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Compenso amministratore: quando è dovuto e perso

La Corte d’Appello ha esaminato il caso di un amministratore di società che chiedeva il pagamento del proprio compenso. La società si opponeva, avanzando una domanda riconvenzionale per prelievi ingiustificati. La Corte ha stabilito che il diritto al compenso amministratore, sebbene presunto, si prescrive in cinque anni. Inoltre, ha negato il compenso per il periodo non prescritto a causa del grave inadempimento dell’amministratore, che non aveva giustificato i prelievi. Di conseguenza, l’amministratore è stato condannato a restituire le somme prelevate, al netto di una piccola parte di compenso riconosciutagli per un breve periodo residuo.

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Pubblicato il 14 marzo 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile

Compenso Amministratore: Diritto o Miraggio? Analisi di un Caso Pratico

Il compenso amministratore rappresenta una delle questioni più dibattute nel diritto societario, specialmente nelle società di persone dove i ruoli possono essere fluidi. Si presume che l’attività di amministratore sia onerosa, ma cosa succede quando a questo diritto si contrappongono contestazioni di mala gestio? Una recente sentenza della Corte d’Appello di Venezia offre spunti cruciali, bilanciando il diritto al compenso con i doveri di corretta amministrazione e le conseguenze di gravi inadempimenti.

I Fatti: la controversia tra l’amministratore e la società

La vicenda giudiziaria nasce dalla richiesta di un ex socio accomandatario, che per decenni aveva ricoperto il ruolo di amministratore e poi liquidatore unico di una società in accomandita semplice. Egli citava in giudizio la società per ottenere il pagamento del compenso per l’attività svolta negli ultimi dieci anni, oltre alla restituzione di finanziamenti soci.

La società, costituendosi in giudizio, non solo si opponeva alle richieste, ma presentava una domanda riconvenzionale. Contestava all’ex amministratore di aver effettuato prelievi ingiustificati dalle casse sociali per oltre 55.000 euro e di aver omesso adempimenti fiscali e contabili, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni.

La Decisione della Corte d’Appello: un ribaltamento del giudizio

La Corte d’Appello, riformando parzialmente la decisione di primo grado, ha accolto in gran parte le tesi della società. Ha analizzato separatamente i tre punti nodali della controversia: il diritto al compenso, la domanda di risarcimento per i prelievi e la restituzione del finanziamento soci.

Il Compenso Amministratore: tra Prescrizione e Inadempimento

La Corte ha affrontato la questione del compenso amministratore sotto un duplice profilo: prescrizione e inadempimento.

In primo luogo, ha stabilito che il diritto al compenso derivante da un rapporto societario è soggetto alla prescrizione breve di cinque anni (ex art. 2949 c.c.), e non a quella ordinaria decennale. Il diritto matura anno per anno, quindi la prescrizione decorre dalla chiusura di ogni esercizio sociale. Questo ha comportato la declaratoria di prescrizione per gran parte del periodo richiesto dall’amministratore.

In secondo luogo, per il periodo residuo non coperto da prescrizione, la Corte ha applicato il principio inadimplenti non est adimplendum. Poiché l’amministratore si era reso responsabile di un grave inadempimento – i prelievi ingiustificati dalle casse sociali – la società era legittimata a rifiutare il pagamento del compenso. Solo per un brevissimo periodo successivo ai prelievi contestati è stato riconosciuto un compenso, calcolato secondo i criteri del CTU.

La Domanda Riconvenzionale e l’Onere della Prova

Sul fronte della domanda riconvenzionale della società, la Corte ha ribaltato la decisione di primo grado. Ha affermato che, a fronte di una contestazione specifica e documentata di prelievi non giustificati, l’onere della prova di dimostrare la legittima destinazione di tali somme gravava sull’amministratore. L’amministratore-liquidatore ha un dovere di rendiconto e, non avendo fornito alcuna giustificazione per quei prelievi, è stato ritenuto responsabile. Di conseguenza, è stato condannato alla restituzione dell’intera somma.

Il Finanziamento Soci: Esistente ma non Esigibile

Infine, la Corte ha riconosciuto l’esistenza del credito dell’attore per un finanziamento soci, come risultava dalla contabilità. Tuttavia, ha negato la condanna al pagamento immediato. Trattandosi di un credito formatosi quando la società era già in una situazione di difficoltà e in fase di liquidazione, è stato qualificato come credito postergato (ex art. 2467 c.c.). Ciò significa che potrà essere rimborsato solo dopo la soddisfazione di tutti gli altri creditori sociali, nell’ambito della procedura di liquidazione.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su principi consolidati. Ha ribadito che la responsabilità dell’amministratore di società di persone ha natura contrattuale, assimilabile a quella del mandatario. Di fronte a somme fuoriuscite dall’attivo sociale, la società deve solo allegare l’inadempimento (la distrazione delle risorse), mentre spetta all’amministratore provare la corretta destinazione delle somme per finalità sociali. La mancata contestazione specifica e la mancata prova da parte dell’amministratore hanno portato a considerare i prelievi come indebiti.

Per quanto riguarda il compenso amministratore, la Corte ha sottolineato che il diritto si prescrive in cinque anni, decorrenti da ogni esercizio. Ha inoltre chiarito che la rinuncia a tale diritto non si presume dalla semplice inerzia o dalla mancata richiesta, ma deve risultare da un comportamento concludente e inequivocabile, che nel caso di specie non è stato provato. Tuttavia, il grave inadempimento dell’amministratore legittima la società a non corrispondere il compenso, quale eccezione di inadempimento.

Le Conclusioni

La sentenza offre importanti lezioni pratiche. Per gli amministratori, emerge il dovere di gestire con la massima trasparenza e di essere sempre pronti a giustificare ogni operazione, conservando la relativa documentazione. Il diritto al compenso, seppur presunto, non è assoluto e può essere eroso dalla prescrizione o perso a causa di una gestione negligente o infedele. Per le società, la decisione rafforza gli strumenti di tutela contro la mala gestio, chiarendo che l’onere di provare la correttezza del proprio operato ricade sull’amministratore una volta che siano state mosse contestazioni specifiche e circostanziate. La sentenza bilancia equamente i diritti e i doveri, riaffermando che la fiducia alla base del mandato di amministratore richiede un comportamento impeccabile.

L’amministratore di una società di persone ha sempre diritto al compenso?
Sì, il diritto al compenso per l’attività di amministratore si presume oneroso, a meno che lo statuto non preveda la gratuità o che vi sia una speciale partecipazione agli utili. Tuttavia, tale diritto può essere negato se l’amministratore si rende responsabile di un grave inadempimento, come la distrazione di fondi sociali.Qual è il termine di prescrizione per il diritto al compenso dell’amministratore?
Il diritto al compenso dell’amministratore, derivando da un rapporto societario, è soggetto alla prescrizione breve di cinque anni, come previsto dall’art. 2949 c.c. Il termine decorre dalla chiusura di ogni singolo esercizio sociale, poiché il diritto matura e diventa esigibile di anno in anno.

Un grave inadempimento può far perdere all’amministratore il diritto al compenso?
Sì. Secondo il principio “inadimplenti non est adimplendum”, la società può legittimamente rifiutarsi di pagare il compenso all’amministratore se quest’ultimo si è reso responsabile di gravi inadempimenti ai suoi doveri, come nel caso di prelievi ingiustificati dalle casse sociali durante la fase di liquidazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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