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Compenso commissario giudiziale: criterio unificato

Una società ha impugnato la liquidazione del compenso del commissario giudiziale in un concordato preventivo interrotto. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo un criterio unificato per il calcolo del compenso commissario giudiziale, basandolo sull’attivo inventariato a prescindere dalla natura del piano (continuità o liquidazione), al fine di eliminare irragionevoli disparità di trattamento.

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Compenso commissario giudiziale: la Cassazione sceglie un criterio unificato

La determinazione del compenso commissario giudiziale all’interno delle procedure di concordato preventivo rappresenta un tema di cruciale importanza, che interseca principi di equità e ragionevolezza. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale, superando una distinzione normativa che generava significative disparità di trattamento. La decisione stabilisce un criterio unitario per la liquidazione del compenso, basato sull’attivo inventariato, indipendentemente dal fatto che il piano concordatario sia in continuità o liquidatorio.

I fatti del caso: la controversia sul compenso

Una società per azioni aveva presentato un piano di concordato preventivo che prevedeva sia la continuazione diretta dell’attività aziendale, sia la cessione di alcuni asset, tra cui l’azienda stessa e un capannone industriale. La procedura, tuttavia, non aveva raggiunto le maggioranze necessarie per l’approvazione ed era stata dichiarata improcedibile prima della fase di omologa.

Il Tribunale di merito aveva liquidato il compenso finale a favore del commissario giudiziale calcolandolo sull’attivo risultante dall’inventario, in conformità con quanto previsto per i concordati in continuità. La società ha impugnato tale decisione, sostenendo che il calcolo avrebbe dovuto basarsi sull’attivo realizzato, dato che il piano includeva anche attività di tipo liquidatorio.

Il ricorso in Cassazione e i motivi di doglianza

La società ricorrente ha basato il proprio ricorso su due motivi principali:
1. Violazione di legge: Si contestava l’errata applicazione della normativa (art. 5 del D.M. 30/2012), sostenendo che, in presenza di attività liquidatorie, il parametro corretto per il calcolo del compenso dovesse essere l’attivo effettivamente realizzato e non quello semplicemente inventariato.
2. Omesso esame di un fatto decisivo: Si lamentava che il Tribunale non avesse adeguatamente valutato la “prevalenza liquidatoria” del piano proposto, un elemento ritenuto decisivo per la scelta del criterio di calcolo.

Il compenso del commissario giudiziale e la svolta della Cassazione

La Corte di Cassazione, pur riconoscendo che il Tribunale aveva correttamente applicato la norma in base alla natura del piano, ha colto l’occasione per affrontare una questione di principio più ampia, portando a una significativa evoluzione giurisprudenziale sul tema del compenso commissario giudiziale.

Il superamento della distinzione tra attivo inventariato e realizzato

Richiamando propri recenti precedenti (Cass. 15790/2023 e 21959/2023), la Corte ha evidenziato come la distinzione tra attivo inventariato (per i concordati in continuità) e attivo realizzato (per quelli liquidatori) presenti “insormontabili incongruenze e profili di irragionevolezza”.

Questa dicotomia normativa genera infatti una notevole disparità di trattamento. Nel caso di specie, ad esempio, poiché la procedura si è arrestata prima dell’omologa, non è stato realizzato alcun attivo. Applicare il criterio dell’attivo realizzato avrebbe significato negare, di fatto, un compenso al commissario, nonostante l’intensa attività professionale svolta fino a quel momento. L’impegno del commissario nella fase che precede l’omologa è infatti comune a ogni tipo di concordato, a prescindere dalla sua finalità.

Il principio di ragionevolezza e uguaglianza

Per porre rimedio a questa irragionevolezza, la Corte ha deciso di disapplicare le disposizioni del D.M. 30/2012 nella parte in cui prevedono due diversi criteri di calcolo. Ha invece affermato la necessità di seguire un criterio unitario: quello dell’attivo inventariato, da temperare però in base all’effettivo impegno profuso dal professionista.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di evitare un’ingiusta disparità di trattamento e un eccesso di potere normativo. L’attività del commissario giudiziale, specialmente nella fase anteriore all’omologa, è sostanzialmente la medesima sia nei concordati in continuità sia in quelli liquidatori. Ancorare il suo compenso a un evento futuro e incerto come la liquidazione degli asset, soprattutto quando la procedura si interrompe, viola i principi di ragionevolezza ed equità.

La Corte ha quindi stabilito che il criterio corretto ed equo è quello di utilizzare come base di calcolo l’attivo inventariato, determinando poi in concreto la misura del compenso all’interno della forbice percentuale prevista dalla legge. Tale determinazione deve tenere conto della qualità e quantità dell’attività svolta dal commissario, con la possibilità di scendere anche al di sotto del “minimo assoluto” nell’ipotesi di arresto anticipato della procedura.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ma ha introdotto un principio di diritto di grande rilevanza pratica. La decisione consolida un nuovo orientamento giurisprudenziale che unifica i criteri per la determinazione del compenso commissario giudiziale, ancorandolo a un dato certo (l’attivo inventariato) e valorizzando l’effettiva attività svolta. Questa soluzione garantisce una maggiore equità e prevedibilità, tutelando la professionalità del commissario senza penalizzarlo per eventi, come l’interruzione della procedura, che non dipendono dal suo operato.

Come si calcola il compenso del commissario giudiziale se il concordato preventivo si interrompe prima dell’omologa?
Secondo la Corte di Cassazione, il compenso va calcolato utilizzando come parametro di riferimento l’attivo inventariato, anche se il piano aveva natura liquidatoria, poiché l’interruzione anticipata impedisce la realizzazione di qualsiasi attivo.

Perché la Cassazione ha superato la distinzione tra attivo inventariato e attivo realizzato per il calcolo del compenso?
La Corte ha ritenuto che tale distinzione crei insormontabili incongruenze e profili di irragionevolezza, generando una disparità di trattamento ingiustificata, dato che l’impegno professionale del commissario nella fase antecedente all’omologa è comune a ogni tipo di concordato.

Il giudice può adeguare il compenso del commissario in base all’attività effettivamente svolta?
Sì, la Corte ha stabilito che, pur partendo dal criterio unitario dell’attivo inventariato, il compenso deve essere determinato in concreto valutando l’impegno profuso, la qualità e la quantità dell’attività svolta, con la possibilità di scendere anche al di sotto dei minimi previsti in caso di arresto anticipato della procedura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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