Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27576 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27576 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9364/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso da sé medesimo e dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale- nonché
sul controricorso incidentale proposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi
dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso e ricorso incidentale,
-controricorrenti e ricorrenti incidentali-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, FIGUERA NOME, FIGUERA NOME, FIGUERA NOME, FIGUERA COGNOME, FIGUERA NOME e FIGUERA NOME,
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n.97/2020 depositata il 14.1.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Nell’ambito di un giudizio di divisione promosso nel 2013 da COGNOME NOME, nei confronti dei fratelli COGNOME NOME e COGNOME NOME e del nipote COGNOME NOME, davanti al Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale, riguardante i beni oggetto della successione legittima del padre dei fratelli COGNOME, COGNOME NOME, apertasi il 24DATA_NASCITA, ed i beni della successione testamentaria della moglie di quest’ultimo, COGNOME NOME, apertasi il 19.7.2011, COGNOME NOME, per quanto qui rileva, chiedeva in via riconvenzionale di dichiarare la nullità parziale, per impossibilità dell’oggetto, della convenzione di assoggettamento di beni al regime legale di comunione, stipulata da COGNOME NOME e COGNOME
NOME il 22.2.1976 per atto pubblico del AVV_NOTAIO, rep. n. 25091, racc. n. 4636, per la parte in cui si riferiva a tre immobili: un appartamento sito in INDIRIZZO, su due piani di dodici vani catastali; un locale deposito in INDIRIZZO, piano terra, di 200 mq; e un locale deposito di INDIRIZZO INDIRIZZO, piano terra di 150 mq. Detti beni erano stati realizzati in costanza di matrimonio (contratto da COGNOME NOME e COGNOME NOME il DATA_NASCITA), ma in luogo di un fabbricato a piano terra poi demolito, che era stato acquistato dal solo COGNOME NOME con l’atto del AVV_NOTAIO il 24.9.1952, rep. n. 5836, racc. n. 12631, e quindi prima del matrimonio con la NOME. Tale riconvenzionale era destinata ad incidere sulla formazione delle quote nei due compendi ereditari e frutti relativi, e sulla richiesta riduzione delle disposizioni testamentarie di COGNOME NOME a favore di COGNOME NOME.
Nel giudizio di primo grado COGNOME NOME chiamava in causa la RAGIONE_SOCIALE, avente con lui un interesse comune, ed intervenivano altresì ex art. 1113 cod. civ. COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Disposto il sequestro giudiziario dei beni immobili, e trasmesso il procedimento dalla sede distaccata di Acireale alla sede centrale del Tribunale di Catania per la sussistenza della competenza collegiale sulla riconvenzionale, il Tribunale di Catania in composizione collegiale, con la sentenza non definitiva n.1615/2017 del 23.3.2017, accoglieva la domanda riconvenzionale di COGNOME NOME, di nullità parziale della convenzione del 22.2.1976, ritenendo che il regime della comunione legale tra coniugi non potesse avere ad oggetto beni immobili acquistati separatamente dai coniugi prima del matrimonio (beni prenuziali), e con separata ordinanza rimetteva la causa in istruttoria per la prosecuzione.
Avverso tale sentenza non definitiva proponevano appello immediato COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, mentre COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE ne chiedevano il rigetto, ed i COGNOME restavano contumaci.
La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza n. 97/2020 del 14.1.2020, notificata il 20.1.2020, in accoglimento dell’appello, dichiarava valida ed efficace la convenzione del 22.2.1976, e condannava in solido COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese processuali di secondo grado a favore degli appellanti.
La Corte d’Appello, richiamata la sentenza n. 77 del 18.2.1999 delle sezioni unite della Corte di Cassazione, poi seguita dalle sentenze delle sezioni semplici del 22.2.2000 n. 1973 e del 3.4.2008 n. 8662, evidenziava che con l’entrata in vigore della L. n.151/1975 (20.9.1975) la comunione legale tra coniugi era divenuta, in sostituzione della separazione dei beni, il regime patrimoniale legale, applicabile dopo il 15.1.1978 anche a coloro che avessero contratto matrimonio prima del 2.9.1975 che non avessero manifestato entro il 15.1.1978 una volontà contraria all’assoggettamento al nuovo regime patrimoniale legale, e che la disposizione dell’art. 228 capoverso della L.151/1975 consentiva ai coniugi, che avessero contratto matrimonio prima del 2.9.1975, di convenire l’assoggettamento alla comunione legale anche dei beni immobili da loro acquistati prima dell’entrata in vigore della L.n.151/1975 (2.9.1975) ma dopo il matrimonio, fruendo dei benefici fiscali previsti dal terzo comma del citato art. 228, mentre per i beni immobili acquistati prima del matrimonio (cosiddetti beni prenuziali), estranei al beneficio fiscale, restava ai coniugi la possibilità di sottoporli a comunione convenzionale in base al disposto degli articoli 210 e 162 cod. civ.
La Corte riteneva, quindi, che i tre fabbricati realizzati nel 19641965, e quindi in costanza di matrimonio tra COGNOME NOME e
NOME, in luogo del demolito fabbricato a piano terra, appartenessero, per acquisto a titolo originario per accessione (art. 934 cod. civ.), al solo COGNOME NOME e non fossero caduti in regime di comunione legale, per essere tale regime applicabile ex art. 117 ( rectius 177) comm a 1° cod. civ. solo agli acquisti a titolo derivativo, ed in quanto non era intervenuto tra i coniugi NOME nessun accordo di segno contrario prima che per effetto dell’edificazione operasse l’accessione, potendo solo la NOME chiedere al marito il rimborso per le spese da lei sostenute per la costruzione dei suddetti immobili sostitutivi.
Passando quindi all’interpretazione della convenzione del 22.2.1976, la Corte d’Appello ricordava la priorità dei canoni strettamente interpretativi degli articoli 1362 -1365 cod. civ., rispetto a quelli interpretativi-integrativi (artt. 1366 -1371 cod. civ.), il principio per cui se il significato letterale delle parole non lasciava dubbi, l’operazione ermeneutica poteva ritenersi conclusa senza bisogno di far ricorso ai criteri interpretativi-integrativi, che era invece necessario quando il ricorso ai canoni strettamente interpretativi non consentiva di identificare la comune intenzione delle parti.
In concreto la Corte d’Appello riteneva che il riferimento al solo dato letterale ” i comparenti dichiarano che sono assoggettati al regime della comunione legale i seguenti beni ” non consentisse di comprendere per tutti i beni elencati in convenzione la comune intenzione delle parti, perché tra essi ve ne erano ben tre, su quattro, che erano prenuziali, e quindi non assoggettabili al regime patrimoniale della comunione legale, per cui procedendo ad un’interpretazione complessiva delle clausole, anche per la parte relativa all’individuazione dei beni oggetto della convenzione, e valorizzando il fatto che i beni immobili costruiti al posto del fabbricato demolito di proprietà esclusiva di COGNOME RAGIONE_SOCIALE erano specificamente indicati come realizzati ” in costanza di matrimonio “,
ha ritenuto che COGNOME NOME con la convenzione avesse voluto trasferire alla moglie e quindi sottoporre a comunione convenzionale ex art. 210 cod. civ. la metà degli immobili costruiti in costanza di matrimonio su un terreno di sua esclusiva proprietà (beni prenuziali), oltre a sottoporre al regime patrimoniale della comunione legale il fondo rustico con annesso fabbricato sito in Acireale, INDIRIZZO, da lui acquistato il 15.3.1968 in costanza di matrimonio (bene postnuziale).
La Corte d’Appello, pertanto, condivideva col giudice di primo grado la tesi che i beni immobili prenuziali non potessero costituire oggetto di comunione legale tra i coniugi, ma escludeva la nullità della convenzione del 22.2.1976 per impossibilità giuridica dell’oggetto relativamente ai tre immobili costruiti in corso di matrimonio sul terreno di proprietà esclusiva acquisito da COGNOME NOME prima del matrimonio, ritenendo che per quella parte i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME avessero stipulato una convenzione ex art. 210 cod. civ., consentita anche per i beni immobili acquisiti dal singolo coniuge prima del matrimonio.
A conferma di tale interpretazione, la Corte d’Appello richiamava l’art. 210 comma 2° cod. civ., che nell’individuare i beni che non potevano far parte della comunione convenzionale, faceva riferimento solo ai beni indicati alle lettere c) (beni di uso strettamente personale dei coniugi ed accessori), d) (beni destinati all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli volti alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione) ed e) (risarcimenti danni e pensioni per perdita totale o parziale della capacità lavorativa), e non ai beni prenuziali (con richiamo a Cass. 28.8.2008 n. 21786; Cass. 22.2.2000 n. 1973), ed evidenziava che l’interpretazione seguita si imponeva anche per il principio di conservazione del contratto dell’art. 1367 cod. civ. e per il principio dell’interpretazione di buona fede dell’art. 1366 cod. civ., in quanto in caso contrario la convenzione del 22.2.1976 non avrebbe
prodotto quasi nessun effetto, ancorché le parti fossero andate davanti ad un AVV_NOTAIO ed a testimoni e benché la convenzione per atto pubblico fosse stata annotata a margine dell’atto di matrimonio.
La Corte d’Appello osservava, poi, che anche nell’ipotesi non condivisa della nullità parziale per impossibilità giuridica dell’oggetto della convenzione del 22.2.1976 di assoggettamento dei beni alla comunione legale tra i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME, il giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 1424 cod. civ., per soddisfare l’esigenza di conservazione del contratto e di rispetto della volontà delle parti, avrebbe potuto ritenere che la convenzione nulla relativa ai beni immobili prenuziali si fosse convertita in una convenzione matrimoniale valida, avente tutti i requisiti di forma e di sostanza di cui agli articoli 162 e 210 cod. civ., avendo i predetti senza colpa ignorato l’eventuale invalidità per avere fatto affidamento sulle cognizioni tecnico-giuridiche del AVV_NOTAIO.
Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso principale a questa Corte COGNOME NOME, affidandosi a cinque motivi, resistono con controricorso e ricorso incidentale condizionato COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME con un motivo, contrastato da controricorso di COGNOME NOME, mentre sono rimasti intimati la RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La Procura Generale in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il ricorrente ed i controricorrenti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 1346 e 1448 ( rectius 1418) cod. civ.
Si duole il ricorrente principale che la Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, abbia escluso la nullità parziale della convenzione di assoggettamento di beni al regime legale di comunione, stipulata da COGNOME NOME e COGNOME NOME il 22.2.1976, per atto pubblico del AVV_NOTAIO, rep. n.25091, racc. n. 463, per impossibilità giuridica dell’oggetto, ritenendo che i beni prenuziali siano stati oggetto di una convenzione matrimoniale ex art. 210 cod. civ. e che con lo stesso atto sia stato sottoposto al regime patrimoniale della comunione legale l’acquisto immobiliare postnuziale effettuato da RAGIONE_SOCIALE, ancorché la comunione legale tra coniugi e la comunione convenzionale ex art. 210 cod. civ. abbiano presupposti ed effetti diversi, atteso che entrambe richiedono l’atto pubblico alla presenza di testimoni, mentre solo quest’ultima va annotata a margine dell’atto di matrimonio ex art. 162 comma 4° cod. civ. Ulteriormente osserva il ricorrente, che nella convenzione in questione non si é fatto alcun riferimento al trasferimento di una quota dei beni immobili prenuziali da COGNOME NOME a COGNOME NOME, per il quale quindi nell’ambito di una convenzione matrimoniale ex art. 210 cod. civ. sarebbe stato necessario un atto separato rispetto alla convenzione di assoggettamento di beni alla comunione legale e soggetto a trascrizione immobiliare, e che la tesi della nullità parziale della convenzione ex art. 228 capoverso della L. n. 151/1975, che abbia ad oggetto beni immobili prenuziali, è stata accolta dalla sentenza n. 1973/2000 della Corte di Cassazione.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto non si confronta con la motivazione addotta dall’impugnata sentenza, limitandosi a contrapporvi la propria diversa interpretazione della
convenzione oggetto di causa, che era stata accolta dal giudice di primo grado, ma è stata poi motivatamente abbandonata dalla Corte d’Appello. Il giudice di secondo grado non ha certo violato i principi sanciti dagli articoli 1346 e 1418 comma 2° cod. civ. secondo i quali il contratto è nullo se manca uno dei requisiti dell’oggetto indicati dall’art. 1346 cod. civ., rappresentati dalla possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità dell’oggetto, in quanto semplicemente ha escluso la nullità per impossibilità giuridica dell’oggetto della convenzione de qua per la parte relativa ai beni immobili prenuziali, in quanto ha motivatamente ritenuto che per quella parte COGNOME NOME e COGNOME NOME abbiano inteso concludere non una convenzione di assoggettamento dei beni alla comunione legale ex art. 228 L. n. 151/1975 capoverso, ma una convenzione matrimoniale istitutiva di comunione ordinaria ex artt. 210 e 162 cod. civ., sussistendo in tal senso sia l’intenzione delle parti, sia i necessari requisiti di forma (atto pubblico alla presenza di testimoni ed annotazione a margine dell’atto di matrimonio), tra i quali non figura la necessaria distinzione dalla convenzione di assoggettamento di beni immobili acquistati dopo il matrimonio, ma prima dell’entrata in vigore della L. n. 151/1975 ex art. 228 capoverso L. n. 151/1975. Nessun dubbio può esservi sulle differenze di presupposti ed effetti della comunione legale tra coniugi per acquisti immobiliari successivi al matrimonio anteriori all’entrata in vigore della L. n. 151/1975, discendente da convenzione tra coniugi ex art 228 capoverso L. n. 151/1975, rispetto alla comunione ordinaria convenzionale tra coniugi ex artt. 162 e 210 cod. civ. discendente da convenzione matrimoniale, ma da ciò non deriva alcun divieto di cumulo nello stesso atto notarile delle due convenzioni, purché ne siano soddisfatti i requisiti formali e sostanziali.
Col secondo motivo COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione
degli articoli 228 capoverso della L. n. 151/1975 e dell’art. 210 cod. civ.
Si duole il ricorrente principale che la Corte d’Appello, ritenendo configurabile per i beni immobili prenuziali una convenzione matrimoniale determinativa di comunione tra i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME ex art. 210 cod. civ., anziché una convenzione di assoggettamento degli stessi beni alla comunione legale tra coniugi ex art. 228 capoverso L. n. 151/1975, abbia violato il principio di specialità dettato dall’art. 15 cod. pen., avente portata di principio generale, che avrebbe imposto l’applicazione della norma speciale dell’art. 228 capoverso L. n. 151/1975 e non di quella generale dell’art. 210 cod. civ.
Il secondo motivo, oltre a non confrontarsi con la motivazione dell’applicazione differenziata delle due norme fatta dalla sentenza impugnata, è manifestamente infondato, in quanto tra l’art. 210 cod. civ. e l’art. 228 capoverso della L. n. 151/1975 non è configurabile un rapporto di genere a specie, atteso che tali norme hanno ambiti applicativi diversi, posto che il primo può avere ad oggetto anche beni acquistati dai coniugi prima del matrimonio, mentre il secondo poteva avere ad oggetto soltanto beni che i coniugi avessero acquistato dopo il matrimonio ma prima dell’entrata in vigore della L. n. 151/1975 (2.9.1975), ed aveva lo scopo specifico di porre i coniugi che avessero contratto matrimonio prima dell’entrata in vigore della suddetta legge, quando vigeva il regime della separazione dei beni, in condizione di parità con i coniugi che avessero contratto matrimonio dopo quella data (vedi in tal senso Cass. sez. un. n. 77 del 18.2.1999).
3) Col terzo motivo il ricorrente principale lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, che viene individuato nel non avere fornito la Corte d’appello una motivazione adeguata, rendendo una mera motivazione apparente, in
particolare a pagina 9, in cui detta Corte avrebbe dichiarato di avere desunto l’interpretazione della volontà dei coniugi dall’esame complessivo della convenzione e dal confronto delle singole clausole, senza specificare quali clausole avrebbe preso in considerazione per superare il significato letterale della convenzione.
Il terzo motivo, non solo inquadra erroneamente il vizio di motivazione anziché nell’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. nello schema dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., che presuppone l’omesso esame di un fatto storico, e non lamenta una nullità della sentenza impugnata; ma isolando la sola pagina 9 della motivazione della sentenza impugnata e trascurando lo specifico rilievo dato all’identificazione dei beni oggetto di convenzione ed al riferimento alla costruzione degli immobili prenuziali in corso di convivenza matrimoniale, ipotizza una mancata identificazione delle clausole contrattuali utilizzate per ricostruire la comune intenzione delle parti distaccandosi in parte dal tenore letterale della convenzione. Non ci si trova di fronte ad una motivazione apparente, ma ad una motivazione chiara ed approfondita, non disancorata dalla giurisprudenza di questa Corte resa, anche a sezioni unite, in materia, e nel contempo aderente anche all’intero testo della convenzione, sicché non ne risulta dimostrata la denunciata violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale.
Col quarto motivo COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 cod. civ.
Si duole il ricorrente principale che l’impugnata sentenza, benché le parti della convenzione del 22.2.1976 avessero testualmente previsto di assoggettare al regime della comunione legale regolata dalla legge n.151/1975 ” tutti i beni mobili ed immobili, da ciascuno di essi o da entrambi acquistati dopo la celebrazione del matrimonio ed anteriormente alla data di entrata in vigore della
citata legge “, si sia discostata dai criteri prioritari d’interpretazione del contratto dettati dagli articoli 1362 e 1363 cod. civ., ancorché le espressioni usate avessero un significato univoco secondo il linguaggio corrente nel senso di limitare l’assoggettamento al regime patrimoniale della comunione legale tra coniugi ai soli beni immobili postnuziali, ossia acquistati dopo il matrimonio, ma prima dell’entrata in vigore della L. n. 151/1975, sulla base della previsione dell’art. 228 capoverso di quella legge. Sottolinea poi il ricorrente, che l’elencazione dei beni era stata compiuta nella convenzione dal AVV_NOTAIO “ai soli fini della trascrizione nei registri immobiliari ed in altri pubblici registri per i beni immobili, ed ai soli fini probatori di cui all’art. 195 del codice civile”, e che le parti a pagina 4 della convenzione avevano dichiarato che “gli immobili descritti ai numeri 1), 2) e 3) sono stati realizzati in costanza di matrimonio nel biennio 1964-1965 “, per cui l’impugnata sentenza, nonostante il significato letterale compiuto della convenzione, non avrebbe esplicitato le ragioni del ricorso ai successivi criteri sussidiari d’interpretazione contrattuale, impiegati per qualificare come convenzione istitutiva di comunione ordinaria conclusa ex art. 210 cod. civ., la parte della convenzione relativa agli immobili prenuziali indicati ai numeri 1), 2) e 3), costruiti in costanza di matrimonio, ma appartenenti al solo NOME COGNOME per accessione al suolo, che egli soltanto aveva acquistato poco prima del matrimonio con NOME.
Da ultimo il ricorrente invoca l’art. 2700 cod. civ., secondo il quale l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Il quarto motivo è infondato, in quanto il ricorrente principale contrappone una propria autonoma interpretazione della convenzione, conforme a quella del giudice di primo grado, e
muove critiche all’interpretazione compiuta dalla Corte d’Appello isolando alcuni passaggi della motivazione dal contesto. L’impugnata sentenza, in realtà, come riportato nella descrizione dei fatti, è partita dall’interpretazione del dato normativo degli articoli 228 capoverso della L. n. 151/1975 e 210 e 162 cod. civ., come tratteggiato dalla sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 77 del 18.2.1999, che pur pronunciandosi con esito negativo sulla questione dell’applicabilità o meno del beneficio dell’esenzione fiscale alle convenzioni matrimoniali ex art. 210 cod. civ. relative a beni prenuziali, ha sottolineato come la convenzione ex art. 228 capoverso della L. n. 151/1975 consenta ai coniugi che abbiano contratto matrimonio prima dell’entrata in vigore di quella legge di sottoporre con apposita convenzione al regime della comunione legale dei beni anche gli immobili separatamente acquistati dopo il matrimonio (beni postnuziali) ma prima dell’entrata in vigore della suddetta legge, che altrimenti non verrebbero assoggettati al nuovo regime patrimoniale dei coniugi introdotto dalla riforma del diritto di famiglia, e come invece le convenzioni matrimoniali con le quali i coniugi decidano di sottoporre alcuni beni al regime della comunione ordinaria ex art. 210 cod. civ. possano avere ad oggetto anche beni da loro acquistati separatamente prima del matrimonio (beni prenuziali). In stretta correlazione con tale premessa in diritto, e con l’applicabilità del principio di accessione dell’art. 934 cod. civ. agli immobili costruiti in corso di matrimonio su un’area di fabbricato demolito di proprietà esclusiva di COGNOME NOME, da lui acquistata prima del matrimonio con NOME del DATA_NASCITA, la Corte d’Appello ha poi rilevato che il dato letterale della volontà espressa dalle parti della convenzione, di assoggettamento al regime della comunione legale, non poteva essere scisso (per il principio dell’interpretazione complessiva delle clausole contrattuali dell’art. 1363 cod. civ.) dal dato relativo all’individuazione dei beni immobili
oggetto della convenzione, tra i quali erano ricompresi un solo bene immobile postnuziale (fondo rustico con annesso fabbricato in Acireale INDIRIZZO acquistato da COGNOME NOME il 15.3.1968 in costanza di matrimonio) e ben tre beni immobili (quelli descritti ai numeri 1, 2 e 3, realizzati in costanza di matrimonio nel biennio 1964-1965 sull’area di un fabbricato terraneo demolito acquistato dal solo COGNOME NOME prima del matrimonio), che in quanto tali non potevano essere assoggettati al regime patrimoniale della comunione legale tra coniugi ex art. 228 capoverso della L.n.151/1975. Pertanto, per non vanificare l’intenzione manifestata dalle parti di far cadere in comunione tra loro anche questi ultimi beni immobili (art. 1366 cod. civ.), che erano stati costruiti durante la convivenza matrimoniale con l’apporto di entrambi i coniugi anche se su una proprietà esclusiva di COGNOME NOME, e per non rendere quasi del tutto priva di effetti la convenzione (art. 1367 cod. civ.), la Corte d’Appello ha ricondotto la parte di convenzione relativa ai beni immobili in questione allo schema della convenzione matrimoniale degli articoli 210 e 162 cod. civ., della quale risultavano comunque soddisfatti i requisiti formali dell’atto pubblico alla presenza di testimoni e dell’annotazione a margine dell’atto di matrimonio.
Non vi é stata quindi alcuna violazione dell’ordine applicativo dei criteri d’interpretazione del contratto, né si è fatta applicazione dei criteri interpretativi-integrativi (artt. 1366 -1371 cod. civ.), poiché il dato letterale della convenzione consentiva già compiutamente di ricostruire la comune intenzione delle parti per tutti i beni immobili inclusi nella convenzione.
Nessun pregio ha poi il richiamo del ricorrente principale all’efficacia probatoria dell’atto pubblico, che non incide sull’articolata e motivata interpretazione della convenzione fornita dalla Corte d’Appello, frutto di un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per
violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, o per vizio di motivazione (Cass. 4.6.2021 n. 15707; Cass. 22.10.2014 n.22343; Cass. 21.4.2005 n. 8296).
Col quinto motivo COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1424 cod. civ.
Il ricorrente principale si duole che la Corte d’Appello, anche nell’ipotesi ravvisata dal giudice di primo grado di nullità parziale della convenzione per impossibilità giuridica dell’oggetto, abbia ritenuto che sarebbero esistiti i presupposti per la conversione del contratto nullo ex art. 1424 cod. civ., nella parte relativa ai beni prenuziali, dovendosi conservare il contratto nel rispetto della volontà delle parti, sussistendo i requisiti di forma e di sostanza di cui agli articoli 162 e 210 cod. civ. propri della convenzione matrimoniale, ed avendo i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME, privi di cognizioni tecnico-giuridiche, fatto incolpevole affidamento sulle cognizioni del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO.
Sostiene, in particolare, il ricorrente principale, che ai fini della conversione della convenzione di assoggettamento dei beni, alla comunione legale tra coniugi, in una convenzione matrimoniale ex art. 210 cod. civ., sarebbe mancata l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, necessaria per quest’ultima, e che, come evidenziato dal Tribunale di Catania, per aversi una comunione convenzionale ex art. 210 c.p.c. sarebbe stato necessario un atto autonomo rispetto alla convenzione stipulata ex art. 228 capoverso della L.n.151/1975 e che COGNOME NOME donasse espressamente nell’atto alla moglie NOME la quota di 1/2 dei beni immobili elencati ai numeri 1), 2) e 3) della convenzione del 22.2.1976.
L’ultimo motivo è inammissibile, in quanto inerente ad una seconda ratio della sentenza impugnata, la cui prima ratio, inerente alla validità della convenzione del 22.2.1976, è risultata confermata per effetto della reiezione dei primi quattro motivi del ricorso
principale. In ogni caso l’impugnata sentenza ha accertato in punto di fatto che la convenzione suddetta è stata annotata a margine dell’atto di matrimonio (vedi ultimo periodo di pagina 9) ed ha motivato in ordine all’attribuzione da parte di COGNOME NOME a COGNOME NOME della metà dei beni immobili prenuziali, e non sono indicate le ragioni per le quali le convenzioni ex art. 228 capoverso della L. n. 151/1975 ed ex artt. 210 e 162 cod. civ. dovrebbero essere necessariamente separate.
La reiezione del ricorso principale di COGNOME NOME fa ritenere assorbito il ricorso incidentale condizionato di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, proposto per la sola ipotesi, non verificatasi, di accoglimento del ricorso principale, allo scopo di ottenere il riconoscimento della validità della convenzione stipulata il 22.2.1976 ai sensi dell’art. 228 capoverso della L.n.151/1975 anche per i beni immobili prenuziali, e quindi con assoggettamento al regime patrimoniale della comunione legale tra coniugi anche delle tre unità immobiliari realizzate in costanza di matrimonio sull’area del fabbricato demolito acquistato da COGNOME NOME prima del matrimonio con NOME.
In base al principio della soccombenza, COGNOME NOME va condannato al pagamento in favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, mentre nulla va disposto quanto alle spese processuali di questo grado per gli intimati.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente principale, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso principale di COGNOME NOME, assorbito il ricorso incidentale, e lo condanna al pagamento in favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed € 5.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n.115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente principale, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 3.10.2024