Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4387 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4387 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34607/2019 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;
-ricorrente-
contro
COGNOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la cancelleria della Corte di cassazione;
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME;
-intimati-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Salerno n. 1111/2019, depositata il 29 luglio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione del 6 febbraio 1998, l’ ing. NOME COGNOME e il geom. NOME COGNOME esponevano di aver svolto attività professionale inerente la ristrutturazione di un fabbricato sito in Campagna, INDIRIZZO di proprietà di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (quale erede di NOME COGNOME), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (quali eredi di NOME COGNOME), NOME COGNOME e NOME COGNOME (quali eredi di NOME Rizzoli). Per lo svolgimento di tale attività, sostenevano di aver diritto alla corresponsione dell’importo complessivo di lire 55.781.510, a fronte dei quale avevano già ricevuto l’acconto di lire 23.000.000, rimanendo, pertanto, creditori del saldo. Esponevano, inoltre, di essersi occupati anche della redazione del progetto per il calcolo delle strutture e verifica sismica, avendo maturato per siffatta attività l’ulteriore compenso di 12.789.890, rispetto al quale avevano ricevuto un acconto di lire 2.805.099, rimanendo creditori di lire 9,984.791. Agivano, quindi, per il pagamento del saldo residuo, concludendo perché il giudice accertasse la sussistenza del contratto e per l’effetto, condannasse i proprietari, al pagamento della somma dovuta, in proporzione delle loro quote millesimali, il tutto per complessive lire 42.776.310, oltre accessori.
Si costituivano in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME eccependo la prescrizione del diritto ai sensi dell’art . 2956 cod. civ.
Si costituivano anche NOME e NOME COGNOME che eccepivano la nullità della notifica agli eredi e la nullità della parcella professionale.
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME il quale eccepiva, in via preliminare la carenza di legittimazione attiva di NOME COGNOME (in quanto non incaricato dai condomini) e formulava domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni subiti per un ammontare di lire 91.701.661 oltre interessi, a seguito della mancata trasmissione da parte dell’ing. COGNOME al competente ufficio comunale dell’originale della parcella, quale condizione ostativa alla liquidazione del saldo finale.
Si costituiva in giudizio, infine, NOME COGNOME che eccepiva il difetto di legittimazione attiva di NOME COGNOME e la prescrizione del diritto azionato.
Espletata l’istruttoria, nel corso del processo gli attori rinunciavano agli atti del giudizio nei confronti di NOME e NOME COGNOME in proprio e quali eredi di COGNOME NOME.
Il Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Eboli, accoglieva la domanda e condannava i convenuti, al pagamento della somma complessiva di euro 15.746,36, oltre interessi dalla domanda fino al soddisfo.
-Avverso tale provvedimento ha proposto impugnazione NOME COGNOME.
La Corte di appello di Salerno, con sentenza n. 1111/2019, depositata il 29 luglio 2019, in accoglimento del settimo motivo di gravame, ha condannato anche NOME COGNOME, in solido, nei limiti della quota millesimale e della rispettiva quota ereditaria, al pagamento della somma di euro 15.746,36, oltre interessi dalla domanda al soddisfo, nonché al pagamento delle spese di lite del primo grado e di c.t.u, confermando nel resto la pronuncia. NOME COGNOME è stata condannata alla rifusione delle spese del grado in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Tra le altri parti del giudizio le spese di appello sono state integralmente compensate.
–NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
Le altre parti sono rimate intimate.
La ricorrente ha depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 100 cod. proc. civ. e, dell’art. 16, lettera m), del r.d. n 274/29, nonché dell’art. 17 della legge n. 64/1974 – in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod. proc. civ. – nonché violazione ex art. 360 cod. proc. civ. n. 3, dell’ art. 1421 cod. civ. in rapporto con l’ art. 112 cod. proc. civ. e art. 345 cod. proc. civ., comma 1. Con l’articolato motivo si censura la sentenza per avere la Corte d’Appello ritenuto che i due professionisti avevano svolto l’attività di progettazione, mentre invece avrebbe dovuto rilevare la nullità del contratto concluso col geometra perché aveva ad oggetto lo svolgimento di prestazioni a cui non era abilitato.
Il motivo è infondato.
La Corte di appello -con accertamento in fatto non suscettibile di riesame in questa sede (Cass., Sez. V, 22 novembre 2023, n. 32505) -ha riscontrato lo svolgimento di una attività di collaborazione del geometra con l’ingegnere e d ha rilevato la genericità della doglianza posta col primo motivo di appello, per avere la parte omesso di provare quali fossero le prestazioni abusive svolte dal geometra (v. pagg. 5 e 6 della sentenza).
La critica della ricorrente investe dunque la valutazione degli elementi istruttori, che nel giudizio di legittimità non è consentita.
A ciò aggiungasi che sui deliberati di assemblea (di cui pure è cenno nel motivo) vi è difetto di specificità in merito al loro contenuto.
-Con il secondo motivo si allega la nullità della sentenza -Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronunzia sul secondo motivo d’appello Violazione dell’art. art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. per motivazione apparente -in relazione all’art.
360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. La Corte territoriale, decidendo sul secondo motivo di appello, con motivazione apparente e omettendo di pronunziarsi sulle analitiche censure mosse dall’appellante, l’ha rigettato ritenendolo, erroneamente, ‘ assorbito dal rigetto del precedente poiché, una volta accertato lo svolgimento di attività professionale anche da parte del Caiazzo, il compenso per l’attività tecnica svolta dai professionisti incaricati dal Condominio è stato correttamente calcolato sulla scorta delle indicazioni fornite dal CTU, da cui non vi è motivo per discostarsi. Pertanto è evidente che il geom. COGNOME era dotato di propria legittimazione attiva ‘. Osserva la ricorrente di avere dedotto in appello la mancanza di prova sia dello svolgimento di una qualche attività professionale da parte del geometra e sia, comunque, che lo stesso fosse a tanto abilitato. Si evidenzia altresì che la motivazione appare errata laddove, apoditticamente, ‘rinviene’ la prova dell’attività professionale asseritamente svolta dal geom. COGNOME non già sulla base dei fatti acquisiti al pr ocesso, ma ‘sulla scorta delle indicazioni del CTU ‘, di cui però non v’è cenno all’attività svolta dal geom. NOME COGNOME.
Il motivo è infondato.
In tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ricorre ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione
perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (Cass., Sez. V, 23 ottobre 2024, n. 27551).
Nel caso di specie risulta evidente che non vi è stata alcuna omessa pronuncia giacché il motivo è stato ritenuto assorbito dal rigetto del motivo precedente.
Parimenti infondata è la censura sul vizio di motivazione apparente, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (per tutte, v. SSUU n. 2767/2023).
La pronuncia impugnata, infatti, ha illustrato le ragioni in base alle quali ha disatteso la doglianza. La censura, invero, tende a soprapporre una alternativa ricostruzione fattuale senza confrontarsi con la ratio della motivazione che è fondata sull’accertamento dell’espletamento di attività professionale anche da parte del geometra (v. sentenza impugnata pag. 6). D’altronde, in applicazione della regola dell’onere probatorio ai sensi dell’art. 2697 , comma 2 cod. civ., la prova dei fatti impeditivi spetta al convenuto.
-Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, infine, la violazione del primo comma dell’art. 2233, comma 1, degli artt. 1362 e 1365 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. La ricorrente critica il passaggio contenuto a pagina 7, righi 8 e ss. della sentenza in ordine al rigetto del terzo motivo di appello.
A dire della ricorrente, poichè le competenze professionali costituivano un ‘costo’, la Corte d’appello avrebbe dovuto acclarare come cristallizzato per volontà delle parti il ‘costo’ delle competenze professionali nell’importo indicato sotto la voce ‘Spese tecniche’, di cui all’approvazione del ‘Riepilogo Generale dei costi’ redatto
dall’ ing. COGNOME avvenuta ad opera dei committenti nella tornata assembleare del 27 dicembre 1986. Ai sensi dell’ art. 2233 cod. civ., infatti, la volontà delle parti è la fonte principale della determinazione del compenso del prestatore d’opera intellettuale, rispetto alla quale le tariffe svolgono un ruolo meramente sussidiario, sicché le parti hanno piena autonomia nella determinazio ne dell’onorario.
Nel contratto d’opera intellettuale, da interpretare secondo buona fede ex art. 1375 cod. civ., deve ritenersi che, laddove non venga previamente pattuita la misura del compenso dovuto, le parti possano formare anche nel corso del rapporto contrattuale, ovvero ‘ex post’, un accordo negoziale sul compenso maturato. Nel momento in cui la Corte d’appello dà atto che ‘l’approvazione del conto ‘riepilogo generale dei costi’ nel quale erano quantificate le ‘spese tecniche’ risultava ‘documentata agli atti di caus a’, non sarebbe conforme a diritto la motivazione secondo la quale tale ‘approvazione’ non sarebbe stata ‘convenuta tra le parti per determinare l’esatto corrispettivo dovuto per l’opera professionale svolta’. Tale affermazione si porrebbe in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte sia in tema di ‘libertà delle forme ‘ dei contratti d’opera, nonché delle pattuizioni sui relativi compensi, sia in tema di interpretazione del contenuto minimo dell’accordo sul compenso del professionista di cui al primo comma dell’art. 2233 cod. civ. Nel caso di specie l’ ing. COGNOME, seppur presente all’assemblea del 27.12.1986, nulla ebbe a precisare rispetto all’approvazione da parte dei condomini delle ‘spese tecniche’ contenute nel ‘Riepilogo generale dei costi’. Inoltre, il COGNOME, seppur destinatario della successiva comunicazione del Comune di Campagna che approvava il progetto ed il suo complessivo costo, corrispondente a quello del ‘Riepilogo generale dei costi’, giammai ebbe a comunicare ai committenti, o per essi al loro delegato, di non ritenere sufficiente la quantificazione delle spese tecniche da egli stesso computate e dai committenti approvate
nel ‘Riepilogo generale dei costi’. Maggior importo che, invero, ove fosse stato richiesto sarebbe stato contrario al dovere di ‘buona fede contrattuale’, sia perché tali spese tecniche erano state computate proprio dal COGNOME, che ebbe a redigere il “Riepilogo ‘ ed a relazionarlo all’assemblea del 27.12.1986, e sia perché una successiva maggiore quantificazione delle stesse avrebbe danneggiato i committenti i quali si sarebbero trovati nella condizione di non poter beneficiare della relativa quota di ‘contributo’ statale in conto “spese tecniche’.
Infine, la Corte d’appello , nel completare l’opera di errata interpretazione del contenuto giuridico del l’approvazione del conto ‘Riepilogo generale dei costi’, non ha tenuto in alcun conto che nel corso del primo grado di giudizio il COGNOME non aveva mai contestato l’esistenza di tale accordo a seguito dell’approvazione del conto ‘Riepilogo generale dei costi’, limitandosi solo in appello a dedurre, erroneamente, l’assunta novità, e quindi la tardività, della questione .
Il motivo è infondato.
Posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass., Sez. I, 9 aprile 2021, n. 9461; Cass., Sez. V, 16 gennaio 2019, n. 873; Cass., Sez. I, 15 novembre 2017, n. 27136).
Nel caso di specie la censura risulta formulata in fatto senza l’indicazione dei canoni legali di interpretazione che la Corte d’appello avrebbe violato nel decidere la questione, tendendo invero la doglianza a sollecitare una inammissibile rivalutazione degli elementi istruttori, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (Cass., Sez. I, 6 marzo 2019, n. 6519). Il Tribunale ha esaminato il contenuto del verbale dell’assemblea e la Corte d’appello ne ha condiviso la valutazione compiuta, escludendo che l’approvazione del conto di riepilogo generale dei costi sia stata convenuta tra le parti per determinare l’esatto corrispettivo dovuto per l’opera professionale svolta. Sulla quantificazione dei compensi è stata peraltro effettuata una consulenza tecnica d’ufficio in relazione all’attività professionale svolta.
4. -Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 cod. proc. civ. Si critica in sostanza la ritenuta novità della censura relativa alla attribuzione , per la verifica sismica compiuta dall’ing. COGNOME, di una somma maggiore di quella richiesta dallo stesso professionista evidenziandosi l’errore nel pretendere la tempestiva contestazione della consulenza tecnica di ufficio che aveva provveduto a quantificare i compensi
Questo motivo è invece fondato.
A prescindere da quanto stimato dal consulente tecnico d’ufficio nell’espletamento dell’incarico conferito dal giudice istruttore , sta di fatto che l’ing. COGNOME per l’attività di verifica sismica aveva chiesto la somma di lire 2.014.795 e il Tribunale, per non incorrere nel vizio di ultrapetizione, non poteva attribuirer un importo maggiore. La Corte d’appello ha quindi confuso il principio della domanda con il regime
delle nullità relative riguardante lo svolgimento delle operazioni peritali.
La violazione di legge è palese e la sentenza va cassata.
5. -Con il quinto motivo di ricorso si denuncia, infine, la violazione del 1 comma dell’art. 18 e dell’art. 10 della legge n. 143 del 2 marzo 1949 in relazione all’360, c omma 1, 3 cod. proc. civ. Osserva la ricorrente che con il quinto motivo di appello era stato censurato il capo della sentenza con il quale il giudice di primo grado riconosceva dovuta la maggiorazione del venticinque per cento del compenso, di cui all’art. 18 della legge n. 143/1949, in quanto ‘ non è stata rinvenuta in atti, neppure nel richiamato deliberato del 1986 e nei quadri riepilogativi in atti, alcuna pattuizione di compenso valida ed efficace inter partes ‘ chiedendo che la Corte territoriale decidesse nel senso di riformarla come segue: ‘ considerata, da un lato, la natura pattizia del compenso spettante all’ing. COGNOME per quanto innanzi rilevato; dall’altro che il conferimento dell’incarico al COGNOME, così come ben individuato nel deliberato del 11.121982, ebbe luogo in epoca successiva a quello conferito all’ing. COGNOME, avvenuto il 21.11.1981, nonché, ancora, che esso Vitale nulla ebbe ad osservare circa la delimitazione delle competenze attribuitegli, si dichiara non dovuta la maggiorazione di cui all’art. 18 della legge N. 143/1949, non versandosi nella fattispecie ivi regolamentata ‘ . Al riguardo, si faceva richiamo sia ai verbali assembleari del 22.11.1981 e del 1 1.12.1982 e sia, in particolare, al ‘Quadro riepilogativo Generale’, a firma del COGNOME, laddove venivano indicate le ‘Spese tecniche’, comprensive, quindi, anche di quelle di competenza di esso professionista, che esso ausiliario si guardava bene dal richiamare, come aveva fatto per le altre voci del prefato ‘Quadro’, e, quindi, da imputarsi ai singoli tecnici. Ebbene si ffatta doglianza è stata dalla Corte di merito rigettata in quanto si ‘condivide la decisione del Giudice’ di primo grado circa l’inesistenza di accordo sui compensi.
Il motivo è infondato perché sollecita una alternativa valutazione delle risultanze istruttorie, che non compete alla Corte di Cassazione. La Corte territoriale ha infatti, nell’esercizio delle sue prerogative di giudice di merito, accertato il mancato rinvenimento in atti di alcuna pattuizione circa il compenso professionale, con conseguente applicazione della voce tariffaria come previsto dalla normativa di settore (v. pag. 8 sentenza).
In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al quarto motivo. La sentenza va cassata in relazione a tale motivo e il giudice di rinvio (che si individua nella Corte d’appello di Salerno in diversa composizione), regolerà anche le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione