Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10057 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10057 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18446/2024 r.g. proposto da:
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliato presso i suoi uffici siti in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso , dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e notifiche relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati,
elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 3881/2024, depositata il 30/5/2024
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’ 11 /4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. depositato il 6/2/2019 la società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, titolare di depositeria giudiziaria autorizzata, conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Roma il Ministero dell’Interno, al fine di ottenere il pagamento della somma di euro 377.069,64, quale differenza tra il corrispettivo di euro 66.881,54, ricevuto dalla prefettura di Roma, a titolo di oneri di custodia di n. 68 veicoli sottoposti a provvedimenti di sequestro, fermo amministrativo e rimozione a seguito di violazioni del codice della strada e «alienati in via straordinaria» ai fini della rottamazione ex art. 38 del decreto-legge n. 269/2003, convertito in legge n. 327 del 2003, e il maggiore importo spettante di euro 443.951,18, applicando invece le tariffe prefettizie vigenti al momento della alienazione straordinaria, dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 92 del 22/5/2013, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, nella parte in cui aveva introdotto tariffe in deroga quello ordinario.
Il tribunale di Roma, con ordinanza del 10/2/2020, rigettava la domanda, ritenendo inapplicabile la pronuncia della Corte costituzionale n. 92 del 2013, trattandosi di «rapporto esaurito».
Avverso tale sentenza proponeva appello la società RAGIONE_SOCIALE con atto di citazione notificato l’11/3/2020.
In particolare, la società deduceva l’erroneità della sentenza di prime cure, che aveva ritenuto rilevante «La circostanza che i provvedimenti amministrativi relativi alla alienazione, rottamazione dei veicoli e liquidazione del compenso non siano stati impugnati o contestati dal custode, affermando che il rapporto dedotto in causa vada considerato esaurito ai fini dell’applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 92/2013».
Per la società la sentenza della Corte costituzionale non avrebbe inciso sugli effetti irreversibili che si erano verificati «prima della pronuncia di incostituzionalità», quali «la cessazione della custodia a seguito della alienazione dei veicoli e la loro legittima rottamazione», ma esclusivamente «sul meccanismo di quantificazione delle spese, che avrebbe portata retroattiva».
Per l’appellante, dunque, il provvedimento di alienazione aveva un duplice contenuto: da un lato, l’alienazione dei veicoli ai custodi, verso il quale andava proposto ricorso al giudice amministrativo, nell’ordinario termine di decadenza di 60 giorni; dall’altro, la quantificazione delle spese di custodia, avverso il quale era possibile proporre ricorso al giudice ordinario nel termine decennale di prescrizione.
In ordine al secondo aspetto, dunque, il rapporto «non potrebbe ritenersi esaurito», avendo quindi il creditore diritto di reclamare le maggiori somme dovute per effetto della pronuncia di illegittimità costituzionale «per non essere maturato il termine di prescrizione».
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3881/2024, depositata il 30/5/2024, accoglieva l’appello della società RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale muoveva dalla considerazione che la società aveva svolto attività di custode di 68 veicoli sottoposti a
provvedimento di fermo, sequestro e rimozione, a seguito di contestazione di illecito amministrativo, per violazione delle norme del codice della strada, «entrati nel deposito dal 1984 al 2001».
Il corrispettivo per l’attività espletata, a titolo di custodia, era stato stabilito e liquidato con decreto della prefettura di Roma n. 53/2009 del 2/12/2009, che aveva disposto «l’alienazione ai soli fini della rottamazione, dei veicoli, mediante cessione al custode stesso»; ciò sulla base delle «tariffe in deroga previste dall’art. 38, comma 6, del decreto-legge 269/2003».
La statuizione del giudice di prime cure che aveva ritenuto esaurito il rapporto, con conseguente impermeabilità dello stesso alla pronuncia della Corte costituzionale n. 92 del 2013, che aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 38, commi 2,4,6 e 10 della decretolegge n. 269 del 2003, era errata.
la Corte territoriale richiamava la giurisprudenza di legittimità per cui gli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale non si estendevano ai rapporti ormai esauriti, riguardando le ipotesi in cui si fosse formato il giudicato oppure «altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo ovvero si siano prodotte preclusioni processuali, decadenze o prescrizioni, non direttamente investite, nel loro presupposti formativi, dalla pronuncia di incostituzionalità (si citano Cass. n. 14085 del 2020; Cass. n. 10598 del 2020).
Nella specie, però, la sentenza della Corte costituzionale n. 9 del 2013 non poteva spiegare effetti nell’odierno giudizio, in quanto alla data di pubblicazione della stessa «il rapporto tra le parti in causa non poteva dirsi esaurito in modo definitivo, nel senso che nessun giudicato si era formato sulla questione per cui è causa e non risultava essere decorso il termine prescrizionale o decadenziale».
In sostanza – ad avviso del giudice di secondo grado – poiché l’attrice aveva agito in forza di un diritto soggettivo di credito, relativo ad un rapporto negoziale, a prescindere dalla circostanza che la controparte fosse una amministrazione statale, la cui tutela spettava al giudice ordinario, «nessun consolidamento o esaurimento del rapporto può dirsi verificato per effetto della mancata impugnazione del decreto prefettizio n. 53/2009, essendo del tutto estraneo a tale ambito la trattazione dell’argomento relativo alla quantificazione del credito dell’odierna parte appellante».
Si richiamava la giurisprudenza di legittimità per cui l’effetto estintivo del pagamento eseguito in base a norma dichiarata incostituzionale cessa con la dichiarazione di incostituzionalità, sicché il creditore che non ha ricevuto il pagamento ha diritto di pretenderlo e il debitore che ha pagato ha diritto di ripetere il pagamento divenuto indebito da chi lo ha ricevuto (Cass. n. 20863 del 2010; Cass. n. 15431 del 2004).
Neppure poteva attribuirsi carattere negoziale (di rinuncia parziale al credito) all’emissione da parte della società di fatture di importo inferiore a quello dovuto dall’amministrazione (si tratta delle cinque fatture emesse negli anni 2010 e 2012).
Pertanto, non si era formato il giudicato e neppure era stata sollevata dal Ministero convenuto l’eccezione di prescrizione, che tra l’altro era quella decennale e decorreva dalla data del decreto prefettizio n. 53/2009, con cui era stata disposta l’alienazione dei veicoli mediante cessione al custode ed era insorto l’obbligo del pagamento delle spese di custodia.
Pertanto, per la Corte d’appello, la liquidazione del compenso spettante alla società RAGIONE_SOCIALE per l’attività di custodia svolta prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 269 del 2003, «va effettuata in base alle tariffe ordinarie di cui all’art. 12 del d.P.R. n.
571 del 1982 (con rinvio anche agli usi locali), da cui decurtare l’importo di euro 66.381,54 percepito in base alle tariffe in deroga».
In ordine alla quantificazione del credito, la società aveva elaborato nel ricorso introduttivo un analitico dettagliato conteggio sulla base dei numerosi precisi dati riportati nell’elenco allegato al decreto prefettizio n. 53 del 2009.
Per ciascuno dei 68 veicoli erano riportati il numero dei giorni di custodia, la tariffa applicabile, l’importo totale spettante e quello residuo ancora dovuto dalla prefettura, per i giorni alla stessa addebitabili.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’interno.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
Con l’unico motivo il ricorrente deduce la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30, legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché dell’art. 29 C.P.A., dell’art. 2909 c.p.c. e dell’art. 38 d.l. 269/2003 e dell’art. 12 del d.P.R. 29 luglio 1982, n. 571».
Per il ricorrente i precedenti di legittimità citati dalla Corte d’appello non erano attinenti alla fattispecie in esame, in quanto «non hanno avuto alla loro base un procedimento amministrativo complesso e laborioso come quello delineato dall’art. 38 D.L. 30 settembre 2003, n. 269 il cui atto finale (l’adozione del decreto 53/2009, nel caso di specie) ha determinato la quantificazione degli importi dovuti».
Sarebbe allora evidente l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nel reputare che non si erano verificate circostanze, quali la formazione del giudicato, idonea a determinare l’esaurimento del rapporto negoziale.
In realtà, ad avviso della ricorrente, il rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE e il Ministero doveva considerarsi esaurito «in quanto la situazione debitoria della prefettura si è consolidata con l’adozione del decreto prefettizio 53/2009 del 2 dicembre 2009, cui è seguita, da un lato, la rottamazione dei veicoli interessati dal procedimento amministrativo di cui all’art. 38 D.L. 30 settembre 2003, n. 269 ; dall’altro, l’integrale liquidazione del compenso (peraltro effettivamente pagato) senza che i corrispondenti provvedimenti amministrativi siano stati in alcun modo contestato impugnati».
Per il ricorrente, dunque, sarebbe stata imprescindibile, ai fini dell’applicabilità degli effetti della pronuncia della Corte costituzionale invocata, l’impugnazione, entro il termine decadenziale di 60 giorni ex art. 29 c.p.a. del suddetto decreto di liquidazione».
Tra l’altro, il procedimento di cui al d.P.R. n. 571 del 1982 risulta complesso, implicando necessariamente apprezzamenti valutativi, anche di natura tecnica, che non possono essere omessi e non possono essere ricostruiti ex post , ossia una volta emanato il decreto da parte dell’amministrazione.
Pertanto, per il ricorrente, il custode che pretenda una nuova determinazione del credito che gli spetta a seguito della pronuncia di incostituzionalità del decreto legge n. 269/2003 non può rivolgersi direttamente al giudice ordinario per ottenere il maggior importo preteso, «ma è tenuto a svolgere tempestivamente l’azione di annullamento innanzi al giudice amministrativo».
In assenza di impugnazione del decreto di liquidazione entro il termine di 60 giorni, il rapporto non potrebbe più essere messo in discussione, dovendo ritenersi esaurito, «a prescindere dalla decorrenza di un termine di prescrizione di un diritto che, all’evidenza, non è tale».
2. Il motivo è infondato.
2.1. Deve muoversi dall’art. 12 del d.P.R. 29/7/1982, n. 571 (Norme per l’attuazione degli articoli 15, ultimo comma, e 17, penultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, concernente modifiche al sistema penale), che disciplina i compensi previsti per i custodi degli autoveicoli sequestrati, per violazione delle norme del codice della strada.
2.2. In particolare si prevede che «salvo che la custodia sia affidata al soggetto riconosciuto responsabile della violazione o ad uno dei soggetti con il medesimo solidalmente obbligato, il custode, nominato ai sensi del terzo comma dell’art. 7 ovvero del primo comma dell’art. 8, ha diritto al rimborso di tutte le spese sostenute per assicurare la conservazione delle cose sequestrate, che siano idoneamente documentate».
Si stabilisce, poi, al secondo comma dell’art. 12 citato che «il custode può anche essere autorizzato dall’autorità indicata nel primo comma dell’art. 18 della legge ad avvalersi di ausiliari, quando ciò sia necessario per le operazioni connesse all’incarico affidatogli». Di particolare rilievo è quanto previsto al comma 3 dell’art. 12 citato per cui «la liquidazione delle somme dovute al custode, ivi comprese quelle sostenute per gli ausiliari, è effettuata dall’autorità di cui al primo comma dell’art. 18 della legge, tenuto conto delle tariffe vigenti e degli usi locali, a richiesta del custode dopo che sia divenuto inoppugnabile il provvedimento che dispone la confisca ovvero che sia stata disposta la restituzione delle cose sequestrate, con la provvedimento in duplice originale uno dei quali è consegnato all’interessato».
Emerge in modo chiaro da tale disposizione che il diritto al pagamento del compenso si prescrive a decorrere dalla data in cui
diventa inoppugnabile il provvedimento che dispone la confisca oppure una volta disposta la restituzione delle cose sequestrate.
Tuttavia, successivamente è intervenuto l’art. 38 del decretolegge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326.
La nuova disciplina prevede due novità: da un lato l’alienazione «straordinaria» in favore del custode; dall’altro la diversa quantificazione dei compensi spettanti custodi.
L’art. 38, comma 2, del decreto-legge n. 269 del 2003 stabilisce che «fermo quanto previsto dagli articoli 213, comma 2quater , e 214, comma 1, ultimo periodo, in relazione al trasferimento della proprietà dei veicoli sottoposti a sequestro amministrativo o a fermo, per i veicoli confiscati l’alienazione si perfeziona con la notifica al custode-acquirente, individuata ai sensi del comma 1, del provvedimento dal quale risulta la determinazione all’alienazione da parte dell’Agenzia del demanio».
Al comma 4 dell’art. 38 si prevede che «il corrispettivo dell’alienazione è determinato dalle amministrazioni procedenti in modo cumulativo per il totale dei veicoli che ne sono oggetto, tenuto conto del tipo e delle condizioni dei veicoli, dell’ammontare delle somme dovute al depositario-acquirente, computate secondo i criteri stabiliti nel comma 6, in relazione alle spese di custodia, nonché degli eventuali oneri di rottamazione che possono gravare sul medesimo depositario-acquirente».
Al comma 6 è prevista la quantificazione del compenso, in misura forfettaria. Si stabilisce, infatti che «al custode è riconosciuto, in deroga alle tariffe di cui all’art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 571, un importo complessivo forfettario, comprensivo del trasporto, calcolato, per ciascuno degli
ultimi 12 mesi di custodia, in euro 6,00 per i motoveicoli ed i ciclomotori, in euro 24,0 per gli autoveicoli ed i rimorchi ».
Al comma 10 dell’art. 38 citato si chiarisce che «le procedure di alienazione o rottamazione straordinaria che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono state avviate dalle singole prefetture-uffici territoriali del governo, qualora non ancora concluse, sono disciplinate dalle disposizioni del presente articolo. In questo caso i compensi dovuti ai custodi e non ancora liquidati sono determinati sensi del comma 6, anche sulla base di una autodichiarazione del titolare della depositeria, salvo che a livello locale siano state individuate condizioni di pagamento meno onerose per l’erario».
È intervenuta quindi la pronuncia della Corte costituzionale n. 92 del 2013 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 38, commi 2,4,6 e 10 del decreto-legge n. 269 del 2003.
La Corte costituzionale ha evidenziato che la nuova normativa ha previsto un meccanismo di «alienazione coattivo del mezzo, in favore del soggetto terzo (depositario), al quale lo stesso deve essere affidato in custodia». Ciò al fine di ovviare alle conseguenze derivanti dalla lunga permanenza dei veicoli in giacenza presso le depositerie.
Si è dunque previsto che i veicoli giacenti presso le depositerie o quelli non alienati per mancanza di acquirenti, purché immatricolati per la prima volta da oltre cinque anni e, comunque, custoditi da oltre 2 anni alla data del 30 settembre 2003, «sono alienati, anche ai soli fini della rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito», con applicazione di tariffe «in deroga» a quelle di cui all’art. 12 del d.P.R. n. 571 del 1982.
Per la Corte costituzionale, la nuova disciplina aveva generato una sorta di innovazione del rapporto intercorrente tra le parti: da un lato, il custode, o depositario, del veicolo è divenuto un acquirente
ex lege del medesimo; dall’altro, l’originaria liquidazione delle somme dovute al custode, in base alle tariffe previste dall’art. 12 del d.P.R. n. 571 2082, è stata sostituita con il riconoscimento di un importo complessivo forfettario.
Pertanto, il legislatore ha «stravolto in alcuni dei suoi elementi essenziali» il rapporto tra depositario e amministrazione, al di fuori, peraltro, della previsione di qualsiasi meccanismo di concertazione o di accordo.
Né può trascurarsi «la portata discriminatoria della norma denunciata anche nel quadro dei rapporti non definiti, posto che restano assoggettate al previgente sistema (anche tariffario) situazioni di custodia di veicoli immatricolati in tempi più recenti custoditi da meno tempo, mentre vengono, invece, sottoposti al nuovo regime rapporti di custodia già esauriti ma non ancora liquidati».
Era assente, insomma, la causa normativa adeguata che consente, in ordine agli effetti pregiudizievoli rispetto a diritti soggettivi perfetti che trovino la loro base in rapporti di durata di natura contrattuale convenzionale, e rende accettabile la posizione del titolare del diritto compromesso, attraverso contropartite intrinseche allo stesso disegno normativo.
Nella specie, per la Corte costituzionale, però, ciò non si era verificato «dal momento che gli interessi dei custodi – assoggettati, ratione temporis , al nuovo e, per i profili denunciati, pregiudizievole, regime di rapporti e di determinazione dei relativi compensi risultano essere stati compromessi in favore della controparte pubblica, senza alcun meccanismo di riequilibrio ed in ragione, esclusivamente, di un risparmio per l’erario, che non può certo assumere connotati ragionevolmente, lato sensu , espropriativi».
Resta da risolvere, a questo punto, la questione in ordine alla circostanza relativa all’esaurimento o meno del rapporto tra la società RAGIONE_SOCIALE e il Ministero, per quanto concerne i compensi spettanti per il deposito delle autovetture sequestrate, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 92 del 2013.
È evidente, infatti, che gli effetti ex tunc della pronuncia della Corte costituzionale riguarda esclusivamente i rapporti non ancora esauriti.
Più volte questa Corte si incaricata di individuare i rapporti esauriti, e li ha individuati, in un caso (Cass., sez. 1, 25/9/2018, n. 22771), nella definitività del riparto fallimentare al pari di quella dell’omologazione del concordato fallimentare, trattandosi in entrambi i casi della cristallizzazione del passaggio dalla posizione di creditore concorsuale (sulla base dello stato passivo) a creditore concorrente (sulla base della regolazione giudiziale, nel primo caso, o consensuale nel secondo).
Si ritiene, dunque, che le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi – dichiarative di illegittimità costituzionale – eliminano la norma con effetto ” ex tunc “, con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perché l’illegittimità costituzionale ha per presupposto l’invalidità originaria della legge – sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale – per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli effetti dell’incostituzionalità non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite,
nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (Cass., sez. 1, 20/11/2012, n. 20381; Cass., sez. L, 7/7/2016, n. 13884; anche Cass., sez. 2, 30/1/2025, n. 2258).
Per il Ministero dell’Interno il rapporto sarebbe esaurito, in quanto la società RAGIONE_SOCIALE non ha proposto impugnazione nel termine di decadenza di 60 giorni, dinanzi al giudice amministrativo avverso il provvedimento prefettizio n. 53 del 2/12/2009, con il quale era stata disposta la rottamazione dei veicoli, oltre all’integrale liquidazione del compenso in misura forfettaria.
Altra e diversa interpretazione è quella fornita dalla Corte d’appello, per la quale, invece, il rapporto non era esaurito, trattandosi di diritto soggettivo di credito relativo ad un rapporto negoziale «la cui tutela spetta al giudice ordinario» sicché nessun consolidamento o esaurimento del rapporto poteva dirsi «verificato per effetto della mancata impugnazione del decreto prefettizio n. 53/2009».
Risulta preferibile la seconda interpretazione, peraltro propria la corte con l’ordinanza 21/10/2024, numero 2702, in articolo 38 del decreto-legge 269 del 2003.
Infatti, viene rigettato ricorso per cassazione articolato da Ministero dell’Interno, contenente profili di indeterminatezza ed inammissibilità.
Con la precisazione, però, in motivazione «la Consulta, nella sentenza numero 92/2013, ha posto in risalto che, avendo la normativa di dato luogo alla elusione dell’originaria di somme dovute custode secondo le tariffe previste dall’articolo 12 d.p.r. 82 con il riconoscimento di un importo complessivo forfettario determinato in deroga dei vecchi, era evidente che, a seguito della declaratoria di nullità con effetto, le ragioni giuridiche disciplina della norma non potevano essere regolate da norme previgenti all’entrata in vigore
della normativa, in vigore delle quali i rapporti di causa erano, peraltro, sorti».
Nell’ordinanza n. 27202 del 2024 di questa corte si reputa inapplicabile l’articolo 1, comma 444 della legge n. 97/2013, in quanto attinente diversa fattispecie dei «veicoli giacenti presso le depositerie autorizzate» o «comunque custoditi da oltre 2 anni, anche se non confiscati» e non a veicoli rottamati danni.
8.1. Deve muoversi dalla considerazione che l’art. 38 del decreto-legge n. 269 del 2003 ha riguardato 2 diversi aspetti, sia pure complementari tra loro: da un lato l’alienazione delle auto oggetto di sequestro in favore del depositario (e ciò per evidenti ragioni di economia e risparmio per l’erario); dall’altro la previsione di una liquidazione, non più ancorata all’art. 12 del d.P.R. n. 571 del 1982, e quindi alle tariffe vigenti e agli usi locali, ma in qualche misura forfettizzata.
La Corte costituzionale, però, con la sentenza n. 92 del 2013 è intervenuta solo sui commi 2,4,6 e 10 del decreto-legge n. 269 del 2003, ossia solo sulle disposizioni che trattavano del corrispettivo dell’alienazione al custode-acquirente.
Pertanto, non risulta esaurito, dopo la pronuncia della Corte costituzionale, il rapporto negoziale esistente tra il depositario della pubblica amministrazione, con il conseguente diritto di credito da parte depositario che si prescrive in 10 anni.
8.2. In sostanza, il decreto-legge n. 269 del 2003, dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 92 del 2013, ha inserito un’ulteriore ipotesi di decorrenza del termine di prescrizione del diritto di credito del depositario.
Pertanto, tale diritto deve essere esercitato dal depositario dopo che sia divenuto inoppugnabile il provvedimento che dispone la confisca, oppure dopo che sia stata disposta la restituzione delle cose
sequestrate o, a seguito del decreto-legge n. 269 del 2003, dopo l’alienazione del bene al custode depositario.
Per questa Corte, infatti, il rapporto tra il custode e la pubblica amministrazione presenta caratteri privatistici, assimilabile al contratto di deposito oneroso (Cass., 7/7/2003, n. 10672).
Ciò significa che il compenso diventa di regola esigibile nel momento in cui la cosa viene restituita, dovendosi considerare che «solo nel momento in cui il deposito cessa diviene realmente possibile il computo definitivo del dare e dell’avere tra le parti».
Pur presentando connotati pubblicistici tale rapporto, tuttavia, il computo del dare e dell’avere diventa in concreto possibile solo al termine della custodia, ex art. 12 del d.P.R. n. 571 del 1982.
In tema di determinazione del compenso spettante al custodedepositario, trattandosi di diritto soggettivo (Cass., 12/7/2000, n. 15602), la giurisdizione è del giudice ordinario.
Ciò trova conferma nella sentenza costituzionale (n. 92/2013) che ragiona in termini di diritti soggettivi perfetti, identificando quale area nella quale essa interviene i: «rapporti di custodia che, come puntualizza il giudice a quo, risultano ratione temporis iscritti in un «regime ‘intermedio’, perché ricompresi nella ‘finestra’ temporale rappresentata, da un lato, dai rapporti già esauriti ed eventualmente non ancora liquidati (sulla base delle vecchie tariffe) all’entrata in vigore delle modificazioni apportate dall’art. 38 citato; e, dall’altro, dai rapporti (a loro volta pendenti alla data di entrata in vigore della legge di riforma) aventi ad oggetto custodie iniziate dopo il 1° ottobre 2001, ovvero concernenti veicoli privi dei suddetti requisiti di vetustà (assoggettati anch’essi alle vecchie tariffe)».
9.1. Si è ritenuto, in giurisprudenza amministrativa (Cons. giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 16/9/2010, n. 1215), che tale tipologia di controversia ha essenzialmente ad oggetto la
determinazione dei compensi, per gli oneri di custodia dei veicoli, ove si contesti l’entità delle somme liquidate per l’espletamento del servizio pubblico di custodia e di successiva alienazione delle auto ex art. 38 del decreto-legge n. 269 del 2003.
In tal caso «la lite verte, quindi, in materia di obbligazioni, di fonte legale, connesse all’esercizio di un servizio pubblico e investe diritti soggettivi correlati a prestazioni patrimoniali imposte ex art. 23 Costituzione»; sicché «deve concludersi in ossequio ai criteri di riparto dettati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204/2004 nel senso dell’appartenenza della controversia alla giurisdizione del giudice ordinario, posto che motivi di impugnativa si dirigono contro la determinazione (avente in parte qua contenuto paritetico) dei corrispettivi dovuti dall’amministrazione sulla base di norme e tariffe prestabilite» (Cons. giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 16/9/2010, n. 1215).
9.2. Anche questa Corte, a sezioni unite, ha stabilito che la materia dei pubblici servizi forma oggetto della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo quando la P.A. agisca esercitando il suo potere autoritativo, ma – attesa la facoltà ad essa riconosciuta dalla legge di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo – non anche quando le pretese creditorie del privato ineriscano unicamente a diritti patrimoniali di derivazione strettamente convenzionale, essendo insufficiente il generico coinvolgimento, nella controversia, di un pubblico interesse per giustificare la giurisdizione del giudice amministrativo. Ne consegue che deve riconoscersi la giurisdizione del giudice ordinario allorché si controverta in ordine alla spettanza e alla misura del compenso dovuto, in base alla concessione, al custode di veicolo sottoposto a sequestro amministrativo (Cass., Sez.U., 12/5/2006, n. 10979).
Pertanto, solo con riferimento al provvedimento di alienazione dei beni in favore del depositario-aggiudicatario è possibile discettare di rapporto esaurito, in assenza di tempestiva impugnazione da parte del depositario, mentre risulta del tutto distinta la posizione creditoria del custode in ordine alla corretta determinazione del compenso.
Ed infatti, con riferimento al provvedimento di alienazione emesso ai sensi dell’art. 38 del decreto-legge n. 269 del 2003, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che «la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 38 del D.L. n. 269 del 2013, del quale l’atto impugnato costituisce – per espresso riconoscimento dello stesso Ministero appellato – mera e vincolata applicazione, comporta anche la caducazione di questo, per l’immediato, diretto e dedotto nesso di illegittimità derivata, potendosi prescindere dall’esame delle restanti censure dal cui ipotetico accoglimento l’appellante non riceverebbe alcuna utilità ulteriore (Cons. Stato., sez. III, 9/4/2014, n. 1691).
Non determinante è peraltro il riferimento, fatto in controricorso, a Cons. Stato, sez. III, 8182/2023, nel quale la determinazione del corrispettivo del custode era rimasta innanzi al GA sulla base di un precedente giudicato amministrativo.
Del resto tale pronuncia non risulta neppure in termini in quanto, in tal caso, il provvedimento amministrativo di alienazione al custode depositario era stato impugnato per l’erronea individuazione dei mezzi in sequestro, tanto che il provvedimento impugnato «non conteneva la determinazione del corrispettivo, che veniva espressamente rimesso a un momento successivo (per molteplici ragioni, fra le quali anche il già esistente contenzioso giudiziale con gli odierni appellanti in ordine a quali fossero le tariffe da applicare)».
Per tale ragione il giudice amministrativo ha ritenuto che era «giuridicamente infondata la pretesa di parte appellante di ‘scindere’ il procedimento di quantificazione dei veicoli da alienare da quello di determinazione del corrispettivo, dovendo le determinazioni su entrambi gli aspetti essere adottate uno actu alla stregua della normativa applicabile» (Cons., Stato., sez. III, 5/9/2023, n. 8182).
Proprio in ragione dell’errore commesso nella quantificazione dei veicoli, il giudice amministrativo ha affermato che «accertato che sussista il potere dell’amministrazione di provvedere al computo dei veicoli, calcolando contestualmente il corrispettivo, l’annullamento del provvedimento di chiusura del procedimento (decreto prot. 336100 dell’1 ottobre 2020), perché affetto da errori nel conteggio del numero dei veicoli, comporta come normale conseguenza il riesercizio del potere in capo alla stessa prefettura».
La questione riguardava, dunque, il rapporto tra il numero dei veicoli, da quantificare esattamente, ed il corrispettivo spettante per alienazione degli stessi al custode-depositario.
Per questa Corte (Cass., sez. 3, 19/3/2014, n. 634), del resto, a seguito della parziale dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 38 del decreto-legge n. 269 del 2003, i criteri e le procedure previsti da tale disposizione non incidono sulla liquidazione del compenso spettante al depositario di veicoli sottoposti a sequestro, fermo amministrativo e confisca per l’attività di custodia svolta prima della sua entrata in vigore.
Nella specie si trattava delle impugnazioni proposte dal Ministero avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore del custode depositario per le spese sopportate per la custodia dei veicoli.
Proprio in virtù dell’intervenuta sentenza della Corte costituzionale n. 92 del 2013, non considerando in alcun modo il
provvedimento amministrativo che aveva disposto l’alienazione dei veicoli, questa Corte ha cassato la sentenza d’appello che aveva accolto la tesi del Ministero («ne consegue che la sentenza deve essere cassata in ragione della sopravvenienza normativa determinata dalla sentenza del giudice delle leggi, dovendo i motivi, la dove contestavano l’applicabilità della normativa dichiarata illegittima, trovare accoglimento per tale assorbente ragione, cioè perché la norma non esiste più ed è stata eliminata dall’ordinamento ab origine (dati in notori effetti ex tunc delle pronunce di dichiarazione di incostituzionalità), sicché è indubbia la rilevanza della pronuncia sul presente giudizio» (Cass., sez. 3, 19/3/2014, n. 6340).
Non rilevano, invece, le pronunce del giudice amministrativo nelle quali i custodi avevano impugnato tempestivamente i provvedimenti della PA con cui si disponeva l’alienazione dei veicoli sequestrati (Cons. Stato., sez. III, 24/9/2013, n. 4683; TAR Lazio, sez. I, Roma, 24/5/2017, n. 6139).
In tali casi, era evidente la permanenza del rapporto, che non poteva certo dirsi esaurito.
Si può allora concludere, nella specie, che il rapporto negoziale non era affatto esaurito, permanendo il diritto del depositario a ricevere la differenza tra quanto liquidato in suo favore dalla p.a., in modo forfettario, e quanto invece a lui spettante in base alla disciplina ordinaria, non essendo decorso il termine di prescrizione di 10 anni.
13.1. Del resto, questa Corte, proprio con riferimento alla disciplina di cui al decreto-legge n. 269 del 2003, ha stabilito che in tema di sequestro amministrativo di veicoli, il diritto del custode al pagamento della relativa indennità è soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale, che inizia a decorrere dal momento in cui
il diritto può esser fatto valere, cioè dal giorno in cui la custodia cessa (Cass., sez. 1, 21/10/2024, n. 27202).
Questa Corte, ha richiamato in motivazione gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 93 del 2013, aggiungendo che «era evidente che, a seguito della declaratoria di incostituzionalità con effetto ex tunc, le situazioni giuridiche disciplinate dalla norma incostituzionale non potevano che essere regolate dalle norme vigenti all’entrata in vigore di tale normativa, e nel vigore delle quali i rapporti di custodia di cui è causa erano, peraltro, sorti».
Le spese del giudizio di legittimità, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
Il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P .R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. 5955/2014; Cass. 1778/2016).
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in
complessivi euro 10.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 aprile 2025