Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22466 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22466 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13353/2020 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da se stesso e dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec dei difensori;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso l’ordinanza della TRIBUNALE di MILANO (RG 40007/2018), depositata il 12/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
Avv. NOME COGNOME adì il Tribunale di Milano domandando di ingiungere a Banca di Credito Cooperativo di Milano soc. coop. il pagamento del compenso professionale per le attività giudiziali e stragiudiziali prestate, per un importo complessivo pari ad euro 39.699,12, oltre a interessi moratori di cui al D.M. 238/92 e spese di lite.
1.1. Il Tribunale adito, applicato il rito di cui all’art. 14, d. lgs. n. 150/2011, emise decreto ingiuntivo n. 15036/2018 per il predetto importo.
1.2. A seguito dell’opposizione dell’ingiunta, i l Tribunale respinse la domanda dell’avv. NOME COGNOME e, per l’effetto, revocò il decreto ingiuntivo, rigettando anche le domande subordinate proposte dall’opposto.
2.1. Questi, in sintesi, gli argomenti salienti dell’ordinanza che qui vengono in rilievo.
L’eccezione di giudicato implicito proposta dal professionista non poteva essere accolta.
Nega, in particolare, il Tribunale che il giudicato nascente dal decreto ingiuntivo n. 1395/2018, R.G. 13134/2017 del Tribunale di Monza, divenuto irrevocabile per mancata tempestiva opposizione, potesse avere influenze sulla vicenda in esame. Esso, infatti, spiega il Giudice, <>.
Rigetta l’eccezione di frazionamento indebito del credito proposta dalla Banca, sul presupposto che l’abusivo frazionamento può rilevarsi solo in presenza di unicità del rapporto obbligatorio.
Il preteso credito era frutto di errore dell’intimante.
L’avvocato aveva fatto riferimento ai parametri di cui al d.m. n. 55/2014, presupponendo la vigenza del contratto di assistenza professionale del 16/12/1996 intervenuto fra le parti e nel quale erano richiamate le tariffe del 2014.
Era, per contro, infondata l’alternativa ricostruzione dell’opponente, secondo la quale il contratto del 1996 era stato sostituito dalla convenzione predisposta nel 2013, richiamata nel nuovo accordo del 2974/2015, con la quale il COGNOME <>.
Le parti avevano, quindi, inteso distinguere <>.
Era <>.
La interpretazione dell’accordo del 2015 perorata dall’opposto si poneva in contrasto con il criterio di buona fede e con la condotta delle parti. A suffragio di quest’ultimo profilo il Tribunale precisa: <>.
<>, prosegue l’ordinanza impugnata, deve rilevarsi <>.
Il Tribunale trae ulteriore sostegno argomentativo dal fatto che l’accordo era stato redatto su carta intestata dello studio legale del professionista e costui <>.
Meritava rigetto l’eccezione di nullità, proposta in via di subordine dall’opposto, dell’accordo del 2015 per violazione del cd. ‘equo compenso’ di cui all’art. 13 bis della legge professionale
forense, introdotto dalla l. n. 172, 4/12/2017 e modificato dalla l. n. 205, 27/12/2017 ed entrato in vigore, quindi, in epoca successiva al 16/11/2017, allorquando il professionista aveva rinunciato al mandato, non potendosi assegnare efficacia retroattiva alla norma in assenza di specifica previsione di legge, in violazione dell’art. 11 delle preleggi, conclusione questa coerente con il principio enunciato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 17405/2012, secondo il quale la liquidazione dei compensi in sede giudiziaria va effettuata in base alla normativa in vigore al momento in cui risulta essersi completata l’attività professionale.
Alla luce delle superiori considerazioni, esaminate le singole pratiche, il Tribunale conclude nel senso che al professionista nulla è dovuto.
L ‘avv. NOME COGNOME propone ricorso straordinario sulla base di otto motivi. La Banca di Credito Cooperativo di Milano soc. coop. resiste con controricorso, proponendo, a sua volta ricorso incidentale, con due motivi, contrastato da avverso controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art 2909 cod. civ., per avere il Tribunale rigettato l’eccezione di giudicato.
Il ricorrente sostiene che attraverso motivazione irriducibilmente contraddittoria il Tribunale aveva stravolto la portata della decisione di legittimità n. 19113/2018, la quale aveva affermato l’esistenza del giudicato sostanziale promanante dal decreto ingiuntivo non opposto, tale da coprire l’esistenza del titolo, del rapporto e l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi.
Dal decreto divenuto irrevocabile discendeva l’accertamento definitivo della circostanza che i rapporti tra le parti erano regolati
esclusivamente dalla convenzione fra le stesse stipulata nei primi anni Novanta del secolo scorso.
4.1. Il motivo è infondato.
Va richiamata la condivisa motivazione con la quale questa Corte con la sentenza n. 12905 del 14/5/2025 ha disatteso analoga doglianza mossa a riguardo della medesima vicenda.
<>.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione 1362 segg. cod. civ., 132 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost.
Il ricorrente addebita al Tribunale di avere violato le norme sull’ermeneutica negoziale, assegnando alle parole una valenza contraria al loro chiaro significato letterale, privilegiando un’interpretazione contrastante con criterio di buona fede e col significato complessivo dell’accordo del 2015, il cui contenuto era stato esteso alle pratiche non incluse nell’elenco allegato al negozio, che costituivano la più gran parte, nel mentre l’accordo doveva intendersi limitato solo alle pratiche indicate nell’elenco. Né, il Giudice aveva tenuto conto del disposto dell’art. 1370 cod. civ., che opta per l’interpretazione favorevole alla parte più debole, da individuarsi nel professionista che aveva contratto con un’impresa ‘forte’, quale doveva reputarsi l’opponente.
Per giungere all’avversata conclusione, prosegue il COGNOME, la decisione aveva ignorato i documenti prodotti dall’opposto e le stesse dichiarazioni confessorie provenienti dalla controparte.
Inoltre, la decisione era sostenuta da un costrutto motivazionale apparente, non esplicitante le ragioni del decidere e basato su argomenti logicamente contraddittori tra loro.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ. 115 cod. proc. civ., imperniandosi la critica sull’asserito omesso apprezzamento degli indici probatori favorevoli alla tesi del ricorrente.
Con il quarto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ. sull’interpretazione del contratto e degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
A ulteriore sviluppo e completamento dei precedenti due ultimi motivi il ricorrente lamenta, oltre alla violazione delle regole interpretative, l’errato apprezzamento probatorio, addebitando alla decisione di avere <>. Tutto ciò, si soggiunge, nonostante le dichiarazioni confessorie e i documenti prodotti, anche dalla controparte.
Con il quinto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2233 e 2234 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ., nonché 132 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost.
Si assume l’erroneità della decisione per avere affermato che dalla circostanza che le fatture emesse dall’opposto non recavano
la dicitura ‘acconto’ doveva trarsi il convincimento che l’importo indicato dovesse reputarsi integralmente soddisfattivo del compenso per l’attività prestata.
Una tale conclusione, sostiene il ricorrente, oltre a violare l’art. 2234 cod. civ., si pone in contrasto con la documentazione prodotta.
Infine, ove il Tribunale avesse ammesso la chiesta prova per testi sul punto, ogni dubbio sarebbe rimasto fugato.
I motivi dal secondo al quinto, fra loro intimamente connessi, sono infondati.
9.1. Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, avendo il Tribunale reso motivazione ben comprensibile, articolata e puntuale.
9.2. La denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
9.3. Costituisce principio consolidato l’affermazione secondo la quale per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. n. 659037 -01). Ipotesi, questa, che qui non ricorre affatto.
9.4. La vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, <> (ex pluribus, Cass. nn. 15381/2004, 13839/2004, 13579/2004, 5359/2004, 753/2004, 18587/2012; si veda inoltre, per la ricchezza di richiami, Cass. n. 2988/2013; da ultimo, Cass. n. 2050/2024).
Nonostante gli sforzi profusi dal ricorrente, il richiamo alle norme regolanti l’interpretazione del negozio risulta privo di specifica critica della decisione nel senso sopra enunciato. Manca, in definitiva, un’apprezzabile, in quanto puntuale e specificamente connessa alla norma asseritamente disattesa, critica del ragionamento del Tribunale.
9.5. Nel dettaglio, le conclusioni cui giunge l’ordinanza, frutto di plausibile e ragionevole ricostruzione del fatto, risultano, quindi vanamente avversati.
Le fatture vennero emesse non a titolo di acconto e sul punto la spiegazione del ricorrente – il quale crede di trarre dal contenuto dell’art. 2234 cod. civ. argomento per affermare che trattavasi di acconti non assume valenza tale da meritare d’imporsi sulla motivazione del Tribunale, la quale non è in questa sede censurabile.
Significativamente la decisione impugnata evidenzia la piena consapevolezza dello stipulante odierno ricorrente, dotato di competenze specifiche in quanto avvocato, emblematico uso della carta intestata dello studio del COGNOME per redigere il contratto.
Quelle che vengono indicate come affermazioni confessorie potrebbero, al più, costituire indizi d’ammission e, privi di rilievo decisivo.
La fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché, quando tale rapporto sia contestato, non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio (sez. 2, n. 299, 12/01/2016, Rv. 638451 -01; conf. Cass. n. 34831/2024) e la circostanza che il ricorrente trae opposta conclusione sulla base dei documenti richiamati, dai quali sarebbe dato ricavare la volontà di considerare i pagamenti come meri acconti, costituisce valutazione contrapposta che non incide sul complessivo vaglio di merito.
9.6. In conclusione, il complesso censorio risulta diretto a un complessivo e improprio riesame di una pluralità di apprezzamenti di merito.
In assenza di elementi probatori, aventi valenza decisiva, pretermessi o, al contrario, reputati sussistenti a dispetto del vero, la pretesa del ricorrente, il quale perora un’alternativa ricostruzione, è inammissibile. Per vero, il giudice è libero di valorizzare un apporto probatorio piuttosto che un altro, purché renda motivazione.
Sul punto questa Corte ha condivisibilmente affermato che, in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante -costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Sez. 3, n. 37382, 21/12/2022, Rv. 666679 -05).
Quanto all’asserita omessa ammissione di prova per testi sul punto, a parte la non decisività della circostanza (che costituisce solo un tassello del mosaico probatorio), l’asserto è comunque inammissibile per difetto di specificità sotto il profilo dell’autosufficienza.
10. Con il sesto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2233 cod. civ., del d.m. n. 55/14 e del d.m. n. 127/04, dell’art. 13 bis della L.P.F., come introdotto dal d.l. n. 16.10.17 n. 148 (c.d. Decreto Fiscale 2018 istitutivo del c.d. ‘Equo Compenso’), nonché agli artt. 24, 35 e 36 Cost., per non essere stato ritenuto applicabile il cd. ‘equo compenso’, infine degli artt. 12 e 115 cod. proc. civ.
Inoltre, si sostiene che i compensi relativi alle partite in contestazione violavano l’art.2233 cod. civ. per la loro irrisorietà lesiva del decoro professionale
10.1. Il motivo è infondato.
Anche in questo caso conviene richiamare, in quanto condivisa, la sentenza di questa Corte n. 12905/2025.
<>.
Va, inoltre, soggiunto che la denuncia di violazione del decoro professionale è inammissibile per difetto di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza, poiché ignoti gli elementi concreti sulla base dei quali, se del caso, misurare la dedotta violazione.
11. Con il settimo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2233, 2234 e 1372 cod. civ., nonché degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., assumendosi che il Tribunale, a tutto in tesi concedere, aveva violato la pattuizione del 2015 nel determinare i compensi spettanti al professionista in relazione alle pratiche indicate.
11.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente evoca pretese discrasie rispetto all’accordo negoziale in questa sede non verificabili, non potendo conoscere il Giudice di legittimità l’effettiva entità e qualità degli incombenti professionali svolti, il valore delle cause trattate, l’ammontare dell’eventuale liquidazione giudiziaria. Nel resto trattasi di discordanze che non colgono la ‘ratio decidendi’, in quanto afferenti a quanto ricevuto rispetto a quanto assunto come preteso.
11. Con l’ottavo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2233 e 2234, 1364, 1372 e 1374 cod. civ., 24, 35 e 36 Cost., 112 e 115 cod. proc. civ., nonché insufficiente motivazione ex art. 360, co.1 n.5, cod. proc. civ., in relazione alla decisione riguardante la gestione del contenzioso tra la Banca e Acquario RAGIONE_SOCIALE, che aveva permesso il recupero di 152.000 euro.
11.1. Il motivo è inammissibile.
Va rilevato che la doglianza non attinge la ‘ratio decidendi’. L’ordinanza afferma: <>.
Inoltre, la critica è insondabile per difetto di puntuale specificità.
12. Con il primo motivo del ricorso incidentale viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. all’art. 111 Cost., 1175 e 1375 cod. civ., per avere la decisione rigettato l’eccezione <>.
12.1. Il motivo, diretto a rimettere in gioco questione posta dalla Banca senza successo nella sede di merito, nella quale è rimasta, tuttavia, integralmente vincitrice, avrebbe potuto essere qui esaminato nel solo caso in cui il ricorso principale avesse trovato una qualche accoglienza, dovendosi intendere, quindi, condizionato a una tale evenienza, non verificatasi. Di conseguenza, resta assorbito.
13. Con il secondo motivo viene denunciata nullità della pronuncia per violazione degli artt. 134 cod. proc. civ. e 111 Cost., per avere l’ordinanza impugnata contraddittoriamente affermato che la convenzione del 2013 non aveva forza di contratto, nonostante che in base a essa il RAGIONE_SOCIALE avesse emesso fatture prima della stipulazione del contratto del 2015.
13.1. Il motivo è inammissibile per mancanza d’interesse: non presuppone alcuna soccombenza su questione, ma tende soltanto a modificare la motivazione di rigetto della domanda dell’avv. COGNOME
Respinti, nel loro complesso, entrambi i ricorsi, in ragione della reciproca soccombenza le spese del presente giudizio possono compensarsi per intero fra le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quella incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
respinge il ricorso principale e quello incidentale e compensa fra le parti le spese legali del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quella incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 maggio