LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Compenso amministratore: la prova del credito in giudizio

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13480/2024, ha respinto il ricorso di un amministratore unico che richiedeva il pagamento del proprio compenso. La Corte ha stabilito che una copia non certificata della delibera assembleare che fissa il compenso amministratore non costituisce prova sufficiente del credito, confermando che l’onere di fornire una prova formale e adeguata ricade interamente sull’amministratore stesso.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Compenso Amministratore: La Prova del Credito e il Valore della Delibera

Il riconoscimento del compenso amministratore è un aspetto cruciale nella vita di una società, ma cosa succede quando la prova di tale compenso viene contestata in tribunale? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto luce sull’importanza della formalità documentale, chiarendo che non basta qualsiasi documento per dimostrare il proprio diritto. Analizziamo insieme questo caso per capire quali sono gli oneri probatori a carico dell’amministratore e quale valore ha una delibera assembleare prodotta in giudizio.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dalla richiesta di pagamento di un amministratore unico nei confronti della società da lui gestita. L’amministratore ottiene inizialmente un decreto ingiuntivo per una somma considerevole. La società si oppone e, dopo due gradi di giudizio, la Corte d’Appello accoglie le ragioni della società, revocando il decreto e respingendo completamente la domanda dell’amministratore. La motivazione della Corte territoriale è netta: l’amministratore non ha fornito una prova adeguata del suo credito. In particolare, il documento chiave presentato – una copia della delibera assembleare che avrebbe stabilito il suo compenso – è stato ritenuto inidoneo perché si trattava di una semplice ‘copia informe’, priva di una dichiarazione di conformità all’originale trascritto nei libri sociali.
Insoddisfatto, l’amministratore ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su tre motivi principali: un’errata valutazione delle prove, la mancata disposizione di una perizia per quantificare il compenso, e la conseguente ingiusta condanna al pagamento delle spese legali.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato e respinto tutti i motivi del ricorso, fornendo importanti chiarimenti sui principi che regolano la prova del credito dell’amministratore.

Il Valore Probatorio della Delibera sul Compenso Amministratore

Il punto centrale della decisione riguarda il valore probatorio della documentazione. L’amministratore sosteneva che la delibera prodotta dovesse essere considerata valida fino a querela di falso. La Cassazione ha respinto questa tesi, sottolineando che il documento presentato era una mera ‘copia informe’.
Una tale copia è priva di ‘fede privilegiata’, a differenza di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata. Di conseguenza, il giudice non è vincolato a considerarla veritiera, ma può e deve valutarla liberamente secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, come previsto dal Codice di procedura civile. Nel caso specifico, la società aveva contestato l’esistenza stessa di quella delibera nei registri ufficiali, rendendo la valutazione negativa della Corte d’Appello del tutto legittima.

La Richiesta di CTU e l’Onere della Prova

L’amministratore aveva inoltre lamentato che la Corte d’Appello avrebbe dovuto, in subordine, ammettere una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per determinare l’esatto ammontare del credito. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile. La Cassazione ha chiarito che, prima ancora di discutere la quantificazione del compenso, l’amministratore ha l’onere di provare la qualità e la quantità delle prestazioni svolte. Senza questa prova preliminare, una richiesta di CTU per la quantificazione è infondata. Inoltre, la doglianza è stata formulata in modo proceduralmente scorretto, essendo stata presentata come violazione di norme di diritto sostanziale anziché come vizio processuale relativo all’ammissione dei mezzi di prova.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi consolidati del diritto processuale e societario. Il principio cardine è quello dell’onere della prova (art. 2697 c.c.): chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Nel caso del compenso amministratore, spetta a quest’ultimo dimostrare non solo di aver svolto l’incarico, ma anche l’esistenza di un valido titolo che gli attribuisca il diritto a un compenso e ne determini l’importo.
La Corte ribadisce che una semplice copia non certificata di un verbale di assemblea non è sufficiente a superare questo onere, specialmente se la controparte ne contesta l’autenticità o l’esistenza. La decisione sottolinea una distinzione fondamentale tra la valutazione di una prova legale (come un atto pubblico) e l’apprezzamento di una prova semplice (come una copia informe), che rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre una lezione fondamentale per tutti gli amministratori di società: la formalità non è un optional. Per tutelare il proprio diritto al compenso, è indispensabile assicurarsi che le delibere assembleari che lo stabiliscono siano non solo regolarmente adottate, ma anche correttamente verbalizzate nei libri sociali. In caso di contenzioso, è essenziale produrre in giudizio copie conformi all’originale o, se possibile, gli originali stessi. Affidarsi a documentazione ‘informe’ o non certificata espone al rischio concreto di vedere la propria domanda respinta per insufficienza di prove. La sentenza è un monito a una gestione diligente e formalmente ineccepibile della documentazione societaria, unico baluardo per la tutela dei propri diritti.

Una copia non certificata della delibera assembleare è sufficiente per provare il diritto al compenso di un amministratore?
No, la Corte ha stabilito che una ‘copia informe’, priva di una dichiarazione di conformità all’originale trascritto nei libri sociali, non ha ‘fede privilegiata’ e può essere liberamente valutata dal giudice, che può ritenerla insufficiente come prova.

Se la prova del compenso pattuito è debole, il giudice deve nominare un perito (CTU) per determinarne l’importo?
Non necessariamente. La Cassazione ha ritenuto inammissibile la richiesta perché l’amministratore, prima di chiedere una CTU per la quantificazione, deve comunque fornire la prova della qualità e quantità delle prestazioni svolte. Inoltre, la richiesta di ammissione di un mezzo istruttorio deve essere lamentata con il corretto motivo di ricorso.

Chi ha l’onere di provare il diritto al compenso e il suo ammontare?
L’onere della prova grava interamente sull’amministratore che agisce in giudizio per ottenere il pagamento. Egli deve fornire prove adeguate e formalmente valide non solo del suo diritto al compenso ma anche del suo preciso ammontare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati