Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18558 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18558 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17833/2024 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in REGGIO CALABRIA – DOMRAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
(NSILSM57T17D746B)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO REGGIO CALABRIA n. 314/2024 depositata il 13/05/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
La RAGIONE_SOCIALE impugnava avanti la Corte di appello di Reggio Calabria il lodo arbitrale del 4 dicembre 2017, notificato il l’11 dicembre 2017, con il quale il collegio arbitrale aveva annullato la delibera dell’assemblea dei soci della RAGIONE_SOCIALE del 28 aprile 2017, nonché il prospetto analitico in essa contenuto relativo alle spese di precedenti lodi arbitrali, di viaggi sostenuti dagli amministratori e a titolo di rimborso forfettario. Inoltre, il collegio arbitrale aveva statuito il rimborso di € 262,30 in favore di NOME a titolo di spese inerenti a cartelle Equitalia.
Con sentenza nr 314/2024 la Corte di appello rigettava l’impugnativa.
Osservava relativamente all’eccepita inesistenza del procedimento arbitrale per violazione del contraddittorio, ex art. 829 co. 1 n. 9 c.p.c., in quanto ritenuto avviato senza alcun atto di manifestazione della volontà di promuovere il procedimento arbitrale, l’infondatezza della doglianza.
Escludeva infatti che si fosse concretizzata nella specie alcuna violazione del principio del contraddittorio poiché con gli atti
notificati anche alla RAGIONE_SOCIALE era stata manifestata chiaramente la volontà di rimettere la questione agli arbitri ai sensi dell’art. 29 dello Statuto.
Inoltre, dal tenore degli stessi era possibile affermare che tutte le parti hanno avuto la possibilità di conoscere i rispettivi assunti nonché le istanze e richieste di controparte.
I n ordine all’eccepito passaggio in giudicato dedotto dai convenuti con riferimento al lodo dell’8 luglio 2016 intervenuto tra le medesime parti avente ad oggetto questioni uguali a quelle del lodo oggetto dell’odierna impugnazione e alla conseguente preclusione di ogni successiva contestazione in ordine alla competenza degli arbitri, prospettata dalla RAGIONE_SOCIALE in relazione al lodo del dicembre 2017, ne evidenziava l’infondatezza.
Osservava infatti che i lodi richiamati riguardavano questioni diverse da quella oggetto del presente giudizio.
Il lodo dell’8 luglio 2016 aveva annullato una delibera dell’assemblea dei soci in merito al c.d. canone di godimento per finanziare i lavori di manutenzione straordinaria degli immobili.
Invece, il lodo arbitrale del 4 dicembre 2017, oggetto del presente giudizio, aveva annullato una delibera dell’assemblea dei soci della RAGIONE_SOCIALE relativa all’approvazione delle spese sostenute per la gestione ordinaria della società nell’anno 2016.
In relazione alla questione dell’incompetenza degli arbitri a decidere sull’impugnazione di delibere assembleari, atteso che lo statuto deferisce solo le controversie su questioni interpretative o applicative dello statuto stesso, la riteneva fondata.
In proposito la Corte territoriale osservava che l’art. 29 dello Statuto stabilisce che «ogni controversia che dovesse sorgere tra i soci, o tra questi e la società, relativamente all’interpretazione e
all’applicazione del presente Statuto, dell’eventuale regolamento interno o delle delibere degli organi sociali, sarà rimessa alla decisione di un collegio arbitrale (…)» e che «In linea generale, va rilevato che le previsioni che contemplano un arbitrato rituale sono di stretta interpretazione, in quanto comportano una deroga alla normale giurisdizione (cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 14090/2004). Ne consegue che le espressioni utilizzate andavano intese in modo rigoroso e senso tecnico, escludendosi l’interpretazione analogica ed estensiva.»
Riteneva pertanto alla luce della clausola statutaria che la competenza degli arbitri ex art. 29 sussisteva quando lo statuto o la delibera costituiscono il fatto posto (uno dei fatti) a fondamento della domanda, come ad es. nelle fattispecie in cui si agisce per ottenere l’esatta esecuzione della delibera. Conseguentemente tale competenza era da escludere nelle ipotesi in cui sia impugnata la delibera stessa. In queste ipotesi la delibera non era posta a fondamento della domanda ma, al contrario, con la domanda si tende all’eliminazione della delibera stessa.
Sosteneva dunque che la controversia in esame rientrava nel secondo tipo di fattispecie, quelle aventi ad oggetto l’impugnazione della delibera a nulla rilevando il generico riferimento alla non conformità alla legge e allo statuto contenuto nella suddetta impugnativa.
Analoga conclusione andava svolta per le spese di viaggio in relazione alle quali non era stata dedotta una specifica violazione della normativa statutaria.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi illustrati da memoria cui ha resistito con controricorso la Società RAGIONE_SOCIALE a
r.l eccependo l’inammissibilità del ricorso per tardività e per violazione dell’art 332 c.p.c. e l’infondatezza nel merito.
Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso e per il rigetto dei restanti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo si deduce l’illegittimità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., nella parte in cui la Corte di appello avrebbe sindacato il merito laddove si legge testualmente che: «le spese sostenute dal Presidente e dal Vicepresidente del CDA non sono preventivamente contemplate nello Statuto Sociale ed autorizzate dall’Assemblea dei Soci, quindi carenti del presupposto della legittimazione».
Con un secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza impugnata in ordine all’eccezione di giudicato per avere la Corte di appello rigettato l’eccezione di giudicato poiché, a suo dire, le questioni esaminate sarebbero diverse tra il lodo del 2016 ed il lodo del 2017.
Con un terzo motivo ci si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 n° 2 e 3 cpc 829 cpc in relazione all’art. 29 dello statuto cooperativa edilizia moderna e agli artt. 12 preleggi cc, 808, 808 quater, 817 e 830 cpc -della nullità della sentenza impugnata per avere la Corte di appello erroneamente interpretato l’art. 29 dello Statuto della Cooperativa, in dispregio degli artt. 808 e 808 quater cpc.
Si ritiene che tanto la lettera della clausola statutaria, cui si rinvia integralmente, quanto la interpretazione complessiva dello Statuto deponevano per la devoluzione alla competenza arbitrale di tutte le
contro
versie tra i soci e/o tra i soci e la Cooperativa riguardanti ‘l’interpretazione e l’applicazione … delle delibere degli organi sociali’.
Diversamente da quanto opinato in sentenza, peraltro, l’estensione siffatta della clausola compromissoria è coerente con l’interpretazione maggioritaria invalsa in materia, per cui sono compromettibili in arbitri i rapporti societari nascenti dal contratto sociale -cc.dd. rapporti endosocietari -come quello per cui è Lodo.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art 360 co 1 n.3: nullità del lodo ex art 829 cc per avere la Corte di appello statuito la nullità del lodo ai sensi dell’art.829 cc. senza che sia stato argomentato quale sia la nullità del lodo in relazione alla norma di diritto che ne giustificherebbe la nullità.
Ragioni di priorità logico giuridico impongono di esaminare l’eccezione di inammissibilità per (presunta) tardività del ricorso. Secondo un primo orientamento di legittimità, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione la notifica della sentenza nelle forme di cui all’art. 285 c.p.c., non ammette equipollenti (tra altre, Cass. 19.3.1979, n. 1603; Cass. 10.1.1981, n. 208: “Ai fini del decorso del termine breve per la proposizione della impugnazione, la notifica della sentenza non ammette equipollenti, neppure nella conoscenza che la parte ne abbia comunque acquisito in via di fatto”; Cass. 19/09/2017, n. 21625). Viene fatto salvo il caso in cui sussista un’attività processuale di colui che avrebbe dovuto essere il destinatario della notificazione, dalla quale emerga una precisa volontà di “reagire” alla statuizione (Cass. 30/06/2021, n. 18607).
Secondo un altro orientamento, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, la notifica di un atto di impugnazione della sentenza equivale, ai predetti fini, alla notifica della sentenza sia per il notificante che per il notificato (Cass. 19.3.1981, n. 1620, secondo cui la notifica della sentenza non ammette equipollenti ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione perché solo così si realizza la sua conoscenza legale e tuttavia “ciò non implica che tale principio non possa soffrire deroga ad opera della legge o di altri principi da questa desumibili; e ne è chiaro esempio proprio dell’art. 326 c.p.c., comma 2”; Cass. 20.5.1982, n. 3111; Cass. 22.5.1987, n. 4666; Cass. 23.7.2007, n. 16207; Cass. 26.5.2010, n. 12898; Cass. 9.6.2006, n. 13431 “Il termine breve per impugnare una sentenza decorre di regola dalla notificazione ai sensi degli artt. 285 e 170 c.p.c., a meno che la proposizione della stessa o di altra impugnazione abbia determinato il decorso del termine per chi l’ha proposta e le altre parti ai sensi del capoverso dell’art. 326 c.p.c.”; Cass. 20.1.2006, n. 1196; Cass. 22.11.2002, n. 16535; Cass. 3.4.2001, n. 4918).
E’ stato infine anche affermato che la notifica di un atto di impugnazione non implica necessariamente che la sentenza “sia legalmente conoscibile in tutti i punti dalla parte che subisce l’impugnazione, anche per le parti che non siano state impugnate” (Cass. 5 agosto 2010, n. 18184). In sostanza l’equipollenza bilaterale tra notifica della impugnazione e notifica della sentenza è riaffermata non in termini generali ma in riferimento solo ai casi in cui l’impugnazione ha riguardato tutti i capi della sentenza o, può aggiungersi, in cui l’atto di impugnazione contenga la trascrizione integrale della sentenza, giacché in tali casi chi ha ricevuto la
notifica dell’impugnazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza.
Il Collegio ritiene di aderire al primo orientamento, anche ribadito, in riferimento proprio alla posizione del destinatario della notifica di una (prima) impugnazione da Cass. n. 31251/2018 (“La notificazione di un atto di impugnazione, per colui che la riceve, non consente la legale scienza della sentenza impugnata né la fa presupporre ed è pertanto, inidonea a fare decorrere il termine breve di impugnazione”).
A supporto vanno richiamate le considerazioni svolte nella sentenza delle Sezioni Unite n. 6298/2019, con cui è stato affermato il principio secondo il quale “In tema di notificazione della sentenza ai sensi dell’art. 326 c.p.c., il termine breve di impugnazione di cui al precedente art. 325 c.p.c., decorre, anche per il notificante, dalla data in cui la notifica viene eseguita nei confronti del destinatario, in quanto gli effetti del procedimento notificatorio, ed in particolare la decorrenza del termine predetto, vanno unitariamente ricollegati al suo perfezionamento e, proprio perché interni al rapporto processuale, sono necessariamente comuni ai soggetti che ne sono parti”. In motivazione le Sezioni Unite hanno osservato “come la decorrenza del termine breve non sia correlata alla conoscenza legale della sentenza, già esistente per il mero fatto della sua pubblicazione, né alla conoscenza effettiva della stessa, quale può essere derivata dalla comunicazione della sentenza da parte della cancelleria o dalla richiesta di copia effettuata dalla parte o dalla notificazione della sentenza ai fini esecutivi nei modi stabiliti dall’art. 479 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. Un., 09/06/2006, n. 13431). La decorrenza del termine breve, invece, è ricondotta dalla legge al sollecito indirizzato da una parte all’altra per una decisione rapida –
cioè entro il termine breve previsto dalla legge -in ordine all’eventuale esercizio del potere di impugnare; sollecito, come si è ricordato, veicolabile solo mediante il paradigma procedimentale tipico previsto dalla legge, quale unico modulo in grado di garantire il diritto di difesa ai fini impugnatori: la notificazione della sentenza al “procuratore costituito”, ai sensi degli artt. 285,326,170 c.p.c. (Cass., Sez. Un. 13 giugno 2011, n. 12898)”.
Dunque, il termine lungo per l’impugnazione è fatto decorrere dalla legge dal deposito della sentenza. Ai sensi dell’art. 133 c.p.c., la sentenza è pubblica dal momento in cui è depositata; la conoscenza legale della sentenza è legata al deposito.
Il principio generale secondo cui la conoscenza di fatto della sentenza, acquisita con modalità diverse da quelle specifiche alle quali la legge riconnette l’effetto particolare della decorrenza del termine breve per l’impugnazione ai sensi degli art. 325 e 326 c.p.c., è inidonea a far decorrere il termine d’impugnazione (v. ad es. Cass. 16/03/2011, n. 6130).
Poste queste premesse l’eccezione di tardività non può essere condivisa posto che, nel caso di specie, quella invocata (come equipollente) dalla controricorrente ( i.e ., la pec del 14.5.2024 con la quale si richiedeva il conteggio degli interessi, al contempo ‘ preannunciando impugnazione della predetta sentenza ‘) non costituisce -all’evidenza – attività processuale idonea sul piano funzionale a realizzare una situazione di conoscenza proiettata verso l’esterno.
Passando ad esaminare i motivi di ricorso va osservato con riguardo al preteso sindacato di merito ( primo motivo di ricorso) che la Corte di appello affermando che ‘ le spese sostenute dal Presidente e dal Vicepresidente del CdA non sono preventivamente
contemplate nello Statuto Sociale ed autorizzate dall’Assemblea dei Soci, quindi carenti del presupposto di legittimazione ‘, non ha esteso il suo sindacato alle valutazioni espresse dall’arbitro circa uno dei motivi di impugnazione della delibera del 28.4.2017, limitandosi a rilevare , ai fini della (in)competenza arbitrale, che pur essendo stato richiamato (in sede di lodo) lo statuto -la competenza a decidere si doveva determinare con riguardo alla causa petendi e, quindi, avendo riguardo alla deduzione di illegittimità della delibera in quanto con riferimento alle spese ‘ non esiste alcun verbale del Consiglio di Amministrazione o dell’assemblea dei soci conferente l’incarico ed inoltre non sono né annotate nel libro unico del lavoro né documentate da schede carburanti ‘.
Il secondo motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
In primo luogo, va rilevato che il motivo è inammissibile, per violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c.
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone comunque, l’ammissibilità del motivo di censura, cosicché il ricorrente è tenuto – in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale – non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a indicare specificamente e localizzare nel fascicolo di causa gli atti da cui la dedotta violazione risulti (v. ex plurimis Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077).
Il ricorrente omette di riportare o di trascrivere, quanto meno nelle parti rilevanti, le parti dei lodi in relazione alle quali si invoca il passaggio in giudicato.
Ciò preclude a questa Corte di apprezzare la fondatezza della censura.
Va poi osservato sotto altro distinto profilo che la Corte di appello ha esaminato l’eccezione ritenendola infondata alla luce della diversità delle questioni trattate nei lodi richiamati dall’impugnante Ha infatti evidenziato che ‘ i lodi richiamati riguardano questioni diverse da quella oggetto del presente giudizio. Il lodo dell’8 luglio 2016 ha annullato una delibera dell’assemblea dei soci in merito al c.d. canone di godimento per finanziare i lavori di manutenzione straordinaria degli immobili. Invece, il lodo arbitrale del 4 dicembre 2017, oggetto del presente giudizio, ha annullato una delibera dell’assemblea dei soci della RAGIONE_SOCIALE relativa all’approvazione delle spese sostenute per la gestione ordinaria della società nell’anno 2016. La diversità delle situazioni giuridiche sottese alle delibere oggetto dei due lodi impedisce di ravvisare un giudicato -sul precedente lodo -idoneo a far stato nella presente controversia ‘.
La critica, inoltre, nei termini in cui è stata formulata (v. pag. 4 e 5 del ricorso per cassazione) non è idonea a scalfire la ratio decidendi risolvendosi in una censura di merito che sfugge al sindacato di legittimità.
Il terzo motivo è parimenti inammissibile anche in questo caso sotto un duplice profilo.
In primo luogo la censura è stata redatta in violazione art. 366 comma 1 n. 4 e 6 c.p.c.,
La ricorrente omette di specificare quale fosse l’oggetto del lodo invocato dagli allora richiedenti ed in particolare i punti in discussione che erano stati portati all’attenzione della Corte di appello attraverso l’impugnazione del lodo del quale non vengono trascritti i passaggi motivazionali fondanti la decisione di nullità del lodo.
Manca poi ogni riferimento agli atti processuali o documenti che sono posti all’attenzione di questa Corte, la quale non può essere onerata di ricercarli associandoli alle imprecise affermazioni svolte dalla ricorrente.
Occorre qui ribadire che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione.
Principio di autosufficienza che non può invece ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso faccia rinvio agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte senza riassumerne il contenuto al fine di soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sull’idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione (cfr. Cass., 1 marzo 2022, n. 6769).
Va poi rilevata l’inammissibilità della censura sotto altro profilo.
Com’è noto alla sede arbitrale è devoluta l’interpretazione di un contratto ed il compito di fare corretta applicazione dei canoni ermeneutici per accertare il significato del contratto stesso e la volontà delle parti che l’hanno stipulato, mentre al giudice dell’impugnazione del lodo compete valutare, nella fase rescindente, se questo contenga al riguardo una motivazione adeguata e corretta e alla Corte di cassazione, cui possono essere denunciati vizi della sentenza di detto giudice e non vizi del lodo, spetta infine soltanto di verificare se tale sentenza sia a sua volta adeguatamente e correttamente motivata in relazione ai motivi di impugnazione del lodo concernenti la presunta violazione delle regole di interpretazione e non già di sindacare l’eventuale soluzione di questioni di merito risolte dal giudice della impugnazione ai fini della predetta indagine (Cass. 27 marzo 2020, n. 7554; Cass. 31 gennaio 2007, n. 2201).
Nel giudizio di cassazione, la censura svolta dal ricorrente che lamenti la mancata applicazione dei un criterio di interpretazione negoziale, per non risultare inammissibile deve essere specifica, dovendo indicare quali siano gli elementi del contratto che avrebbero precluso l’interpretazione seguita dal giudici di merito e, al contrario, imposto una interpretazione nel senso suggerito dalla parte, poiché, nel giudizio di legittimità, le censure relative all’interpretazione offerta dal giudice di merito possono essere prospettate solo in relazione al profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della radicale inadeguatezza della motivazione, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e
quella accolta dai giudici di merito non riveste alcuna utilità ai fini dell’annullamento della sentenza impugnata (Sez. 1, Ordinanza n. 995 del 20/01/2021 Cass. n. 3271/2023 in motivazione; Cass. n. 38/2023 in motivazione).
Nel caso di specie, la sentenza di merito è motivata in modo esaustivo, essendo ricostruibile il percorso logico seguito dal giudice ed è priva di vizi logici.
Inoltre, la ricorrente piuttosto che indicare i criteri ermeneutici (artt. 1362 c.c. e segg.) che siano stati eventualmente violati dalla Corte territoriale, ha prospettato in modo improprio la violazione dell’art 12 delle preleggi proponendo un’interpretazione diversa e alternativa a quella accolta in sentenza, inammissibilmente in sede di legittimità, non essendo consentito alla Suprema Corte procedere direttamente all’interpretazione della clausola compromissoria.
Il quarto motivo è infondato.
La ricorrente lamenta che la Corte non avrebbe indicato quale sia stato il motivo di nullità del lodo in relazione alla norma di diritto che ne giustificherebbe la nullità.
Al riguardo si osserva che la decisione qui impugnata ha accolto il secondo motivo di ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE con cui era stata denunciato la nullità del lodo ai sensi del combinato disposto degli artt.829, primo comma, n. 5, e 823, secondo comma, n. 3, cpc. per avere il collegio arbitrale pronunciato al di fuori dei limiti della clausola compromissoria, sicché al di là dell’espressa indicazione della norma integrante la nullità la Corte di appello ha dato conto delle ragioni per le quali doveva ritenersi fondata la censura dell’impugnante richiamandosi agli atti di parte.
Dal corpo della motivazione ben si evince che la norma violata andava individuata nell’art 829 nr 4 c.p.c.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità in favore della controricorrente che si liquidano in complessivi € 6000,00 oltre ad € 200,00 ed al 15% per spese generali oltre accessori di legge; dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso in Roma 13.05.2025