Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18593 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18593 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27252-2020 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall ‘ AVV_NOTAIO per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il DECRETO del TRIBUNALE DI ROMA del 16/9/2020; udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 4/6/2024;
FATTI DI CAUSA
1.1. NOME COGNOME ha chiesto di essere ammessa allo stato passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE per la somma di €. 114.192,00, in prededuzione privilegiata ovvero, in subordine, in collocazione privilegiata, per il credito al compenso maturato in ragione delle prestazioni professionali svolte dalla stessa, in qualità di attestatrice, in favore della
società poi fallita ai fini della predisposizione delle relazioni previste dagli artt. 160, comma 2°, 161, comma 3°, 186 bis e 182 ter l.fall..
1.2. Il giudice delegato, accogliendo le eccezioni sollevate dal curatore, ha rigettato la domanda sul rilievo che la proposta di concordato è stata dichiarata inammissibile e che il piano non è stato ritenuto fattibile dal tribunale e che, pertanto, la prestazione non era stata svolta con l’ordinaria diligenza e, comunque, per l’inadempimento agli obblighi assunti.
1.3. NOME COGNOME ha proposto opposizione allo stato passivo che il tribunale, con il decreto in epigrafe, ha rigettato.
1.4. Il tribunale, in particolare, ha ritenuto che ‘ l’inadempimento della prestazione da parte della professionista … si ricava non solo (e non tanto) dalla mancata ammissione del concordato, quanto piuttosto dall’inadeguatezza della diligenza applicata al momento dell’esecuzione della prestazione (cui la declaratoria di inammissibilità è eziologicamente collegata), che comprende anche la correttezza, completezza e ragionevolezza delle scelte tecniche operate e deve essere ispirata al principio del miglio soddisfacimento dei creditori’ .
1.5. Il tribunale chiamato a pronunciarsi sulla domanda di concordato, infatti, ha proseguito il decreto, ha ritenuto che la relazione attestativa depositata nella procedura di concordato non era idonea a svolgere la funzione informativa ad essa propria in ragione di ‘ numerose carenze, illogicità e incoerenze ‘ e, in particolare, per: – la mancanza di coerenza, quanto alla cessione degli immobili di proprietà della società, tra l’integrazione dell’attestazione e la relazione ex art. 182 ter l.fall., entrambe sott oscritte dall’opponente; – le incongruenze relative all’acquisizione di nuove commesse dal Governo della Repubblica del Camerun, non avendo l’attestatrice dato atto di
aver verificato la documentazione a supporto delle previste liquidità differite e la ragionevolezza delle assunzioni a supporto delle proiezioni svolte dalla società; – il mancato chiarimento, in ordine ai crediti asseritamente vantati dalla società nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, delle ragioni per cui aveva ritenuto che tali crediti avessero natura prededucibile, oltretutto incerti perché contestati e da riscuotere nei confronti di altre società sottoposte a procedura concorsuale e a sequestro penale; l’affermata provenienza di finanza esterna dai flussi prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE fondata su assunzioni ipotetiche non adeguatamente supportate.
1.6. Il decreto, quindi, ha ritenuto che, a fronte delle criticità ravvisate dal tribunale a fondamento dell’inammissibilità della proposta di concordato, la prestazione svolta dalla professionista non era stata svolta, per le evidenziate carenze del suo operato, con la dovuta diligenza e che il credito al compenso dalla stessa vantato doveva essere, pertanto, escluso, a norma dell’art. 1460 c.c., dallo stato passivo della società fallita.
1.7. D’altra parte, ha proseguito il tribunale, a fronte dell’eccezione d’inadempimento tempestivamente sollevata dal curatore, l’opponente si è limitata ad affermare il proprio diritto al compenso in conseguenza dell’esecuzione dell’incarico senza, tuttavia, allegare e dimostrare, come sarebbe stato suo onere, il regolare adempimento delle obbligazioni assunte con argomentazioni idonee a superare le criticità evidenziate nel decreto d’inammissibilità della proposta di concordato.
1.8. Il tribunale, pertanto, a fronte della ritenuta insussistenza del credito vantato, ha rigettato l’opposizione.
1.9. NOME COGNOME, con ricorso notificato il 16/10/2020, ha chiesto, per un motivo, la cassazione del decreto.
1.10. Il Fallimento ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con l’unico motivo articolato, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., degli artt. 1460, 1176 e 2697 c.c. nonché dell’art. 98 e 99 l.fall. e dell’art. 111 Cost., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, in accoglimento dell’eccezione di inadempimento sollevata dal curatore, ha ritenuto che l’opponente non aveva diligentemente adempiuto le obbligazioni professionali assunte nei confronti della società poi fallita per la predisposizione delle relazioni previste dagli artt. 161, comma 3°, 160, comma 2°, e 182 ter l.fall. ed ha, quindi, respinto, per l’insussistenza del credito azionato, la domanda di ammissione al passivo del credito al compenso maturato dalla stessa.
2.2. Così facendo, tuttavia, ha osservato la ricorrente, il tribunale ha omesso di considerare che: – la declaratoria d’inammissibilità del concordato non è di per sé sufficiente ad escludere il credito al compenso maturato dal professionista attestatore in ragione della correttezza dei dati e della completezza delle informazioni rese ai creditori attraverso il controllo della veridicità e dell’attendibilità del piano e delle poste attive ivi esposte; – la documentazione prodotta in giudizio era idonea ad escludere qualsivoglia inadempimento dell’opponente, la quale ha chiaramente indicato le ragioni per cui ha attestato l’esistenza di crediti da riscuotere e di due immobili di proprietà della società committente; – la prestazione svolta era di particolare difficoltà con la conseguente necessità, a norma dell’art. 2236 c.c., del dolo o della grave colpa .
2.3. Il motivo è inammissibile. Il tribunale, invero, ha ritenuto, per un verso, che l’opponente si era limitata ad
affermare il proprio diritto al compenso in conseguenza dell’esecuzione dell’incarico senza, tuttavia, allegare e dimostrare, come sarebbe stato suo onere, il regolare adempimento delle obbligazioni assunte, e, per altro verso, che la relazione attestativa predisposta dall’opponente non era , in effetti, idonea, in ragione di ‘ numerose carenze, illogicità e incoerenze ‘, a svolgere, nell’ambito della procedura in cui era stata depositata, la funzione informativa ad essa propria ed ha, quindi, affermato che: – la prestazione svolta dalla professionista non era stata svolta, per le evidenziate carenze del suo operato, con la dovuta diligenza; – il credito al compenso dalla stessa vantato doveva essere, pertanto, escluso, a norma dell’art. 1460 c.c., dallo stato passivo della società fallita.
2.4. Tali statuizioni, insindacabili in relazione agli apprezzamenti in fatto sui quali risultano fondate, peraltro neppure censurate per l’omesso esame di fatti decisivi emergenti dagli atti del giudizio, sono, sul piano giuridico, senz’altro corrette.
2.5. Questa Corte, infatti, ha di recente affermato (Cass. n. 35489 del 2023, in motiv.) che: -l’ eccezione d’inadempimento non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione del contratto in quanto la gravità (e, a fortiori , la dannosità) dell’inadempimento è un requisito specificamente previsto dalla legge per la risoluzione dello stesso (e per l’azione di risarcimento dei danni conseguentemente arrecati) e trova ragione nella radicale definitività di tale rimedio, e cioè lo scioglimento del rapporto contrattuale, mentre l’eccezione d’inadempimento, che può essere dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto, si limita a consentire alla parte che la solleva il legittimo rifiuto di adempiere in favore dell’altro contraente che già non ha
adempiuto (o ha adempiuto inesattamente) la propria obbligazione (cfr. Cass. n. 12719 del 2021); – il curatore del fallimento della società committente è legittimato a sollevare, nel giudizio di verifica conseguente alla domanda di ammissione del credito vantato dal professionista al compenso asseritamente maturato, l’eccezione d’inadempimento, secondo i canoni diretti a far valere la responsabilità contrattuale, con il (solo) onere di contestare, in relazione alle circostanze del caso, la non corretta (e cioè negligente) esecuzione, ad opera del contraente in bonis , della prestazione o l’incompleto adempimento da parte dello stesso: restando, per contro, a carico di quest’ultimo (al di fuori di un’ obbligazione di risultato, pari al successo pieno della procedura), l’onere di dimostrare l’esattezza del suo adempimento per la rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera ovvero l’imputazione a fattori esog eni, imprevisti e imprevedibili, dell’evoluzione negativa della procedura, culminata nella sua cessazione (anticipata o non approvata giudizialmente) e nel conseguente fallimento (Cass. SU n. 42093 del 2021); – il credito del professionista incaricato dal debitore di predisporre gli atti per accedere alla procedura di concordato preventivo, può essere, di conseguenza, escluso dal concorso nel successivo e consecutivo fallimento, ove, sulla base delle prove raccolte il giudizio, si accerti, com’è accaduto ne l caso in esame, l’inadempimento dell’istante alle obbligazioni assunte (Cass. SU n. 42093 del 2021, in motiv.; conf., Cass. n. 36319 del 2022).
2.6. Non può dubitarsi, in effetti, che tanto il commercialista, quanto l ‘ avvocato, dopo aver accettato l ‘ incarico di predisporre e/o di patrocinare una domanda di
ammissione alla procedura di concordato preventivo, con i relativi allegati documentali, hanno l ‘ obbligo, al pari dell’attestatore incaricato dal debitore, di eseguire la corrispondente prestazione professionale con la diligenza richiesta, a norma dell ‘ art. 1176, comma 2°, c.c., dalla natura dell ‘ incarico assunto, vale a dire, tra l ‘ altro, con la redazione di una proposta di concordato che, dovendo essere funzionale al conseguimento del risultato perseguito dal debitore, e cioè l’ammissione al concordato preventivo, l’approvazione della proposta da parte dei creditori e l’omologazione della stessa da parte del tribunale, sia, quanto meno, rispettosa, nella forma e nel contenuto, delle norme giuridiche inderogabili a tal fine previste dalla legge (cfr. Cass. n. 11522 del 2020): a partire da quella che impone al debitore proponente (oltre che di indicare analiticamente le modalità e i tempi di adempimento della proposta e le utilità specificamente individuate ed economicamente valutabili assicurate a ciascun creditore: art. 161, comma 2, lett. e, l.fall.) di fornire ai creditori (come poi espressamente stabilito dall’art. 4, comma 2, lett. a, c.c.i.) l’adeguata c onoscenza di tutti gli elementi necessari per consentire agli stessi di decidere, con piena e puntuale consapevolezza della situazione patrimoniale del debitore, la scelta da assumere nei confronti della proposta di concordato.
2.7. Ne consegue che l’indicazione nella domanda o nel piano per l’imperizia conseguente alla violazione delle norme giuridiche che inderogabilmente stabiliscono i requisiti di formacontenuto del ricorso introduttivo del procedimento (art. 160 l.fall.) e degli atti processuali successivi (art. 172, comma 2°, in fine, l.fall.) nonché della sussistenza e della completezza dei documenti che ne sono i necessari allegati (art. 161 l.fall.), oppure per la negligenza corrispondente alla mancata verifica
della correttezza tecnica dei valori esposti in ordine all’attivo disponibile e/o al passivo da soddisfare – di dati patrimoniali incompleti, errati o inattendibili (cfr. Cass. n. 36319 del 2022, in motiv.), che potrebbero indurre i creditori a ritenere l’ inesistenza di alternative e migliori possibilità di realizzo in realtà sussistenti, integra, evidentemente, il colpevole inadempimento del professionista agli obblighi contrattualmente assunti verso il committente poi fallito.
2.8. Si tratta, in effetti, di una prestazione che, nella misura in dà luogo ad una violazione dei presupposti giuridici della procedura e rischia in quanto tale di determinare, di volta in volta, la mancata ammissione, la revoca dell’ammissione ovvero il rigetto dell’omologazione (cfr. Cass. n. 17106 del 2023), già ex ante (e quindi a prescindere alla verificazione concreta dell’esito infausto della procedura) non è funzionale, in relazione alla natura e alle caratteristiche del procedimento giudiziale in cui la stessa è stata eseguita, al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente, e cioè l’ammissione e l’omologazione del concordato preventivo richiesto.
2.9. E’ vero, dunque, che l e obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, s’impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo, e che l’inadempimento del professionista non può essere, pertanto, desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile perseguito dal cliente, dovendo essere, piuttosto, valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento del l’attività professionale ed, in particolare, al dovere di diligenza professionale fissato dall’art. 1176, comma 2°, c.c..
2.10. Non è men vero, tuttavia, che la scelta di una determinata strategia processuale (ancorché, in ipotesi, consapevolmente assunta) può integrare l’inadempimento del professionista verso il cliente tutte le volte in cui, in relazione alla natura e alle caratteristiche del procedimento giudiziale in cui la prestazione del professionista dev’essere svolta e all’interesse del cliente alla relativa esecuzione con i relativi oneri, il giudice di merito abbia, avendo riguardo alla situazione ex ante (e non, ex post , all’esito del giudizio), accertato (com’è, in effetti, accaduto nel caso in esame) l’inadeguatezza della prestazione in concreto svolta rispetto al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente così come (implicitamente o esplicitamente) dedotto ne l contratto di prestazione d’opera professionale (cfr. Cass. n. 30169 del 2018; Cass. n. 11906 del 2016).
2.11. Il diritto del professionista al compenso, invero, se non implica il raggiungimento del risultato programmato con il conferimento del relativo incarico, richiede che il giudice di merito accerti, in fatto, la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni svolte a conseguire tale risultato, essendo, in effetti, evidente che, in difetto, pur in mancanza di una responsabilità contrattuale del professionista a tal fine incaricato, non potrebbe neppure parlarsi di atto di adempimento degli obblighi contrattualmente assunti dallo stesso (cfr. Cass. n. 36071 del 2022, in motiv.): e ciò, si noti, a prescindere dalla sussistenza di una responsabilità contrattuale del professionista a tal fine incaricato, che presuppone il danno al cliente, e alla sua limitazione, a fronte dell’azione risarcitoria ad opera di quest’ultimo, al dolo o alla grave colpa nel caso in cui la prestazione implichi, come prevede l’art. 2236 c.c., la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà (la cui
sussistenza, peraltro, nel caso della prestazione professionale come quella affidata al ricorrente, deve essere dedotta e provata in giudizio dallo stesso, non potendosi in materia predicare alcun automatismo: Cass. n. 27759 del 2018, in motiv.).
2.12. Il mancato o inesatto adempimento da parte del professionista all’obbligo di dare esecuzione all’incarico ricevuto con la diligenza necessaria in relazione alla natura dell’opera affidatagli e a tutte le circostanze del caso, ove sia stato idoneo ad incide re sugli interessi del cliente (com’è accaduto nel caso in esame, nel quale la società committente non ha conseguito il risultato evidentemente perseguito, e cioè l’omologazione del concordato preventivo proposto e, prima ancora, l’ammissione a tale proced ura), consente a quest’ultimo (ovvero, in caso di fallimento, al suo curatore) di sollevare, ai sensi dell’art. 1460 c.c., l’eccezione d’inadempimento e, quindi, di rifiutare legittimamente il pagamento (o l’ammissione al passivo del credito al) relativo compenso, non potendosi di certo ritenere contrario a buona fede l’esercizio del potere di autotutela ove sia stata pregiudicata (con la presentazione di una domanda di ammissione al concordato preventivo che, in quanto priva della corretta indicazione dell ‘ effettivo attivo concordatario, era inevitabilmente destinata, prima o poi, ad essere rigettata) qualsivoglia possibilità di esito positivo dell’iniziativa intrapresa (cfr. Cass. n. 11304 del 2012; Cass. n. 25894 del 2016).
2.13. Secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, invero, in tema di concordato preventivo, anche nella vigenza della nuova disciplina prevista dal d.l. n. 83/2012, conv., con modi., dalla l. n. 134/2012, tra le condizioni richieste per l’ammissibilità del concordato rientra, ai sensi dell’art. 162, comma 2°, l.fall., anche la veridicità dei dati aziendali esposti nei documenti prodotti unitamente al ricorso tant’è che, quando
nel corso della procedura emerge che siffatta condizione mancava al momento del deposito della proposta, il tribunale può revocare ex art. 173, comma 3°, l.fall. l’ammissione al concordato, restando irrilevante la nuova attestazione di veridicità dei suddetti dati resa dal professionista designato dal proponente (Cass. n. 7975 del 2017). Ciò significa che la veridicità dei dati aziendali costituisce un presupposto di ammissibilità della domanda concordataria che deve sussistere sin dalla sua iniziale presentazione e che non può intervenire in corso d’opera da parte dei professionisti incaricati, attraverso un diverso apprezzamento valutativo posto alla base della modifica del piano e della proposta (Cass. n. 50 del 2024, in motiv.).
2.14. Ed una volta che l’errore commesso dal professionista abbia determinato, come nel caso in esame, la definitiva perdita del diritto del cliente (qual è, in particolare, quello alla regolazione concordataria della propria crisi d’impresa), appare, allora, evidente che la (residua) attività difensiva comunque svolta dal professionista risulta giuridicamente inutile (cfr. Cass. n. 35489 del 2023, in motiv.), dovendosi, in effetti, ritenere che, a fronte di una prestazione oggettivamente inidonea (co m’è rimasto incontestato) al conseguimento dell’interesse della società committente, la sua obbligazione contrattuale è stata totalmente inadempiuta ed improduttiva di effetti nei confronti di quest’ultima, con la conseguenza che, in tal caso, il professionista non vanta alcun diritto (suscettibile di essere ammesso al passivo) al compenso, anche se l’adozione dei mezzi difensivi rivelatisi pregiudizievoli al cliente sia stata, in ipotesi, sollecitata dal cliente stesso, poiché costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale (Cass. n. 10289 del 2015).
2.15. Il decreto impugnato, lì dove ha escluso la rispondenza della condotta della professionista opponente al modello deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera, in ragione dell’imperizia tecnico-giuridica con cui la stessa risulta essere stata svolta, senza che la stessa abbia, per contro, dimostrato di aver pienamente adempiuto al suo obbligo di redigere il piano o la proposta sulla base di una rappresentazione puntuale, completa e veritiera della situazione patrimoniale, tale da renderla idonea a propiziare l’ammissione alla procedura concordataria, si è, dunque, attenuto ai principi esposti e si sottrae, come tale, alle censure svolte dalla ricorrente.
Il ricorso, per l’inammissibilità del l’u nico motivo articolato, è, a sua volta, inammissibile: e come tale dev’essere dichiarato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/ 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al Fallimento controricorrente le spese di lite, che liquida in €. 8.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/ 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima