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Compenso amministratore: quando è extra? La Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2396/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un professionista, presidente del C.d.A. di una società in crisi, che richiedeva un compenso extra per attività di consulenza. La Corte ha stabilito che, in assenza di una prova rigorosa, le attività di ristrutturazione svolte in un contesto di grave crisi aziendale rientrano nel mandato gestorio dell’amministratore e non giustificano un compenso amministratore aggiuntivo, essendo già coperte dalla carica sociale.

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Compenso Amministratore Extra: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova

Un amministratore di società, che sia anche un professionista, può ricevere un compenso aggiuntivo per attività di consulenza svolte a favore della stessa società? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2396 del 25 gennaio 2024, affronta questa delicata questione, sottolineando come l’onere di dimostrare la netta separazione tra i due ruoli gravi interamente su chi richiede il compenso amministratore supplementare. La decisione offre spunti fondamentali sulla distinzione tra doveri gestori e incarichi professionali specifici, soprattutto in contesti di crisi aziendale.

I Fatti del Caso: Un Incarico Sotto la Lente

Il caso riguarda un dottore commercialista nominato consigliere e presidente del consiglio di amministrazione di una società e di altre entità del medesimo gruppo, all’epoca in una grave situazione di crisi. Oltre alla sua carica sociale, il professionista aveva ricevuto un incarico aggiuntivo per svolgere attività di supporto e consulenza professionale al C.d.A. e al management, finalizzate alla ristrutturazione del debito e al rilancio industriale.

Successivamente, il professionista ha chiesto di essere ammesso al passivo della società, finita in amministrazione straordinaria, per ottenere il pagamento del suo credito professionale derivante da tale incarico di consulenza. La sua richiesta è stata respinta sia in prima istanza che in seguito all’opposizione davanti al tribunale di merito. La motivazione del rigetto si basava sul fatto che non era stata fornita la prova che le prestazioni di consulenza fossero state svolte in esecuzione di un incarico distinto e non, invece, nell’adempimento della sua carica sociale di presidente del C.d.A., nominato proprio per gestire la crisi.

La Decisione della Corte: La Distinzione tra Mandato Gestorio e Incarico Professionale

Il professionista ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, una violazione delle norme sull’interpretazione del contratto e sostenendo che le competenze gestorie di un amministratore non precludono la possibilità per la società di conferirgli un separato incarico professionale.

La Suprema Corte ha dichiarato l’intero ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che il problema non risiedeva nell’astratta possibilità per un amministratore di ricevere un incarico professionale distinto. Il punto nodale, la ratio decidendi, era invece di natura probatoria. Il tribunale di merito aveva correttamente concluso che, nel caso specifico, non era stata fornita la prova dello svolgimento di un’attività ulteriore e separatamente remunerabile rispetto a quella già compresa nel mandato gestorio.

Le Motivazioni della Cassazione: L’Onere della Prova sul compenso amministratore aggiuntivo

La Corte ha evidenziato come il tribunale avesse sottolineato la difficoltà nel distinguere l’attività svolta dal ricorrente come professionista da quella svolta come componente dell’organo amministrativo. Il mandato al nuovo C.d.A. aveva proprio lo scopo di affrontare la grave crisi del gruppo, avvalendosi delle competenze professionali specifiche dei suoi membri, in primis del presidente. Pertanto, le attività di ristrutturazione del debito e di pianificazione industriale, per le quali si richiedeva il compenso extra, rientravano pienamente nel perimetro del mandato gestorio.

In sostanza, la Cassazione ha ritenuto che la decisione del giudice di merito fosse basata su una valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità. Non era stata negata la possibilità di un doppio incarico, ma si era constatato che, nel concreto, l’attività rivendicata era stata assorbita dalle attribuzioni proprie della carica sociale. La richiesta di un compenso amministratore aggiuntivo è stata quindi respinta non per un principio di diritto errato, ma per una carenza probatoria da parte del ricorrente.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Amministratori e Società

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: chi, rivestendo una carica sociale, svolge anche un’attività professionale per la stessa società e ne chiede un compenso separato, deve essere in grado di dimostrare in modo inequivocabile che tale attività è distinta, ulteriore e non assorbita dai doveri connessi al suo mandato di amministratore. In contesti di crisi aziendale, dove al management è richiesto un impegno straordinario per la ristrutturazione e il salvataggio, questo onere probatorio diventa ancora più stringente. Per le società, è cruciale definire con estrema chiarezza nei contratti l’oggetto, i limiti e la remunerazione di eventuali incarichi professionali conferiti ai propri amministratori, al fine di evitare future contestazioni.

Un amministratore di società può ricevere un compenso aggiuntivo per un incarico professionale separato?
Sì, in linea di principio un amministratore può ricevere un compenso per un incarico professionale distinto dalla sua carica sociale. Tuttavia, deve provare rigorosamente che l’attività svolta è ulteriore e non rientra nei compiti e doveri già coperti dal suo mandato gestorio.

Per quale motivo principale il ricorso del professionista è stato respinto?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la decisione del tribunale non si basava su un’errata interpretazione della legge, ma su una valutazione di fatto: il professionista non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare che le sue attività di consulenza fossero separate da quelle che era tenuto a svolgere come presidente del C.d.A., nominato appositamente per gestire la crisi aziendale.

Le attività di ristrutturazione aziendale in un periodo di crisi rientrano nei compiti di un amministratore?
Secondo questa ordinanza, in una situazione di grave e conclamata crisi d’impresa, le attività volte alla ristrutturazione del debito e alla tutela della continuità aziendale sono considerate parte integrante del mandato gestorio del nuovo management, specialmente se nominato con quello specifico obiettivo. Di conseguenza, tali attività non giustificano automaticamente un compenso aggiuntivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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