Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22548 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22548 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6674/2020 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale in atti.
-RICORRENTE- contro
COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOMECOGNOME con domicilio digitale in atti.
-CONTRORICORRENTI- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 1739/2019, depositata il 17/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
L’a rch. NOME COGNOME ricorre, sulla base di tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1739/2019.
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Il professionista aveva adito il tribunale di Firenze per ottenere il pagamento del compenso per la progettazione e la
realizzazione di due garage, poi oggetto d i un’ordinanza comunale di sospensione dei lavori perché difformi dal progetto assentito. I convenuti avevano lamentato il negligente espletamento del mandato, proponendo riconvenzionale di risarcimento del danno.
La pronuncia di primo grado, che aveva respinto la domanda di pagamento e condannato l’attore al risarcimento del danno, equitativamente liquidato in € 20.000,00, è stata parzialmente riformata in appello.
La Corte distrettuale ha ritenuto provati l’espletamento dell’incarico professionale e il parziale pagamento del compenso e ha liquidato il saldo in base al prospetto riepilogativo depositato dal ricorrente, giudicando inammissibile la richiesta di maggiori somme in applicazione delle tariffe; ha ritenuto fondata la riconvenzionale di risarcimento, ma ha liquidato ai committenti il minor importo di € 10.000,00, oltre accessori.
Il controricorso non contiene motivi di critica alla sentenza di appello, dovendo ritenersi erronea l’ int itolazione dell’atto come ricorso incidentale.
Sono infondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso, che propone contestazioni sufficientemente specifiche e su questioni in diritto, consentendo a questa Corte di valutare il merito dei rilievi alla sentenza di appello.
Il primo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione e violazione di legge, lamentando che, come ripetutamente sollecitato dal ricorrente nel corso del giudizio, la Corte d’appello avrebbe dovuto liquidare il compenso in applicazione delle tariffe professionali e del parere di congruità depositato in atti, in mancanza di un accordo sull’entità del corrispettivo, non sulla base del prospetto riepilogativo delle attività, che era stato emendato su sollecitazione del Consiglio dell’ordine affinché fosse conforme ai minimi tariffari inderogabili.
Il motivo è fondato.
La Corte di appello ha ritenuto di liquidare il compenso in base al prospetto riepilogativo depositato dal ricorrente, opinando che la richiesta di riconoscere la maggior somma ritenuta di giustizia, in applicazione delle tariffe, dovesse essere necessariamente reiterata nelle definitive conclusioni, essendo altrimenti priva di contenuto sostanziale ed equiparabile ad una mera clausola di stile.
Deve osservarsi che l ‘attività professionale si era esaurita nel 2006, nel vigore del regime tariffario e di inderogabilità dei minimi (Cass. 22482/2018; Cass. 34870/2023).
Già nell’atto introduttivo l’attore aveva chiesto – non genericamente – il maggior importo spettante, ma la liquidazione a tariffa (cfr. sentenza, pag. 4), sostituendo in corso di causa al prospetto riepilogativo delle prestazioni, con i relativi importi, altra nota specifica, per importi maggiori.
Il prospetto utilizzato dalla Corte di merito era superato dalle parcelle asseverate su sollecitazione del Consiglio dell’ordine, affinché non fossero pretesi importi inferiori ai minimi tariffari inderogabili.
La liquidazione doveva, quindi, avvenire in base alle inequivoche richieste del professionista, reiterate anche in appello, occorrendo tener conto della nota specifica e dei minimi inderogabili, essendo indiscussa l’assenza di un accordo sul compenso .
Il fatto che il difensore avesse presentato più note non esonerava la Corte dal verificarne la congruità, non potendone prescindere per dar rilievo a richieste non conformi alle tariffe e ai minimi inderogabili.
Il compenso per prestazioni professionali andava determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera svolta in quanto l’art. 2233 c.c. pone una graduatoria tra i diversi criteri di liquidazione, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti e poi, in mancanza di quest’ultima e in ordine successivo, alle tariffe, agli usi e, infine,
alla determinazione del giudice (Cass. 14293/2018; Cass. 1900/2017).
Il secondo motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione e travisamento dei fatti e delle risultanze documentali, per non aver la Corte di appello riconosciuto i compensi per le attività di cui alle voci C, G e I della nota del 3.11.2006 a causa del negligente espletamento del mandato, sebbene tali attività si riferissero alla direzione dei lavori di realizzazione garage, oggetto dell’ordinanza comunale di sospensione, per i quali i committenti non avevano eccepito alcun inadempimento, essendo, inoltre, la progettazione esente da vizi.
Quanto alle somme spettanti per la consulenza tecnica dinanzi al Tar, che, secondo il giudice di merito, non potevano essere remunerati, essendo costi cagionati dalla negligenza del professionista, si evidenzia che i committenti avevano preferito pagare un’oblazione e che, perciò, il Tar non aveva accertato l’i llegittimità delle costruzioni, sicché non vi era prova di alcuna negligenza professionale.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorso, nel denunciare un error in procedendo per il cui esame questa Corte ha accesso agli atti processuali, non contiene un ‘ illustrazione sufficiente specifica delle difese e delle contestazioni sollevate dai committenti in ordine alle modalità di espletamento dell’incarico e non consente di stabilire se l’eccezione di inadempimento dei committenti investisse anche la direzione dei lavori.
La denuncia della violazione delle norme processuali presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse nel ricorso per cassazione, in
modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso alla giustizia (Cass. 3612/2022; Cass. 24048/2021; Cass. 289495/2020; Cass. 22880/2017; Cass. 20405/2006).
Resta, quindi, ferma l ‘accertata responsabilità del professionista anche per la direzione dei lavori.
Le ulteriori contestazioni, in merito alla spettanza del compenso per la consulenza dinanzi al TAR, attengono al merito; le conclusioni della pronuncia, secondo cui il contenzioso era scaturito proprio dal negligente espletamento del mandato professionale, appaiono logicamente motivate e restano incensurabili.
Il terzo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione, violazione di legge e del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, per aver la Corte di merito erroneamente dichiarato la responsabilità del professionista per non aver informato i clienti del l’ intervento in corso di esecuzione e per non aver controllato la corretta esecuzione dei lavori, pur in assenza di eccezione di parte ai sensi dell’art. 1460 c.c. , trascurando che erano stati i committenti ad ordinare l’esecuzione di lavori in difformità dalla concessione, come il ricorrente aveva chiesto di provare per testi. Si lamenta che il danno sia stato liquidato senza alcuna allegazione e prova del pregiudizio che i committenti sostenevano di aver patito.
Il motivo è parzialmente fondato.
Si è già evidenziata la genericità della censura diretta a sostenere che l’eccezione ex art. 1460 c.c. dei committenti non avesse ad oggetto anche il modo in cui era stata espletata la direzione dei lavori, dovendo confermarsi la responsabilità per la realizzazione di un’opera difforme dal progetto e in violazione delle norme urbanistiche.
Il particolare ruolo che compete al direttore dei lavori comporta l’obbligo di sovrintendere alla regolare esecuzione dell’appalto, di assolvere agli obblighi informativi della committenza anche in merito a possibili problematiche insorte in corso d’opera, esercitando un controllo costante sulla realizzazione di un manufatto conforme al progetto e alle prescrizioni urbanistiche, questioni su cui il giudice era tenuto a pronunciare una volta eccepito il non corretto espletamento del l’incarico, costituendo tali doveri il nucleo stesso dei compiti del direttore dei lavori.
Nessun esonero da responsabilità poteva invocare il ricorrente, poiché, come ha osservato la Corte di merito, non vi era prova che avesse quantomeno dissentito dalla realizzazione dell’opera risultata irregolare, essendo anzi emerso che egli era consapevole degli errori e delle difformità esecutive.
Per giunta, il principio dell’esclusione di responsabilità per danni in caso di soggetto ridotto a mero esecutore di ordini non si applica al direttore dei lavori che, per le sue peculiari capacità tecniche, assume nei confronti del committente precisi doveri di vigilanza, correlati alla particolare diligenza professionale richiestagli (Cass. 8700/2016; Cass. 10728/2008).
In merito alla quantificazione del danno economico causato dall’impossibilità di utilizzo dei garage, la Corte di merito ha affermato che i committenti non avevano addotto elementi validi a sostegno della liquidazione dei pregiudizi di natura patrimoniale ulteriori rispetto alla mera lesione del diritto, soggiungendo che il danno è in re ipsa , ma che i danneggiati avrebbero dovuto allegare il pregiudizio concreto che risultasse effettivamente subito e dimostrato, concludendo di poter risarcire il danno ‘ nei limiti dell’effetto pregiudizievole della mera lesione della condizione vantata dal titolare del diritto, per non aver potuto utilizzare direttamente o indirettamente il bene (sentenza, pag. 8).
Ora, sebbene la perdita e il ritardo nella possibilità di utilizzazione di un bene possano integrare essi stessi un pregiudizio risarcibile (cfr. Cass. SU 33645/2022 in tema di danno da occupazione), resta fermo l’onere della parte di allegare la concreta possibilità di godimento per duta a causa dell’inadempimento .
In definitiva, la Corte di merito non poteva prescindere dal considerare che, come affermato dalla pronuncia, nessun pregiudizio era stato specificamente allegato, non potendosi liquidare -in difetto di allegazione -il danno patito a causa del mancato utilizzo dei garage, causato dal ritardo nel completamento delle opere.
Sono pertanto accolti, nei limiti di cui in motivazione, il primo e il terzo motivo di ricorso, con rigetto della seconda censura.
La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, respinge il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda