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Compenso amministratore: quando si perde il diritto

La Corte di Cassazione ha stabilito che il compenso amministratore può essere legittimamente negato se emergono gravi inadempimenti gestionali (mala gestio). Nel caso specifico, un amministratore di una società poi fallita si è visto rifiutare il pagamento per i suoi servizi a causa della distrazione di fondi pubblici, un fatto già accertato dalla Corte dei Conti. La Suprema Corte ha chiarito che l’eccezione di inadempimento può essere sollevata dalla curatela fallimentare anche se il rapporto contrattuale è concluso e non costituisce una doppia sanzione (ne bis in idem) rispetto alla condanna contabile.

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Compenso Amministratore: No al Pagamento in Caso di Grave Mala Gestio

Il diritto al compenso amministratore non è automatico e può essere negato in presenza di gravi inadempimenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha confermato questo principio, chiarendo che la curatela fallimentare può legittimamente rifiutare il pagamento all’ex amministratore che si è reso responsabile di condotte di mala gestio, anche se il suo incarico è terminato da tempo.

I Fatti: La Richiesta di Compenso e l’Opposizione della Curatela

Il caso riguarda un ex amministratore di una società, successivamente dichiarata fallita, che aveva richiesto di essere ammesso al passivo fallimentare per un credito di oltre 300.000 euro a titolo di compenso per l’attività svolta. La curatela fallimentare si era opposta a tale richiesta, sollevando un’eccezione di inadempimento basata su gravi irregolarità gestionali.

L’Eccezione di Inadempimento: la grave “Mala Gestio”

La curatela sosteneva che l’amministratore avesse commesso una grave violazione dei suoi doveri. Nello specifico, la società aveva ricevuto un cospicuo finanziamento pubblico da un ente regionale per un determinato progetto, ma l’amministratore aveva distratto tali fondi per altri scopi, in particolare per coprire la situazione debitoria della società. Questa condotta era già stata accertata e sanzionata dalla Corte dei Conti, che aveva condannato sia la società sia, in solido per una quota rilevante, l’amministratore stesso alla restituzione delle somme.
Secondo la curatela, questa condotta di mala gestio costituiva un inadempimento talmente grave da giustificare il mancato pagamento del compenso, in applicazione dell’art. 1460 del codice civile.

La Decisione della Cassazione sul compenso amministratore

L’amministratore, dopo aver visto respinte le sue ragioni dal Tribunale, ha proposto ricorso in Cassazione basato su quattro motivi, tutti dichiarati inammissibili dalla Suprema Corte.

Il Ruolo delle Nuove Eccezioni nel Giudizio di Opposizione

Il ricorrente lamentava che l’eccezione di inadempimento fosse stata sollevata tardivamente dalla curatela. La Corte ha ribadito un principio consolidato: nel giudizio di opposizione allo stato passivo, che costituisce un riesame completo della questione, la curatela ha il diritto di sollevare per la prima volta eccezioni non presentate nella fase precedente davanti al giudice delegato.

Inapplicabilità del “Ne Bis in Idem”

L’amministratore sosteneva che il diniego del compenso costituisse una seconda punizione per lo stesso fatto, violando il principio del ne bis in idem, dato che era già stato condannato dalla Corte dei Conti. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo la differenza fondamentale tra i due procedimenti: la condanna della Corte dei Conti ha natura sanzionatoria per un danno erariale, mentre l’eccezione di inadempimento sollevata dalla curatela è uno strumento di autotutela civilistica che serve a paralizzare una pretesa creditoria, non a imporre una nuova sanzione.

Validità dell’Eccezione anche a Rapporto Concluso

Infine, è stata respinta l’argomentazione secondo cui l’art. 1460 c.c. non sarebbe applicabile a un rapporto contrattuale ormai esaurito. La Corte ha confermato che l’eccezione di inadempimento può essere validamente sollevata per rifiutare una richiesta di pagamento anche quando il contratto da cui deriva la pretesa è già terminato.

Le Motivazioni

La ratio decidendi della Suprema Corte si fonda sulla natura del giudizio di opposizione allo stato passivo e sulla funzione dell’eccezione di inadempimento. Il giudizio di opposizione non è una semplice revisione, ma un giudizio a cognizione piena che permette alla curatela di articolare tutte le difese necessarie a tutela della massa dei creditori. L’eccezione ex art. 1460 c.c. rappresenta un rimedio sinallagmatico volto a preservare l’equilibrio tra le prestazioni. La grave condotta dell’amministratore, avendo minato alla base il rapporto fiduciario e causato un danno diretto alla società (costretta a restituire il finanziamento), fa venir meno il presupposto per il suo diritto al compenso. La Corte sottolinea che non si tratta di infliggere una doppia sanzione, ma di applicare un principio fondamentale dei contratti a prestazioni corrispettive: chi è gravemente inadempiente non può pretendere l’adempimento della controparte.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre importanti implicazioni pratiche. Anzitutto, riafferma che il diritto al compenso amministratore è strettamente legato al corretto adempimento dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto. Una gestione gravemente negligente o dolosa può portare alla perdita totale del diritto alla retribuzione. In secondo luogo, chiarisce che la curatela fallimentare dispone di ampi poteri difensivi nel contestare i crediti insinuati al passivo, potendo sollevare l’eccezione di inadempimento anche in fase di opposizione e anche se il rapporto di amministrazione si è già concluso. Infine, la decisione distingue nettamente la responsabilità civile contrattuale da quella amministrativo-contabile, escludendo che l’applicazione di un rimedio civilistico possa configurare una violazione del principio del ne bis in idem.

Un curatore fallimentare può sollevare nuove eccezioni, come quella di inadempimento, per la prima volta nel giudizio di opposizione allo stato passivo?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato il principio consolidato secondo cui la curatela fallimentare può sollevare per la prima volta eccezioni in sede di costituzione nel giudizio di opposizione allo stato passivo, poiché tale giudizio comporta un riesame a cognizione piena della domanda del creditore.

Negare il compenso a un amministratore per mala gestio viola il principio del ‘ne bis in idem’ se egli è già stato condannato dalla Corte dei Conti per gli stessi fatti?
No. La Corte ha chiarito che l’eccezione di inadempimento sollevata dal curatore è una difesa civilistica per paralizzare una domanda di credito e non costituisce una sanzione. Pertanto, non rappresenta una duplicazione della condanna già subita in sede di giurisdizione contabile.

L’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) può essere utilizzata per negare il compenso a un amministratore anche se il suo incarico è già terminato?
Sì, la Suprema Corte ha stabilito che l’eccezione di inadempimento può essere dedotta anche quando il rapporto contrattuale si è già esaurito. Non vi sono limitazioni temporali alla sua esperibilità per contrastare una domanda di pagamento derivante da quel rapporto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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