Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1264 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1264 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2973/2020 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al controricorso,
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n.979/2019 depositata l’ 11.6.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. notificato il 12.2.2013, NOME conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Pesaro la moglie da poca divorziata (sentenza del Tribunale di Pesaro del 5/6.2.2013), NOME esponendo che con atto del 9.1.1997 aveva acquistato in regime di comunione legale con la stessa l’appartamento di Pesaro, INDIRIZZO destinato ad alloggio familiare, che risultava occupato senza titolo per la quota di ½ di sua spettanza dalla data (7.9.2006) in cui, nell’ambito del giudizio di separazione, era stata revocata l’assegnazione a favore della COGNOME della casa coniugale, in quanto il figlio maggiorenne con lei convivente era divenuto economicamente indipendente (statuizione poi confermata dalla sentenza di appello della separazione della Corte d’Appello di Ancona), e deduceva che malgrado la sua richiesta di accesso, l’ex moglie, nonostante la presenza della forza pubblica, non gli aveva consentito di entrare nell’ex casa coniugale. Chiedeva, pertanto, il ricorrente, la divisione dell’immobile, accertata la sua indivisibilità in natura, e la sua vendita all’incanto con distribuzione del ricavato, in difetto di richieste di attribuzione per intero con addebito dell’eccedenza formulate dalle parti, e la divisione anche della comunione legale degli altri non meglio identificati beni mobili ubicati nell’ex casa coniugale, nonché lo scioglimento della comunione legale de residuo, con eventuale condanna della COGNOME al rimborso delle somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall’adempimento delle
obbligazioni familiari. Il ricorrente chiedeva, poi, la condanna della COGNOME a corrispondergli l’indennità per l’occupazione senza titolo della metà dell’ex casa coniugale di sua pertinenza dalla data della revoca dell’assegnazione (ottobre 2006) fino alla data del rilascio, oltre accessori, nonché alla restituzione dei ratei del mutuo contratto per l’acquisto dell’alloggio familiare, da lui solo versati, almeno a decorrere dallo scioglimento della comunione legale ex art. 191 cod. civ..
Si costituiva nel giudizio sommario di primo grado NOME che per quanto ancora rileva, sosteneva l’inammissibilità dell’avversa richiesta di divisione dell’alloggio familiare, in quanto con i provvedimenti provvisori ed urgenti adottati dal Presidente del Tribunale di Pesaro il 26/27.3.2012 nel giudizio di divorzio, era stato ripristinato l’assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne economicamente non più indipendente, convivente con la madre, con conseguente ripristino dell’assegnazione della casa coniugale alla COGNOME, provvedimenti poi confermati dalla sentenza di divorzio del Tribunale di Pesaro del 5/6.2.2013, per cui il giudizio andava sospeso in attesa dell’esito del giudizio di divorzio. In via subordinata, la COGNOME chiedeva, comunque, l’attribuzione per intero dell’immobile di Pesaro, INDIRIZZO previo conguaglio a favore del Mei, con detrazione delle sue spettanze arretrate per assegni di mantenimento e di divorzio non pagati. Quanto all’avversa richiesta di indennizzo per occupazione senza titolo dell’alloggio familiare, la COGNOME sosteneva che il Tribunale di Pesaro, nel giudizio di separazione, con la stessa ordinanza del 7.9.2006, che aveva revocato l’assegnazione della casa coniugale alla madre, aveva posto a carico del Mei, ed in suo favore, un assegno di mantenimento contenuto in € 175,00 mensili, anziché di € 300,00 mensili, che sarebbe scattato nell’ipotesi in cui la COGNOME avesse lasciato la casa coniugale, per tener conto dell’utilità ritratta dal godimento per intero anzichè per
metà dell’alloggio familiare, e che pertanto poiché lei non aveva mai lasciato tale alloggio, il COGNOME aveva di fatto già fruito dei frutti percepibili dalla sua metà dell’immobile sotto forma di risparmio nella corresponsione dell’assegno di mantenimento altrimenti dovuto alla COGNOME, e non aveva diritto ad ulteriori indennizzi. Quanto all’avversa richiesta di restituzione delle rate di mutuo pagate avanzata dal COGNOME, la COGNOME ne sosteneva l’infondatezza, in quanto sia nel giudizio di separazione, che in quello di divorzio, i giudici avevano a lei assegnato un assegno inferiore a quello che sarebbe spettato se il Mei non avesse pagato i ratei del mutuo.
Espletata CTU sull’immobile, il Tribunale di Pesaro, con l’ordinanza del 7.6.2014, conclusiva del procedimento sommario n. 235/2013 RG, pronunciava la divisione dell’immobile di Pesaro, INDIRIZZO attribuendone la piena proprietà alla COGNOME previo versamento a favore del Mei del conguaglio di €102.000,00, respingeva la domanda di divisione dei beni mobili perché non adeguatamente identificati dal Mei, e respingeva la domanda di indennità per occupazione senza titolo della metà dell’alloggio familiare da parte della COGNOME in quanto il COGNOME, formulando una mera richiesta di accesso, non avrebbe manifestato la volontà di rientrare in possesso dell’immobile di proprietà comune con la COGNOME, e compensava le spese processuali e di CTU.
Contro l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario proponeva appello il Mei, con ricorso depositato il 29.10.2014 e notificato insieme al decreto di fissazione di udienza il 27.11.2014, riproponendo le domande non accolte in primo grado e chiedendo la corresponsione della rivalutazione monetaria e degli interessi sul conguaglio.
Si costituiva in secondo grado NOME che eccepiva l’inammissibilità dell’appello del Mei perché non proposto nel termine breve di trenta giorni previsto dall’art. 702 quater c.p.c., decorrente dalla comunicazione da parte della cancelleria
dell’ordinanza conclusiva del procedimento sommario, e chiedeva comunque il rigetto dell’impugnazione.
All’udienza del 7.10.2015 la difesa della COGNOME produceva l’attestazione telematica della comunicazione/notificazione di cancelleria, eseguita il 13.6.2014 nei confronti dell’avv. NOME COGNOME avente ad oggetto ‘ Invio atti all’Agenzia delle Entrate ‘ relativamente all” ordinanza ex art. 702 bis divisione di beni non caduti in successione ‘, dalla quale risultava che vi erano allegati i documenti che nel registro di cancelleria erano associati all’evento avente ad oggetto ‘ Invio atti all’Agenzia delle Entrate ‘.
La Corte d’Appello di Ancona rinviava all’udienza del 23.11.2016, poi dell’8.11.2017 e quindi del 2.3.2018, nella quale la causa veniva trattenuta in decisione con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica, ed il Mei con la comparsa conclusionale depositava la sopravvenuta sentenza della Corte di Cassazione n. 6663 del 16.3.2018, relativa alla definizione del giudizio di divorzio tra le parti, mentre la COGNOME con la memoria conclusiva di replica contestava la tardività di quella produzione.
La Corte d’Appello di Ancona, con ordinanza del 5.9.2018, rilevava che occorreva stabilire se l’appello proposto dal Mei fosse, o meno tempestivo, e poiché dal fascicolo cartaceo di primo grado non risultava possibile verificare le comunicazioni effettuate dalla cancelleria del Tribunale di Pesaro in via telematica all’esito della pronuncia dell’ordinanza impugnata, e non era possibile per la Corte d’Appello accedere da consolle al fascicolo telematico di primo grado, disponeva l’acquisizione tramite la cancelleria del Tribunale di Pesaro della documentazione relativa a tutte le comunicazioni effettuate dalla stessa ai procuratori delle parti all’esito della pronuncia dell’ordinanza impugnata, rinviando per la prosecuzione all’udienza del 28.11.2018.
Il 29.10.2018 la cancelleria del Tribunale di Pesaro trasmetteva alla Corte d’Appello di Ancona tre annotazione al PCT di causa relative alle comunicazioni effettuate ai procuratori delle parti, senza l’ordinanza impugnata che era stata allegata alla comunicazione inviata all’Agenzia delle Entrate ed ai procuratori delle parti, ed all’udienza del 28.11.2018 la causa veniva trattenuta in decisione, con concessione di ulteriori termini ex art. 190 c.p.c..
Con la sentenza n. 979/2019 del 17.4./11.6.2019 la Corte d’Appello di Ancona, in parziale accoglimento dell’appello, riconosceva a favore del Mei gli interessi legali sul conguaglio di €102.000,00 dal 22.1.2015 al saldo, negando invece la rivalutazione monetaria a cagione della notoria sussistenza nel periodo della crisi del mercato immobiliare, condannava la COGNOME al pagamento in favore del Mei, a titolo d’indennizzo per il godimento esclusivo dell’immobile in comunione, di € 10.375,00, oltre interessi legali dalla domanda sulle singole mensilità di €125,00 riconosciute dovute, confermava il rigetto della domanda del Mei di divisione dei beni mobili (arredi e mobilia) in comunione legale asseritamente esistenti nell’immobile, che non erano stati neppure sommariamente individuati nella loro consistenza alla data dello scioglimento della comunione legale per consentire di comprendere se vi rientrassero o meno, e dichiarava compensate tra le parti le spese processuali di secondo grado.
In particolare, per quanto ancora rileva, la Corte d’Appello respingeva, anzitutto, l’eccezione di tardività dell’appello perché non proposto entro 30 giorni dalla comunicazione da parte della cancelleria del Tribunale di Pesaro dell’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di primo grado ex art. 702 quater c.p.c., ritenendo che dovesse operare solo il termine lungo d’impugnazione dell’art. 327 c.p.c., che risultava rispettato. Riteneva, infatti la Corte d’Appello che dalla documentazione acquisita d’ufficio dalla cancelleria del Tribunale di Pesaro, peraltro
corrispondente a quella ritualmente depositata dall’appellata, risultava che la comunicazione eseguita dalla cancelleria, tramite posta elettronica, aveva riguardato l’evento costituito dall’invio all’Agenzia delle Entrate ed ai legali delle parti del provvedimento di divisione conclusivo del procedimento sommario ai fini della registrazione, e non l’evento della pubblicazione dell’ordinanza impugnata, ed in quanto da quella documentazione non risultava se detta ordinanza, nel suo testo integrale, fosse stata fatta pervenire solo all’Agenzia delle Entrate, o anche ai legali delle parti, per cui la comunicazione compiuta dalla cancelleria era inidonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione di trenta giorni dell’art. 702 quater c.p.c.
La Corte d’Appello respingeva, poi, la domanda del Mei, formulata in relazione alla previsione dell’art. 192 cod. civ., di restituzione dei ratei di mutuo pagati per intero per l’acquisto dell’immobile, richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n.1197/2006), che aveva stabilito che non spettava alcuna restituzione al coniuge che avesse impiegato denaro personale, o proventi della sua attività separata nell’acquisto di un bene caduto in comunione legale, competendo la restituzione solo quando le somme personali fossero state impiegate, in epoca successiva all’acquisto, per lavori di ristrutturazione, o miglioramenti di beni che già facessero parte del patrimonio comune.
Quanto alla domanda del Mei di pagamento dell’indennizzo per il mancato godimento della quota dell’immobile di sua proprietà, utilizzata senza titolo dalla COGNOME, la Corte d’Appello richiamava la sentenza n. 5156 del 30.3.2012 di questa Corte (che in caso di revoca dell’ordinanza di assegnazione della casa coniugale implicante il dissenso al protrarsi dell’uso esclusivo dell’immobile, aveva escluso la liceità dell’uso esclusivo protrattosi successivamente da parte dell’ex assegnatario nonostante il dissenso dell’altro coniuge contitolare per violazione dell’art. 1102
cod. civ.), riconosceva l’occupazione senza titolo per il periodo compreso tra la revoca dell’assegnazione della casa coniugale disposta nel giudizio di separazione nell’ottobre 2006 e l’ordinanza presidenziale del giudizio di divorzio del 26/27.3.2012, con la quale era stata temporaneamente ripristinata l’assegnazione della casa coniugale in quanto il figlio maggiorenne delle parti convivente con la madre non era più economicamente autonomo, e per il periodo compreso tra l’agosto 2013 (la sentenza della Corte d’Appello di Ancona del giudizio di divorzio del 7.8.2013 dimostrava che a quella data l’assegnazione della casa coniugale era venuta meno) ed il passaggio in giudicato dell’ordinanza conclusiva del procedimento sommario quanto alla statuizione non impugnata relativa alla divisione dell’immobile di Pesaro, INDIRIZZO (22.1.2015), e fissava in € 125,00 mensili l’ammontare dell’indennità per i suddetti periodi, tenendo conto delle caratteristiche dell’immobile, delle finiture risalenti a 30 anni prima emergenti dalla CTU e del valore attribuito all’utilità della metà dell’immobile in sede di determinazione dell’assegno di mantenimento e di divorzio.
Avverso tale sentenza, non notificata, ha proposto tempestivo ricorso a questa Corte NOME affidandosi a cinque motivi, ed ha resistito con controricorso NOMECOGNOME
In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione degli articoli 112, 115, 101 e 352 c.p.c. per avere la Corte d’Appello di Ancona omesso di pronunciare sentenza dopo avere trattenuto in decisione la causa all’udienza del 2.3.2018, e per avere giudicato su prove non
introdotte dalle parti ed acquisite di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciuti al giudice, disattendendo l’eccezione d’inammissibilità dell’appello per intervenuta decorrenza del termine breve d’impugnazione di trenta giorni previsto dall’art. 702 quater c.p.c. sollevata dalla COGNOME.
Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello, pur avendo dato atto che la documentazione depositata dalla appellante era totalmente corrispondente a quella acquisita tramite la cancelleria del Tribunale di Pesaro, abbia ritenuto non provato che l’intero contenuto dell’ordinanza impugnata era stato comunicato dalla cancelleria con pec di notificazione ex D.L. n. 179/2012 del 13.6.2014 sia all’Agenzia delle Entrate, che ai procuratori costituiti in primo grado delle parti, sol perché la cancelleria aveva fatto pervenire unicamente le attestazioni delle comunicazioni eseguite dopo la pronuncia dell’ordinanza conclusiva del procedimento sommario, e non gli allegati alle stesse, tra i quali il testo integrale del provvedimento impugnato.
Il primo motivo di ricorso é infondato, in quanto la Corte d’Appello aveva senz’altro il potere-dovere di verificare la tempestività dell’appello proposto dal Mei avverso l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di primo grado, dovendo accertare se si fosse o meno formato il giudicato interno, tanto più a fronte dell’eccezione di tardività dell’impugnazione che era stata specificamente sollevata dalla COGNOME, che aveva prodotto all’udienza del 7.10.2015 una documentazione che era attinente alla comunicazione effettuata dalla cancelleria del Tribunale di Pesaro in ordine all’invio all’Agenzia delle Entrate ed ai legali delle parti di quell’ordinanza, ai fini della sua registrazione da parte dell’Ufficio del Registro, competente sulla base dell’ufficio giurisdizionale che aveva adottato un provvedimento traslativo della proprietà immobiliare soggetto ad imposta di registro, e non era invece specificamente attinente (vedi oggetto della stessa) alla
pubblicazione dell’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c.. La Corte d’Appello, pertanto, avendo trattenuto in decisione la causa all’udienza del 2.3.2018, concedendo i termini di deposito delle comparse conclusionali e delle memorie conclusive di replica, ben poteva emettere l’ordinanza del 5.9.2018 disponendo l’acquisizione dalla cancelleria del Tribunale di Pesaro di tutta la documentazione attinente alle comunicazioni da quella effettuate dell’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di primo grado, non disponibili nel fascicolo cartaceo di primo grado acquisito, e non visibili sul sistema telematico consolle della Corte d’Appello, per verificare se oltre a quella documentata dalla parte appellata, vi fosse stata un’altra comunicazione da parte della cancelleria del giudice di primo grado. Quando l’ordinanza del 5.9.2018 ha disposto d’ufficio l’integrazione della documentazione relativa alle comunicazioni compiute dalla cancelleria del giudice di primo grado, il semplice fatto che fosse già scaduto il termine di sessanta giorni dalla scadenza del termine di deposito delle memorie conclusive di replica che la Corte d’Appello aveva concesso all’udienza in cui la causa era stata trattenuta in decisione (2.3.2018), entro il quale si sarebbe dovuta adottare la decisione conclusiva del giudizio, non aveva certo privato la Corte del potere di decidere. Una volta che il giudice di secondo grado ha ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti senza la richiesta integrazione documentale, ha garantito pienamente il contraddittorio ed il diritto di difesa delle parti, in quanto dopo che il 29.10.2018 era stata acquisita dalla cancelleria del Tribunale di Pesaro la documentazione integrativa richiesta, all’udienza del 28.11.2018 ha fatto nuovamente precisare le conclusioni alle parti, mettendole in condizioni di interloquire su tale documentazione ed ha quindi trattenuto definitivamente la causa in decisione, con concessione di ulteriori termini per il deposito di comparse
conclusionali e memorie di replica, e solo all’esito ha pronunciato la sentenza impugnata in questa sede.
Quanto alla doglianza relativa al fatto che l’impugnata sentenza non abbia ritenuto applicabile nel caso in esame lo speciale termine breve di trenta giorni dalla comunicazione da parte della cancelleria dell’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c., contemplato dall’art. 702 quater c.p.c., si rinvia all’esame dei due motivi successivi, che riguardano proprio le modalità con le quali la comunicazione di quell’ordinanza doveva avvenire da parte della cancelleria per poter fare decorrere il termine breve d’impugnazione, anziché il sostitutivo termine lungo di sei mesi dal deposito previsto dall’art. 327 c.p.c., ritenuto applicabile anche all’impugnazione dell’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c. (vedi in tal senso Cass. sez. un. 5.10.2022 n. 28975; Cass. 27.6.2018 n.16893).
2) Col secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 16 del D.L. n.179/2012 e degli articoli 10, 11, 12 e 17 del Provvedimento del 16.6.2014 ‘ Specifiche tecniche previste dall’art. 34, comma 1 del Decreto del Ministro della Giustizia in data 21.2.2011 n. 44, recante Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione, nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ‘ e dell’art. 133 comma II c.p.c..
Dopo avere ricordato che con l’entrata in vigore degli articoli 16 e 17 del D.L. n. 179/2012 é stata superata la discrasia esistente tra l’art. 136 c.p.c., che prevedeva la comunicazione in forma abbreviata, e l’art. 45 disp. att. c.p.c., che prevedeva che il biglietto di cancelleria contenesse in ogni caso il testo integrale del provvedimento, in quanto sia le comunicazioni che le notificazioni di cancelleria avvengono ormai mediante messaggi di posta elettronica certificata contenenti come allegato il testo integrale del
provvedimento, sostiene la ricorrente che la Corte d’Appello non abbia considerato che la pec inviata all’Agenzia delle Entrate ed ai legali delle parti nel giudizio di primo grado era unica, e che riferendosi ad un documento, l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario ex art. 702 ter comma 6° c.p.c., che era un atto nativo digitale e sottoscritto dal giudice con firma digitale, necessariamente recava la comunicazione di tale provvedimento nel suo testo integrale, che figurava come allegato alla comunicazione, come da documentazione depositata dalla appellata, non potendosi quindi distinguere tra la comunicazione inviata all’Agenzia delle Entrate e comunicazione inviata ai legali delle parti.
Col terzo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 133 c.p.c. e degli articoli 10 -11 del D.P.R. n. 131/1986 e dell’art. 73 del D.P.R. n. 115/2012.
Sostiene la ricorrente che proprio l’oggetto della comunicazione eseguita a mezzo pec dalla cancelleria, costituito dall’invio all’Agenzia delle Entrate, oltre che ai legali delle parti, costituiva conferma del fatto che l’intera ordinanza impugnata fosse stata portata a conoscenza anche del legale del Mei, in quanto secondo l’art. 11 comma 2° del D.P.R. n. 131/1986 il cancelliere/segretario che dovevano richiedere la registrazione della sentenza, o di un provvedimento equiparato all’ufficio del registro nella cui circoscrizione territoriale aveva sede l’organo giudiziario, dovevano presentare unicamente l’originale dell’atto (evidentemente nel suo testo integrale).
Il secondo ed il terzo motivo, e la parte finale del primo motivo, vanno esaminati congiuntamente, perché inerenti alla medesima questione, quella della ritenuta inapplicabilità nella specie del termine breve d’impugnazione di trenta giorni dalla comunicazione alle parti ad opera della cancelleria del Tribunale di Pesaro
dell’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c. del 7.6.2014, che é stata motivata con la mancanza di una specifica comunicazione di cancelleria tramite notifica a mezzo pec che avesse ad oggetto l’evento della pubblicazione della suddetta ordinanza, anziché l’evento ‘ Invio atti all’Agenzia delle Entrate ‘, e col fatto che in assenza della specifica comunicazione dell’evento della pubblicazione, dalla documentazione acquisita dalla cancelleria civile del Tribunale di Pesaro non é stato possibile acquisire la prova che il testo integrale dell’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c. del 7.6.2014 fosse stato inviato alle parti.
Va premesso che nel particolare caso dell’ordinanza conclusiva del procedimento sommario, emessa ex art. 702 ter comma 6° c.p.c., avendo il legislatore inteso privilegiare la rapida formazione del giudicato, anziché fare decorrere il termine breve d’impugnazione, come di regola accade per le sentenze conclusive del giudizio ordinario, solo dalla notifica ad istanza di parte della sentenza, o del provvedimento conclusivo ad essa equiparato, ex art. 326 c.p.c., si é stabilito all’art. 702 quater c.p.c., che il termine breve di trenta giorni dell’appello possa decorrere eccezionalmente, oltre che dalla notifica dell’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c. ad istanza di parte, anche dalla comunicazione di tale ordinanza alle parti ad opera della cancelleria del giudice che l’ha emessa, per giurisprudenza consolidata di questa Corte purché si tratti però di comunicazione integrale, che ponga il destinatario in condizione di difendersi compiutamente (vedi in tal senso Cass. sez. un. 5.10.2022 n.28795; Cass. ord. 5.9.2019 n. 22341; Cass. n.14478/2018 in motivazione; Cass. n.7401/2017; Cass. n.11331/2017; Cass. n. 22674/2017), valendo altrimenti, anche per l’appello contro l’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c., solo il termine lungo d’impugnazione di sei mesi dell’art. 327 c.p.c. (vedi in tal senso Cass. sez. un. 5.10.2022 n. 2879).
La suddetta limitazione di accesso al giudizio di appello può ritenersi compatibile con l’art. 6, comma 1 CEDU, solo se persegue uno scopo legittimo, quale quello di addivenire alla rapida formazione del giudicato, e se esista un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, rispondente ad obiettive esigenze di buona amministrazione della giustizia, soprattutto se si tratti di regole prevedibili e di sanzioni prevenibili con l’ordinaria diligenza, anche in eligendo (Cass. sez. un. 5.10.2022 n. 28795; CEDU 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia, in Cass. n. 32610/2007; Cass. 8 maggio 2019 n. 12134).
Passando all’esame delle prescritte modalità della comunicazione di cancelleria, l’art. 133 comma 2° c.p.c. dopo la riforma attuata dall’art. 45 del D.L. 24.6.2014, convertito con modificazioni nella L.11.8.2014 n. 114, richiede che il cancelliere dia del deposito della sentenza, – alla quale é equiparabile, perché conclusiva del giudizio di primo grado con pronuncia anche sulle spese ed idonea a formare il giudicato, anche l’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c. (vedi in tal senso Cass. sez. un. 5.10.2022 n. 28975) -, comunicazione alle parti costituite del testo integrale della sentenza mediante biglietto di cancelleria, e l’art. 45 disp. att. c.p.c. ultimo comma, introdotto dall’art. 16 comma 3 lettera d) del D.L.18.10.2012 n. 179, convertito con modificazioni nella L.17.12.2012 n.221, stabilisce che quando viene trasmesso a mezzo posta elettronica certificata (come nella specie avvenuto) il biglietto di cancelleria é costituito dal messaggio di posta elettronica certificata, formato ed inviato nel rispetto della normativa, anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.
Nel caso in esame la Corte d’Appello ha ritenuto che la comunicazione compiuta dalla cancelleria civile del Tribunale di Pesaro sia stata inidonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione di trenta giorni dell’art. 702 quater c.p.c. per un
duplice ordine di ragioni, da un lato perché nell’oggetto del messaggio di posta elettronica certificata inviato, sostitutivo del vecchio biglietto di cancelleria, si é fatto riferimento solo all’evento ‘ Invio atti all’Agenzia delle Entrate ‘ e non al diverso evento ‘ Pubblicazione ‘, e dall’altro perché dalla documentazione integrativa acquisita dalla cancelleria civile del Tribunale di Pesaro non é stato possibile acquisire la prova che il testo integrale dell’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c. del 7.6.2014 fosse stato inviato alle parti.
Le doglianze della ricorrente hanno riguardato tale seconda motivazione, per il fatto che nella documentazione allegata dalla COGNOME all’udienza del 7.10.2015 vi era anche la copia integrale dell’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c. del 7.6.2014 del Tribunale di Pesaro, atto nativo digitale sottoscritto digitalmente dal suo autore che figurava come allegato al messaggio di posta elettronica certificata avente ad oggetto ‘ Invio atti all’Agenzia delle Entrate ‘ e che era stato inviato sia all’Agenzia delle Entrate, che alle parti il 13.6.2014, ma non anche la prima motivazione, che pertanto resiste al ricorso rendendo inammissibili i motivi in esame. La Corte d’Appello, infatti, ha correttamente valutato che la comunicazione dell’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di primo grado, per fare decorrere il termine breve d’impugnazione di trenta giorni dell’art. 702 quater c.p.c., deve corrispondere perfettamente al modello di comunicazione previsto dalla legge (art. 133 comma 2° c.p.c. ed art. 45 disp. att. c.p.c. e normativa, anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici), per cui il messaggio di posta elettronica certificata, che ormai sostituisce il biglietto di cancelleria, deve avere specificamente come oggetto l’evento ‘ Pubblicazione ‘, dev’essere inviato ai soli indirizzi di posta elettronica dei legali delle parti del giudizio in cui l’ordinanza é stata emessa, e non a soggetti terzi, e dev’essere accompagnato dalla
copia integrale dell’ordinanza pubblicata che ne costituisce un allegato. Quando infatti, come nel caso in esame, nell’oggetto del messaggio di posta elettronica certificata figura l’evento ‘ Invio atti all’Agenzia delle Entrate ‘ anziché l’evento ‘ Pubblicazione ‘, ed oltre alle parti del giudizio in cui il provvedimento pubblicato é stato emesso figurano tra i destinatari soggetti terzi (nella specie l’Agenzia delle Entrate di Pesaro), i destinatari della comunicazione non sono posti in condizione di comprendere inequivocamente quale sia il contenuto della comunicazione, e non sono allertati sul rischio di incorrere nel giudicato in caso di mancata impugnazione, nel termine breve di trenta giorni, dell’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c., e neppure vengono indotti ad aprire il file allegato alla comunicazione contenente il testo integrale del provvedimento da impugnare.
La cancelleria civile del Tribunale di Pesaro ha in realtà inviato la comunicazione all’Ufficio finanziario competente ed alle parti dell’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c., atto giudiziario soggetto ad imposta di registro, ai fini della registrazione, ai sensi dell’art. 73 del D.P.R. n. 115/2002, secondo le modalità indicate dall’art. 10 comma 1° lettera c) del D.P.R. n. 131/1986, ed i destinatari della comunicazione hanno fatto legittimo affidamento, dato l’oggetto del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto (‘ Invio atti all’Agenzia delle Entrate ‘), sul fatto che fosse stato loro comunicato un mero adempimento fiscale, che sarebbe poi stato seguito dalle richieste di pagamento dell’imposta di registro dell’Agenzia delle Entrate, ma non sono stati indotti a leggere il file allegato, contenente il testo integrale dell’ordinanza, né a proporre appello entro trenta giorni ex art. 702 quater c.p.c.. La medesima cancelleria non ha invece effettuato la rituale comunicazione alle parti con posta elettronica certificata dell’avvenuta pubblicazione dell’ordinanza ex art. 702 ter comma 6° c.p.c. del 7.6.2014 del Tribunale di Pesaro, prescritta dagli articoli 133 comma 2° c.p.c. e
45 disp. att. c.p.c.. Neppure é sostenibile che la cancelleria civile del Tribunale di Pesaro abbia cumulato, in un unico messaggio di posta elettronica certificata, le due comunicazioni dovute, solo perché il messaggio é stato inviato sia all’Agenzia delle Entrate di Pesaro, che alle parti, posto che nell’oggetto del messaggio é indicato come evento solo ‘ l’invio all’Agenzia delle Entrate ‘ e non anche l’evento ‘ Pubblicazione ‘, e ad ogni modo una comunicazione di tal fatta, non rispondente a quella richiesta dagli articoli 133 comma 2° c.p.c. e 45 disp. att. c.p.c., ed avente un contenuto equivoco, non sarebbe stata idonea a fare decorrere il termine breve d’impugnazione.
4) Col quarto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione degli articoli 112, 115, 101, 352 e 345 comma 3° c.p.c. e dell’art. 337 sexies cod. civ. per avere la Corte d’Appello ritenuto ammissibile la produzione della sentenza della Corte di Cassazione n.6663/2018 della causa di divorzio, avvenuta da parte del Mei col deposito della comparsa conclusionale nel giudizio di secondo grado del 20.5.2018, e per avere desunto da tale sentenza, che già alla data della sentenza di appello del giudizio di divorzio del 7.8.2013 (la sentenza n. 506/2013 della Corte d’Appello di Ancona non prodotta) era certamente venuta meno l’assegnazione della casa coniugale in favore della Marcelli, in tal modo ponendo a base della propria decisione prove non prodotte dalle parti in violazione dell’art. 115 c.p.c..
Il quarto motivo é infondato, in quanto la sentenza di divorzio della Corte di Cassazione n. 6663/2018 del 16.3.2018 costituiva un documento relativo ad un fatto sopravvenuto rispetto alla proposizione dell’appello del Mei, risalente al 2014, e comunque un documento che la Corte d’Appello ben poteva considerare indispensabile ai fini della decisione ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c., posto che il giudizio si era svolto in primo grado col rito
sommario, ed a ciò va aggiunto che su tale documento, acquisito il 20.5.2018, la COGNOME ha potuto pienamente esercitare il proprio diritto di difesa all’udienza di precisazione delle conclusioni del 28.11.2018 e nella comparsa conclusionale e nella memoria conclusiva di replica che ha potuto depositare nei termini ex art. 190 c.p.c. concessi in quella udienza, ma nulla ha eccepito.
La Corte d’Appello, inoltre, nell’accogliere la domanda di indennizzo per occupazione senza titolo della metà dell’immobile di Pesaro, INDIRIZZO di proprietà esclusiva del Mei, nel periodo successivo alla revoca dell’assegnazione alla Marcelli della casa coniugale ed anteriore allo scioglimento definitivo della comunione legale tra i coniugi, non si é basata solo sulla sentenza di divorzio della Corte di Cassazione n. 6663/2018 del 16.3.2018, ma anche sulla revoca dell’assegnazione della casa coniugale che era stata disposta ad ottobre 2006 nel giudizio di separazione, e sul suo temporaneo ripristino con l’ordinanza presidenziale del giudizio di divorzio del 26/27.3.2012, venuto meno col rigetto nell’agosto 2013 dell’appello della COGNOME volto ad ottenere l’assegnazione.
5) Col quinto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli articoli 337 sexies, 1102 e 1591 cod. civ., per il riconoscimento a favore del Mei a titolo di indennità per il godimento esclusivo dell’immobile di Pesaro, INDIRIZZO in comunione da parte della COGNOME, della somma di € 10.375,00, oltre interessi legali dalla domanda, in relazione alle mensilità per il periodo compreso tra la revoca dell’assegnazione della casa coniugale disposta nel giudizio di separazione nell’ottobre 2006 e l’ordinanza presidenziale del giudizio di divorzio del 26/27.3.2012, con la quale era stata temporaneamente ripristinata l’assegnazione della casa coniugale in quanto il figlio maggiorenne delle parti convivente con la madre non era più economicamente autonomo, e per il periodo compreso tra l’agosto 2013 (la sentenza della Corte d’Appello di Ancona del
giudizio di divorzio del 7.8.2013 dimostrava che a quella data l’assegnazione della casa coniugale era venuta meno) ed il passaggio in giudicato dell’ordinanza conclusiva del procedimento sommario.
Lamenta la ricorrente che l’indennizzo sarebbe stato riconosciuto dal giudice di secondo grado richiamando un precedente della Suprema Corte (Cass. n. 5156 del 30.3.2012), che si riferiva ad un caso in cui era intervenuta la revoca dell’assegnazione della casa coniugale, che invece nel caso specifico non c’era stata, e contesta la quantificazione dell’indennizzo in questione.
L’ultimo motivo é inammissibile, in quanto la ricorrente pur lamentando la violazione di legge degli articoli 337 sexies, 1102 e 1591 cod. civ., in realtà punta ad ottenere un diverso giudizio sul fatto, non consentito nel giudizio di legittimità, e per giunta ignora che, per quanto accertato dai giudici di merito, l’assegnazione della casa coniugale a suo favore é risultata revocata già nel giudizio di separazione con ordinanza del 7.9.2006, e che dopo un ripristino solo temporaneo a seguito di ordinanza presidenziale adottata nel giudizio di divorzio del 26/27.3.2012, motivata dalla perdita di indipendenza economica del figlio NOME convivente con la COGNOME é stata definitivamente negata con la sentenza di appello della Corte d’Appello di Ancona dell’agosto 2013, poi confermata dalla sentenza di questa Corte n. 6663/2018 del 16.3.2018.
Le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno distratte a favore del legale antistatario del Mei, avv. NOME COGNOME.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso di NOME e la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità del controricorrente, liquidate in € 200,00 per spese ed € 3.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%, da distrarre in favore del legale antistatario, avv. NOME COGNOME Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 10.1.2025