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Compenso professionale: tariffe e responsabilità

Un architetto ricorre in Cassazione per il mancato pagamento del suo compenso professionale per la progettazione e direzione lavori di due garage. I clienti lamentavano vizi nell’opera. La Suprema Corte accoglie il ricorso, stabilendo che in assenza di accordo, il compenso professionale deve essere liquidato secondo le tariffe inderogabili e non su un prospetto riepilogativo. Inoltre, chiarisce che il danno da mancato utilizzo di un bene non è automatico ma va specificamente allegato e provato.

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Compenso Professionale: Criteri di Liquidazione e Responsabilità del Direttore Lavori

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta temi cruciali nel rapporto tra professionisti e committenti, in particolare la determinazione del compenso professionale in assenza di un accordo scritto e i confini della responsabilità del direttore dei lavori. La decisione chiarisce come, in mancanza di una pattuizione, il giudice debba fare riferimento alle tariffe professionali, specialmente ai minimi inderogabili, e non a prospetti riepilogativi forniti dal professionista.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di pagamento di un architetto nei confronti dei suoi committenti per l’attività di progettazione e direzione dei lavori relativi alla realizzazione di due garage. L’opera era stata tuttavia oggetto di un’ordinanza comunale di sospensione a causa di difformità rispetto al progetto approvato.
I committenti si opponevano alla richiesta, lamentando un negligente espletamento dell’incarico e proponendo una domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni subiti.

Lo Sviluppo del Contenzioso

In primo grado, il Tribunale aveva respinto la domanda di pagamento dell’architetto e lo aveva condannato a un risarcimento di 20.000 euro in favore dei committenti. La Corte d’Appello, in parziale riforma, riconosceva il diritto del professionista a un compenso, ma lo liquidava sulla base di un prospetto riepilogativo depositato dallo stesso, ritenendo inammissibile la richiesta di somme maggiori basate sulle tariffe professionali. Allo stesso tempo, la Corte territoriale confermava la responsabilità dell’architetto, pur riducendo l’importo del risarcimento a 10.000 euro.
L’architetto, insoddisfatto, proponeva ricorso per Cassazione, articolando tre motivi di doglianza.

Il corretto calcolo del compenso professionale

Il primo motivo, accolto dalla Suprema Corte, censurava la decisione della Corte d’Appello sulla modalità di liquidazione del compenso. L’architetto sosteneva che, in assenza di un accordo specifico sul corrispettivo, il giudice avrebbe dovuto applicare le tariffe professionali e il parere di congruità dell’ordine, che garantivano il rispetto dei minimi tariffari all’epoca inderogabili (l’attività si era conclusa nel 2006).
La Cassazione ha ritenuto fondato questo motivo, richiamando l’art. 2233 del Codice Civile. Tale norma stabilisce una gerarchia di criteri per la determinazione del compenso: in primo luogo, l’accordo tra le parti; in sua assenza, le tariffe professionali o gli usi; e, in ultima istanza, la determinazione del giudice.
La Corte ha specificato che la richiesta di liquidazione secondo tariffa, avanzata sin dall’inizio del giudizio, non poteva essere ignorata. Il prospetto riepilogativo iniziale era stato superato da parcelle asseverate dall’ordine proprio per rispettare i minimi inderogabili. Pertanto, il giudice di merito avrebbe dovuto basare la sua liquidazione su tali tariffe, non su un documento precedente e meno formale.

La Responsabilità del Direttore dei Lavori

Con il secondo motivo, respinto, il ricorrente contestava il mancato riconoscimento di compensi per alcune attività di direzione lavori, sostenendo che l’inadempimento contestato dai committenti non riguardasse quella fase. La Corte ha dichiarato il motivo inammissibile per genericità, poiché il ricorso non specificava adeguatamente le difese dei committenti, impedendo di verificare se l’eccezione di inadempimento coprisse o meno anche la direzione lavori.
Il terzo motivo, parzialmente accolto, verteva sulla responsabilità del professionista e sulla quantificazione del danno. La Cassazione ha confermato la responsabilità del direttore dei lavori, il quale ha l’obbligo di sovrintendere alla regolare esecuzione dell’appalto, controllando la conformità al progetto e alle norme urbanistiche. Tale responsabilità non viene meno neanche se le difformità fossero state ordinate dai committenti, a meno che il professionista non avesse espresso un formale dissenso.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, accogliendo il primo e il terzo motivo nei limiti specificati. Sul compenso professionale, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: in assenza di un accordo, il compenso va liquidato secondo le tariffe professionali vigenti al momento dell’espletamento dell’incarico. La richiesta di applicare le tariffe non è una mera clausola di stile, ma una precisa domanda che il giudice deve esaminare nel merito. La Corte d’Appello ha errato nel basarsi su un semplice prospetto di attività, ignorando le parcelle asseverate e la normativa sull’inderogabilità dei minimi tariffari.
Sulla quantificazione del danno, la Cassazione ha corretto l’approccio della Corte di merito. Sebbene la responsabilità del direttore lavori per le opere difformi fosse stata correttamente accertata, il danno derivante dal mancato utilizzo dei garage non poteva essere considerato ‘in re ipsa’. I giudici hanno affermato che, sebbene la perdita di utilizzo di un bene possa costituire un pregiudizio risarcibile, spetta alla parte danneggiata allegare e provare la concreta possibilità di godimento perduta. Non essendo stato fornito alcun elemento specifico a riguardo, la liquidazione del danno da parte della Corte d’Appello è risultata priva di fondamento probatorio.

Conclusioni

L’ordinanza offre due importanti insegnamenti. Primo, per i professionisti: in assenza di un contratto scritto che determini il compenso, è fondamentale basare le proprie richieste sulle tariffe professionali, supportandole con pareri di congruità dell’ordine di appartenenza. Secondo, per i committenti: per ottenere il risarcimento di un danno da mancato utilizzo di un immobile, non è sufficiente lamentare la privazione del bene, ma è necessario dimostrare il pregiudizio concreto subito, ad esempio provando la necessità di affittare un altro bene o la perdita di opportunità di locazione. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, che dovrà decidere nuovamente attenendosi a questi principi.

Come deve essere calcolato il compenso di un professionista se non c’è un accordo scritto?
Secondo la Corte, in assenza di un accordo tra le parti, il compenso deve essere determinato in base alle tariffe professionali vigenti al momento della prestazione, rispettando gli eventuali minimi inderogabili, e non sulla base di un semplice prospetto riepilogativo delle attività.

Il direttore dei lavori è responsabile per le opere difformi se sono state ordinate dal committente?
Sì, la sua responsabilità permane. Il direttore dei lavori ha un obbligo di vigilanza e controllo sulla corretta esecuzione delle opere. Per essere esonerato da responsabilità, avrebbe dovuto dissentire formalmente dalla realizzazione dell’opera irregolare.

Il danno per il mancato utilizzo di un immobile è sempre risarcibile in automatico?
No. La Corte ha stabilito che il danno non può essere considerato ‘in re ipsa’ (implicito nel fatto). La parte che chiede il risarcimento ha l’onere di allegare e provare la concreta possibilità di godimento che ha perso a causa dell’inadempimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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