Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34210 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34210 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 17367-2023 r.g. proposto da:
NOME COGNOME codice fiscale CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE come da mandato in atti.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), con sede in Deiva Marina (SP), INDIRIZZO, in persona del curatore dott. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale allegata al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Firenze, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Firenze, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso il decreto del Tribunale di La Spezia, n. cronol. 5677/2023, del 21 luglio 2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con il decreto impugnato il Tribunale di La Spezia ha rigettato l’opposizione allo stato passivo presentata da NOME COGNOME nei confronti del RAGIONE_SOCIALE avverso il provvedimento del g.d. che aveva a propria volta rigettato la sua domanda di insinuazione al passivo fallimentare.
NOME COGNOME aveva infatti domandato di essere ammesso al passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE per l’importo di Euro 305.817,00 , a titolo di compenso, per la propria attività di amministratore della società fallita fino al 14 marzo 2020, data in cui egli fu revocato.
Proposta opposizione da parte del COGNOME, il Tribunale, nella resistenza della curatela fallimentare, ha osservato che: (i) ‘il credito dedotto da NOME COGNOME ‘ era ‘inesistente in ragione dell’inadempimento da parte di NOME COGNOME agli obblighi inerenti la carica societaria precedentemente rivestita, conseguendone l’esclusione di ogni compenso a norma dell’art. 1460 c.c. ‘; (ii) ‘in sede di comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di opposizione allo stato passivo ‘ , la curatela aveva ‘ indicato specificamente le pronunce dei Giudici contabili ‘ che avevano ‘ accertato le gravi responsabilità gestorie di NOME COGNOME ; (iii) la società fallita, infatti, aveva ricevuto dalla Regione Liguria un contributo di Euro 877.432,81 per la realizzazione di un programma di intervento pubblico ma, secondo quanto accertato dalla Corte dei Conti, avrebbe utilizzato tale somma ‘per fini diversi’ rispetto a quelli che erano stati posti alla base dell’erogazione del contributo e, precisamente, ‘per soppe rire alla situazione debitoria in cui versava la Società’ ; (iv) i n conseguenza dell’accertamento della Corte dei Conti, la società fallita era stata pertanto condannata a restituire il contributo ricevuto e, in solido con essa, era stato condannato, quanto al 75% dell’importo, pari a euro 658.074,61, lo stesso NOME COGNOME in ragione del suo ruolo di presidente del consiglio di amministrazione della società e dell’attività gestionale dallo stesso svolta; (v) il COGNOME ‘nelle proprie successive difese (ed in particolare nella memoria conclusiva del 20.10.2022 …)’ non
aveva ‘contestato in alcun modo l’esistenza ed il contenuto della sentenza di condanna’ della Corte dei Conti, ‘come esposti in sede di comparsa di costituzione e risposta da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, così ricorrendo i presupposti di cui a ll’art. 115, co. 1 cpc (a norma del quale il Giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati)’ ; (vi) la distrazione da parte dell’organo gestorio della società di un finanziamento pubblico per fini diversi da quelli alla base del provvedimento di concessione, ovvero condotta dolosa (o quantomeno gravemente colposa) alla quale era conseguito un obbligo restitutorio dell’intero finanziamento da parte della società a favore dell’ente erogatore, costituiva ‘ grave condotta di mala gestio ‘ che escludeva qualsiasi diritto al compenso a favore di NOME COGNOME.
Il decreto, pubblicato il 21.7.2023, è stato impugnato da NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta la ‘ genericità delle contestazioni ‘ che avrebbe determinato la violazione di legge ‘ sotto un ulteriore profilo ‘, in quanto ciò avrebbe infatti alterato le regole di ripartizione dell’onere di allegazione e di eccezione, nonché di produzione documentale, che presidiano i giudizi di accertamento del passivo e di opposizione allo stato passivo.
1.1 Secondo il ricorrente, q uest’alterazione – che avrebbe caratterizzato il giudizio di accertamento del credito davanti al G.D. – sarebbe refluita nella motivazione del decreto impugnato, che aveva ritenuto provati, in quanto non contestati dal ricorrente, gli inadempimenti di quest’ultimo indicati dal Fallimento solo nella memoria di costituzione nel giudizio di opposizione allo stato passivo.
1.1 Il motivo è inammissibile perché completamente decentrato rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato che -è il caso qui di precisarlo -è rappresentato dal decreto del Tribunale, e non già dal provvedimento emesso dal g.d., le cui eventuali criticità argomentative (come tali
comportanti conseguenti profili di nullità che si convertono in altrettante ragioni di impugnazione, ex art. 161, primo comma, c.p.c.) ben potevano essere superate ed integrate nel provvedimento qui impugnato nei cui soli confronti possono essere avanzate dal ricorrente eventuali censure ‘motivazionali’ con il ricorso per cassazione.
2. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 99, c. 2, nn. 3) e 4) l. fall.’, sul rilievo che le decisioni adottate dal Fallimento (e avallate dal Giudice Delegato e dal Tribunale) avrebbero alterato anche il regime di distribuzione dell’onere di allegazione e di eccezione, oltre che dell’onere della prova, che è stabilito dalla legge fallimentare per il giudizio di opposizione allo stato passivo dall’ art. 99 l. fall. Tale ‘ alterazione ‘ – aggiunge il ricorrente -, implicata dalla proposta del Curatore e dal provvedimento del Giudice Delegato, sarebbe entrata nella motivazione del decreto impugnato, dalla quale sarebbe risultata emergere un’impropria applicazione del principio d i mancata contestazione, ex art. 115 cod. proc. civ., in relazione a fatti che erano stati introdotti dal Fallimento solo nella memoria di costituzione del giudizio di opposizione allo stato passivo. Questi fatti, invece, sarebbero dovuti essere specificamente indicati nel giudizio di ammissione, al fine di consentire al ricorrente di prendere su di essi posizione nel ricorso in opposizione, oltre che di offrire mezzi di prova a sostegno delle proprie pretese e a confutazione delle eccezioni del curatore.
2.1 Il motivo è inammissibile, anche ai sensi dell’art. 360bis c.p.c.
Invero, osserva il Collegio che -anche a non voler considerare la circostanza che, nel caso di specie, la curatela fallimentare aveva comunque sollevato l’eccezione di inadempimento già nel corso della fase di verifica del passivo innanzi al g.d. -costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui la curatela fallimentare ben può sollevare, per la prima volta, eccezioni in sede di costituzione nel giudizio di opposizione allo stato passivo. È stato infatti espressamente affermato che ‘ nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di “ius novorum”, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in
quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione del “thema disputandum” e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato ‘ (così, Sez. 1, Ordinanza n. 21490 del 06/10/2020; v. anche: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19003 del 31/07/2017).
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione del principio del ‘ ne bis in idem ‘ , in quanto il ricorrente sarebbe già stato condannato dalla Corte dei Conti al pagamento, in solido con la società fallita, di un importo pari a Euro 658.074,61, pari al 75 % del finanziamento che era stato erogato dalla Regione e che la società era stata condannata a restituire.
3.1 Secondo il ricorrente, l ‘esclusione dallo stato passivo del credito dell’amministratore per le medesime ragioni che avevano determinato la condanna alla restituzione del finanziamento avrebbe comportato un’illegittima duplicazione e una violazione del divieto di bis in idem .
3.2 Anche il terzo motivo è inammissibile perché le censure risultano completamente decentrate rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato. Ed invero, la contestazione sollevata dal curatore fallimentare integra un’eccezione di inadempimento per mala gestio volta a paralizzare la domanda di credito insinuata al passivo e non vale certo ad integrare un provvedimento di condanna a carico del creditore istante. Non è dato dunque comprendere per quale ragione giuridica i provvedimenti del g.d., prima, e del Tribunale, dopo, possano rappresentare una ‘duplicazione’ della condanna già subita dall’amministratore in sede di giurisdizione contabile.
Il quarto mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 cod. civ., posto che questa disposizione presuppone la perdurante efficacia del rapporto e non può essere utilizzata quando lo stesso si sia già esaurito e, pertanto, non sussista il pericolo per una parte di dover eseguire la propria prestazione con il rischio che l’altra parte non adempia alla propria.
4.1 Anche la quarta ed ultima censura è inammissibile.
Sul punto, giova ricordare che costituisce, anche in questo caso, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (con ciò legittimandosi, pertanto, la declaratoria di inammissibilità della censura, ai sensi dell’art. 360bis c.p.c.), quello secondo cui l’eccezione di inadempimento può essere dedotta per la prima volta in sede giudiziale, quand’anche non sia stata sollevata in precedenza per rifiutare motivatamente l’adempimento chiesto “ex adverso”, non ponendo l’art. 1460 c.c. alcuna limitazione temporale o modale alla sua esperibilità, salva l’ipotesi di termini differenziati di adempimento, né essendo l’esercizio della facoltà di sospendere l’esecuzione del contratto, a fronte del grave inadempimento della controparte, subordinato ad alcuna condizione né, in particolare, alla previa intimazione di una diffida o ad alcuna generica contestazione dell’inadempimento (Cass. Sez. 2 , Sentenza n. 17214 del 18/08/2020 ; Cass. Sez. 2 , Sentenza n. 8314 del 26/05/2003). Senza peraltro contare che nella ordinarietà dei casi l’eccezione di inademp imento, per sua natura, segue la domanda di pagamento (come avvenuto anche in questa vicenda), domanda che ben è compatibile con l’esaurimento e la sofferenza finanziaria del rapporto, con ciò evidenziandosi anche la difficile lettura in termini fattuali della censura proposta nel motivo qui in esame.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del fallimento controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 13.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 6.11.2024