Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6057 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6057 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 8439-2017 r.g. proposto da:
Avv. NOME COGNOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso da sé stesso.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei legali rappresentanti pro tempore i curatori fallimentari dott. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME.
-controricorrente –
avverso il decreto emesso dal Tribunale di Trento, depositato in data 3.3.2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/2/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con il decreto impugnato il Tribunale di Trento, decidendo sull’opposizione allo stato passivo presentata dall’ Avv. NOME COGNOME nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, ha parzialmente accolto la proposta opposizione, ammettendo al passivo la somma di euro 3.975,00 per compensi professionali maturati come avvocato, da collocarsi in prededuzione e in aggiunta a quanto già ammesso dal g.d. nel decreto opposto.
Il g.d. aveva infatti ridotto il credito insinuato ad euro 62.000, oltre accessori, avendo accolto l’eccezione di inesatto adempimento ovvero di parziale inadempimento da parte del professionista istante.
Il Tribunale ha rilevato ed osservato, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) in relazione al compenso per l’opera professionale svolta dal professionista per l’assistenza nella predisposizione del ricorso ex art. 161, 6 comma, l. fall., finalizzato alla presentazione di un accordo di ristrutturazione, era fondata l’eccezione – sollevata dalla curatela per la prima volta in sede di giudizio di opposizione – di incompleta esecuzione dell’opera professionale, eccezione basata sulla circostanza che, in ragione dell’intervenuta revoca del concordato ex art. 173 l. fall., la procedura di concordato si era fermata prima dell’adunanza dei creditori; (ii) l’attività di prestazione professionale concordata tra le parti doveva infatti considerarsi estesa per tutto l’iter procedimentale, sino alla sua naturale conclusione, e cioè sino all’omologazione del concordato ovvero sino all’eventuale disse nso espresso dai creditori in sede di adunanza, e ciò anche in considerazione della circostanza che, in relazione al l’attività professionale pattuita per la presentazione del concordato ovvero dell’accordo di ristrutturazione, il compenso concordato non avrebbe remunerato, per espressa previsione contrattuale, eventuali ulteriori attività giudiziali e stragiudiziali connesse al procedimento innescato dalla domanda ex art. 161, 6 comma, l. fall.; (iii) il
fatto che l’iniziativa concordataria non fosse pervenuta ad uno dei sopra ricordati esiti aveva comportato quantomeno una riduzione quantitativa , se non altro sul piano temporale, dell’opera professionale di consulenza ed assistenza dedotta in contratto, riduzione alla quale avrebbe dovuto anche corrispondere una riduzione proporzionale del compenso; (iv) il compenso era stato già ammesso dal g.d. in misura prossima all’ottanta per cento, con ciò dovendosi ritenere ‘colmata ogni proporzionale misura con l’ opera professionale effettivamente prestata’, proprio in ragione della rilevata circostanza che la procedura non era arrivata all ‘ adunanza dei creditori; (v) in relazione, poi, al compenso maturato per l’attività di predisposizione del ricorso innanzi alla commissione tributaria prima della dichiarazione di fallimento, il compenso richiesto pari ad euro 3.772,50 doveva considerarsi inferiore ai valori medi stabiliti per le fasi di studio e di introduzione del giudizio, così come stabilito per il relativo scaglione di valore dal D.M. n. 55/2014, con la conseguenza che l’opposizione merita va accoglimento per l’importo richiesto; (vi) inoltre la predisposizione dell’ istanza di autorizzazione agli organi della procedura ex artt. 161, comma 7, e 167, comma 2, l. fall., propedeutica alla presentazione del ricorso tributario, rientrava comunque nelle fasi di studio e di introduzione del ricorso stesso; (vii) quanto inoltre all ‘ istanza di vendita di beni immobili e di uso temporaneo del marchio, considerata la relati va semplicità dell’opera svolta, si riteneva congruo riconoscere il compenso minimo relativo alla sola fase introduttiva di cui ‘al pertinente scaglione del DM n. 55 del 2014, pari ad euro 202,50’; (viii) in ordine, poi, ai compensi maturati per il reclamo ex art. 18 l. fall., anche in relazione al procedimento ex art. 173 l. fall., in relazione, però, al compenso per come derivante dal contratto di opera professionale intercorso con il cliente (e non già con riferimento a quello liquidato dalla Corte di appello in sede di accoglimento del proposto reclamo ex art. 18 l. fall.), occorreva ricordare che il principio – secondo cui il regolamento delle spese compiuto nel giudizio contenzioso patrocinato dall’avvocato non poteva vincolare la successiva liquidazione del corrispettivo in sede di procedura promossa dall’avvocato nei confronti del cliente – doveva oggi tener conto dell’intervenuta abrogazione delle tariffe di cui al DM n. 127/2004; (ix) l’art.
61, 2 comma, del r.d.l. n. 1578/1933 -secondo cui l’onorario dovuto dal cliente all’avvocato potrebbe anche essere diverso e maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata alle spese -non risultava infatti più compatibile con il regime introdotto dall’art. 9, d.l. n. 1 del 2012 (conv. in legge n. 27/2012) di abrogazione delle tariffe professionali, dovendosi per tale ragione la predetta norma ritenersi implicitamente abrogata; (x) il citato art. 9 aveva infatti abrogato l’intero regime tarif fario, non avendolo sostituito con altro similare, bensì liberalizzando il settore dei servizi professionali, stabilendo al contempo una regolamentazione della determinazione del compenso nell’ambito del rapporto contrattuale tra avvocato e cliente; (xi) nel caso dunque di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso doveva essere liquidato sulla base dei parametri ministeriali, ai sensi del comma 2 del cit. art. 9, ogni qual volta che ‘nell’atto di incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta’ e ‘in ogni caso di mancata determinazione consensuale de g li stessi’, come specificato dall’art. 1 del D .M. n. 55 del 2014, che per l’appunto stabilisce detti parametri; (x) la determinazione consensuale del compenso e la liquidazione giudiziale corrono pertanto su binari paralleli, a seconda che lo stesso sia stato determinato per iscritto previa pattuizione c onforme all’art. 9, 4 comma, d.l. n. 1 del 2012; (xi) nel caso in esame la pattuizione contrattuale mancava, tale non potendosi ritenere quella contenuta nel contratto scritto del 15.12.2014, in quanto tale previsione negoziale -secondo la quale ogni ulteriore attività giudiziale non era compresa nel compenso pattuito (di euro 80.000) e doveva essere liquidata applicando i parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014 -assumeva carattere precettivo in relazione al nesso di corrispettività del compenso di euro 80.000 ivi pattuito, mentre assumeva carattere meramente programmatico e normativo in relazione ad ogni eventuale, futura, diversa ed ulteriore attività giudiziale, difettando dei requisiti di cui al più volte citato comma 4; (xii) tale soluzione trovava conferma anche nella decisione della Corte di appello che aveva liquidato il compenso secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, dunque assumendo l’assenza di un valido accordo tra avvocato e cliente; (xiii) tale liquidazione giudiziale doveva ritenersi comprensiva anche
del precedente grado di giudizio soggetto ad impugnazione, e cioè del procedimento di revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione di fallimento ex artt. 173 e 15 l. fall., posto che la sentenza del giudice di appello aveva riformato integralmente le decisioni del tribunale con una pronuncia di segno opposto, cui si era riconnessa la necessità, per il giudice dell ‘ impugnazione, di regolamentare le spese processuali, tenendo presente dell’esito complessivo della lite in base ad un criterio unitario e globale; (xiv) in presenza di siffatta liquidazione giudiziale, occorreva ritenere che non vi fossero più margini per riconoscere ulteriori o diversi compensi in relazione alla medesima prestazione professionale; (xv) in relazione alla richiesta di interessi, così come previsti nel contratto di opera professionale del 15.12.2014, occorreva accogliere l’ec cezione sollevata dal curatore secondo cui il debitore non poteva considerarsi moroso rispetto a debiti contratti proprio al fine di avere accesso ad una procedura concorsuale mirante alla soluzione di uno stato di insolvenza ovvero di crisi, senza contare che l’art. 1 del d.lgs. n. 231/2002, come richiamato nel predetto contratto d’opera professionale, esclude la sua applicabilità ai ‘debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore’.
Il decreto, pubblicato il 3.3.2017, è stato impugnato da ll’ Avv. NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione, sul rilievo che il Tribunale non avrebbe considerato che l’incarico professionale concordato tra le parti aveva previsto espressamente solo l’attività relativa al deposito del ricorso ex art. 161, 6 comma, l. fall., finalizzato alla presentazione di un accordo di ristrutturazione ovvero di una proposta concordataria, avendo previsto, invece, il medesimo accordo, la possibilità di una remunerazione separata ed ulteriore per le altre e successive attività professionali collegate allo svolgersi della procedura, e tra queste anche il giudizio di omologazione.
1.2 Secondo il ricorrente l’omesso esame di tali fatti invece ben evidenziati ed allegati sia nella domanda di ammissione al passivo che nella successiva sede di giudizio di opposizione -avrebbe portato il Tribunale ad affermare erroneamente che la prestazione professionale concordata dovesse intendersi comprensiva di tutta l’attività di assistenza sino all’epilogo della procedura.
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 1362 e segg. c.c., in ordine alla ritenuta erronea interpretazione del contenuto del mandato professionale.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per ‘nullità della sentenza per ‘mancanza assoluta di motivazione’ o ‘motivazione apparente’, con violazione degli artt. 132, 2 comma, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., e 111, 6 comma, Cost., nonché per ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 116, 1 comma, c.p.c.’.
3.1 I primi tre motivi -che possono essere esaminati congiuntamente, stante la stretta connessione delle questioni trattate -sono inammissibili perché volti a richiedere a questa Corte di legittimità un nuovo scrutinio della quaestio facti .
In realtà, il Tribunale ha esaminato il contenuto nel mandato professionale, ritenendo, sulla base di una motivazione scevra da criticità argomentative, che l’incarico professionale (e dunque anche il conseguente compenso professionale) fosse stato pattuito per tutte le attività di predisposizione degli atti introduttivi di accesso alla procedura concorsuale ex art. 161, 6 comma, l. fall. sino al suo normale epilogo, e cioè l’approvazione della proposta concordataria in sede di adunanza e la sua successiva omologazione.
Si tratta di un apprezzamento in fatto in ordine al contenuto del contratto, che non risulta sindacabile in questo giudizio di legittimità nelle modalità prospettate dal ricorrente, che pretenderebbe, ora, una nuova lettura diretta degli atti istruttori per addivenire ad un diverso e più favorevole apprezzamento dei fatti di causa; tale scrutinio è invece inibito a questa Corte (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
Con il quarto mezzo si denuncia vizio di ‘omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) ‘ , sul rilievo che il Tribunale non avrebbe esaminato i fatti allegati nel ricorso in opposizione così ritenendo erroneamente che le istanze avanzate al Tribunale per ottenere varie autorizzazioni fossero state comprese, quanto al relativo compenso maturato, nella somma concordata nel contratto per la liquidazione del corrispettivo.
Il quinto mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1372 e 2233 cod. civ.
Il ricorrente propone anche un sesto motivo con il quale denuncia ‘nullità della sentenza per ‘mancanza assoluta di motivazione’ o ‘motivazione apparente’ (violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, 118 disp. att. c.p.c. e 111, comma 6, Cost.) e/o nulli tà della sentenza per violazione dell’art. 116, comma 1, c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.)’.
6.1 Anche il quarto, quinto e sesto motivo possono essere esaminati congiuntamente in ragione della comunanza delle questioni prospettate e devono essere dichiarati inammissibili.
4.1.1 Quanto al profilo del compenso maturato per la predisposizione delle istanze di vendita di beni mobili e del marchio, occorre ricordare che il Tribunale aveva provveduto alla liquidazione del compenso richiesto dal professionista, e ciò nella misura di euro 202,50 (v. pag. 5 del decreto impugnato).
Ebbene, tale ratio decidendi non è stata in alcun modo contestata ed impugnata da parte del ricorrente, così rendendo ogni ulteriore obiezione in merito del tutto inammissibile in questa sede impugnatoria.
4.1.2 In relazione, poi, all ‘ istanza di autorizzazione per il giudizio tributario, vi è anche in tal caso una statuizione in fatto con la quale è stato ritenuto dal Tribunale che tale attività fosse stata già remunerata con la liquidazione del compenso per l’attività di studio ed introduttiva della stessa controversia tributaria, con la conseguenza che tale statuizione non risulta più sindacabile in questa sede giudiziale se non rimettendo in discussione la quaestio facti già scrutinata dai giudici del merito.
Il ricorrente propone inoltre un settimo motivo con il quale deduce ‘violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt . 1322, 1372, 1709 e 2233 c.c., artt. 1362 e ss. c.c., art. 13 l. 247/2012) (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)’.
7.1 Sostiene la parte ricorrente, cioè, che sarebbe erronea l’affermazione del Tribunale secondo la quale non sarebbe stato pattuito un compenso tra le parti per le prestazioni indicate nell ‘ istanza di insinuazione al passivo da parte del professionista.
Ebbene, tale censura non investe tuttavia la ratio decidendi del provvedimento impugnato per come già sopra ricostruita in premessa, con la conseguenza che tutte le ulteriori censure articolate nel motivo qui in esame risultano inammissibili perché decentrate rispetto al thema decidendum del giudizio di opposizione allo stato passivo. Ed invero, in relazione al compenso per come derivante dal contratto di opera professionale intercorso con il cliente, il Tribunale aveva osservato che il principio – secondo cui il regolamento delle spese compiuto nel giudizio contenzioso patrocinato dall’avvocato non poteva vincolare la successiva liquidazione del corrispettivo in sede di procedura promossa dall’avvocato nei confronti del cliente -dovesse, oggi, tener conto dell’intervenuta abrogazione delle tariffe di cui al DM n. 127/2004, in quanto l’art. 61, 2 comma, del r.d.l. n. 1578/1933, sempre secondo la prospettiva abbracciata dal Tribunale, non risultava più compatibile proprio con il regime introdotto dall’art. 9, d.l. n. 1 del 2012 (conv. in legge n. 27/2012) di abrogazione delle tariffe professionali, dovendosi per tale ragione la predetta norma ritenersi implicitamente abrogata.
Tale ragione decisoria non è stata impugnata dal ricorrente.
L’ottavo motivo censura il provvedimento impugnato per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 1322, 1372 e 2225 cod. civ., art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Il ricorrente propone infine un nono mezzo con il quale denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 111 bis l. fall. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
9.1 Gli ultimi due motivi sono del pari inammissibili perché genericamente formulati, senza la indicazione specifica delle statuizioni giudiziali oggetto di censura.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserit o dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 12.2.2025