Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3373 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3373 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21881 – 2017 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME domiciliato presso il prof. avv. NOME COGNOME da cui è rappresentato e difeso giusta procura allegata alla memoria di costituzione, con indicazione de ll’indirizzo pec ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME giusta procura a margine del controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. cronol. 8793/2017 del TRIBUNALE di FOGGIA, pubblicata il 4/8/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/5/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Nel 2016 la Banca Apulia convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Foggia, l’avv. NOME COGNOME proponendo opposizione avverso il decreto n. 88/2016 da lui ottenuto per l’importo di euro 390.167,48, oltre interessi e spese della procedura monitoria, a titolo di compenso professionale maturato per l’attività giudiziale prestata in suo favore in quarantadue giudizi.
Nel contraddittorio con l’avv. COGNOME con ordinanza collegiale n. cronol. 8793/2017 del 4/8/2017, resa ex art. 14 d.lgs. n. 150/2011 previo cambiamento di rito, il Tribunale in composizione collegiale , in parziale accoglimento dell’opposizione, liquidò in favore del difensore opposto la minor somma di euro 192.050,43, oltre le spese generali nella misura del 12%, IVA, CPA e interessi legali.
2.1. Per quel che ancora qui rileva, il Tribunale, in particolare, respinse l’eccezione di difetto di procura della Banca sollevata dall’avvocato opposto, rilevando che dalla delibera del 20 /9/2012, seppure diversa da quella richiamata nel mandato alle liti, risultava che il Direttore generale (già ritenuto, da questa Corte, soggetto avente la facoltà di promuovere azioni giudiziarie e di delegare la relativa procura alle liti), aveva conferito nuova procura speciale anche a NOME COGNOME e a NOME COGNOME che, in conseguenza, al momento del rilascio del mandato alle liti per l’atto di opposizione introduttivo del presente giudizio, avevano il pieno potere di rappresentare la banca e di nominare avvocati e procuratori.
Quindi, dichiarò inammissibili le domande riconvenzionali, proposte dall’avv. COGNOME con la comparsa di risposta , diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione, «potendo a tale principio logicamente derogarsi solo quando, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis ».
Negò, poi, l’applicabilità ai rapporti professionali per cui è giudizio del d.m. 55/2014, i cui parametri erano stati utilizzati dall’avvocato per quantificare le sue pretese, ritenendo operante la convenzione intercorsa con Veneto Banca Holding s.c.p.a. anche nei rapporti professionali con Banca Apulia, quale appartenente al gruppo.
Avverso questa ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’avv. COGNOME affidandolo a tre motivi, a cui Banca Apulia s.p.a. ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al numero 4 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., l’avv. COGNOME ha denunciato la nullità della sentenza e del procedimento per avere il Tribunale ritenuto validamente proposta l’opposizione a decreto ingiuntivo nonostante la manifesta inesistenza della procura alle liti; con un secondo profilo, articolato in riferimento al numero 5, il ricorrente ha prospettato l’omesso esame degli atti societari attributivi dei poteri di rappresentanza che costituirebbero, invece, fatto decisivo per una diversa decisione.
In particolare, il ricorrente ha rimarcato che la banca opponente, nello stesso giorno, aveva notificato, nei termini, l’ atto di opposizione
al decreto ingiuntivo, sia per posta elettronica certificata, sia mediante servizio postale ; nelle epigrafe dell’uno e dell’altro atto di opposizione era stato indicato quale legale rappresentante NOME COGNOME ma all’una e all’altr a copia dell’ atto di opposizione era stata allegata una procura invece rilasciata da NOME COGNOME nella procura allegata all’atto di opposizione notificato mediante posta elettronica certificata mancava la certificazione di autenticità del difensore prevista dalle regole tecniche; la procura allegata all’atto di opposizione notificato direttamente dal difensore era invece contenuta in un foglio autonomo, separato e distinto dall’atto notificato e non spillato; nel corso del giudizio di opposizione, quando ormai erano ampiamente decorsi i termini per la notifica e il deposito dell’atto di opposizione, la banca opponente aveva esibito una procura rilasciata da NOME COGNOME Ha aggiunto che, in ogni caso, sia NOME COGNOME che NOME COGNOME quali funzionari di Veneto Banca, deriverebbero il potere di nominare difensori dalla delega conferita dal Presidente del Consiglio di amministrazione di Banca Apulia, ma questa Corte di legittimità, con sentenza n. 261/2017, avrebbe già negato la sussistenza di questo potere di delega; in ogni caso, secondo giurisprudenza consolidata, l’inesistenza della procura per l’instaurazione del giudizio non potrebbe essere sanata con efficacia retroattiva ex art. 182, comma secondo, cod. proc. civ.
1.1. Il motivo è infondato. In senso opposto a quanto argomentato dall’avv. COGNOME nella sentenza n.261/2017 , invocata in ricorso, questa Corte ha proprio riscontrato, interpretando lo statuto, che, in base all’art. 23, punto 17, sono riservate all’esclusiva competenza del Consiglio di amministrazione le decisioni concernenti il conferimento di mandati e procure per determinati atti o categorie di atti anche a persone estranee alla banca; il sesto comma dell’art. 28 prevede poi che il Consiglio di amministrazione possa delegare la rappresentanza e
la firma sociale, per determinate categorie di atti, a terzi, fissando i limiti e le modalità della delega.
Nella sentenza qui impugnata, il Tribunale ha esplicitamente sottolineato che il conferimento a NOME COGNOME e a NOME COGNOME di procura speciale e, perciò, del potere di rappresentare la banca, promuovere giudizi e nominare avvocati e procuratori, è stato deliberato all’unanimità dal Consiglio di amministrazione nella determina del 20/9/2012, prima, cioè, del rilascio del mandato alle liti di cui all’atto di opposizione introduttivo del presente giudizio.
Il ricorrente, invero, invocando la sentenza n.261/2017 di questa Corte, non ha considerato che quella pronuncia di inammissibilità è stata fondata sulla mancata tempestiva produzione proprio della delibera del Consiglio di amministrazione del 20/9/2012, invece esaminata dal Tribunale nel provvedimento qui impugnato: in tal senso, la pronuncia richiamata a precedente non è in alcun modo significativa.
Quanto poi all’indicazione, nell’atto, di un nominativo diverso da quello che ha rilasciato la procura, le Sezioni unite di questa Corte, con l’o rdinanza n. 12445 del 19/04/2022, hanno già chiarito che, nel caso in cui nell’intestazione di un atto giudiziario sia indicata una determinata persona quale rappresentante legale della società cui l’atto è riferibile e la procura alle liti rilasciata a margine o in calce all’atto stesso risulti invece sottoscritta da un soggetto diverso, la discordanza configura un mero errore materiale che non incide sulla validità dell’atto, qualora si accerti che, come in questo caso, per quanto già detto, la procura è stata rilasciata da colui che riveste la qualità di legale rappresentante della società.
Quanto alla prima notifica dell’atto di citazione in opposizione, come rilevato da parte controricorrente, nella relata è contenuta la certificazione di autenticità della copia notificata del mandato rilasciato
in forma cartacea (è esplicitamente indicato il nome del file pdf contenente il mandato); ciò è sufficiente per escludere i vizi denunciati perché, secondo la normativa applicabile ratione temporis , «in caso di notifica di un atto giudiziario a mezzo PEC, la procura rilasciata su supporto analogico dalla parte al difensore, ai sensi dell’art. 16 undecies del d.l. n. 179 del 2012, deve essere da questi sottoscritta con firma autografa e, successivamente, trasformata in copia informatica di documento analogico, la cui conformità all’originale deve essere attestata dal difensore nella relata di notifica» (Cass. Sez. 1, n. 6318 del 02/03/2023); la materia resta regolata dagli artt. 16 decies , («potere di certificazione di conformità delle copie degli atti e dei provvedimenti») e 16 undecies (« modalità dell’attestazione di conformità»), commi 2 e 3, d.l. n. 179 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 221 del 2012, e dall’art. 19 -ter delle specifiche tecniche del Pct (decreto 28 dicembre 2015), nonché dall’art. 3 -bis l. n. 53 del 1994. P er l’art. 16 decies cit.: «i l difensore (…) quando deposita con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte o di un provvedimento del giudice formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attesta la conformità della copia al predetto atto; la copia munita dell’attestazione di conformità equivale all’originale o alla copia conforme dell’atto o del provvedimento»; per l’ art. 16 undecies , commi 2 e 3: «q uando l’attestazione di conformità si riferisce ad una copia informatica, l’attestazione stessa è apposta nel medesimo documento informatico. Nel caso previsto dal comma 2, l’attestazione di conformità può alternativamente essere apposta su un documento informatico separato e l’individuazione della copia cui si riferisce ha luogo esclusivamente secondo le modalità stabilite nelle specifiche tecniche stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia. Se la copia informatica è
destinata alla notifica, l’attestazione di conformità è inserita nella relazione di notificazione».
A ciò si aggiunga che, con la seconda notifica effettuata a mezzo del servizio postale (evidentemente pure tempestiva in riferimento alla sua data di spedizione), è stato trasmesso anche il mandato in forma cartacea contenente l’autenticazione della firma da parte del difensore e la necessità degli «spilli del difensore», come eccepita, è stata, invece, certamente superata nel l’interpretazione di questa Corte: il requisito della materiale congiunzione tra il foglio separato, con il quale la procura sia stata rilasciata e l’atto cui essa accede, come posto dall’art. 83, terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 1 della legge 27 maggio 1997, n. 141), non si sostanzia, infatti, nella necessità di una cucitura meccanica, ma è riscontrabile in un contesto di elementi che consentano, alla stregua del prudente apprezzamento di fatti e circostanze, di conseguire una ragionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui trattasi (Cass. Sez. 1, n. 2813 del 06/02/2018).
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al numero 4 del comma primo dell’art 365 cod. proc. civ., l’avvocato COGNOME ha lamentato la nullità della sentenza e del procedimento nella parte in cui sono state dichiarate inammissibili tutte le sue domande riconvenzionali, senza considerare che egli, pur qualificando la sua pretesa come domanda riconvenzionale, ha in realtà riproposto la domanda esercitata con il ricorso per ingiunzione e, in ogni caso, ha avanzato una domanda dipendente da quanto dedotto dall’opponente.
2.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Il Tribunale ha esplicitamente affermato, per motivare l’inammissibilità delle domande riconvenzionali, che «lo sbarramento processuale della domanda riconvenzionale dell’opponente comporta
parimenti l’inammissibilità della reconventio reconventionis spiegata a sua volta dall’attore/opposto , atteso che, nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione, potendo a tale principio logicamente derogarsi soltanto quando, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte».
Così decidendo, il Tribunale ha correttamente invocato il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, il convenuto opposto può proporre, con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata, una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni, chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta; ciò risponde, infatti, a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo e assicura comunque all’opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all’attore formale e sostanziale, dall’art. 183 cod. proc. civ. (cfr. Cass. Sez. 3, n. 32933 del 27/11/2023).
Ciò posto, in particolare, con la sua prima domanda riconvenzionale, l’opposto aveva insistito nella richiesta della differenza tra l’importo domandato con il ricorso per ingiunzione e quello
riconosciutogli con il decreto, per euro 313.527,34; con la seconda domanda, ha chiesto il pagamento di euro 59.423,84 quale compenso per la procedura esecutiva numero 165/2009; con la terza domanda riconvenzionale, ha chiesto euro 45.867,79 di cui euro 42.055,11 «dovuti per la posizione RAGIONE_SOCIALE» ed Euro 3.812,68 «per la posizione Di Nunzio»; con la quarta domanda ha chiesto Euro 412,07, quale differenza dovuta per effetto della parziale compensazione legale, ex art. 1241 e 1242 cod. civ. del debito di cui alla sentenza numero 859/2015 e il maggior credito da lui vantato per la fattura n. 18 del 7/1/2015, oltre interessi ex d.lgs. 231/2002 dalla data della messa in mora ovvero dalla domanda avanzata in monitorio al soddisfo; infine, con la quinta domanda riconvenzionale, ha chiesto il pagamento della somma di euro 16.050,32 dovuti per la posizione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE oltre interessi nella misura e con le decorrenze suindicate.
N ell’ordinanza impugnata, invero, il Tribunale ha comunque provveduto al riesame di ciascun credito come indicato in ricorso e, in tal senso, la dichiarazione di inammissibilità delle domande riconvenzionali non risulta aver specificamente investito la pretesa della differenza non riconosciuta in monitorio.
Per altro verso, tuttavia, il motivo di ricorso difetta di specificità perché con la censura avrebbe dovuto essere riportato -ma non è stato fatto – oltre al contenuto delle domande riconvenzionali, il contenuto del ricorso per decreto ingiuntivo e delle difese dell’opponente , così da illustrare le ragioni di ammissibilità delle pretese azionate in comparsa di risposta all’opposizione ; in particolare, avrebbe dovuto essere evidenziato perché, in fatto e in diritto, ciascun credito diverso da quello esaminato in ordinanza si riferisse alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio o attenesse allo stesso bene della vita sostanziale o fosse connesso per incompatibilità
all’originaria domanda ; queste allegazioni avrebbero consentito la verifica, in sede di legittimità, della fondatezza della censura.
L’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito -riconosciuto a questa Corte, nella fattispecie, perché denunciato è un error in procedendo – comunque deve essere contemperato con il principio di autosufficienza, cioè con la necessità che la parte riporti in ricorso gli elementi e i riferimenti che consentano di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio prospettato: a questa Corte, infatti, è consentito il controllo del corretto svolgimento dell’iter processuale, ma non, evidentemente, un’autonoma attività di indagine, negli atti, alla ricerca dei riscontri degli errori lamentati dal ricorrente.
A titolo di mero esempio, in ordinanza il Tribunale ha pure esaminato, tra gli altri, un credito relativo alla procedura esecutiva numero 165/2009 (in due punti della motivazione) e a una posizione di Cogeim; il ricorrente, tuttavia, non ha riferito se avesse preteso un diverso e ulteriore credito, né nulla ha precisato sui crediti relativi alle «posizioni» (così in ricorso) di Nova Fermi, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME e la fattura n. 18 del 7/1/2015; addirittura, ancora ad esempio, nell’argomentare la censura (par. 2.2.), il ricorrente ha sovrapposto le posizioni di Columpsi Matteo e RAGIONE_SOCIALE, senza spiegare se il primo sia soggetto giuridico coincidente con il secondo.
In conseguenza, questa Corte non può esaminare la fondatezza del secondo motivo.
Con il terzo motivo, articolato di riferimento al numero 3 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., l’avvocato COGNOME ha denunciato la violazione degli articoli 1362 e 1372 cod. civ., per avere il Tribunale applicato la convenzione imposta dalla banca opponente violando i parametri stabiliti dalla «tabella B» che ne costituiva parte
integrante; in particolare, non avrebbe riconosciuto le competenze relative alla fase decisoria, sebbene fossero state precisate le conclusioni nel giudizio indicato con «rg n. 5469/2009 (La Vallata)», nel giudizio «rg n. 375/2008 (COGNOME)», nel giudizio «rg n. 47/2008» e «rg n. 470/2009».
3.1. Il motivo è fondato negli stretti limiti di seguito precisati.
Preliminarmente deve rimarcarsi che è scongiurata l’inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, sebbene l’avv. COGNOME non abbia riportato il testo della tabella B di cui invoca l’erronea interpretazione e applicazione, né abbia prodotto, in alternativa, la stessa tabella B: la convenzione e la tabella B, infatti, sono state comunque prodotte dal controricorrente, sicché è stato possibile esaminare la censura.
Ciò puntualizzato, effettivamente la formulazione letterale della tabella B, applicabile alle cause indicate in convenzione come «passive», consente di ritenere che il compenso per la fase di decisione sia stato previsto anche per l’attività di partecipazione all’udienza di precisazione delle conclusioni, non rilevando se poi vi sia stata o non la deliberazione della sentenza: quali attività della fase di decisione, infatti, sono indicate «l’udienza di precisazione delle conclusioni, deposito delle memorie conclusionali, repliche e sentenza» e ciò implica che lo svolgimento anche di una sola tra queste attività sia sufficiente a fondare il diritto al compenso per la «fase di decisione».
Dalla descrizione, tuttavia , nell’ordinanza impugnata, delle attività svolte dall’avv. COGNOME nei quattro giudizi per cui è censura (null’altro, sul punto, è stato invece allegato in ricorso), si evince che in quelli indicati con «rg n. 375/2008 (COGNOME)», «rg n. 47/2008» e «rg n. 470/2009», il compenso per la fase di decisione non è stato riconosciuto perché l’udienza di precisazione delle conclusioni non si è svolta, ma è consistita in un mero rinvio; in tal senso, fondatamente
non è stato liquidato nessun compenso, atteso che non è stata ravvisata alcuna attività remunerabile, né sul punto il ricorrente ha diversamente dedotto o argomentato.
Non così è a dirsi nel solo giudizio indicato con «rg n. 5469/2009 (La Vallata)», perché, dal provvedimento impugnato, risulta, in proposito, che al l’avv. COGNOME non è stato riconosciuto il compenso perché non è stata ritenuta «sufficiente la mera partecipazione all’udienza di precisazione delle conclusioni», considerata come «limitata attività» (così in ordinanza).
Come detto, tuttavia, anche la sola attività di precisazione delle conclusioni, seppure non seguita dalla decisione, deve intendersi da remunerare, secondo l’accordo intervenuto tra le parti: soltanto su questo punto, dunque, l’ordinanza impugnata deve essere cassata, con rinvio al Tribunale di Foggia in diversa composizione perché accerti se, nel giudizio indicato con «rg n. 5469/2009 (La Vallata)», l’avv. COGNOME abbia effettivamente svolto l’attività di precisazione delle conclusioni e quindi provveda, in caso lo abbia fatto, a riconoscergli il relativo compenso.
Statuendo in rinvio, il Tribunale regolerà anche le spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso nei limiti espressi in motivazione, rigettati i restanti motivi; cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Foggia in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda