Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 822 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 822 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31479/2021 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE N. 6/2011, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di TIVOLI n. 1788/2021 depositato il 27/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Tivoli, con decreto del 28.1.2015, in parziale accoglimento del reclamo proposto da NOME COGNOME avverso
il decreto del 7.8.2014 con cui il G.D. dello stesso Tribunale aveva provveduto sull’istanza di liquidazione del compenso professionale (in relazione all’attività difensiva stragiudiziale e giudiziale svolta dal legale nell’interesse del RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, a seguito dell’azione revocatoria promossa innanzi al Tribunale di Tivoli, nei confronti della predetta procedura, dal RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE), ha rideterminato il compenso complessivo in € 35.640 per la sola attività giudiziale, escludendo che, con riferimento all’attività stragiudiziale, si potesse liquidare un autonomo compenso in assenza di un esplicito provvedimento autorizzativo del G.D..
Questa Corte, con ordinanza n. 5672/2021, ha accolto il ricorso per cassazione proposto dal COGNOME avverso il predetto decreto del Tribunale di Tivoli, affermando, con riferimento all’attività stragiudiziale, che nessuna norma subordina lo svolgimento dell’attività stragiudiziale all’autorizzazione del G.D. (nel caso di specie c’era stata, comunque, l’autorizzazione del comitato dei creditori) e, nel prendere in esame i parametri per la liquidazione dell’attività giudiziale, ha ritenuto che dovesse ‘ utilizzarsi, per quantificare il compenso per l’attività giudiziale, il d.m. 140/2012 (e, ove fosse stato riconosciuto il compenso per l’attività stragiudiziale, il precedente d.m. dell’8 aprile 2004)’.
In sede di giudizio di rinvio, il COGNOME ha chiesto la liquidazione del proprio compenso per l’attività stragiudiziale svolta, avuto riguardo al valore di € 42 ml., applicando la tariffa di cui al D.M. n. 127/2004.
Il Tribunale di Tivoli, quale giudice del rinvio, ha liquidato il compenso per l’attività stragiudiziale svolta dal professionista nella somma di € 30.958,00, riten endo che tale compenso dovesse essere determinato secondo quanto da lui stesso richiesto nell’istanza di liquidazione al Giudice delegato del 26.7.2012 e nelle conformi conclusioni del reclamo.
In particolare, la predetta istanza aveva determinato il perimetro oggettivo oltre il quale il giudizio di rinvio, nell’alveo disegnato dall’ordinanza della Corte di Cassazione, non poteva comunque spingersi.
Non era dunque possibile che il quantum oggetto della domanda di liquidazione aumentasse nel corso delle varie fasi e gradi di giudizio.
Il decreto impugnato ha, inoltre, osservato, che il riferimento al D.M. 8 aprile 2004, contenuto a pagina 9 dell’ordinanza della Corte di Cassazione, aveva individuato semplicemente, nell’ambito dell’analisi di un motivo di ricorso inerente alla corretta individuazione dei parametri di liquidazione ratione temporis applicabili per l’attività giudiziale, anche il testo normativo vigente al momento della conclusione dell’attività stragiudiziale, ma certamente non valeva ad ampliare il perimetro del giudizio oltre i limiti determinati dalla domanda originaria.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a quattro motivi.
La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis. 1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 392 e seguenti c.p.c., in relazione all’art. 384, comma 2, c.p.c., all’art. 2909 c.c., e, per quanto di ragione, all’art. 2233 c.c. ed all’art. 1 del Capitolo 3, D.M. 8 aprile 2004 (art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c.). per avere il Giudice del rinvio violato il principio, a lui imposto dalla Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., di liquidare il compenso al professionista ai sensi e con i parametri della tariffa
professionale forense di cui al D.M. 8 aprile 2004. In sostanza, il tribunale aveva liquidato un compenso inferiore ai minimi nonostante la decisione con rinvio del giudice di legittimità contenesse un comando ben preciso, ovvero la liquidazione secondo i parametri della tariffa del 2004.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2229 e seguenti c.c., 2233 c.c., anche in relazione all’art. 25 L.F. (art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.), per avere il Giudice del rinvio ritenuto che, al fine di determinare in sede giudiziale il compenso dovuto al Professionista, si dovesse -pur in assenza di accordo tra le parti sul compenso -far riferimento alla precedente notula presentata dal Professionista, non accettata dal Cliente.
Rileva, in particolare, il ricorrente che l’istanza di liquidazione non è una domanda giudiziale cui applicare il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, ma è assimilabile alla parcella presenta dal professionista al proprio cliente, e non pagata, con la conseguenza che tale parcella non ha carattere vincolante e può essere seguita da una richiesta più elevata.
Il ricorrente censura che il giudice di rinvio, nel liquidare il compenso per l’attività stragiudiziale dallo stesso posta in essere, non ha rispettato i minimi della tariffa professionale di cui al DM n. 127/204, ritenendo che tale liquidazione fosse vincolata ai parametri indicati nella istanza di liquidazione dei compensi presentata dallo odierno ricorrente al G.D. in data 26.7.2012.
Afferma di non aver mai rinunciato al giusto compenso spettantegli in base alla tariffa professionale del 2004.
Richiama, inoltre, il ricorrente alcune pronunce di questa Corte (Cass. n. 2575/2018; Cass. n. 6454/2008; Cass. n. 621/1997) da cui si evince il principio secondo cui l’avvocato che richiede la liquidazione del proprio compenso non è vincolato alla prima parcella redatta, salvo che la stessa sia conforme ad un precedente
accordo vincolante tra le parti, potendo vantare un diritto ad un compenso superiore a quello originariamente richiesto, ove ne sia valutata la congruità sulla base ed in funzione dei parametri previsti dalla tabella professionale.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c., in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.), per avere il provvedimento impugnato violato il perimetro oggettivo del giudizio di rinvio.
Evidenzia che i limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale (salvo solo il caso di giuridica inesistenza) o di constatato errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neppure alla stregua di arresti giurisprudenziali precedenti, contestuali o successivi della corte di legittimità.
Con riferimento al caso di specie, il ricorrente rileva che se è pur vero che con l’istanza del 26.7.2012 aveva prospettato, solo a titolo ‘amicale’, la possibilità di applicare un parametro più contenuto rispetto a quello previsto dalla tariffa professionale, nelle conclusioni del reclamo ex art. 26 L.F. del 9.9.2014 – nel chiedere la liquidazione del compenso ‘ai sensi della tariffa professionale applicabile alla fattispecie….tenuto conto delle istanze di liquidazione presentate dal professionista il 26.7.2012…’ – aveva chiesto un quantum di compenso tutt’altro che ‘cristallizzato’ alla precedente richiesta di liquidazione; non aveva, pertanto, chiesto la liquidazione di una somma vincolata a quella richiesta, dato che aveva sì fatto riferimento alla pregressa istanza di liquidazione, ma anche alla tariffa professionale applicabile.
Infine, il ricorrente lamenta che la curatela aveva per la prima volta sollevato l’eccezione relativa alla non applicabilità della tariffa
professionale del 2004 solo nel giudizio di rinvio, così introducendo un nuovo tema d’indagine, mai sollevato precedentemente. Ne consegue che l’esercizio di tale facoltà collideva con il ristretto perimetro del giudizio di rinvio.
Tutti i primi tre i motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono infondati.
In primo luogo, destituita di fondamento è l’affermazione del ricorrente secondo cui il giudice di rinvio avrebbe violato il principio di diritto enunciato da questa Corte nell’ordinanza n. 5672/2021.
Infatti, da un attento all’esame di tale ordinanza , emerge in modo inequivocabile quale fosse stato, secondo la predetta pronuncia, il thema decidendum su cui la Corte era stata chiamata a pronunciarsi.
L’ordinanza n. 5672/2021 ha evidenziato, in particolare, (vedi pagg. 2 e 3), che le doglianze del ricorrente avevano censurato:
il diniego di compenso invocato per la svolta attività stragiudiziale. Sul punto, si è precisato che nei primi quattro motivi era stata contestata la necessità, ritenuta dal Tribunale, della previa autorizzazione del giudice delegato per lo svolgimento di attività professionale stragiudiziale.
la quantificazione del compenso liquidatogli per la svolta attività professionale giudiziale (quinto, sesto e settimo motivo).
Pertanto, nell’ordinanza n. 5672/2021, non è stato individuato, come compreso nel thema decidendum, il criterio da applicarsi per la liquidazione del compenso per l’attività professionale stragiudiziale. A monte, il giudice di merito aveva escluso tale compenso per difetto dell’autorizzazione del G.D. allo svolgimento dell’attività stragiudiziale. La questione, dunque, del quantum da liquidarsi a titolo di compenso per lo svolgimento di tale attività era rimasta assorbita nel giudizio di merito, essendo stato negato l’an debeatur .
Ne consegue che non ha alcun rilievo che il ricorrente, come si evince dal punto III.2.3. del presente ricorso per cassazione, avesse nel primo ricorso per cassazione del 25.3.2015 chiesto che si procedesse alla separata liquidazione del compenso per l’attività professionale stragiudiziale ai sensi della tariffa professionale 2004. La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 5672/2021, ben consapevole che la questione della liquidazione del compenso spettante al professionista per lo svolgimento dell’attività stragiudiziale – in quanto non affrontata dal giudice di merito non rientrava nel thema decidendum del giudizio di cassazione, ha, come sopra già evidenziato , circoscritto i temi d’indagine alla debenza del compenso per l’attività stragiudiziale (negata dal giudice di primo grado per difetto di autorizzazione del G.D.) ed alla congruità della liquidazione dell’attività giudiziale del professionista. Ne consegue che l’inciso nel quale questa Corte nell’occuparsi del motivo di reclamo relativo alla diversa questione della quantificazione dell’attività giudiziale – ha affermato nel punto 3.2.2. (pag. 9) che il parametro di liquidazione dell’attività stragiudiziale, ove fosse stato riconosciuto il compenso, fosse riconducibile al D.M. 8 aprile 2004, costituisce chiaramente una motivazione ad abundantiam , come tale priva di effetti giuridici, ininfluente ai fini della decisione, e, dunque, non rientrante nel principio di diritto enunciato dalla stessa Corte di Cassazione. È in questi termini che deve interpretarsi il ‘decisum’ dell’ordinanza n. 5672/2021.
Sul punto, questa Corte ha già enunciato il principio di diritto secondo cui, in tema di ricorso avverso sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione, in rapporto al “petitum” concretamente individuato dal giudice di rinvio, la portata del “decisum” della sentenza di legittimità, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in
relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto (cfr. Cass. n. 3955/2018).
Accertato che il giudice di rinvio non ha affatto violato il principio di diritto enunciato da questa Corte nell’ordinanza n. 5672/ 2021, lo stesso giudice ha correttamente liquidato al ricorrente il compenso per lo svolgimento dell’attività stragiudiziale, tenendo conto dei parametri indicati nell’istanza di liquidazione del 26.7.2012, e ciò in quanto era stato lo stesso ricorrente che aveva invocato l’applicazione di tali parametri nelle conclusioni dell’atto di reclamo ex art. 26 L.F..
In proposito, non vi è dubbio che il giudizio di reclamo ex art. 26 l. fall. sia un giudizio e che in quella sede il COGNOME aveva chiesto di liquidare il compenso secondo la parcella presentata, dunque secondo la sua autolimitazione.
Il giudice di rinvio ha correttamente ritenuto che i parametri indicati nella predetta istanza del 26.7.2012 avevano determinato il perimetro oggettivo oltre il quale il giudizio di rinvio non poteva spingersi, essendo orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass n. 5137/2019; vedi, recentemente, Cass. n. 24357/2022, Cass. n. 29879/2023), quello secondo cui il giudizio di rinvio è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, con la conseguenza che è inibito alle parti ampliare il thema decidendum, mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Corte di cassazione (non è questo il caso).
Il ricorrente, nel chiedere nel giudizio di rinvio la liquidazione del compenso secondo i parametri della tariffa professionale del 2004, ha inammissibilmente modificato la domanda svolta nel giudizio di reclamo ex art. 26 L.F., nel quale, anche nelle conclusioni, aveva
richiesto la liquidazione tenuto conto dell’istanza di liquidazione del 26.7.2012. Né il ricorrente può affermare che nelle predette conclusioni non avesse affatto voluto limitare il compenso ai parametri indicati nella predetta istanza di liquidazione, dato che aveva richiamato anche la tariffa professionale. Tale deduzione non persuade: ove il ricorrente avesse effettivamente voluto chiedere la liquidazione del compenso semplicemente secondo la tariffa professionale del 2004, avrebbe semplicemente potuto omettere ogni riferimento ai criteri di cui all’istanza del 26.7.2012, ma non essendo ciò avvenuto, correttamente, il giudice di primo ha liquidato il compenso sulla base di quei parametri.
Del tutto inconferenti sono, inoltre, le pronunce richiamate dal ricorrente in ordine alla non vincolatività per il legale della prima parcella di compenso ed alla possibilità di chiedere, in un momento successivo, un compenso superiore.
Orbene, nel caso di specie, il ricorrente ha richiesto l’applicazione dei parametri di cui all’istanza del 26.7.2012 non solo nella prima parcella presentata al G.D., ma anche fino all’ultimo momento possibile, ovvero nelle conclusioni del reclamo ex art. 26 L.F., in cui il ricorrente ha fatto riferimento agli stessi parametri. Soltanto nel giudizio di rinvio, il ricorrente ha chiesto l’applicazione della tariffa professionale del 2004, così inammissibilmente modificando, come detto, il thema decidendum.
Alla luce di tale osservazione, erronea è l’affermazione del ricorrente secondo cui la curatela avrebbe per la prima volta eccepito la non applicabilità della tariffa professionale del 2004 solo nel giudizio di rinvio, così introducendo un nuovo tema d’indagine. L’impostazione della questione deve essere rovesciata: è il ricorrente che, per la prima volta, nel giudizio di rinvio, ha invocato l’esclusiva applicazione della tariffa professionale del 2004. La curatela non ha fatto altro che svolgere una deduzione difensiva, inidonea ad ampliare il thema decidendum , richiamando le
conclusioni svolte dallo stesso ricorrente nel reclamo ex art. art. 26 L.F..
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 384 e 91 c.p.c., anche in relazione all’art. 112 c.p.c. ed omissione di pronunzia (art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c.), per avere il Giudice del rinvio erroneamente compensato le spese del precedente giudizio di Cassazione e del giudizio di rinvio, e per non avere liquidato le spese del giudizio di reclamo ex art. 26 L.F.
6. Il motivo è inammissibile con riferimento alla statuizione con cui il giudice di rinvio ha disposto la compensazione integrale delle spese del primo giudizio di cassazione e del giudizio di rinvio. Sul punto, questa Corte ha già affermato che, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato del giudice di legittimità è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613/2017).
Il motivo è, invece, fondato con riferimento all’omessa liquidazione da parte del giudice di rinvio delle spese di lite del giudizio di reclamo ex art. 26 L.F., non avendo il giudice di rinvio considerato che l’ordinanza pronunciata in sede di reclamo è stata cassata da questa Corte (con riferimento all’omessa liquidazione del compenso per l’attività stragiudiziale posta in essere dal legale) e, ai sensi dell’art. 336 comma 2° c.p.c., la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza
riformata o cassata (la statuizione sulle spese di lite è chiaramente dipendente da quella relativa alla decisione di merito).
Sempre sul punto, è orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 1407/2020) che, in materia di spese processuali, la parte soccombente nei gradi di merito precedenti a quello di legittimità, che poi risulti vittoriosa all’esito del giudizio di rinvio, ha diritto ad ottenere la liquidazione non solo delle spese processuali relative ai giudizi di rinvio e di cassazione, ma anche di quelle sostenute nel corso dell’intero processo; pertanto, ove ne abbia fatto richiesta, la mancata statuizione, sul punto, del giudice del rinvio integra un’omissione censurabile in sede di legittimità. Né è rilevante che questa Corte, nell’ordinanza n. 5672/2021 avesse fatto solo riferimento alla necessità di liquidazione delle sole spese del giudice di legittimità. È evidente che il giudice di rinvio, nella liquidazione delle spese di lite deve tener conto dell’esito della lite, e non poteva quindi tenere ferma la statuizione sulle spese di lite adottata in sede di reclamo ex art. 26 L.F., essendo la decisione di merito stata riformata dall’ordinanza di annullamento di questa Corte.
Ne consegue che il decreto impugnato deve essere cassato limitatamente alla statuizione relativa alle spese di lite del giudizio di reclamo ex art. 26 L.F., in relazione alla quale, avuto riguardo all’esito della lite, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tali spese. Con riferimento, invece, alle spese relative al primo giudizio di cassazione ed al giudizio di rinvio, la relativa statuizione è divenuta irrevocabile per effetto della inammissibilità delle odierne censure.
Sussistono, infine, giusti motivi, per la compensazione delle spese di questo giudizio di legittimità in considerazione del solo parziale accoglimento del ricorso, peraltro, su un profilo assai meno rilevante rispetto a quello trattato dai motivi non accolti.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi tre motivi, accoglie il quarto nei limiti di cui in motivazione, cassa in parte qua il decreto impugnato e, decidendo nel merito, compensa integralmente le spese del giudizio di reclamo ex art. 26 L.F..
Compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 19.12.2024