Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21865 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21865 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 7494/2024 R.G. per regolamento d’ufficio di competenza proposto dal Tribunale di Monza, con ordinanza depositata in data 5.10.2023, nella causa
TRA
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente-
E
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappres. e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-resistente- avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano, emessa il 28.09.2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6.02.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 28.09.2023, ai sensi dell’art. 29 CCII, dichiarava la propria incompetenza ‘ sulle domande volte alla liquidazione giudiziale e all’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi di RAGIONE_SOCIALE , ritenendo competente il Tribunale di Monza; detta ordinanza veniva emessa all’esito della procedura per l’apertura della liquidazione giudiziale, promossa da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e nel corso della quale quest’ultima, in data 27.09.2023, aveva proposto istanza ex art. 44 CCII volta ad ottenere la concessione dei termini per l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza e nella specie alla procedura di concordato preventivo con riserva.
Il Tribunale di Milano riteneva non sussistente la propria competenza ai sensi dell’art. 27, comma 2, CCII, valorizzando alcune circostanze emerse in sede di istruttoria le quali, a giudizio di detto Tribunale, permettevano di superare il dato formale dell’ubicazione della sede legale (Milano) in applicazione del criterio della sede effettiva (Carate Brianza) in quanto: ‘ il bilancio del 2021 è stato approvato in Carate Brianza; dalla visura camerale risulta che a Carate Brianza vi sia la sede amministrativa oltre che lo stabilimento; i conti correnti accesi dalla società si trovano in filiali di istituti di credito in Carate Brianza; i soci e gli amministratori risultano domiciliati per la carica in Seregno, Verano Brianza e Carate Brianza; la delibera ex art. 120 bis CCII è stata ricevuta da un Notaio in Monza; il pignoramento mobiliare presso la sede legale ha avuto esito negativo … ‘.
Ciò premesso, con ordinanza del 5.10.2023 il Tribunale di Monza si riteneva territorialmente incompetente a conoscere della domanda di
apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società debitrice e, parimenti, della domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi ai sensi dell’art. 44 D.lgs. 14/2019, osservando che: la debitrice aveva da oltre un anno la propria sede legale in Milano INDIRIZZO; norma di riferimento era l’art. 27, comma 3, lett. c) CCII, a mente del quale la competenza territoriale, nelle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, è attribuita al Tribunale del luogo nel cui circondario il debitore ha il proprio centro principale degli interessi, che si presume coincidente, per la persona giuridica e gli enti, anche non esercenti attività d’impresa, con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell’attività abituale; la norma aveva innovato la disposizione dello art. 9 legge fallimentare che individuava il criterio di collegamento nel ‘ luogo dove l’imprenditore ha la sede principale d’impresa ‘; do veva ritenersi che la presunzione di coincidenza del c.d. RAGIONE_SOCIALE con la sede legale avesse carattere assoluto come ricavabile sia dal tenore letterale della norma, che rende applicabile il criterio della sede effettiva solo in ‘mancanza’ della se de legale, sia dalla Relazione illustrativa al Codice dell a crisi ove si afferma che ‘ la presunzione di legge riferita ai criteri di collegamento deve reputarsi assoluta e non vincibile da una prova contraria in funzione di evitare l’insorgenza di questioni di rito impedienti ‘; il legislatore del Codice della crisi ha così dimostrato in modo chiaro ed inequivoco di privilegiare il dato formale della sede legale, superando le perplessità derivanti da un’eventuale difficoltà nella gestione dell’azienda del debitore ubicata in luogo diverso rispetto a quello della sede legale; la soluzione, pure a voler superare il chiaro dato testuale, si mostrava razionale anche al fine di tutela dell’affidamento dei terzi, e in particolare dei creditori, permettendo loro di rico-
noscere in anticipo il giudice competente a gestire l’insolvenza del debitore; detta interpretazione era, peraltro, conforme anche ai dettami del legislatore europeo il quale indicava come criterio di collegamento il centro effettivo degli interessi che parrebbe coincidere con la sede ‘effettiva’ ma solo con riguardo alla giurisdizione, lasciando all ‘ordinamento interno di ciascuno Stato il compito di disciplinare ed individuare i criteri di collegamento con riguardo alla competenza; ed, infatti, il Regolamento (UE) 2015/848 del 20 maggio 2015 relativo alle procedure di insolvenza, come richiamato dalla Direttiva UE 2019/1023 c.d. Insolvency, ricorreva al criterio del centro degli interessi principali del debitore ( COMI ) per identificare l’ordinamento giuridico deputato a gestire l’insolvenza del debitore affidando la gestione della procedura di insolvenza alle autorità più vicine alle vicende patrimoniali del debitore, assicurando al contempo ai creditori l’agile individuazione dell’ordinamento e delle autorità competenti al riguardo; in applicazione del Regolamento e della suindicata Direttiva l’ordinamento italiano ha incluso il COMI tra i criteri di giurisdizione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, prevedendo all’art. 11 la sussistenza della giurisdizione italiana sulla domanda di apertura di una procedura per la regolazione della crisi o dell’insolvenza quando il debitore abbia in Italia il centro degli interessi principali o una dipendenza, fatte salve le convenzioni internazionali e la normativa dell’Unione europea; il Tribunale di Milano, declinando la propria competenza non si era confrontato con il nuovo dato normativo, avendo fatto applicazione del criterio della sede effettiva dell’attività abituale dell’impresa ancorato alla precedente disciplina in materia concorsuale che, con presunzione iuris tantum , faceva coincidere la sede principale dell’impresa con la sede legale e tale presunzione poteva essere vinta attraverso prove univoche in grado di dimostrare il carattere meramente formale o fittizio della sede legale;
trattandosi di competenza territoriale inderogabile, era legittima la proposizione del conflitto di competenza negativa ai sensi dell’art. 45 c.p.c., richiamato dall’art. 29, comma 2, CCII.
Pertanto, il Tribunale di Monza sollevava conflitto negativo di competenza avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano, dato che quest’ultimo si era già dichiarato territorialmente incompetente per la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale della RAGIONE_SOCIALE
Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria, ritenendo competente il Tribunale di Monza.
RITENUTO CHE
Il regolamento di competenza richiesto d’ufficio dal Tribunale di Monza implica la decisione se la presunzione posta dall’art. 27, comma 3, lett. c), del CCII rivesta carattere assoluto (come reputato dal Tribunale remittente) o relativo (come, invece, ritenuto dal Tribunale di Milano, prioritariamente dichiaratosi incompetente).
Il Collegio ritiene che, in conformità della requisitoria del Pubblico Ministero, il regolamento d’ufficio non sia fondato, essendo competente il Tribunale di Monza.
Il comma 1 dell’ art. 27 attribuisce ‘i procedimenti di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o a una procedura di insolvenza e le controversie che ne derivano relativi alle imprese in amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione’ alla competenza del ‘ Tribunale sede della sezione specializzata in materia di imprese ‘ , da individuare, sulla scorta del criterio di cui all’art. 4 D.Lgs. 168/2003, ‘avuto riguardo al luogo in cui il debitore ha il centro degli interessi principali ‘.
Il criterio di determinazione della competenza, declinato attraverso una proposizione lessicale che prende il posto della “sede principale” cui
faceva riferimento il vecchio art. 9 l.fall., è dunque quello ( COMI : Centre of main interest ) definito dalla lettera m) dell’art. 2 CCII.
Se è certo che, in base al dettato legislativo, il COMI venga fatto presuntivamente coincidere con la sede legale risultante dal Registro delle imprese, meno certo è se la presunzione sia iuris tantum , con conseguente possibilità di superarla attraverso prove univoche che dimostrino che il centro direzionale dell’attivit à dell’impresa sia collocato altrove.
Al riguardo, nel sistema precedente, fondato sull’art. 9 l.fall., il legislatore aveva contemplato la sede principale quale criterio di fissazione della competenza, mentre era stata la giurisprudenza ad introdurre una presunzione di coincidenza tra sede reale e sede statutaria, precisandone la tenuta fino a prova contraria; invece, la normativa vigente stabilisce in via diretta la presunzione di coincidenza tra COMI e sede legale, nulla precisandone circa la natura (se assoluta o relativa).
Il criterio di determinazione fondato sul COMI non è nuovo nell’esperienza ordinamentale: identica formulazione è infatti contenuta nell’art. 3, primo comma del Regolamento (UE) 2015/848 relativo alle procedure di insolvenza transfrontaliere che, dopo aver assegnato la competenza ad aprire la procedura di insolvenza ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il Comi, al secondo comma precisa però che ‘ per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia , fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede legale ‘.
Anche nella disciplina sull’insolvenza transfrontaliera compare, dunque, la presunzione di coincidenza tra COMI e sede legale, solo che il Regolamento europeo ha avuto cura di indicarne il carattere solo relativo.
Proprio tenendo conto del raffronto tra la disposizione di cui all’art. 27, comma 3, CCII e quella contenuta nell’art. 3 Reg. UE, parte della dottrina e della giurisprudenza di merito ha sostenuto che anche la presunzione posta dal legislatore interno avrebbe carattere relativo e dunque sarebbe vincibile da una prova contraria.
Sul versante opposto si è tuttavia considerato che l’art. 3 del Regolamento andrebbe coordinato con il Considerando 26, a mente del quale le disposizioni del presente regolamento relative alla competenza giurisdizionale fissano soltanto la competenza giurisdizionale internazionale, ossia designano lo Stato membro i cui giudici possono aprire procedure di insolvenza. La competenza territoriale nello Stato membro dovrebbe essere determinata dal suo diritto nazionale, sicché si è sostenuto che il tentativo di trarre dall’art. 3 Reg. UE spunti interpretativi utili ai fini dell’art. 27 CCII andrebbe escluso, in quanto la competenza per territorio dovrebbe essere regolata esclusivamente dal diritto interno.
In questa prospettiva, la presunzione sarebbe da interpretare in senso assoluto, come disposto dalla Relazione illustrativa del CCII a tenore della quale, come previsto dall’art. 2, comma 1, lett. f), della legge delega, la competenza spetta al Tribunale del luogo ove si trova il centro degli interessi principali del debitore, definito nella stessa norma, tenuto conto della categoria di appartenenza del debitore e individuato, in una prospettiva di semplificazione, attraverso il ricorso a presunzioni assolute.
Ora, premesso che le disposizioni della suddetta Relazione non sono vincolanti per l’interprete, è stato significativamente osservato che se si dovesse ritenere che si tratti di presunzioni assolute, la definizione che si è scelto di inserire in apertura del Codice si rivelerebbe svuotata di qualsiasi autonomo rilievo. Invero, in tal caso, la definizione del
COMI sarebbe applicabile solo ritenendo che coincida con la ‘ sede dell’attività abituale ‘ , e verrebbe così relegata in secondo piano, in quanto potrebbe assumere rilievo esclusivamente nel caso che una sede formale manchi o non risulti, quindi in una dimensione certamente non fisiologica e comunque in casi assai limitati.
Maggiormente conforme allo spirito della novella appare, allora, un’interpretazione che non si discosti di molto da ciò che già avveniva durante la vigenza dell’art. 9 l.fall., assegnando dunque alla presunzione di coincidenza un carattere solo relativo: il criterio di collegamento principale è costituito dal COMI , che si presume coincidente con la sede statutaria ma, trattandosi di presunzione solo relativa, è lecito fornire la prova contraria.
Nel caso, poi, in cui si raggiunga la certezza che la sede effettiva sia situata in un luogo differente rispetto alla sede legale, ma non si raggiunga analoga certezza circa la sua precisa ubicazione, fermo restando l’avvenuto superamento della presunzione di coincidenza, dovrà necessariamente entrare in gioco il secondo criterio di collegamento (quello del luogo nel quale la persona giuridica svolge abitualmente la propria attività produttiva, che è concetto diverso dal COMI ) e, ove neppure tale criterio appaia praticabile, dovrà farsi riferimento al terzo (cioè al luogo di residenza, domicilio, dimora o nascita del legale rappresentante).
In conclusione, mentre la tesi che vorrebbe assegnare carattere assoluto alla presunzione svilisce e svuota di effettiva rilevanza il criterio che lo stesso legislatore ha mostrato di voler adoperare, viceversa il carattere relativo della stessa consente di assegnare al criterio della sede effettiva quella visibilità ed autonoma rilevanza che costituisce un preciso principio della legge delega che, all’art. 2, comma primo, lettera
f) impone di recepire, ai fini della disciplina della competenza territoriale, la nozione di ‘ centro degli interessi principali del debitore ‘ definita dall’ordinamento dell’Unione Europea.
Giova altresì evidenziare che lo stesso legislatore delegato ha poi finito per ammettere implicitamente il carattere non assoluto delle presunzioni; si considerino, ad esempio, l’ art. 45, comma 2 (‘ L’iscrizione è effettuata presso l’ufficio del registro delle imprese ove l’imprenditore ha la sede legale e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso quello corrispondente al luogo ove la procedura è stata aperta ‘) e l’ art. 48, comma 1 (‘ L’iscrizione è effettuata presso l’ufficio del registro delle imprese ove l’imprenditore ha la sede legale e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso quello corrispondente al luogo ove la procedura è stata aperta ‘), le cui formulazioni ammettono evidentemente la possibilità che la sede legale sia diversa da quella effettiva.
Alla luce delle suesposte ragioni, il Collegio ritiene di dare continuità all’orientamento di questa Corte secondo il quale la sede principale dell’impresa, dalla cui collocazione l’art. 9 l.f. faceva dipendere l’individuazione del Tribunale territorialmente (e funzionalmente) competente ai fini della dichiarazione di fallimento, si identifica con il luogo in cui, alla data di presentazione dell’istanza, ‘ si svolge effettivamente l’attività direttiva, amministrativa ed organizzativa e quella di coordinamento dei fattori produttivi: esso coincide normalmente con la sede legale dell’impresa, salvo che non emergano prove univoche tali da smentire la predetta presunzione e da far ritenere che la sede legale sia solo fittizia e quella effettiva si trovi altrove ‘ (Cass. n. 20433/2021, 19343/2016, 6423/2016, 23719/2014); tale nozione ha trovato nel citato art. 27 d.lgs. n. 14 del 2019 -già vigente dal 16 marzo 2019 con riguardo alla competenza concorsuale relativa alle amministrazioni
straordinarie e ai procedimenti che ne derivano – un’evoluzione coerente, laddove si prevede che il Tribunale competente (quello in cui ha sede la sezione specializzata nei cd. conflitti d’impresa) sia individuato con riferimento al ‘ luogo in cui il debitore ha il centro degli interessi principali ‘, dal 1° settembre 2021 (data di entrata in vigore differita del Codice della crisi) l’unico criterio per tutti i procedimenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza.
Inoltre, per effetto del vincolo interpretativo della nozione di COMI stabilito dalla stessa legge delega e della stessa definizione di cui all’art. 2, lett. m), deve ritenersi sempre necessario il parametro della conoscibilità da parte dei terzi, al di là dei riferimenti alla sola sede effettiva. Ne consegue che le presunzioni di cui al comma 3 debbono essere intese nel senso che le stesse sono superabili, ma a condizione che si provi non solo che il debitore gestisce abitualmente i propri interessi in un luogo diverso, ma anche che tale collocazione abituale è percepita all’esterno dai terzi, sicché, in assenza di tale seconda prova, continuerà a trovare applicazione, appunto, il parametro formale stabilito dalle presunzioni.
Conseguentemente, il soggetto che invochi la competenza di un Tribunale diverso da quello individuabile sulla scorta dei criteri presuntivi di cui al comma 3 sarà gravato da un duplice onere probatorio: quello di provare che il COMI è collocato in un luogo diverso da quelli individuati dalle presunzioni medesime, ma anche quello di provare che tale diversa collocazione è stata percepita dai terzi, perché solo tale duplice prova consentirà di superare i criteri presuntivi.
Tale soluzione interpretativa consente anche di tutelare l’affidamento dei terzi che vengono in contatto con la società.
Ove siano del tutto inapplicabili tali criteri, si ritiene che potranno invece scattare i criteri residuali stabiliti dalle lett. b) e c) (sebbene sia
immaginabile un’impresa individuale la cui collocazione non sia individuabile: si pensi alle imprese che operano in modo occulto).
È ben vero che tali criteri si pongono al di fuori di quanto desumibile dall’art. 3, Reg. 848/2015, ma in questo caso la diversità è del tutto ammissibile, dal momento che il Regolamento stesso nulla dispone per i casi in cui i criteri da esso dettati non siano applicabili.
Il legislatore nazionale, quindi, pur se sottoposto al vincolo di un’interpretazione ed applicazione armonizzate delle regole eurounitarie, nel momento in cui ha optato per il richiamo di queste ultime anche ai fini del riparto interno di competenza, conserva tuttavia legittimo margine per dettare ulteriori criteri proprio perché limitati alla competenza interna.
Nella specie, va osservato che il Tribunale di Milano ha indicato, con riguardo alla RAGIONE_SOCIALE, i vari elementi di fatto idonei a fondare il superamento della presunzione relativa di coincidenza del luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi con la sede legale: l’approvazione del bilancio del 2021 in Carate Brianza; dalla visura camerale risultava che a Carate Brianza era operante la sede amministrativa oltre che lo stabilimento; i conti correnti della società erano accesi in filiali di istituti di credito in Carate Brianza; i soci e gli amministratori risultavano domiciliati per la carica in Seregno, Verano Brianza e Carate Brianza; la delibera ex art. 120 bis CCII era stata ricevuta da un Notaio in Monza; il pignoramento mobiliare presso la sede legale aveva avuto esito negativo.
Tali elementi fattuali erano certo riconoscibili dai terzi, trovando riscontro nelle varie forme pubblicitarie previste dalla legge (visura camerale; registro delle imprese).
Va dunque dichiarata la competenza del Tribunale di Monza, mentre non v’è luogo a provvedere sulle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Monza.
Così deciso nella camera di consiglio del 6 febbraio 2025.