Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3370 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3370 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29179/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso ORDINANZA di TRIBUNALE AVELLINO n. 1428/2019 depositata il 26/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.NOME COGNOME ricorre per la cassazione della ordinanza in epigrafe con cui il Tribunale di Avellino, decidendo del ricorso ex artt. 14 d.lgs. 150 del 2011 e 702 bis c.p.c. proposto da lei per opporsi al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato NOME COGNOME per compensi, pari a 10.343,00 euro (oltre accessori), relativi al patrocinio in una causa di scioglimento della comunione ereditaria intentata dalla ricorrente e dal fratello NOME contro terzi e alla redazione di un contratto di transazione con cui, dopo la sentenza di primo grado era stata composta la lite, ha respinto il ricorso salvo rideterminare il credito dell’avvocato in 9.300,00 euro. NOME COGNOME ha corrisposto la propria quota del compenso preteso dall’avvocato ed è estraneo al giudizio;
2.l’avvocato COGNOME resiste con controricorso;
le parti hanno depositato memoria;
considerato che:
il primo motivo di ricorso veicola tre doglianze.
Si lamenta, in primo luogo e in relazione all’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il Tribunale riconosciuto all’avvocato COGNOME una somma maggiore di quella dalla stessa richiesta.
Si lamenta, in subordine, ancora in relazione all’art.360, primo comma, n.4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 e dell’art. 114 c.p.c., per avere il Tribunale consentito all’avvocato COGNOME di modificare ‘la causa petendi e per avere deciso secondo equità’. Si sostiene che nel procedimento monitorio l’avvocato COGNOME aveva dichiarato che il valore della causa era ‘indeterminabile, complessità bassa con parametri medi, mentre costituendosi nel
giudizio di opposizione aveva dichiarato che il compenso andava ricompreso nello scaglione tra €52.000 e € 260.000′.
Si lamenta, in via ulteriormente subordinata, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., la violazione degli artt. 112 c.p.c., dell’art. 2698 c.c., 636 c.p.c., 118 dip. att. c.p.c., 111 Cost. nonché del d.m. 55/2014 e del d.m.37 del 2018, per avere il Tribunale ‘dato per ammessa l’attività svolta dal professionista soprattutto riguardo alla presunta attività stragiudiziale reclamata da controparte in assenza di specifica prova sul punto’ e per avere Il Tribunale ‘rideterminato il compenso sull’errato presupposto relativo al valore della causa’, individuato in 180.000,00 euro;
il motivo è, nei limiti di cui infra, fondato.
La censura per cui il Tribunale avrebbe riconosciuto all’avvocato COGNOME compensi per attività rimaste indimostrate va esaminata per prima posto che, se essa fosse fondata, ogni questione relativa all’entità dei compensi resterebbe assorbita.
La censura è infondata.
Il Tribunale ha dato conto del fatto che l’avvocato aveva ‘documentato l’espletamento della attività professionale per tutte le fasi del giudizio di divisione fino agli atti conclusivi e l’attività stragiudiziale prestata successivamente alla sentenza per la chiusura definitiva della controversia attraverso i contatti con le parti (mail, incontri, redazioni di bozze) con la stesura del documento finale con cui le parti convenivano l’esecuzione volontaria della sentenza di divisione ereditaria e rinunciavano all’appello’. Con riferimento specifico all’attività stragiudiziale successiva alla sentenza n.1529/2018 conclusiva del primo grado del giudizio di divisione, il Tribunale ha evidenziato (punto 4 della motivazione dell’ordinanza) che l’avvocato COGNOME aveva documentato ‘i numerosi contatti tenuti con l’opponente … curato la redazione e la sottoscrizione della
scrittura transattiva sottoscritta da tutte le parti del giudizio in data 3.1.2019 e volta proprio ad evitare ulteriori gradi di giudizio’.
È poi parimenti infondata la censura di violazione dell’art. 112 c.p.c.
Il Tribunale non ha violato l’art. 112 c.p.c. posto che, come documentato dalla controricorrente, il compenso originariamente richiesto in via monitoria era pari a 10.343,00 euro, di cui 3.089,00 euro per l’attività stragiudiziale svolta dopo la sentenza di primo grado ed esitata nell’atto di transazione della lite , e che il Tribunale ha liquidato all’avvocato COGNOME non un compenso maggiore ma un compenso inferiore, e precisamente pari a 9.300,00 euro.
È invece fondata la doglianza per cui il Tribunale ha violato le previsioni del d.m. 55/2014 calcolando il compenso dell’avvocato per l’attività giudiziale sul valore di 184.000,00 euro, e quindi in riferimento allo scaglione tra 52.000 e 216.000 euro, invece che ‘secondo la quota di circa 42.000,00 pari al valore della quota ereditaria in contestazione’.
Il Tribunale ha liquidato all’avvocato COGNOME per l’attività giudiziale, un compenso di 16.100 euro tenendo conto del ‘valore medio dello scaglione di riferimento (valore € 184.000,00)’ e dell’aumento ex art. 4, comma 2 d.m.55/2104 per la difesa di due parti (la ricorrente e il fratello NOME). Il valore di 184.000,00 euro è pacificamente quello dell’unico bene oggetto della comunione ereditaria e della domanda di divisione e non quello della quota dell’eredità spettante alla ricorrente e al fratello, pari a 2/6 del totale.
Questa Corte (v. tra altre Cass. Sez. 2, sentenza n.10939 del 11/05/2006) ha precisato che ‘In tema di compensi spettanti all’avvocato, nei giudizi di divisione il valore della controversia deve essere individuato con riferimento a quello relativo alla quota in contestazione e quindi
alla stregua della valutazione eventualmente effettuata dal consulente tecnico d’ufficio’.
È quindi scorretto il riferimento da parte del Tribunale, sia pure nello scaglione tra 52.000 e 260,000 euro, al valore di 184.000,00; 3. con il secondo motivo di ricorso si lamenta ‘omessa pronuncia ovvero omesso esame di fatto su documenti decisivi per la controversia ex art. 360, primo comma, n. 5 per violazione dell’art. 112 c.p.c.’. La ricorrente sostiene di avere prodotto nel proprio fascicolo della fase di opposizione al decreto ingiuntivo tre assegni per la complessiva somma di 8.205,34 euro. Allega che tali assegni erano stati emessi, a seguito della scrittura privata di transazione della lite, ‘dalle altre parti’ della causa ; che queste altre parti avrebbero dovuto versare la somma ad essa parte ricorrente ed erano state, invece, ‘autorizzate’ ad emettere gli assegni a favore dell’avvocato ; e che questi aveva incassato gli assegni. La ricorrente imputa all’avvocato di avere ‘sottaciuto la circostanza’. Lamenta che ‘il Tribunale di Avellino avrebbe dovuto accorgersi’ dei predetti assegni ‘che dimostravano l’avvenuto pagamento sia pure parziale degli onorari del giudizio di divisione’.
4. il motivo resta assorbito;
5.con il terzo motivo di ricorso si lamenta ‘violazione degli artt. 112 e 2233, comma 3, c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n.5, c.p.c.’ per avere il Tribunale ‘omesso di considerare che dalla corrispondenza tra avvocato e cliente era stato più volte pattuito per scritto un compenso diverso da quello poi effettivamente richiesto’. La ricorrente riferisce di quattro e -mail che le sarebbero state mandate dall’avvocato COGNOME contenenti diverse quantificazioni del credito per l’attività svolta sia in sede giudiziale che stragiudiziale;
6. il motivo resta assorbito;
con il quarto motivo di ricorso si lamenta ‘violazione degli artt. 112 c.p.c. e 1219 c.c. Violazione e falsa applicazione del principio
del contraddittorio e del diritto alla difesa, artt. 101, comma 3, c.p.c. e 111, comma 2, Cost., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c.’ per avere il Tribunale trascurato l’eccezione della ricorrente secondo cui il decreto ingiuntivo avrebbe dovuto essere dichiarato ‘nullo e/o improcedibile e di nessun effetto’ in quanto emesso senza che l’originario ricorso dell’avvocato COGNOME fosse stato preceduto dall’invio della parcella e quindi da un formale e necessario atto di messa in mora; 8. il motivo resta assorbito;
9. con il quinto motivo di ricorso si lamenta ‘violazione e falsa del d.m. 127 del 2004, art. 6, degli artt. 14 e 15 c.p.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c.’ per avere il Tribunale calcolato il compenso dell’avvocato sul valore dell’intera massa ereditaria da dividere e non sulla quota ereditaria in contestazione; 10. il motivo ripropone la censura proposta con il primo motivo e già accolta e quindi va accolto;
11. con il sesto motivo di ricorso si lamenta ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e 2697 c.c. e illogica motivazione’ per avere il Tribunale rigettato la domanda riconvenzionale proposta dalla attuale ricorrente con il ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo, per risarcimento danni da responsabilità dell’avvocato pur avendo lo stesso Tribunale riconosciuto che l’avvocato era incorso in colpa per avere, nel giudizio di divisione, avanzato una domanda tardivamente;
12. il motivo è infondato.
Il Tribunale ha rigettato la domanda di risarcimento danni da responsabilità professionale, pur dopo avere osservato che risultava ‘per tabula l’errore in cui è incorso il difensore di NOME COGNOME e NOME COGNOME per avere formulato nel loro interesse nel giudizio di divisione una domanda di risarcimento ‘tardivamente con la prima memoria ex 183, c.1., c.c.’, con la motivazione per cui la allora opponente non aveva allegato e tanto
meno aveva provato il danno subito, ‘non aveva indicato quale era stato il titolo del chiesto risarcimento, l’oggetto e il quantum della domanda rigettata, né ulteriori elementi fattuali relativi alla quantificazione dei danni nella domanda risarcitoria’.
La decisione del Tribunale si sottrae alla censura.
La responsabilità professionale dell’avvocato presuppone la violazione del dovere di diligenza richiesto dalla natura dell’attività esercitata (art. 1176, comma 2, c.c.), ma l’accertamento di tale violazione non giustifica la condanna dell’avvocato al risarcimento di danni neppure individuati. Per la condanna occorrono, oltre al (positivo) accertamento della responsabilità, il (positivo) accertamento del nesso di causalità fra la condotta commissiva o omissiva dell’avvocato e l’evento di danno, il (positivo) accertamento del nesso tra quest’ ultimo e le conseguenze dannose risarcibili (art. 1223 c.c.);
13. con il settimo motivo di ricorso si lamenta ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 85 c.p.c. e dell’art. 32 del codice deontologico degli avvocati. Violazione e falsa applicazione dell’art. 18 e dell’art.19, ultima parte, del d.m. 55/2014. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3’ per avere il Tribunale ‘riconosciuto erroneamente all’avvocato COGNOME l’importo di euro 2 .500 per presunta attività stragiudiziale successiva alla sentenza e dopo che il legale aveva già espressamente rinunciato all’incarico difensivo’. Si deduce che il Tribunale avrebbe ritenuto che l’avvocato COGNOME avesse svolto attività stragiudiziale per erronea valutazione dei documenti e che il testo dell’accordo transattivo sarebbe stato redatto non dall’avvocato COGNOME ma ‘dagli avvocati delle controparti’. Si deduce, in subordine, che l’attività stragiudiziale sarebbe stata svolta dall’avvocato COGNOME solo nel suo proprio interesse ‘per ottenere il pagamento delle sue competenze non corrisposte’. Si deduce, in ulteriore subordine, che il Tribunale avrebbe liquidato
all’avvocato COGNOME un compenso di 2 .500 euro in via equitativa e non secondo le tariffe forensi previste dal DM 55/2014′
14. il motivo è fondato solo per l’ultima doglianza, inammissibile per il resto.
Il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ‘ricomprende tanto quello di violazione di legge, ossia l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, quanto quello di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione’ ( Cass. n. 23851 del 25/09/2019).
‘ È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’ (Cass. Sez. U, sentenza n.34476 del 27/12/2019 (Rv. 656492 – 03).
Nel caso di specie la ricorrente sostiene che il giudice di merito avrebbe valutato male i documenti.
Il Tribunale ha evidenziato (punto 4 della motivazione dell’ordinanza) che l’avvocato COGNOME aveva documentato ‘in numerosi contatti tenuti con l’opponente … curato la redazione e la sottoscrizione della scrittura transattiva sottoscritta da tutte le parti del giudizio in data 3.1.2019 e volta proprio ad evitare ulteriori gradi di giudizio’.
Il motivo, al di là della formale denuncia di violazione di legge, si riduce ad una sovrapposizione dell’apprezzamento delle prove da
parte del ricorrente all’accertamento dei giudici di merito espresso in una motivazione che non si espone a censure di legittimità.
Parimenti attinenti non alla legittimità della ordinanza ma al merito e, per di più, a circostanze fattuali nuove, sono le censure che la ricorrente muove al Tribunale di Avellino sulla base dell’allegazione per cui l’accordo transattivo sarebbe stato redatto non dall’avvocato COGNOME ma dagli ‘avvocati delle controparti’ oppure dall’avvocato COGNOME ma solo per suo proprio interesse di ‘ottenere il pagamento delle sue competenze non corrisposte’.
È fondata la censura per cui il compenso per l’attività stragiudiziale sarebbe stato liquidato in 2500 euro secondo ‘equità’ e non secondo il d.m. 55/2014, dato che il compenso per l’attività stragiudiziale è stato liquidato con generico riferimento all’equità sul valore dell’intera massa da dividere;
15. con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta ‘nullità dell’ordinanza in riferimento all’art.360, primo comma, n.4 per violazione o falsa applicazione del decreto legislativo 1/9/2011 n. 150, art. 14 e dell’art. 702 ter, commi 3 e 4, cpc’ per non avere il Tribunale ‘separato la domanda riconvenzionale proposta dalla sig.ra COGNOME in altro apposito giudizio ‘. Si sostiene che tale domanda ‘non si prestava ad una istruzione sommaria’ e che, pertanto, essa avrebbe dovuto essere separata dalla domanda principale ed essere trattata ‘con rito ordinario’;
16. il motivo è infondato.
Questa Corte (Sez. U , n.4485 del 23/02/2018; Sez. 2 n.10864 del 24/04/2023) ha statuito che ‘La controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, introdotta sia ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, resta soggetta al rito di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all’esistenza del rapporto o, in genere, all'”an debeatur”.
Soltanto qualora il convenuto ampli l’oggetto del giudizio con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale) non esorbitante dalla competenza del giudice adito ai sensi dell’art. 14 d.lgs. cit., la trattazione di quest’ultima dovrà avvenire, ove si presti ad un’istruttoria sommaria, con il rito sommario (congiuntamente a quella proposta ex art. 14 dal professionista) e, in caso contrario, con il rito ordinario a cognizione piena (ed eventualmente con un rito speciale a cognizione piena), previa separazione delle domande. Qualora la domanda introdotta dal cliente non appartenga, invece, alla competenza del giudice adito, troveranno applicazione gli artt. 34, 35 e 36 c.p.c., che eventualmente possono comportare lo spostamento della competenza sulla domanda, ai sensi dell’art. 14’.
Nel caso di specie, esclusi problemi di incompetenza del Tribunale, la censura risulta infondata alla luce della riportata precisazione di principio e del rilievo del Tribunale per cui la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per responsabilità professionale dell’avvocato era del tutto carente in termini di allegazione del danno prima ancora che in termini di prova del danno stesso. Il Tribunale ha quindi escluso in radice che la domanda riconvenzionale fosse da istruire. Non vi erano quindi i presupposti per la separazione;
17. in conclusione, devono essere accolti il primo motivo, in parte, il quinto motivo, il settimo motivo, in parte, devono essere dichiarati assorbiti il secondo, il terzo e il quarto motivo, il ricorso va rigettato per il resto, l’ordinanza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata al Tribunale di Avellino, in diversa composizione anche per le spese;
PQM
la Corte accoglie il primo motivo e il settimo motivo nei limiti di cui in motivazione, accoglie il quinto motivo, dichiara assorbiti il
secondo, terzo e quarto motivo, rigetta il ricorso nel resto, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Avellino, in diversa composizione anche per le spese.
Roma 4 febbraio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME