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Comunione di godimento: quando si ha diritto di passo

Una proprietaria agiva in giudizio per negare al vicino il diritto di passare su un marciapiede di sua esclusiva proprietà. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito che avevano riconosciuto una ‘comunione di godimento’. Secondo la Corte, sebbene il terreno fosse di proprietà esclusiva, la realizzazione del marciapiede per servire l’accesso all’intero edificio, incluso l’appartamento del vicino, ha creato un diritto di passaggio basato sulla destinazione funzionale dell’opera.

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Comunione di godimento: quando la funzione di un’opera prevale sulla proprietà

Il diritto di proprietà è sacro, ma non assoluto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda come l’uso e la destinazione di un’opera possano creare diritti a favore di terzi, anche quando l’opera stessa sorge su un terreno privato. Il caso in esame riguarda un marciapiede e chiarisce il concetto di comunione di godimento, un principio fondamentale nei rapporti di vicinato e nel diritto immobiliare.

I fatti di causa: a chi appartiene il marciapiede?

La vicenda ha origine dalla controversia tra due vicini. La proprietaria di un’area avviava un’azione legale (actio negatoria servitutis) per far accertare l’inesistenza di qualsiasi diritto da parte della vicina su un marciapiede e un’intercapedine costruiti sul proprio terreno. L’obiettivo era impedire il passaggio della vicina, che utilizzava quel percorso per accedere al proprio appartamento.

Inizialmente, il Tribunale aveva dato ragione alla proprietaria. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, rigettando la domanda e riconoscendo di fatto un diritto di passaggio alla vicina. La Corte d’Appello, pur confermando che il terreno era di proprietà esclusiva della ricorrente, ha stabilito che le opere (marciapiede e intercapedine) erano state realizzate a servizio dell’intero edificio, creando così una comunione incidentale di godimento.

L’analisi della Corte di Cassazione e la comunione di godimento

La proprietaria ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali:

1. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: La ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse pronunciato ultra petita, ovvero oltre i limiti della domanda, riconoscendo una comunione di godimento non richiesta dalla vicina, la quale si era limitata a chiedere il rigetto della domanda altrui.
2. Incongruenza della motivazione: Si lamentava una contraddizione tra le motivazioni e la decisione finale.
3. Mancanza di volontà: La proprietaria affermava che non vi fosse alcuna prova della sua volontà di concedere un diritto di passaggio.

La Suprema Corte ha respinto tutti i motivi, confermando la decisione della Corte d’Appello.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha chiarito punto per punto perché il ricorso dovesse essere rigettato.

In primo luogo, non vi è stata alcuna violazione del principio del chiesto e pronunciato. L’azione negatoria servitutis mira ad accertare l’inesistenza di qualsiasi diritto a carico del fondo. Di conseguenza, il giudice, nel decidere, deve valutare tutte le possibili fonti di un diritto, inclusa una comunione di godimento. Poiché la vicina aveva eccepito un proprio diritto di passaggio, la valutazione della Corte d’Appello rientrava pienamente nell’oggetto della causa.

In secondo luogo, la Corte ha ritenuto il motivo sull’incongruenza della motivazione inammissibile, ribadendo che, dopo la riforma del 2012, il vizio di motivazione è sindacabile in Cassazione solo in casi estremamente gravi, come la mancanza assoluta di motivazione o la sua palese illogicità, ipotesi non riscontrate nel caso di specie.

Infine, e questo è il punto cruciale, la Corte ha spiegato che il diritto di passaggio non derivava da una concessione volontaria della proprietaria, ma dalla destinazione oggettiva e funzionale dell’opera. Il marciapiede era stato realizzato per consentire l’accesso all’edificio in cui si trovava anche l’immobile della vicina. La sua funzione era quella di servire l’intero fabbricato. Questo fatto, accertato dai giudici di merito, è sufficiente a far sorgere una comunione incidentale di uso e godimento, che obbliga i singoli proprietari a contribuire alle spese e a permetterne l’utilizzo a chi ne ha diritto in base alla sua funzione.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: quando si realizzano opere che, per loro natura e funzione, sono destinate a servire più unità immobiliari, può nascere una comunione di godimento che prevale sulla titolarità esclusiva del terreno su cui sorgono. La volontà del proprietario del suolo diventa secondaria rispetto alla destinazione di fatto dell’opera. In sostanza, la funzione crea il diritto. Questo principio è fondamentale per regolare i rapporti di vicinato e per garantire l’accesso e la fruibilità degli immobili, specialmente in contesti condominiali o di edifici complessi.

Quando un giudice può riconoscere un diritto che non è stato esplicitamente richiesto da una parte con una domanda riconvenzionale?
Quando la domanda principale mira a far accertare l’inesistenza di qualsiasi diritto di terzi su un bene (come nell’actio negatoria servitutis). In questo caso, il giudice, per rigettare la domanda, deve necessariamente accertare l’esistenza di un qualche diritto, e questa valutazione rientra nei limiti del suo potere decisionale senza costituire una pronuncia ‘ultra petita’.

Cosa significa ‘comunione incidentale di godimento’ in un contesto immobiliare?
Significa che, anche se un’area (come un marciapiede o un androne) è costruita su un terreno di proprietà esclusiva di una persona, se tale area è funzionalmente destinata a servire più proprietà, si crea un diritto di uso e godimento condiviso tra i proprietari serviti. Questo diritto non nasce da un contratto, ma dalla situazione di fatto e dalla destinazione dell’opera.

Il diritto di passaggio su un’area altrui può nascere anche senza un accordo esplicito del proprietario?
Sì. Come chiarito dalla Corte, il diritto di passaggio può sorgere non da una manifestazione di volontà del proprietario del terreno, ma dalla destinazione oggettiva e fattuale di un’opera. Se un marciapiede è stato costruito per consentire l’accesso a un edificio, chi abita in quell’edificio ha diritto di usarlo per accedere alla propria abitazione, indipendentemente dal consenso del proprietario del suolo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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