Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27624 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27624 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6310/2019 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, con domicilio eletto in Roma, alla INDIRIZZO.
-RICORRENTE-
contro
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO.
-CONTRORICORRENTE-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 2092/2018, pubblicata in data 11.12.2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del giorno 24.9.2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO.
Oggetto:
compensi
professionali
Udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, che ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso.
Uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME ha proposto ricorso ex art. 702 bis e ss. c.p.c. dinanzi al tribunale di Torino, assumendo di aver svolto, su incarico della RAGIONE_SOCIALE, l’attività di consulenza e assistenza commerciale finalizzata alla definizione di una vertenza di natura risarcitoria tra la convenuta e altra società -la CHN; che il contratto professionale prevedeva un compenso pari al 10% della somma totale riconosciuta dalla CNH, con pagamento da effettuarsi entro 30 gg. dalla data dell’incasso . Ha chiesto il versamento delle proprie competenze, con gli accessori e le spese legali.
La RAGIONE_SOCIALE ha resistito, sostenendo che il compenso era dovuto solo in caso di transazione e sempre che il professionista avesse fattivamente concorso alla definizione della vertenza, circostanza che non si era verificata poiché le MF aveva dovuto far ricorso al giudice per veder riconosciute le proprie ragioni di credito.
Il Tribunale ha accolto integralmente la domanda, liquidando un compenso €. 122.794,81, oltre accessori e spese legali .
Con pronuncia n. 2092/2018 la Corte territoriale di Torino ha confermato la decisione, affermando che l’incasso delle somme volte a riparare il danno era contemplato come condizione di esigibilità del compenso del professionista, quantificato in misura pari al 10% di quanto incamerato dalla MF, e che detta condizione si era poi avverata, pur avendo la CHN effettuato il pagamento con riserva di ripetizione all’esito del giudizio di impugnazione. La tesi secondo cui il compenso era dovuto soltanto in caso di definizione transattiva della lite non trovava alcun avallo nel dato letterale ed era contraria al criterio dell’interpretazione secondo buona fede, poiché il professionista aveva svolto attività non esclusivamente funzionali alla definizione transattiva della pratica.
RAGIONE_SOCIALE ha chiesto di cassare la pronuncia con ricorso affidato a tre motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria del 17.7.2024 la causa è stata rimessa in pubblica udienza.
Il Pubblico Ministero ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 1325, 1418, 1421, 2230, 2233 c.c. 112, 113 e 345 c.p.c., lamentando che la Corte di merito non abbia rilevato che il contratto, pur avendo ad oggetto una prestazione di mezzi e non di risultato, prevedeva l’erogazion e del compenso solo nel caso che la RAGIONE_SOCIALE avesse risarcito il danno, facendo sì che, ove detta condizione non si fosse verificata, il contratto sarebbe risultato privo di causa, dovendo ritenersi radicalmente invalido un accordo che preveda il pagamento delle spettanze professionali sono in caso di raggiungimento di un determinato risultato da parte del cliente, tanto che l’art. 25 del codice deontologico dei dottori commercialisti dispone che l’incarico può prevedere solo in parte, e non in toto, un compenso variabile parametrato al risultato conseguito.
Il motivo è infondato.
E’ rimasto accertato in fatto che le parti avevano subordinato il pagamento del compenso alla condizione sospensiva dell’incasso della somma liquidata a titolo di risarcimento, da parte della MF, parametrando l’ammont are delle spettanze al risultato economico e al quantum ottenuto dalla cliente.
La condizione sospensiva (l’inc ameramento delle somme volte a riparare il danno) non privava il contratto professionale di una funzione pratica e non lo rendeva gratuito, né violava l’inderogabilità dei minimi tariffari all’epoca vigenti per le pr estazioni dei dottori commercialisti.
E’ opportuno , anzi, ricordare che l’onerosità costituisce elemento normale del contratto ai sensi dell’art. 2233 c.c., ma non ne integra una connotazione essenziale, né è espressione di un limite di ordine pubblico all’autonomia contrattuale delle parti che, pertanto, ben possono prevedere la gratuità (Cass. 23893/2016; Cass. 5472/199; Cass. 2769/2014).
La stessa inderogabilità dei minimi sancita dalla legge professionale può essere superata per particolari esigenze etico-sociali o di liberalità o in base ad una libera valutazione di convenienza da parte dei contraenti (Cass. 16213/2017; Cass. 19714/2014; Cass. s.u. 18450/2005; Cass. 7823/2006).
Per quanto specificamente riguarda il caso in esame, in assenza di un’espressa rinuncia al momento del contratto, l’inserimento della clausola che condizionava il pagamento ad un dato evento lasciava permanere l’onerosità del rapporto , avendo le parti voluto dar rilievo ad un fattore esterno, costituito dal pagamento da parte della CHN, il cui verificarsi era tutt’altro che indifferente per la ricorrente (cfr., in questi termini, con riferimento alle clausole di copertura finanziaria: Cass. s.u. 18450/2005; Cass. s.u. 26657/2014), non risultando -quindi – violati i minimi inderogabili, essendo detta regolazione inserita nel complessivo assetto d’interessi perseguito dalle parti (Cass. s.u. 18450/2005).
Riguardo alle questioni sollevate con l’ordinanza interlocutoria, non sono ravvisabili ragioni di nullità della quantificazione del compenso in una percentuale delle somme ottenute, parametrata sul risultato utile per il committente.
Le clausole di tale contenuto integrano un patto di quota lite, prevedendo un corrispettivo sostituivo, non aggiuntivo, di quello calcolato secondo tariffa, parametrato sul risultato ottenuto, patto oggetto di una previsione di divieto venuta meno il 4.7.2006 (e poi reintr odotta con l’art. 13, comma quarto, l. 247/2012), per effetto della previsione dell’art. 2 lettera b) del d.l. 223/2006, che testualmente disponeva la soppressione delle disposizioni legislative
e regolamentari che prevedessero, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti.
L’accordo intercorso delle parti, stipulato il 5.7.2006 allorquando era già abrogato il divieto del patto di quota lite (Cass. 28914/2022), era comunque lecito, anche perché l’art. 2333 , comma secondo, c.c. non si applica a categorie professionali diverse dagli avvocati (cfr. Cass. 20839/20014).
2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1366 c.c., per aver la sentenza ritenuto che le parti avessero previsto il pagamento delle spettanze professionali anche in mancanza di una definizione transattiva della lite, come invece era reso palese dal dato letterale dell’accordo che prevedeva che il calcolo del 10% fosse effettuato sulle somme ‘ riconosciute da CNH ‘ non su quelle ‘ poste a carico ‘ di quest’ultima , non essendo decisivo né che il resistente avesse svolto anche prestazioni aggiuntive, non necessariamente collegate all’instaurazion e del contenzioso dinanzi al giudice, né il lungo periodo decorso prima che il professionista inoltrasse richieste di pagamento, posto anzi che l’atto di incarico nulla disponeva in caso di instaurazione del giudizio risarcitorio, non obbligando la MF di agire per il risarcimento.
Il terzo motivo denuncia, sotto altro aspetto, la violazione degli artt. 1362 e 1366 c.c., assumendo che il contratto non contemplava una condi zione sospensiva del pagamento subordinata all’incasso, dovendo collegarsi l’espressione ‘somma ricon o sciuta’ utilizzata dalle parti al termine ‘ incasso ‘ , dando preminenza alla prima rispetto al secondo, mancando una specifica pattuizione per l’ipotesi che il risarcimento fosse stata liquidato in base ad una sentenza non definitiva, poi riformata in peius ai danni di NOME.
Il giudice, in ossequio al canone della buona fede, avrebbe dovuto ritenere il pagamento subordinato ad una pronuncia definitiva sul
diritto al risarcimento, condizione quest’ultima non ancora verificatosi essendo il giudizio tra le due società ancora pendente.
I due motivi, che propongono sotto vari aspetti la medesima questione di interpretazione dell’accordo e che vanno esaminati assieme, sono infondati.
Riguardo ai profili di stretta interpretazione dell’accor do, la tesi del ricorrenti suppone la decisività della formula ‘ 10% sul totale somma riconosciuta come danno da CNH ‘ (anziché della diversa espressione ‘ totale somma riconosciuta come danno a carico di CNH, l’unica che , secondo la MF, avrebbe reso plausibile il computo delle spettanze su qualunque somma ottenuta a titolo risarcitorio, anche se non a seguito di una transazione o di giudicato ) , che la sentenza ha interpretato nel contesto della clausola condizionale, intesa nel senso di subordinare il pagamento al l’ incasso non al perfezionamento di una transazione, non valutando l’elemento testuale come univocamente esplicativo di una diversa volontà delle parti.
L’incondizionata prevalenza di un dato letterale sul risultato ermeneutico complessivo cui è pervenuta la Corte di merito non è sostenibile.
Per senso “senso letterale delle parole” deve intendersi tutta la formulazione della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto (Cass. 4176/2007; Cass. 18080/2007; Cass. 4670/2009; Cass. 114755/2024), e il significato dell’accordo va effettuato in coerenza con la sua ragione pratica o causa concreta in modo da escludere interpretazioni in contrasto con gli interessi delle parti (Cass. 8940/2024).
Nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, il senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto è senz’altro imprescindibile , ma il rilievo da assegnare alla formulazione letterale dev’essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro a norma dell’art. 1363 c.c.. Il significato delle
dichiarazioni può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare; si afferma che, perciò, l’interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire l’intenzione delle parti e di verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta dei contraenti (Cass. 25840/2014; Cass. 9380/2016; Cass. 32786/2022).
Non trova riscontro (né è risolutiva) l’asserita centralità delle prestazioni finalizzate alla transazione rispetto alle altre pure contemplate nell’atto di incarico, né si giustificherebbe -come ha spiegato la sentenza -la ragione pratica ed economica di un pagamento dovuto solo in caso di transazione (e non quando la committente abbia comunque ottenuto il risultato pratico perseguito), a fronte di un’attività complessa ed articolata del professionista.
Non confuta l’interpretazione sposata dal giudice di merito l’eventualità che l’ammontare del risarcimento fosse quantificato in via provvisoria con sentenza non definitiva poi riformata, profilo che non incide sul l’individuazione del contenuto prescrittivo dell’accordo, ma solo ex post, sulla corretta quantificazione e su ll’esigibilità del credito professionale.
Non occorreva impiegare il criterio interpretativo della buona fede, che ha carattere sussidiario, una volta ricostruita la volontà delle parti con l’impiego dei criteri dell’interpretazione letterale, sistematica e logica delle clausole (Cass. 10290/2001; Cass. 2468/2001; Cass. 9786/2010; Cass. 5595/2014; Cass. 17063/2024;
3. Il quarto motivo denuncia la violazione degli articoli 1362 e 2722 c.c. e 116 c.p.c., per non avere la Corte ammesso le prove
testimoniali e l’interrogatorio formale diretti a provare che il pagamento del compenso era subordinato alla definizione transattiva della lite e ad individuare l’intenzione reale dei contraenti, non essendo la prova diretta a provare patti aggiunti o contrario al contenuto di un documento, ma solo a chiarire il contenuto dell’accordo.
Il motivo è inammissibile.
La doglianza censura, in primo luogo, il contenuto dell’ordinanza istruttoria, che non è ricorribile per cassazione, non riscontrandosi nella sentenza una esplicita evocazione del limite di ammissibilità della prova per testi allorquando abbia ad oggetto un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento.
Appare per contro formulato dalla Corte di merito un giudizio di irrilevanza dei mezzi istruttori per la ritenuta esaustività del contenuto dell’ atto di incarico, avendo la sentenza ritenuto implausibile l’interpretazion e proposta dalla ricorrente, contraria al testo e al significato complessivo dell’ accordo. Peraltro, il giudice non deve necessariamente esprimersi su tutte le richieste e le istanze introdotte, dovendo ritenersi disattese tutte quelle che risultino inconciliabili con le motivazioni adottate (Cass. 407/2006; Cass. 868/2010; Cass. 12652/2020).
4. Il quinto motivo denuncia la violazione degli articoli 1362 1366 c.c., per avere la Corte d’appello quantificato il compenso in misura percentuale sull’intero risarcimento ottenuto dalla ricorrente, comprensivo di rivalutazione monetaria e di interessi, mentre, data l’autonomia che intercorre va tra il rapporto professionale e quello tra le società, doveva ritenersi che la postergazione del pagamento delle spettanze fosse stato previsto, senza voler anche attribuire alcun vantaggio al professionista.
Il motivo è inammissibile poiché propone solo una diversa lettura del dato contrattuale (Cass. 15798/2005; Cass. 1754/2006; Cass. 24539/2009; Cass. 13587/2010; 25728/2013; Cass. 28319/2017; Cass. 6735/2019; Cass. 13163/2019; Cass. 9461/2021), non
essendo sufficiente evocare l’autonomia dei due rapporti per superare il dato logico e letterale del riconoscimento di una percentuale sul risarcimento complessivamente ottenuto, in assenza di riduzioni o esclusioni volute dai contraenti.
La Corte di appello ha spiegato inoltre, con motivazione esente da vizi logici, che, avendo le parti parame trato il compenso sull’importo del risarcimento, non era lecito escludere dal computo gli accessori del credito, costituendo essi una componente essenziale del risarcimento, né si giustificava un sacrificio aggiuntivo delle ragioni del professionista, oltre a quello già ricollegabile al differimento del pagamento delle spettanze.
Il ricorso è -perciò – respinto, con addebito delle spese processuali. Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in €. 7 500,00 per onorario ed in € 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 24.9.2024.
IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE
NOME COGNOME