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Compenso professionale concordato: quando è unico?

Un professionista chiede il pagamento per un incarico legato a un concordato preventivo. La Cassazione conferma la decisione di merito che ha ridotto il compenso professionale concordato, ritenendo che due incarichi formalmente separati costituissero in realtà un unico mandato, già in gran parte retribuito.

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Compenso professionale concordato: un unico mandato o due incarichi distinti?

La determinazione del compenso professionale concordato è spesso fonte di contenzioso, specialmente nelle complesse procedure di crisi d’impresa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un professionista che aveva ricevuto due incarichi formalmente separati da una società, poi fallita, per la gestione della sua crisi. La Corte ha dovuto stabilire se si trattasse di due mandati autonomi, con due distinti compensi, o di un unico incarico sostanziale, la cui retribuzione era già stata in gran parte assolta.

I Fatti di Causa

Un professionista aveva assistito una società in difficoltà, stipulando un primo contratto per attività preliminari volte a trovare una soluzione alla crisi, sia stragiudiziale che giudiziale. Per questo incarico, aveva ricevuto un acconto significativo. Successivamente, veniva firmata una seconda lettera di incarico, finalizzata specificamente alla predisposizione di una domanda di concordato preventivo. A seguito del fallimento della società, il professionista chiedeva di essere ammesso al passivo per il saldo del primo incarico e per l’intero compenso del secondo. Il Giudice Delegato, tuttavia, ammetteva solo una somma molto ridotta, ricalcolando il compenso sulla base dell’idea che si trattasse di un unico mandato non interamente completato.

La Decisione del Tribunale

Il professionista si opponeva a questa decisione, sostenendo la distinzione netta tra i due incarichi. Il Tribunale, pur ammettendo una somma aggiuntiva, accoglieva l’impostazione della curatela fallimentare. Secondo il giudice di merito, le attività previste nei due contratti erano sostanzialmente coincidenti. Un elemento chiave della decisione era il brevissimo lasso di tempo (solo tre giorni, di cui uno festivo) tra il conferimento del secondo incarico e il deposito della complessa domanda di concordato. Per il Tribunale, era impossibile che un lavoro così articolato fosse stato svolto in così poco tempo. Di conseguenza, ha concluso che il piano concordatario era stato preparato in esecuzione del primo mandato, rendendo i due incarichi un’unica prestazione professionale.

Il ricorso in Cassazione: il compenso professionale concordato e l’unicità del mandato

Il professionista ha impugnato la decisione del Tribunale dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su cinque motivi principali, tra cui la violazione delle norme processuali e delle regole di interpretazione del contratto.

L’accusa di aver introdotto un “fatto nuovo”

Il ricorrente lamentava che il Tribunale avesse introdotto un “fatto nuovo” (la preparazione del piano durante il primo mandato) senza che fosse stato sollevato dalla curatela, violando così il principio del contraddittorio. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che la difesa della curatela era sempre stata incentrata sull’unicità sostanziale del mandato. Il ragionamento del Tribunale sul tempo non era un fatto nuovo, ma un ragionamento inferenziale basato sulle prove e sulle allegazioni già presenti nel processo, utilizzato per valutare la fondatezza della tesi della curatela. Il giudice non ha introdotto un nuovo tema di indagine, ma ha semplicemente tratto una logica conseguenza dai fatti noti.

La valutazione delle prove e l’interpretazione del contratto

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili i motivi relativi alla presunta errata valutazione delle prove e alla violazione delle norme sull’interpretazione del contratto. Il ricorrente, secondo la Corte, non contestava una violazione di legge, ma cercava di ottenere una nuova valutazione del merito della causa, cosa non consentita in sede di legittimità. Proporre una diversa interpretazione del contratto non è sufficiente; è necessario dimostrare in che modo specifico il giudice abbia violato i canoni legali di ermeneutica contrattuale, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto infondati i motivi del ricorso, confermando la decisione del Tribunale. Il punto centrale della motivazione risiede nella distinzione tra l’introduzione di un fatto nuovo e lo svolgimento di un ragionamento inferenziale da parte del giudice. La tesi della curatela era che le prestazioni fossero sostanzialmente le stesse e che il primo compenso coprisse gran parte del lavoro. Il Tribunale, osservando l’impossibilità materiale di redigere un piano concordatario in tre giorni, ha logicamente dedotto che tale attività doveva essere stata svolta in precedenza, sotto l’egida del primo incarico. Questo non costituisce un’alterazione del tema della controversia, ma una legittima valutazione probatoria per decidere sulla questione principale: l’unicità o meno del mandato e la corretta quantificazione del compenso professionale concordato.

Le conclusioni

La decisione riafferma un principio importante: il giudice di merito ha il potere di interpretare i fatti e le prove attraverso un ragionamento logico-deduttivo, senza che ciò configuri una violazione del contraddittorio, a condizione che il suo ragionamento si basi su questioni già introdotte nel dibattito processuale. Per i professionisti, questa ordinanza sottolinea l’importanza di definire con estrema chiarezza l’oggetto, le finalità e i compensi di ogni singolo incarico, specialmente quando sono sequenziali e riguardano la medesima crisi aziendale, per evitare che vengano considerati, a posteriori, come un’unica prestazione.

Due lettere di incarico separate garantiscono il diritto a due compensi distinti?
No, non necessariamente. Come dimostra questo caso, il giudice può valutare la sostanza del rapporto e concludere che, nonostante la presenza di due contratti formali, si tratti di un unico mandato professionale, specialmente se le attività previste sono strettamente connesse o sovrapponibili. La quantificazione del compenso terrà conto di questa unicità sostanziale.

Il giudice può basare la sua decisione su una deduzione logica non esplicitamente affermata dalle parti?
Sì. Il giudice può svolgere un ragionamento inferenziale, cioè trarre conclusioni logiche da fatti già provati nel processo. Nell’ordinanza in esame, la Corte ha stabilito che dedurre che il lavoro fosse stato svolto prima, data l’impossibilità di completarlo in tre giorni, non è introdurre un fatto nuovo, ma è una legittima valutazione della prova.

È possibile contestare in Cassazione il modo in cui il giudice di merito ha interpretato i contratti o valutato le prove?
Generalmente no. Il ricorso in Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Non si può chiedere alla Corte di rivalutare i fatti o di fornire una diversa interpretazione di un contratto. L’impugnazione è ammessa solo se si dimostra che il giudice di merito ha violato specifiche norme di legge (ad esempio, i canoni legali di interpretazione contrattuale) o se la sua motivazione è viziata nei ristretti limiti previsti dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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