazione del viale’, dato che i regolamenti e le tabelle millesimali dei due condominii non contemplavano il viale come bene comune e dato che non risultava che le spese di manutenzione del selciato, dell’illuminazione o dei sottoservizi fossero ripartite tra i due Condominii. Per altro verso, l’assunto dell’odierno ricorrente era smentito dagli accertamenti tecnici del consulente nominato dal Tribunale, il quale, sulla scorta dei titoli di provenienza e di verifiche in loco e di fotografie, aveva accertato che il viale era per 5 dei 7,40 metri di complessiva larghezza di proprietà esclusiva del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e per 2,40 metri di proprietà esclusiva del RAGIONE_SOCIALE di Via Raffaele Galluccio n.32, che la parte di proprietà del RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO non era utilizzabile per il traffico veicolare stante la presenza di un marciapiede e che, come dedotto dai due Condominii, la sbarra era stata apposta sul lato della strada appartenente al RAGIONE_SOCIALE mentre l’altra parte della strada era liberamente accessibile;
il ricorrente deduce che la Corte di Appello non ha tenuto conto del fatto che i due Condominii, nel costituirsi in giudizio in primo grado, non avevano contestato ‘di avere contribuito alla formazione del viale privato con apporti di suolo sia pure in misura diversa’ e che dunque la Corte di Appello ha errato laddove, in contrasto con l’art. 115 c.p.c., ha assunto che la comunione del viale dovesse essere dimostrata. Il ricorrente sostiene poi che dagli accertamenti del consulente tecnico nominato in primo grado il proprio assunto risultava non smentito ma confermato;
il ‘RAGIONE_SOCIALE‘, di INDIRIZZO e il ‘RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO‘ resistono con controricorso;
il ricorrente ha depositato memoria con cui insiste su quanto dedotto;
considerato che:
il ricorso è infondato.
In riferimento alla denunciata erronea applicazione dell’art. 115 c.p.c., si osserva in primo luogo che la dedotta non considerazione di fatti come non contestati sarebbe stata commessa dal primo giudice ed avrebbe dovuto essere fatta valere come motivo di appello.
Il che, come emerge dalla sentenza impugnata e dal ricorso, non è avvenuto. Tale erronea applicazione viene lamentata ora come motivo di ricorso contro la sentenza di appello sull’assunto che anche la sentenza di appello sia incorsa in essa.
E tuttavia il motivo con il quale il ricorrente lamenti che la sentenza di appello sia incorsa nel medesimo vizio di violazione dell’art. 115 c.p.c. dal quale sarebbe stata già affetta la sentenza di primo grado è inammissibile allorché la deduzione di quel vizio non abbia costituito oggetto, in precedenza, di uno specifico motivo di gravame essendo la contestazione del vizio ormai preclusa.
4.2. Per il resto l’ipotizzata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. si risolve, per il ricorrente, nell’assunto erroneo per cui la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendono o sono ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio. In particolare della CTU, secondo quanto il ricorrente prospetta. Al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115, 116 c.p.c. può porsi, rispettivamente, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto
a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali; ovvero, ancora, abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (Cass. SU n. 20867 del 2020).
1.3. In riferimento alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., costituisce orientamento consolidato che il vulnus a tale norma si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (ex plurimis Cass. n. 571 del 2017; Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 19064 del 2006).
Nel caso di specie la Corte di Appello ha correttamente affermato che spettava all’odierno ricorrente dare la prova della comunione della strada.
1.4.Quanto alla dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., pur se ‘l’accertamento della comunione di una via privata, costituita ex collatione agrorum privatorum , non è soggetto al rigoroso regime probatorio della rivendicazione, potendo, tale comunione, al pari di ogni altra communio incidens , dimostrarsi con prove testimoniali e presuntive, comprovanti l’uso prolungato e pacifico della strada da parte dei frontisti e la rispondenza della stessa alle comuni esigenze di comunicazione in relazione alla natura dei luoghi, con la conseguente necessità di
una valutazione complessiva degli elementi, anche indiziari addotti, al fine di stabilire l’effettiva destinazione della via alle esigenze comuni di passaggio (Cass. n. 19994 del 2008; conf. Cass. n. 13238 del 2010; Cass. n. 15521 del 2011), nel caso di specie è da rilevare che nel corpo del motivo il ricorrente neppure precisa quali indizi non siano stati valorizzati né contesta il valore indiziario attribuito dalla Corte di Appello al fatto che i regolamenti e le tabelle millesimali dei due condominii non contemplavano il viale come bene comune e che non risultava dagli atti di causa che le spese di manutenzione del selciato, dell’illuminazione o dei sottoservizi fossero ripartite tra i due Condominii.
1.5. Le censure di violazione degli artt. 1100 e 1102 c.c. sono infondate: la Corte di Appello ha rilevato -in modo che, in ragione di quanto fin qui detto, si sottrae ad ogni censura- che la strada non era comune; non sussistevano quindi i presupposti per riconoscere al ricorrente, come condomino del RAGIONE_SOCIALE il diritto di servirsi dalla parte della strada di proprietà dell’altro RAGIONE_SOCIALE;
il ricorso deve essere rigettato;
3.le spese seguono la soccombenza;
PQM
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere a ciascuno dei due controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 2500,00, per compensi professionali, €200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r . 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 11 gennaio 2024, mediante modalità da