Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9418 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9418 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
Oggetto: Mediazione – Provvigione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5035/2022 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZOcontroricorrente –
RAGIONE_SOCIALE DI COGNOME NOME e DI COGNOME NOME
avverso la sentenza n. 3228/2021, emessa dalla Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 3/9/2021 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 marzo 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con citazione del 28/10/2014, COGNOME Gaetano convenne in giudizio COGNOME NOME, in proprio e quale procuratore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, al fine di ottenere la condanna del predetto al pagamento della somma di euro 1.000.000,00, a lui dovuta a titolo di compenso pattuito con la scrittura privata del 31/08/2009, esponendo che era stato incaricato dal convenuto di ricercare soggetti interessati a realizzare un centro commerciale sui terreni, siti in Terracina, di proprietà sua e dei Di Mondo e i relativi finanziamenti; che egli aveva individuato la RAGIONE_SOCIALE, con la quale, in data 29/08/2009, era stato stipulato un contratto di opzione, poi trasferito alla RAGIONE_SOCIALE; che, con separata scrittura privata del 31/08/2009, il Votta si era obbligato a corrispondergli il corrispettivo di euro 1.000.000,00 per lo svolgimento di questa ricerca e assistenza; che, nel frattempo, il progetto era mutato, essendosi optato per la realizzazione di un parco acquatico; che le parti erano addivenute alla redazione di una bozza di contratto preliminare, da sottoscriversi a cura del Votta, della RAGIONE_SOCIALE e del finanziatore, individuato nella HSBC; che questo contratto non era stato sottoscritto a causa della mancata acquisizione delle necessarie autorizzazioni amministrative e del rifiuto del venditore e che, avendo espletato il proprio incarico, aveva maturato il diritto a ricevere il compenso nella
misura pattuita, non essendogli imputabile la mancata realizzazione del progetto e della conclusione dell’affare (mancanza di autorizzazioni amministrative, mancanza di acquisizione di alcuni suoli, improvvisa modifica delle trattative, rifiuto del convenuto di versare l’acconto di euro 200.000,00 chiesto dalla controparte all’atto della sottoscrizione del preliminare).
Costituitosi in giudizio, COGNOME NOME chiese il rigetto della domanda e l’autorizzazione alla chiamata in causa di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE nei cui confronti propose domanda riconvenzionale volta ad ottenere la loro condanna, solidale o alternativa, alla restituzione delle spese sostenute e al risarcimento del danno e, in via subordinata, al pagamento delle somme pretese nei suoi confronti dall’attore.
Costituitasi in giudizio, la RAGIONE_SOCIALE chiese, in via riconvenzionale, la condanna del convenuto-chiamante al risarcimento del danno patito in conseguenza del fallimento delle trattative, quantificato in € 2.230.000,00.
Costituitasi in giudizio, la RAGIONE_SOCIALE chiese la condanna del convenutochiamante ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ. per lite temeraria.
Il Tribunale rigettò la domanda attorea e dichiarò l’inammissibilità di quelle riconvenzionali, condannando il convenuto al risarcimento per lite temeraria in favore della RAGIONE_SOCIALE
Il giudizio di gravame, interposto da COGNOME Gaetano con citazione del 17/6/2019, si concluse, nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE e di COGNOME NOMECOGNOME che propose anche appello incidentale sulle domande riconvenzionali da lui proposte, con la sentenza n. 3228/2021 pubblicata il 03/09/2021, con la quale la Corte d’Appello di Napoli rigettò l’appello principale e quello incidentale, confermando interamente la sentenza impugnata.
Contro la predetta sentenza, COGNOME Gaetano propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati anche con memoria. RAGIONE_SOCIALE si difende con controricorso, illustrato anche con memoria. Si difende altresì con controricorso anche COGNOME NOME, mentre RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME e COGNOME NOME sono rimasti intimati.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1324, 1363, 1367 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito errato sulla natura giuridica dell’obbligo assunto nei suoi confronti da COGNOME NOME di pagargli la somma richiesta, derubricandolo a mero proposito e privandolo di propria giuridica rilevanza, senza considerare che la condizione apposta al medesimo, ossia la realizzazione dell’allegata cessione per il tramite del general contractor, non esonerava il Votta dall’obbligo di adempiere allorché la mancata realizzazione della cessione a terzi del progetto edilizio-commerciale fosse dovuta a fatto proprio e fosse, dunque, a lui addebitabile, come accaduto nella specie e accertato dai giudici allorché lo avevano condannato alle spese del giudizio nei confronti delle due società chiamate in causa, e che la mancata realizzazione dell’affare era dovuta all’assenza delle autorizzazioni amministrative necessarie al suo sviluppo, peraltro mai richieste, che aveva privato di efficacia il diritto di opzione accreditato alla RAGIONE_SOCIALE
In tal modo, i giudici avevano violato l’art. 1367 cod. civ., che impone di interpretare le intese contrattuali nel senso in cui possono avere un qualche effetto.
Con il secondo motivo di ricorso, la falsa applicazione degli artt. 1387, 1754 e 1755 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., e la violazione dell’art. 1355 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto insussistente il diritto del ricorrente ad ottenere il pagamento del compenso, siccome non fondato su un obbligo contrattuale, ma finalizzato a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare, come in caso di stipula di un contratto di opzione idoneo a vincolare soltanto una delle parti.
Il ricorrente ha sul punto evidenziato come i giudici avessero errato allorché avevano qualificato in termini di mediazione – e non di esperto procacciatore oneroso di affari -il proprio operato, consistito nell’individuazione di un general contractor al fine di realizzare il complesso edilizio-commerciale.
Inoltre, anche sotto tale aspetto, non poteva disconoscersi il diritto del ricorrente ad ottenere il pagamento di quanto dovutogli per l’attività prestata e consistita nella ricerca, individuazione e reperimento del soggetto controinteressato, atteso che il diritto di opzione, che aveva legato il Votta alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE, era idoneo a dar luogo ad un vincolo giuridico che abilitava le parti ad agire per l’esecuzione specifica e/o per il risarcimento dei danni. Pertanto, la Corte di merito aveva errato nel ritenere insussistente un siffatto obbligo in difetto della irrevocabilità della proposta e nel negare applicabilità all’art. 1331, primo comma, cod. civ., non avendo tenuto conto degli effetti negoziali dell’avvenuta accettazione della proposta e della sostanziale conclusione dell’accordo preliminare conseguente all’opzione stessa, nonché della sanzione, prevista dall’art. 1355 cod. civ., in caso di condizione meramente potestativa perché dipendente dalla mera volontà dell’obbligato.
3.1 I primi due motivi, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione siccome fondati entrambi sulla qualificazione
del contratto e sugli effetti da essa derivanti, presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.
Al riguardo occorre prendere le mosse dalla sentenza della Corte d’Appello, la quale ha fondato la decisione di rigetto del gravame, sulla base, per un verso, della ravvisata sottoposizione a condizione sospensiva dell’accordo intercorso il 31/8/2009 tra il ricorrente e COGNOME NOME, come emergente dall”interpretazione letterale’ della scrittura, e, per altro verso, della qualificazione dello stesso in termini di mediazione.
Si è ritenuto, infatti, che la corresponsione del prezzo pattuito per l’attività svolta e per quella da svolgere fosse stata dalle parti sottoposta alla condizione del ‘buon esito dell’operazione’ e che l’imputabilità a COGNOME Giuseppe o a RAGIONE_SOCIALE del suo mancato avverarsi non assumesse rilevanza per COGNOME NOME, né fosse da questo deducibile, neppure sotto il profilo della buona fede, in quanto l’affare era, nella specie, costituito da un patto di opzione ex art. 1331 cod. civ., il quale, in quanto elemento di una fattispecie a formazione progressiva nella quale solo l’accettazione avrebbe comportato il perfezionamento del contratto, non poteva considerarsi affare in senso economico-giuridico, identificandosi il momento costitutivo del diritto del mediatore alla provvigione nella sottoscrizione di un contratto definitivo o preliminare idoneo ad attribuire alla parte non inadempiente l’esercizio degli strumenti finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l’oggetto finale del progetto abortito.
3.2 Orbene, occorre innanzitutto evidenziare come l’interpretazione di un atto negoziale sia tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione
dell’ iter logico seguito per giungere alla decisione), sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di un’interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12/7/2007, n. 15604; Cass. 22/2/2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. 2, 15/5/2018, n. 11823; Cass. 7500/2007; 24539/2009).
Nella specie, il ricorrente, a fronte di un’interpretazione letterale del contratto operata dai giudici di merito, si è limitato a prospettare una sua diversa qualificazione, senza sostanzialmente individuare le violazioni alle regole ermeneutiche a suo dire riscontrate, se non quelle afferenti agli artt. 1364 e 1367 cod. civ., che impongono, rispettivamente di provvedere all’interpretazione complessiva delle
clausole e di attribuire, nel dubbio, alle clausole esaminate un significato idoneo ad attribuire ad esse un qualche effetto.
Né l’una, né l’altra sono state però spiegate adeguatamente nelle censure, ove si consideri che, nel primo caso, l’interprete, una volta che ha compiuto l’esegesi del testo, è chiamato a ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti e quindi a verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime (Cass., Sez. 6-3, 8/11/2022, n. 32786; Cass., Sez. 3, 10/05/2016, n. 9380), violazione questa non chiarita nei suoi esatti confini dal ricorrente, e che, nel secondo, la lettura alternativa dell’accordo, sostenuta nel ricorso, non porterebbe a risultati differenti rispetto a quelli propri della mediazione tipica.
3.3 Come affermato in più occasioni da questa Corte, infatti, la mediazione e il procacciamento di affari, benché si differenzino per il fatto che mentre il mediatore opera in maniera imparziale, il procacciatore d’affari agisce su incarico di una delle parti interessate alla conclusione dell’affare e dalla quale, pur non essendo a questa legato da un rapporto stabile ed organico (a differenza dell’agente), può pretendere il compenso, sicché sono applicabili a quest’ultimo, in via analogica, le disposizioni del contratto d’agenzia, mantengono in comune la prestazione di un’attività di intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione di un affare, con conseguente applicazione di alcune identiche disposizioni in materia di diritto alla provvigione (Cass., Sez. 2, 4/9/2020, n. 18489; Cass., Sez. 2, 20/12/2016, n. 26360; Cass., Sez. 2, 24/2/2009, n. 4422; Cass., Sez. 3, 16/12/2005, n. 27729; Cass., Sez. 2, 6/4/2000, n. 4327).
Tale distinzione è stata confermata dalle Sezioni unite di questa Corte, le quali hanno chiarito che il mediatore e il procacciatore d’affari individuano due distinte figure negoziali, la prima tipica e la
seconda atipica, che si differenziano per la posizione di imparzialità del mediatore rispetto a quella del procacciatore, atteso che, mentre il primo mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza, acquisendo il diritto ad ottenere la provvigione ex art. 1755 cod. civ. solo quando la conclusione dell’affare è il risultato del suo intervento, purché sia iscritto nel ruolo degli agenti di affari di mediazione (ora segnalazione di inizio di attività certificata cui fa seguito l ‘ iscrizione nel registro delle imprese ovvero nel repertorio delle notizie economiche), il secondo è un collaboratore occasionale, la cui attività promozionale è normalmente attuativa del rapporto intercorrente con il preponente, dal quale soltanto può pretendere il pagamento della provvigione, sicché egli è collaboratore della società preponente (o dell’agente di quest’ultima), e svolge un’attività, caratterizzata dall’assenza di subordinazione e dalla mancanza di stabilità, consistente nella segnalazione di potenziali clienti e nella raccolta di proposte di contratto ovvero di ordini, senza intervenire nelle trattative per la conclusione dei contratti, restando il suo compito limitato a mettere in contatto le parti su incarico di una di queste (Cass., Sez. U, 2/8/2017, n. 19161).
In definitiva, la mediazione atipica è fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche a una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale), il quale rientra parimenti nell’ambito di applicabilità della disposizione prevista dall’art. 2, comma quarto, della legge n. 39 del 1989, che, per l’appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione, stante la rilevanza, nell’atipicità, che assume il connotato della mediazione, alla quale si accompagna l’attività ulteriore in vista della
conclusione dell’affare (Cass., Sez. U, 2/8/2017, n. 19161; Cass., Sez. 3, 5/9/1996, n. 19066; Cass., Sez. 3, 8/7/2010, n. 16147).
Alla stregua di tali principi, deve allora ritenersi che la mediazione atipica, riconducibile al procacciatore d’affari, non si discosti affatto, quanto ad oggetto e diritto alla provvigione, dalla mediazione tipica, alla quale è accomunata sia dall’oggetto, ossia dalla possibilità che l’attività richiesta non si riduca alla sola intermediazione immobiliare, come chiaramente evincibile dal comma 3 dell’art. 2, della legge n. 39 del 1989, non modificata, sotto questo profilo, dal d.lgs. d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, che, nel sopprimere il ruolo di cui al comma 1 del ridetto art. 2 e nel disporre la soggezione delle attività disciplinate da tale legge a segnalazione certificata di inizio di attività, ha mantenuto la distinzione nelle tre sezioni del ruolo degli agenti immobiliari, degli agenti merceologici e degli agenti muniti di mandato a titolo oneroso, sia dalla necessità che, salvo diverso accordo, il diritto alla provvigione insorga in presenza dei due requisiti della conclusione dell’affare e del nesso di causalità c.d. adeguata tra essa e l’attività del mediatore, propri della mediazione tipica, salvo naturalmente diverso accordo.
Quando poi il pagamento della provvigione venga pattiziamente svincolato dall’esito dell’operazione, l’oggetto dell’attività demandata abbia natura giuridica e manchi il requisito dell’imparzialità, viene a configurarsi un contratto di mandato, il quale consente al mandante, su cui incombe l’obbligo di attivarsi per la conclusione dell’affare, di pretendere il pagamento della provvigione dalla sola parte che gli ha attribuito l’incarico, senza necessità della sua iscrizione all’albo ex art. 2 legge n. 39 del 1989, restando indifferente l’effettiva conclusione dell’affare (in questi termini, Cass., Sez. 2, 10/1/2019, n. 482; Cass., 14/7/2009, n. 16382).
Orbene, risulta, nella specie, che COGNOME NOME aveva stipulato con RAGIONE_SOCIALE in data 29/8/2009, un contratto di opzione irrevocabile, che attribuiva alla società la facoltà di accettare entro ventiquattro mesi i diritti di proprietà di una serie di terreni, da cui solo sarebbe derivata la contestuale insorgenza del contratto preliminare, e si era altresì accordato con COGNOME Gaetano, con la successiva scrittura del 31/8/2009, perché riconoscesse a quest’ultimo il compenso per l’attività svolta o da svolgere per il buon esito dell’operazione, quantificandola in euro 1.000.000,00, subordinandone, condizionatamente, il pagamento allo scioglimento della riserva prevista nel contratto di opzione da parte della GP Holding s.r.l. e fissando la data del pagamento al momento dell’incasso del prezzo di vendita, così da riprodurre pattiziamente, nella sostanza, i requisiti propri per l’insorgenza del diritto alla provvigione del mediatore, quantunque unilaterale e, dunque, atipico, ossia la conclusione di un affare tra parti messe in relazione dal mediatore (art. 1754 cod. civ.) e il rapporto causale (c.d. causalità adeguata) tra quest’ultimo e l’attività intermediatrice (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403; Cass., 08/04/2022, n. 11443; Cass. 3134/2022, 7029/2021, 5495/2021, 4644/2021, 3055/2020; Cass., Sez. 3, 20/12/2005, n. 28231).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, deve intendersi per ‘conclusione dell’affare’ ciò che, nel linguaggio comune, è l’equivalente del contratto (Cass., Sez. 3, 12/4/2005, n. 7519), che le parti hanno, nella specie, avuto cura di specificare ulteriormente richiedendo l’esercizio del diritto di opzione, e per ‘causalità adeguata’ la situazione nella quale la conclusione dell’affare sia effetto causato adeguatamente dall’intervento del mediatore (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403), sussistente quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, così da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, sempre
che questo possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell’opera dell’intermediario tale che, senza di essa, il contratto stesso non si sarebbe concluso (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403; Cass., 08/04/2022, n. 11443; Cass. 3134/2022, 7029/2021, 5495/2021, 4644/2021, 3055/2020; Cass., Sez. 3, 20/12/2005, n. 28231), che le parti hanno sostanzialmente dato per assodato.
Per quanto detto, nessun errore è riscontrabile nella decisione dei giudici di merito, allorché hanno applicato al contratto esaminato la disciplina propria della mediazione, nei termini sopra specificati.
4.1 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame circa la gradata domanda di riduzione equitativa dell’entità della somma dovuta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., e la falsa applicazione degli artt. 345 e 359 cod. proc. civ., quanto alla supposta sua inammissibilità siccome ritenuta tardiva, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello rigettato, ritenendola nuova, la domanda di riduzione equitativa dell’entità del compenso convenuto in relazione alle prestazioni realmente eseguite, che era stata proposta subordinatamente al rigetto di quella principale, allorché fosse stata considerata non realizzata la condizione frapposta al pagamento dell’intero importo, evidenziando la responsabilità dell’appellato e il suo diritto alla rimunerazione dell’attività prestata.
I giudici non avevano considerato che detta domanda incideva sul solo petitum , lasciando, però, immutato il fatto giuridico costitutivo del diritto originariamente vantato, e che già con l’atto di citazione era stata chiesta, in subordine, la condanna dell’appellato al pagamento di una somma ridotta rispetto a quella dovuta, costituendo, dunque, la domanda di liquidazione equitativa, una consentita mera emendatio dell’originaria pretesa.
4.2 Il terzo motivo è infondato.
Questa Corte ha, infatti, avuto modo di affermare che la modificazione della domanda ammessa in corso di causa può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa ( petitum e causa petendi ), purché la domanda così modificata risulti comunque inerente alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e siano rispettate le preclusioni processuali previste dall’art. 183 cod. proc. civ., sicché detta modificazione, qualora avvenga dopo la scadenza del termine ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., risulta inammissibile, mentre qualora sia formulata per la prima volta in appello, costituisce un novum inammissibile, vietato dall’art. 345, primo comma, cod. proc. civ. (Cass., Sez. 3, 21/11/2017, n. 27566).
Esclusa, dunque, la possibilità, alla stregua del suddetto principio, di una emendatio della domanda in appello, come, invece, preteso dal ricorrente e correttamente rilevata dai giudici di merito, deve ulteriormente evidenziarsi come la mancata conclusione dell’affare, nei termini specificati nell’accordo concluso tra le parti, impedisca il riconoscimento della richiesta liquidazione equitativa del compenso, non essendo insorto il presupposto della pretesa.
5.1 Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione del principio della soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ. quanto alle spese del giudizio di primo grado, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito confermato la condanna alle spese del ricorrente sulla base del principio della soccombenza, oltretutto basandosi su una motivazione fondata sulla ragione più liquida e dando rilievo assorbente al tenore letterale della pattuizione, con riduzione del diritto dell’appellante, senza invece tener conto della condotta inadempiente dell’appellato che aveva condotto alla sua condanna al pagamento delle spese in favore delle due società chiamate in causa.
5.2 Il quarto motivo è parimenti infondato.
Infatti, questa Corte ha costantemente affermato che, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e che, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è conseguentemente limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass., Sez. 1, 4/8/2017, n. 19613).
Ne consegue che, in presenza della soccombenza della parte in entrambi i gradi del giudizio, i rilievi sollevati non sono suscettibili di sindacato di legittimità, con conseguente infondatezza della censura.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei motivi, il ricorso deve essere respinto.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00, quanto a RAGIONE_SOCIALE ed euro 5.000,00 quanto a NOME COGNOME per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 marzo 2025.