Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16801 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20049/2020 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOME
-controricorrente-
contro
Civile Ord. Sez. L Num. 16801 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- sul controricorso incidentale proposto da
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente incidentale- contro
NOME
-controricorrente all’incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 405/2020 depositata il 29/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con sentenza del 29.4.20 la corte d’appello di Milano, in parziale riforma di sentenza del tribunale del 2019, ha condannato la società a pagare €10.081 per indennità sostitutiva del preavviso e €28.000 per fine rapporto, così riducendo gli importi riconosciuti in primo grado, e confermando le statuizioni di primo grado rimanenti (e in particolare la condanna al pagamento delle provvigioni per €27.034 per compenso fisso mensile); in particolare la corte ha ritenuto che la somma di €3500 mensile fosse un compenso fisso e non un minimo garantito e che la clausola del recesso era ricollegata al mancato raggiungimento della soglia di redditività per cui non vi era invece obbligo; ha escluso l’applicazione della norma contrattuale collettiva ai fini dell’indennità sostitutiva del preavviso e dell’indennità di fine rapporto.
Avverso tale sentenza ricorre per due motivi, illustrati da memoria, l’agente, resiste con controricorso la preponente, che propone ricorso incidentale per tre motivi rispetto ai quali il ricorrente principale resiste con controricorso.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il primo motivo del ricorso principale deduce violazione dell’articolo 115 c.p.c. per non aver considerato che in primo grado la società non aveva contestato il calcolo dell’identità sostitutiva di preavviso e dell’indennità di fine rapporto.
Il motivo, che non riporta tutta la memoria ma soltanto parte di essa, ed è pertanto privo di specificità, è in ogni caso privo di pregio, atteso che deve ricordarsi (con Sez. U, Sentenza n. 761 del 23/01/2002, Rv. 551789 -01, e Sez. L – , Sentenza n. 20998 del 06/08/2019, Rv. 654802 – 01) che, nei procedimenti che seguono il rito del lavoro, il principio di non contestazione, con riguardo ai conteggi elaborati dal ricorrente ai fini della quantificazione del credito oggetto della domanda, impone la distinzione tra la componente fattuale e quella normativa dei calcoli, nel senso che è irrilevante la non contestazione attinente all’interpretazione della disciplina legale o contrattuale della quantificazione, appartenendo al potere-dovere del giudice la cognizione di tale disciplina, mentre rileva quella che ha ad oggetto i fatti da accertare nel processo e non la loro qualificazione giuridica.
Il secondo motivo del ricorso principale lamenta violazione dell’articolo 345 e 437 comma 2 c.p.c., per avere la corte territoriale trascurato che le argomentazioni sulla inapplicabilità dell’AEC e la massima misura dell’indennità di cessazione erano state formulate solo in appello.
Premesso che nessuna violazione procedurale consta, essendo le questioni sollevate non eccezioni, bensì mere difese (in quanto tali spendibili anche in appello), il motivo è comunque infondato posto da un lato che comunque l’onere della prova dell’applicabilità dell’AEC era a carico dell’agente che invocava il credito in discorso e, dall’altro lato, che l’applicazione della misura massima è un portato dell’art. 1751, che la corte ha correttamente applicato.
Passando all’esame del ricorso incidentale, il primo motivo lamenta violazione dell’art. 1362 c.c. per l’erronea qualificazione della clausola del contratto di agenzia sul compenso, essendo questo un minimo garantito di provvigione e non un compenso fisso.
Il motivo è privo di pregio: la corte effettuato una lettura in linea con i criteri di legge e, in particolare, con quello letterale, atteso che la clausola fa riferimento ad un importo minimo forfettario e indipendente dal fatturato maturato; inoltre il contratto non parla mai di tale importo con riferimento alle provvigioni, per le quali non prevede, del resto, alcun conguaglio. La censura, in sostanza si risolve nell’invocare una diversa scelta tra diverse interpretazioni, tutte legittime e plausibili, di un testo contrattuale, scelta che spetta solo al giudice di merito e non a quello di legittimità.
Il secondo motivo deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. per assenza di motivazione sulla provvigione del periodo di dicembre 2017.
Anche questo motivo è infondato, in quanto nella sentenza impugnata vi è una motivazione che richiama il fisso mensile e, separatamente, le provvigioni per il mese in discorso, di guisa che la motivazione è idonea e intelligibile.
Il terzo motivo deduce, ex 360 n. 5 c.p.c., violazione dell’art. 1456 c.c. e vizio di motivazione, per non avere la corte territoriale considerato la clausola risolutiva espressa per il mancato raggiungimento del risultato.
In tema, questa Corte ha già precisato (tra le ultime, Sez. L, Ordinanza n. 22246 del 04/08/2021, Rv. 662030 -01; v. anche Sez. L, Sentenza n. 10934 del 18/05/2011, Rv. 617402 – 01) che, in tema di cessazione del rapporto di agenzia, il recesso senza preavviso dell’impresa preponente è consentito nel caso in cui intervenga una causa che impedisca la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Pertanto, in caso di ricorso da parte dell’impresa preponente ad una clausola risolutiva espressa, che può ritenersi valida nei limiti in cui venga a giustificare un recesso in tronco attuato in situazioni concrete e con modalità a norma di legge o di accordi collettivi non legittimanti un recesso per giusta causa, il giudice deve comunque verificare anche che sussista un inadempimento dell’agente integrante giusta causa di recesso, tenendo conto delle complessive dimensioni economiche del contratto, dell’incidenza dell’inadempimento sull’equilibrio contrattuale e della gravità della condotta, da valutarsi in considerazione della diversità della posizione dell’agente rispetto a quella del lavoratore subordinato, in ragione del fatto che il rapporto di fiducia nel rapporto di agenzia assume maggiore intensità, stante la maggiore autonomia di gestione dell’attività.
Nel caso, tale valutazione è stata operata dalla corte territoriale che ha escluso l’inadempimento dell’agente e, per l’effetto, ha negato l’applicabilità della clausola risolutiva in questione.
Il rigetto di entrambi i ricorsi suggerisce la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto, a carico di entrambe le parti.
p.q.m.
rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 marzo 2025.