Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13480 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13480 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12612-2023 proposto da:
COGNOME NOME, con domicilio digitale presso il difensore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE;
– intimata –
Oggetto
Compenso ad amministratore unico
di società a responsabilità limitata
R.G.N.12612/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/04/2024
CC
avverso la sentenza n. 233/2023, della Corte d’appello di MESSINA, depositata il 27/03/2023, R.G. 372/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/04/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1315/2021 il Tribunale di Messina, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE al decreto ingiuntivo n. 695/2015, emesso dal medesimo Tribunale per il pagamento in favore di COGNOME NOME della somma di € 83.709,00, oltre interessi e spese , revocava detto decreto, ma condannava l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore del COGNOME, della complessiva somma di € 72.937,50, oltre accessori, a titolo di compensi per l’opera da quest’ultimo svolta quale amministratore unico della società dal giugno 2011 all’agosto 2012.
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Messina, in accoglimento dell’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza di primo grado, confermava la revoca del decreto ingiuntivo opposto, ma rigettava le domande proposte dal COGNOME, condannandolo al pagamento, in favore dell’appellante, de lle spese del doppio grado di giudizio, come distintamente liquidate per ogni grado.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale riteneva meritevole di accoglimento la doglianza dell’appellante relativa
alla mancanza di prova adeguata del credito preteso dal COGNOME. In particolare, considerava non idoneo a riguardo il verbale di delibera assembleare dell’1.6.2011, e che anche i cedolini depositati dal COGNOME a fondamento del decreto ingiuntivo non erano sufficienti per comprovare il credito.
Avverso tale decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimata è rimasta tale, non avendo svolto alcuna difesa in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e di ogni norma e principio di valutazione delle prove, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3 nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto’. Evidenzia il ricorrente che la società opponente non aveva mai contestato la prestazione da lui resa, ma aveva dedotto esclusivamente una carenza documentale relativa alla mancata produzione della delibera assembleare circa l’attribuzione dei compensi. Do po aver richiamato il contenuto dell’avverso atto di opposizione, della propria memoria di costituzione in prime cure e della motivazione del primo giudice, nonché dell’att o di appello della società e della propria memoria difensive in secondo grado, il ricorrente sostiene che aveva errato la Corte territoriale nel ritenere l’assoluta inefficacia probatoria della delibera assembleare dell’1.6.2011, in quanto sfornita della dichiarazione di conformità a quella trascritta nei libri sociali.
Con il secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2364 n. 3, 2389, 1709 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3) nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto’. Il ricorrente si riferisce alle norme citate in rubrica per sostenere che, anche volendo accedere alla tesi che la delibera da lui prodotta non costituisce adeguata prova del credito limitatamente al quantum dei compensi, la Corte d’appello avrebbe dovuto procedere con l’attivi tà istruttoria ed ammettere la c.t.u. richiesta in primo grado e riproposta in sede di appello, al fine di determinare l’esatto ammontare del credito vantato dall’opposto, sulla scorta della documentazione prodotta.
Con il terzo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e di ogni norma e principio sulla liquidazione delle spese giudiziali, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3) nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto’. Secondo il ricorrente, attesa la fondatezza delle domande da lui proposte, doveva essere cassata la sentenza di secondo grado relativamente alla statuizione sulle spese processuali, in base al principio di cui all’art. 336 c.p.c.
4. Il primo motivo è infondato.
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere
di considerare i fatti non contestati o la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad al tre essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (così, tra le tante, Cass. n. 13796/2023).
5.1. Ed è di tutta evidenza che il ricorrente non deduce che la Corte di merito abbia posto a fondamento della propria decisione prove non introdotte dalle parti, perché egli all’opposto si duole d el fatto che la Corte distrettuale non abbia annesso efficacia probatoria alla delibera contenuta nel verbale dell’assemblea dell’1.6.2011.
Quanto, poi, alla pur dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c., secondo altro consolidato indirizzo di questa Corte, la doglianza circa la violazione di tale previsione è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differenze risultanza probatoria (ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360, comma primo, n. 5), c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (in tal senso,
ex plurimis , Cass. n. 31510/2021; n. 20751/2022; n. 15727/2022).
6.1. Ora, dev’essere anzitutto rilevato che il primo motivo fa esclusivo riferimento al mezzo di cui al n. 3) del primo comma dell’art. 360 c.p.c., pur se in rubrica si accenna anche ad una ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto’, con deduzione, quindi, non riconducibile all’ipotesi di di ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti’, di cui al n. 5) dello stesso comma, come novellato dall’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. n. 83/2012 conv. con mod. nella L. n. 134/2012.
Tanto rilevato, il ricorrente non deduce che ‘il verbale di delibera assembleare dell’1/6/2011’, esibito in copia dall’attuale ricorrente per cassazione, e su cui si è pronunciata la Corte di merito, fosse stato redatto all’origine per atto pubblico, come in ipotesi consentito (cfr. art. 2478, comma primo, n. 2), c.c. novellato), ma non imposto dall’art. 2479 bis c.c.; nel qual caso sarebbe stato possibile produrne un giudizio una copia dichiarata conforme all’originale dal pubblico ufficiale competente ex art. 2714 c.c.
Per quanto accertato dalla Corte di merito, comunque, si era in presenza di una copia informe di quel verbale, che non presentava in calce una ‘dichiarazione di conformità a quella trascritta e sottoscritta nei libri sociali della società’.
Erroneamente, perciò, il ricorrente assume che quel documento spiegherebbe ‘piena efficacia probatoria fino a querela di falso, anche questa mai esperita’ (così a pag. 14 del ricorso).
La copia informe prodotta dall’attuale ricorrente era certamente priva di fede privilegiata ai sensi degli artt. 2699 e 2700 c.c.
7.1. Per conseguenza, a fronte di motivo d’appello della società che, proprio circa quella delibera di assemblea, aveva rilevato che ‘si trattava solo di una copia di cui era impossibile verificarne l’esistenza, non essendovi traccia tra gli atti sociali ufficiali e non essendo stati reperiti i libri sociali nell’ambito del procedimento penale per bancarotta fraudolenta che aveva visto il sequestro preventivo della società RAGIONE_SOCIALE e il coinvolgimento dello stesso COGNOME‘ (cfr. facciata 2 dell ‘impugnata sentenza) , la Corte d’appello poteva e doveva valutare il ridetto documento secondo il suo prudente apprezzamento.
La stessa Corte, quindi, non ha violato l’art. 116, comma primo, c.p.c.
8. Inammissibile è il secondo motivo.
Secondo questa Corte, infatti, la determinazione giudiziaria del giusto compenso dell’amministratore di società di capitali, ove non pattuito dalle parti ex art. 2389 c.c., deve essere condotta alla stregua del criterio dell’equità (si veda l’articolo 1 709 c.c.), secondo la regola della proporzione con l’entità della prestazione in concreto svolta e con il risultato fatto conseguire alla società, potendo rilevare, al riguardo, una pluralità di elementi, quali l’impegno profuso dall’amministratore nell’at tività prestata, la situazione economica della società, gli utili ed i vantaggi conseguiti, la misura dei compensi come corrisposti nei precedenti esercizi, il compenso corrente nel mercato per analoghe prestazioni, in
relazione a società di simili dimensioni, e così via (così Cass., sez. VI, 4.3.2021, n. 6056).
Ma già in precedenza era stato deciso che, in tema di compenso degli amministratori di società di capitali, laddove manchi una disposizione dell’atto costitutivo e l’assemblea si rifiuti o ometta di stabilirlo o lo determini in misura inadeguata, l’amminis tratore è abilitato a richiederne al giudice la determinazione, anche in via equitativa, purché alleghi e provi la qualità e quantità delle prestazioni svolte, risultando di per sé insufficiente l’indicazione del compenso pattuito in esercizi sociali di anni diversi (così Cass., sez. lav., 29.10.2014, n. 23004).
Ebbene, nell’ambito di una censura impostata esclusivamente in chiave di violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziale (salva una generica censura di ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione’, di cui s’è già detto in relazione al primo motivo), il ricorrente si duole in realtà della mancata ammissione della C.T.U. richiesta in primo grado e riproposta in appello, al fine di determinare l’esatto ammontare del credito vantato dall’opposto, sulla scorta della documentazione prodotta.
10.1. In questa sede di legittimità, quindi, una censura in cui si lamenti la mancata ammissione di un mezzo istruttorio doveva essere fatta valere con un mezzo diverso da quello di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c.
10.2. Inoltre, a fronte degli elementi su visti, richiesti ai fini della determinazione giudiziale del compenso di amministratore di società di capitali, il ricorrente neanche deduce su quali specifici aspetti relativi alla qualità e alla
quantità delle prestazioni concretamente svolte dovesse essere svolto l’incarico in ipotesi da affidare ad un C.T.U., o potesse essere operata una liquidazione equitativa da parte dei giudici di merito.
Infine, rileva per completezza il Collegio che alla fine dello svolgimento del primo motivo di ricorso, si deduce: ‘Successivamente alla emissione della sentenza della Corte d’Appello, il Sig. COGNOME ha reperito l’estratto conto del proprio conto corrente al 30.06.2014, che attesta che la RAGIONE_SOCIALE ha provveduto a bonificare quanto dovuto a titolo di compensi per i mesi di giugno, luglio ed agosto 2011 (All. 7)’, il che dimostrerebbe che ‘la delibera, pertanto, non soltanto esiste ed è vera ma è stata accettata e posta in esecuzione dalla società senza riserve’.
11.1. Va da sé che questa Corte di legittimità non può tenere in alcuna considerazione documenti non prodotti nei gradi di merito, non senza notare che i compensi per quei tre mesi, asseritamente liquidati dalla società, rientravano tra quelli chiesti ed inizialmente ottenuti con il provvedimento monitorio, e poi con la sentenza di primo grado.
Parimenti inammissibile è l’ultimo motivo di ricorso, che non contiene alcuna autonoma e motivata censura al regolamento delle spese processuali operato dalla Corte territoriale, di cui ci si duole sul solo assunto della pretesa fondatezza delle domande del ricorrente.
Nulla dev’essere disposto quanto alle spese processuali, non avendo l’intimata svolto alcuna difesa; nondimeno il ricorrente è tenuto al versamento di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del