Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5001 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5001 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4747/2021 R.G. proposto da:
COGNOME Vittorio, domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso da sé stesso e dall’avv. COGNOME Stefano (CODICE_FISCALE), ricorrente-
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE controricorrente-
Avverso il decreto del Tribunale Firenze di cui al procedimento n. 7290/2020, depositato il 15/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 Con decreto, ex art 99 l. fall. del 13.01.2021, il Tribunale di Firenze rigettava l’opposizione avverso il decreto di esecutività dello stato passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE che aveva ammesso allo stato passivo, in via privilegiata ex art. 2751 bis nr 2 c.c., il credito, per prestazioni professionali espletate dal creditore, avv. NOME COGNOME nella misura di € 24.000, importo inferiore a quello richiesto (€ 92.000) dal professionista con l’insinuazione allo stato passivo.
La pretesa creditoria dell’avvocato si riferiva all’assistenza e alla difesa della società in bonis nelle cause di lavoro davanti al Tribunale e alla Corte di Appello di Firenze promosse da NOME COGNOME.
1.1 I giudici fiorentini, in via preliminare, disattendevano la deduzione difensiva di incontestabilità del quantum del credito professionale perché l’importo di € 92.000 di cui al progetto di notula era stata inserita nei bilanci della società, non essendo tale annotazione vincolante per Fallimento.
Nel merito l’impugnato decreto confermava la statuizione del Giudice Delegato ritenendo corretta la quantificazione del credito in € 24.000, oltre accessori, corrispondente alla liquidazione dei compensi effettuata dalla Corte d’Appello secondo i valori medi tariffari e avuto riguardo, ai fini della determinazione del valore della causa, alla somma effettivamente attribuita e non a quella indicata nella iniziale domanda, risultata manifestamente sproporzionata.
2 Il Tribunale, inoltre, non ravvisava la sussistenza di aspetti di complessità della controversia e dell’attività svolta, tali da
giustificare il discostamento dalla liquidazione della Corte d’Appello e riteneva ricompreso il compenso per l’attività stragiudiziale in quello liquidato per l’attività giudiziale.
3 COGNOME Vittorio ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a cinque motivi, il Fallimento ha svolto difese mediante controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Il procedimento avviato in rito camerale per l’adunanza del 6/11/2024 ha subito un rinvio alla Camera di Consiglio del 14/1/ 2025 per la decisione dell’istanza ex art. 52 c.p.c. presentata dal ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente, nel corpo della seconda memoria illustrativa del 2/1/2015, ha allegato l’avvenuto perfezionamento della procedura di concordato fallimentare: tale vicenda è del tutto irrilevante, in quanto nessuno è intervenuto per il proponente, né è stata chiesta l’estromissione del Fallimento.
1 Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 d.m. 55/2014 e 13 l. 247/2012, in relazione all’art. 360, comma 1 nr. 3 c.p.c., per avere il Tribunale erroneamente ritenuto vincolate nei rapporti avvocato – professionista la liquidazione delle spese effettuata dall’autorità giudiziaria , fondata sul valore della controversia mentre avrebbe dovuto utilizzare quale parametro di riferimento il valore della causa.
1.1 Il motivo è inammissibile.
1.2 L’art. 5 comma 2 d.m. 55/2014, richiamato nel motivo, stabilisce che « nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si ha riguardo al valore corrispondente all’ entita’ della domanda. Si ha riguardo al valore effettivo della controversia quando risulta manifestamente diverso da quello presunto anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti ».
Tale disposizione, quindi, al secondo capoverso, consente anche con riferimento alla liquidazione dei compensi nel rapporto professionistacliente, di utilizzare il criterio del ‘ disputatum ‘, in caso di manifesta distonia tra i menzionati valori.
Al riguardo questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di compensi professionali forensi da liquidare a carico del cliente, deve farsi riferimento al valore effettivo della controversia quando esso risulti manifestamente diverso da quello derivante dall’applicazione degli articoli 10 e seguenti del codice di procedura civile (valore della domanda); così che tale criterio impone al giudice di merito di verificare in concreto l’attività difensiva che il legale ha dovuto apprestare in relazione alle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se, al fine di determinare le competenze dovute, l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all’effettivo valore della controversia, come nel caso in cui il legale abbia esagerato in modo assolutamente ingiustificato la misura della pretesa azionata, in evidente sproporzione rispetto a quanto poi attribuito alla parte assistita, perché in tali casi il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere considerato corrispettivo della prestazione espletata, stante la sua obiettiva inadeguatezza rispetto alla attività svolta (cfr. tra le tante Cass. 7224/2023, 34532/2022, 7627/2019 27789/2019 e 18507/2018).
E’ stato altresì precisato (cfr. Cass 376/2024) che tale verifica è indispensabile alla luce del « principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata », quale si desume dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in tema di parametri per la liquidazione dei compensi degli avvocati (Cass. Sez. U., n. 19014/2007).
1.3 A tali principi si è uniformato il Tribunale il quale ha ritenuto che la liquidazione operata dalla Corte d’Appello di Firenze nei due giudizi patrocinati dall’avvocato COGNOME si era coerentemente attestata sul valore effettivo della controversia in quanto il valore iniziale della domanda risultava ‘manifestamente sproporzionato’ e che la causa, sulla scorta dell’esame degli atti compiuti, non presentava elementi di complessità giuridica e fattuale che imponessero una diversa quantificazione rispetto alla liquidazione operata dalla Corte.
1.4 La censura non si confronta con tale cruciale passaggio argomentativo dell’impugnato decreto .
Il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 2 d.m.55/2014, 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 3 c.p.c.: a giudizio del ricorrente il Tribunale avrebbe confermato la decisione del Giudice Delegato assunta in sede di accertamento dello stato passivo di riconoscimento del credito professionale sulla base del criterio del valore della controversia e non della domanda senza tener conto che il Fallimento avrebbe dovuto eccepire e provare che il valore della domanda era manifestamente sproporzionato.
2.1 Il motivo è, parimenti, inammissibile.
2.2 Nell’articolare la censura il ricorrente non specifica in che cosa sia consistita l’asserita violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
2.3 La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (cfr. tra le tante, Cass. 7919/2020, 13395/2018 e 15107/2013).
2.4 Orbene, nel caso di specie è il creditore che, in sede di verifica dello stato passivo e nel successivo giudizio di opposizione, rimane onerato della prova dei fatti costitutivi circa l’ an e il quantum del credito, competendo al curatore l’allegazione e la prova dell’eccezione di merito e cioè dei fatti che paralizzano la domanda di insinuazione allo stato passivo: l’esatta quantificazione del compenso secondo le disposizioni dei regolamenti tariffari attiene alla fondatezza della domanda e, quindi, ai fatti costitutivi del credito e non ai fatti modificativi, estintivi o impeditivi del credito.
2.5 Il Tribunale, sulla scorta dell’esame degli atti relativi alle cause di primo e secondo grado, ha compiuto l’accertamento di manifesta sproporzione tra il valore della domanda e quello del giudizio, senza incorrere in alcuna violazione del principio di ripartizione della prova.
3 Il terzo motivo oppone violazione e falsa applicazione dell’art. 132 comma 2 e nr. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 4 c.p.c.: il ricorrente opina che l’impugnato decreto sarebbe nullo in quanto affetto da motivazione carente e/o apparente; il decreto, a dire del COGNOME, si sarebbe limitato a mere affermazioni apodittiche in punto di manifesta sproporzione tra valore della domanda e valore del risultato conseguito e di mancanza di complessità giuridica e fattuale delle cause.
3.1 Il motivo è infondato.
3.2 Il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 33961/2022, 27501/2022, 26199/ 2021, 1522/2021, 395/2021, 23684/2020, 20042/2020, 9105/2017 e 9113/2012). Ne deriva che è possibile ravvisare una ‘motivazione apparente’ nel caso in cui le argomentazioni del
giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo, risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva (cfr. Cass. n. 33961/2022, 27501/2022, 395/2021, 26893/2020,22598/2018 e 23940/ 2017). È noto, poi, che secondo il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., non è indispensabile che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, essendo necessario e sufficiente, invece, che il giudice abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente rigettate (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 956/2023, 33961/2022, 29860/2022, 3126/2021 e 25509/2014).
3.3 Nel caso in esame, la motivazione contenuta nel decreto impugnato, pur se in modo conciso, risulta dotata della esposizione delle ragioni di fatto della decisione, nonché delle ragioni di diritto poste a fondamento della stessa e di una esposizione logica che consente di cogliere il percorso logico-argomentativo che ha portato il Tribunale a rigettare le tesi dell’odierno ricorrente.
3.4 Il Tribunale toscano ha, infatti, rimarcato che la liquidazione della Corte d’Appello per i due gradi di giudizio dei compensi in favore dell’avv. NOME COGNOME nella misura di € 24.000, corrispondente ai medi tariffari, era parametrata alla somma effettivamente attribuita (pari ad € 223.349,59) rispetto alla quale
il valore iniziale della domanda risultava manifestamente sproporzionato.
Hanno, quindi, precisato i giudici dell’opposizione che la causa, dall’esame degli atti, non presentava elementi di complessità giuridica e fattuale che imponessero una diversa quantificazione rispetto alla liquidazione operata dalla Corte.
4 Il quarto motivo prospetta omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 1 comma nr. 5 c.p.c.) costituito dalla complessità dei giudizi e della complessa attività difensiva profusa dal ricorrente con particolare riferimento al numero delle domande svolte da COGNOME NOME e alle vicende processuali.
4.1 Il motivo è, all’evidenza, inammissibile in quanto è espressione di un mero dissenso rispetto al predetto inequivoco accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità.
4.2 La censura, infatti, pur veicolando formalmente il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, lamenta, in sostanza, che l’esame di tale fatto, compiuto dal giudice, non sia conforme alla lettura che di esso vorrebbe dare il ricorrente: argomento, tuttavia, non coerente con la censura sollevabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. che consente di lamentare l’omissione dell’esame di un fatto storico controverso e decisivo per il giudizio e non la valorizzazione di tale fatto in un senso differente da quello voluto dalla parte (Cass. 14929/2012 e 23328/2012).
5 Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2720, 2721, 2722,2723,2724 c.c. 115, 116 e 244 c.p.c. e 98 e 99 l.fall., in relazione all’art . 360 1 comma nr 3 e 4 c.p.c.: si ascrive al Tribunale di aver erroneamente dichiarato inammissibile la prova testimoniale sul contenuto del bilancio richiesta dal ricorrente mentre lo stesso aveva chiesto di provare la circostanza circa l’avvenuto inserimento nel bilancio delle due notule.
5.1 Anche tale motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
5.2 Ancora una volta la censura non coglie la ratio decidendi : il Tribunale, infatti, ha in primo luogo precisato che il bilanci non sono stati mai prodotti dall’opponente, in secondo luogo ha affermato, che anche ove fosse stato dimostrato l’inserimento della notula nel bilancio, circostanza che il ricorrente avrebbe voluto provare per testi, tale fatto non è vincolante per il Fallimento che è terzo ‘ rientrando nella competenza del Giudice Delegato in sede di ammissione al passivo la verifica della corretta quantificazione delle pretese creditorie sulla base della effettiva attività svolta e dei parametri applicabili’.
Tale ragione decisoria non risulta oggetto di specifica confutazione.
6 In conclusione il ricorso è infondato.
7 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
la Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, Iva e Cap.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio tenutasi in data 14 gennaio