Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24267 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24267 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 31/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22885/2020 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da se medesimo e dall’Avv. C COGNOME NOME
–
ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente incidentale-
avverso ORDINANZA di TRIBUNALE MILANO n. 40000/2018 depositata il 26/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. L’avv. NOME COGNOME ottenne, a seguito di ricorso al Tribunale di Milano, il decreto ingiuntivo n. 14705/18, emesso il 13/06/18 e notificato il 09/07/18, relativamente ad un credito ammontante ad euro 143.085,80, maturato per prestazioni professionali, giudiziali e stragiudiziali, svolte in favore della Banca di Credito Cooperativo di Milano, sulla base di un contratto di assistenza professionale annuale, rinnovabile annualmente.
Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. la Banca propose opposizione ed eccepì l’improponibilità della domanda per illegittimo frazionamento del credito; nel merito, chiese, in via principale, accogliersi l’opposizione e revocarsi il decreto ingiuntivo; in subordine previo riconoscimento della compensazione eccepita pari a € 23.543,76 -determinarsi il compenso, se dovuto, sulla base della ‘ convenzione operativa e tariffaria con i legali fiduciari ‘ stipulata in data 11.4.2013 e del relativo allegato 1, quale ‘ tabella dei parametri economici di riferimento ‘; in via ulteriormente subordinata, chiese determinarsi il compenso sulla base dei parametri ministeriali applicabili al momento della conclusione dell’attività da parte del professionista.
Si costituì in giudizio COGNOME NOME e, in via preliminare, sollevò eccezione di inammissibilità e/o improcedibilità dell’opposizione per tardività, essendo stata questa proposta con ricorso ex art. 14 D. Lgs. 150/11 anziché con atto di citazione, notificato, peraltro, oltre il termine di quaranta giorni; nel merito, chiese il rigetto dell’opposizione, con conferma dell’ingiunzione e la condanna della banca al pagamento della somma di € 143.085,80, oltre accessori di legge ed interessi, ex D. Lgs. 231/2002, posto che il compenso doveva essere liquidato secondo i parametri della risalente convenzione del 1994 e non da quella stipulata nel 2013, ovvero nel
2015; in via subordinata, chiese rideterminarsi i compensi a norma dell’art. 2233 comma 2 c.c. e secondo i parametri di equità di cui all’art. 13 bis della L. 247/2012 e, per l’effetto, chiese condannarsi la Banca al pagamento della somma di euro 143.085,80, oltre accessori di legge ed interessi ex d.lgs. 231/2002. All’esito del giudizio, il Tribunale di Milano, con ordinanza collegiale del 25/05/2020, accolse parzialmente l’opposizione e, per l’effetto, revocò il decreto ingiuntivo n. 14705/18 e condannò l’opponente al pagamento della somma di € 15.744,00, maggiorata degli interessi moratori ex d. lgs. 231/02 dalla domanda al saldo.
Per quel che rileva in questa sede, il Tribunale rigettò l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione, ritenendo che il procedimento fosse regolato dall’art. 14 d.lgs. 150/2011, perché avente ad oggetto prestazioni giudiziali in materia civile e prestazioni stragiudiziali prodromiche o complementari ad un’attività giudiziale civile e con essa strettamente connesse.
Il Tribunale rigettò l’eccezione di giudicato implicito, sollevata dall’Avv. COGNOME in relazione al decreto ingiuntivo non opposto N. 1395/18 emesso dal Tribunale di Monza sulla base della risalente convenzione del 16.12.1996, non essendovi coincidenza tra petitum e causa petendi, dal momento che l’opposizione atteneva al pagamento di compensi per attività professionali diverse.
Infondata era altresì, ad avviso del Tribunale, l’eccezione di improponibilità per illegittimo frazionamento del credito sollevata dalla banca perché i crediti professionali derivavano da distinti incarichi che si erano susseguiti nel tempo, e, pertanto, non attenevano ad un unico rapporto obbligatorio.
Sulla domanda tendente all’accertamento dell’errata quantificazione del credito, il Tribunale statuì, prendendo come riferimento l’accordo
inter partes del 29/04/2015, da interpretarsi sulla base dei principi di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., che, per quanto atteneva all’attività svolta sino al 30/06/2014, le parti avevano previsto un compenso di euro 599.828,22, salvo errori ed omissioni ed indipendentemente da quanto risultava nell’allegato elenco, somma da decurtarsi del 25% in riferimento a tutte le pratiche curate dall’avvocato medesimo; per l’attività svolta successivamente al 30/06/2014, ai sensi dell’ultima clausola dell’accordo del 2015, l’avv. COGNOME si era impegnato ad applicare le tariffe di cui alla convenzione dell’11/04/2013, ferme restando le modifiche apportate con la lettera del 12/06/2013.
Quanto alla domanda dell’avvocato COGNOME volta all’annullamento dell’accordo del 2015, nella parte in cui richiamava le tariffe del 2013, il Tribunale rilevò che le prestazioni erano state rese sulla base di un accordo precedente all’entrata in vigore dell’art. 13 bis della L. 247/2012 e già completate alla data dell’entrata in vigore della legge stessa in data 6.12.2017; peraltro, i rapporti professionali con la banca si erano esauriti a seguito della rinuncia al mandato da parte dell’avvocato COGNOME in data 16.11.2017.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di dodici motivi.
2.1.La Banca di Credito Cooperativo di Milano ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale articolato in cinque motivi, cui l’avv. COGNOME ha resistito con controricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.E’ opportuno evidenziare che tra le medesime parti pendevano innanzi a questa Corte numerosi giudizi aventi ad oggetto la
medesima vicenda sostanziale e le stesse questioni di diritto oggi riproposte.
Reputa il collegio di dare seguito ai principi di diritto già enunciati nei numerosi precedenti, tra cui si richiamano Cass. N. 7354/2025, Cass. N.7355/2025, Cass N. 9733/2025, Cass. N. 9735/2025, Cass. N. 12905/2025.
Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione sollevata dal NOME COGNOME nella memoria ex art. 378 c.p.c. in riferimento all’asserito vizio di costituzione del giudice, ex art. 276 c.p.c., per essersi svolto il giudizio di opposizione, introdotto secondo il rito semplificato di cui all’art. 14 del D. Lgs. n.150/2011, davanti al giudice relatore, che avrebbe riservato la decisione, autorizzando il deposito della memorie di replica mentre il procedimento avrebbe dovuto essere trattato e deciso innanzi al Tribunale in composizione collegiale, a pena di nullità.
2.1.L’eccezione non merita accoglimento.
Il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. – derivante dalla violazione dell’art. 276 c.p.c. correlato alla previsione speciale di collegialità dell’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011, ratione temporis applicabile, determina una nullità insanabile (Cass. 6.6.2016 n.11581), che in forza del rinvio dell’art. 158 c.p.c. all’art. 161 c.p.c., può essere fatta valere solo nei limiti e secondo le regole proprie del ricorso in cassazione.
Nel caso in esame, il vizio di costituzione del giudice non è stato censurato né col ricorso principale, né con quello incidentale, ma con memoria ex art. 378 c.p.c., né può essere rilevato d’ufficio (Cass. N. 12905 del 2025).
Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in
relazione agli artt. 641, 645, e 702 bis c.p.c., artt. 28 legge 13 giugno 1942 n. 794 e artt. 3 e 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, per non avere il Tribunale accolto l’eccezione di inammissibilità per tardività dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla banca. Il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale non abbia valutato che il credito da lui vantato fosse relativo sia all’attività giudiziale che stragiudiziale, e, pertanto, la banca avrebbe dovuto introdurre il giudizio di opposizione con citazione, ai sensi dell’art. 645 c.p.c. e non con ricorso notificato in data 19.11.2018, ben oltre il termine di quaranta giorni, ex art. 641 c.p.c., dalla notifica dell’ingiunzione avvenuta il 9.7.2018.
3.1 Il motivo è infondato.
Il Tribunale ha accertato che il ricorso monitorio era teso ad ottenere il pagamento del compenso dell’avvocato NOME COGNOME sia per attività giudiziali civili che stragiudiziali connesse, svolte a favore della Banca di Credito Cooperativo di Sesto San Giovanni. (Cass. n. 7354/2025; Cass. 12905 del 2025).
Pertanto, la banca ha correttamente introdotto il giudizio con ricorso ex art. 702 bis c.p.c, essendo le attività stragiudiziali connesse a quelle giudiziali.
Di conseguenza la banca ben poteva avvalersi del deposito del ricorso entro quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo, anziché dell’atto di citazione notificato nello stesso termine ai fini dell’opposizione.
L’opposizione era, quindi, tempestiva.
In ogni caso, come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte (SSUU 12.1.2022 n. 758; nello stesso senso Cass. n. 5659/2022), nei procedimenti «semplificati» disciplinati dal D.Lgs. n. 150/2011, nel caso in cui l’atto introduttivo sia proposto con citazione, anziché con
ricorso eventualmente previsto dalla legge, il procedimento – a norma dell’art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011 – è correttamente instaurato se la citazione sia notificata tempestivamente, producendo essa gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando le decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronuncia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, la quale opera solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non a quella che esso avrebbe dovuto avere, dovendosi avere riguardo alla data di notifica della citazione effettuata quando la legge prescrive il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso quando la legge prescrive l’atto di citazione.
Pertanto, nel caso di specie, quand’anche il decreto ingiuntivo fosse stato chiesto dall’avvocato anche per il pagamento di compensi per attività stragiudiziali svincolate dall’attività giudiziale civile, una volta scelto dall’opponente, anche se erroneamente, il rito sommario di cognizione semplificato ex artt. 702 bis c.p.c. e 14 del D. Lgs. n. 150/2011 (previsto per le sole attività giudiziali civili e stragiudiziali connesse o complementari), con la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo al Tribunale di Milano in composizione collegiale mediante ricorso con richiamo dell’art. 702 bis c.p.c., la tempestività di quest’ultimo non poteva che essere valutata facendo riferimento alla data del suo deposito secondo le regole del rito scelto, e non a quella della notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione di udienza, data l’irretroattività degli effetti del mutamento
di rito eventualmente disposto ed anche a prescindere da tale mutamento.
Con il secondo motivo si denunzia, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., nonché degli artt. 132 e 134 c.p.c.,118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost., relativi all’obbligo di motivazione, per non avere il Tribunale accolto l’eccezione di giudicato formatosi in riferimento ad un precedente decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Monza n. 1395/2018 non validamente opposto; il ricorrente, nel sottolineare l’identicità del petitum e della causa petendi, sostiene che la pretesa convenzione tariffaria del 2013 ed ogni altro atto modificativo – successivo al 1994 sino alla revoca del 2015 – invocati dalla Banca, non possano essere fatti valere nel presente giudizio, essendo vigente ed efficace la prima convenzione del 16.12.1996, come risulterebbe dal contenuto del decreto ingiuntivo n. 1395/18 divenuto irrevocabile.
4.1. Il preteso giudicato esterno, formatosi tra le stesse parti sul decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza n. 1395/2018, è insussistente.
L’accertamento dell’operatività della convenzione tariffaria del 1996 rispetto a taluni incarichi di difesa non può ritenersi oggetto di un giudicato esterno anche rispetto ad ogni ulteriore mandato difensivo, costituente un diverso titolo giustificativo del diritto al compenso per le distinte attività (Cass. n. 7354/2025; Cass. 32370/2023; Cass. 10430/2023; cfr., per i rapporti di durata, Cass. 17223/2020, Cass. 10430/2023; Cass. 37/2019 secondo cui il vincolo di giudicato, sia pur formato in relazione a periodi temporali diversi, opera solo a condizione che il fatto costitutivo sia lo stesso ed in relazione ai soli aspetti permanenti del rapporto, con esclusione di quelli variabili).
Il Tribunale ha accertato che il presente giudizio ha ad oggetto incarichi professionali differenti ed autonomamente conferiti rispetto a quelli oggetto dell’asserito giudicato, anche se in forza della medesima regolazione tariffaria convenzionale reiterata negli anni fino al raggiungimento dell’accordo liquidatorio del 29.4.2015.
Ne consegue che e cause sono connotate da una diversità sia di petitum che di causa petendi , che non rende operante il giudicato esterno.
L’ordinanza impugnata ha poi sottolineato, con motivazione non apparente, che nel ricorso che aveva portato all’emissione del decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza tardivamente opposto, non era stata fatta menzione della convenzione che secondo la banca sarebbe stata conclusa l’11.4.2013, né all’accordo effettivamente raggiunto dalle parti il 29.4.2015, per cui non si era formato alcun giudicato implicito in ordine alla vigenza, o meno di quegli accordi per gli incarichi oggetto della presente controversia.
La Banca aveva richiamato la convenzione asseritamente conclusa dalle parti l’11.4.2013 e l’accordo del 29.4.2015 nell’opposizione tardiva proposta al Tribunale di Monza contro il decreto ingiuntivo n. 1395/2018, ma tale opposizione è stata ritenuta inammissibile con una pronuncia in rito, sicché non si è formato in quella sede alcun giudicato preclusivo circa l’inapplicabilità di quegli accordi asseriti, o effettivi, intercorsi tra le parti.
Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonché la nullità della ordinanza ex art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c., per essersi, il Tribunale di Milano, pronunziato ultra ed extrapetita, avendo affermato che l’accordo del 29/04/15 fosse omnicomprensivo di tutte le posizioni affidate all’avv. COGNOME oltre a quelle
riconducibili all’elenco allegato all’accordo del 2015, ritenuto quello effettivamente in vigore tra le parti. In tal modo, il Tribunale avrebbe escluso 291 posizioni, nonostante queste fossero documentate e mai contestate.
5.1. Il motivo è infondato.
Il vizio di ultrapetizione è configurabile unicamente nel caso in cui il giudice attribuisca alla parte un bene non richiesto, o maggiore di quello richiesto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 702 del 04/03/1968, Rv. 331920; conf. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16608 del 11/06/2021, Rv. 661686), mentre non integra vizio di ultrapetizione la libera valutazione dei mezzi di prova dedotti dalle parti, relativamente ai fatti sui quali permanga la contestazione tra le medesime, che sia condotta dal giudice di merito nei limiti della questione che è stata sottoposta alla sua cognizione (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15734 del 17/05/2022, Rv. 665101).
Nel caso di specie, l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 era stato fatto oggetto di contrapposte interpretazioni delle parti ed il Tribunale ha ritenuto che esso comprendesse i compensi per l’attività compiuta dal professionista fino al 30.6.2014, mentre i compensi per l’attività successiva si sarebbero dovuti liquidare secondo la tabella allegata alla convenzione della convenzione dell’11.4.2013, come modificata ed integrata dalla lettera del professionista del 12.6.2013.
Il Tribunale ha, quindi, deciso in ordine alla domanda sulla base dell’interpretazione dei contratti conclusi tra le parti ed il corredo probatorio in atti sicché la pronuncia si sottrae alla censura di extrapetizione.
Con il quarto motivo di ricorso, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e segg. c.c. ed agli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost.,
relativi all’obbligo di motivazione, per avere, il Tribunale ritenuto che l’accordo del 29.4.2015 fosse omnicomprensivo di tutta le pratiche attribuite al legale e non solo alle novantasei posizioni indicate nell’elenco ivi allegato e che, di conseguenza, l’attività svolta prima del 30/06/2014 fosse già stata remunerata mentre quella successiva dovesse essere liquidata in base alla predetta convenzione, seppur integrata e modificata nel 2013.
Il quinto motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e segg. c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., per non avere il Tribunale valutato il materiale probatorio offerto dalle parti, né la mancata contestazione dei fatti da parte della B.C.C., come desumibile dalle dichiarazioni confessorie rese, dalle quali il Tribunale avrebbe dovuto desumere che l’accordo liquidatorio del 2015 si riferiva soltanto alle 96 posizioni dell’elenco allegato.
Con il sesto motivo di ricorso, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss. c.c., e degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale attribuito alla convenzione efficacia retroattiva, escludendo la deroga prevista al punto 5.2, di cui alla lettera del 12.6.2013, che espressamente prevedeva l’esclusione dell’applicabilità della convenzione stessa alle pratiche affidate in epoca precedente alla stipula.
I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
8.1.Il Tribunale ha interpretato l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 secondo il suo tenore letterale, valorizzando il comportamento tenuto dalle parti prima della sottoscrizione, ritenendo contraria a buona fede l’interpretazione proposta dall’avvocato COGNOME volta a limitarne l’applicabilità alle sole pratiche elencate nell’allegato.
Più specificatamente, per le attività svolte dall’avv. COGNOME in data anteriore al 30.6.2014, l’ordinanza impugnata ha privilegiato il dato testuale del riferimento a tutte le attività prestate dal professionista per la B.C.C. prima del 30.6.2014, anche se per errore non riportate nell’elenco degli incarichi allegato all’accordo in quanto le parti avevano utilizzato, in relazione all’importo riportato nell’elenco allegato di € 599.828,22, da ridurre in sede di fatturazione del 25%, le parole ‘salvo errori o omissioni’, intendendo considerare vincolante ed omnicomprensivo il suddetto importo mentre nessuna riserva era stata formalizzata per attività anteriori al 30.6.2014 non ricollegate ad incarichi ricompresi nell’elenco.
Il Tribunale ha valorizzato la circostanza che l’accordo liquidatorio non era stato predisposto unilateralmente dalla banca, essendo redatto su carta intestata dello studio COGNOME.
Quanto alla deroga del punto 5.2 alla convenzione dell’11.4.2013, prevista nella lettera dell’avv. COGNOME del 12.6.2013 (quella che prevedeva l’applicazione della convenzione solo alle pratiche nuove), richiamate entrambe per i parametri tariffari applicabili alle attività del professionista successive al 30.6.2014, l’ordinanza impugnata ha chiarito che non si era formato alcun vincolo contrattuale nel 2013, come viceversa preteso dal ricorrente in riferimento alle condizioni indicate nella sua lettera del 12.6.2013, poiché la controproposta ivi contenuta non era stata mai accettata dal Direttore Generale della BCC, come si evince dalla lettera a sua firma del 18.6.2013.
Inoltre, le condizioni proposte dall’Avv. COGNOME erano incompatibili con la disciplina dettata nell’accordo liquidatorio del 29.4.2015 (Cass. N. 12905 del 2025).
L’interpretazione data dal Tribunale di Milano è quindi plausibile e conforme ai canoni ermeneutici degli articoli 1362 e 1366 cod. civ.
Inoltre, occorre precisare che, in tema di interpretazione e qualificazione dei contratti, l’accertamento della volontà in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, che è incensurabile in sede di legittimità se non quando la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto o per violazione delle regole ermeneutiche stabilite dagli artt. 1362 e ss. cod. civ.; ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati.’ (Cass. ord. 31.12.2024 n.35277; Cass. n. 18214/2024; Cass. n. 99461/2021; Cass. 27136/2017; Cass. 16254/2012; Cass. 24539/2009).
Con il settimo motivo, si denunzia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., dell’art. 2233 c.c., del D.M. n. 55/14 e del D.M. n. 127/04, dell’art. 13 bis della legge professionale forense, come introdotto dal D.L. n. 148/2017 (c.d. ‘equo compenso’), nonché degli artt. 24, 35 e 36 Cost.
Con l’ottavo motivo, si denunzia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., degli artt. 112 c.p.c. e 2233 c.c., per non avere il Tribunale applicato la disciplina sull’equo compenso per intervenuto esaurimento del rapporto avvocato/banca a causa della rinuncia al mandato avvenuta il 16/11/2017, cioè prima dell’entrata in vigore della legge de qua; il ricorrente sostiene che il rapporto non poteva ritenersi esaurito in quanto l’attività non era mai stata remunerata dalla banca.
1. I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Come già deciso in varie pronunce, questa Corte ritiene che, in tema di onorari professionali, l’art. 13 bis della l. n. 247 del 2012, vigente ratione temporis (introdotto dall’art. 19 quaterdecies del d.l. n. 148 del 2017, conv. con modif. dalla l. n. 172 del 2017, con effetti dall’1.1.2018), relativo al cd. equo compenso dell’avvocato, non ha natura interpretativa e valore retroattivo, per cui non è applicabile ai rapporti professionali ormai cessati e alle prestazioni già espletate anteriormente alla sua entrata in vigore (Cass. n. 7354/25).
Nel caso di specie, l’impugnata ordinanza ha escluso l’applicabilità ai rapporti professionali di causa dell’art. 13 bis della L.P.F., essendo intervenuta la rinuncia agli incarichi professionali dell’avvocato NOME COGNOME in data 16.11.2017, e quindi in data anteriore all’1.1.2018.
A ciò va aggiunto che trattandosi nella specie di tariffe concordate dalle parti nell’accordo liquidatorio del 29.4.2015, il Tribunale non ne avrebbe potuto disapplicare il contenuto economico, in quanto la pattuizione negoziale costituisce il criterio di determinazione del compenso privilegiato anche se difforme dalla tariffa forense (Cass. n. 15407/2024; Cass. n. 7904/2020).
11. Il nono motivo, subordinato ai precedenti, denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e segg. c.c. e degli artt. 1372 e 2233 c.c., nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale, nella liquidazione dei compensi, dapprima richiamato la convenzione del 2015, come integrata dalla lettera del 12/06/13, salvo poi discostarsene del tutto. 12. Il decimo motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. nonché l’omessa motivazione ex art.
360, n. 5 c.p.c., in relazione agli artt. 2233 e 2234 c.c., agli artt. 1364, 1372 e 1374 c.c., nonché agli artt. 24, 35 e 36 Cost. ed agli artt. 2697 c.c. e 112 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale negato il compenso per quattro procedimenti di mediazione riferiti al contenzioso con l’Agenzia delle Entrate ed alla trattativa con la RAGIONE_SOCIALE, che avrebbe consentito alla Banca di recuperare € 2.620.000,00, sul presupposto che la convenzione non lo prevedesse espressamente e deducendo, quindi, che non era volontà delle parti regolare dette posizioni.
Con l’undicesimo motivo, subordinato ai precedenti, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., degli artt. 1372, 2233 e 2234 c.c., del D.M. n. 55/14, nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c., nella parte in cui il Tribunale, nel quantificare i compensi, non ha tenuto conto della effettiva attività espletata anche successivamente alla redazione, a titolo di acconto.
13.1. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibile perché, sotto lo schermo della violazione di legge, sollecitano una diversa ricostruzione della volontà delle parti in ordine al contenuto dell’accordo, che, secondo la ricostruzione del Tribunale avrebbe natura omnicomprensiva.
Con il dodicesimo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., degli artt. 2233 e 2234 c.c., nonché degli artt. 24, 35 e 36 Cost. e degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale liquidato il compenso violando i minimi tariffari, con conseguente lesione del decoro della professione.
14.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto il ricorrente non individua i compensi irrisori che sarebbero stati liquidati, né illustra la difformità rispetto ai minimi previsti dalla tabella forense del D.M. n. 55/2014.
Inoltre, l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 è stato liberamente pattuito dalle parti e non è quindi modificabile dal giudice per adeguarlo al decoro professionale, in quanto le tariffe forensi sono stabilite a tutela dell’interesse del decoro e della dignità della categoria professionale e non dell’interesse generale della collettività (Cass. n.14293/2018; Cass. n. 1900/2017; Cass. n. 21235/2013; Cass. 22.11.1995 n. 12095).
15. Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo la BCC denunzia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 111 Cost. e degli artt. 1175 e 1375 c.c. per avere il Tribunale rigettato l’eccezione di illegittimo frazionamento del credito per mancanza di unicità del rapporto obbligatorio.
15.1. Il motivo è infondato.
L’impugnata ordinanza ha escluso che ricorra un’ipotesi di illegittimo frazionamento del credito, sottolineando che si trattava di una pluralità di crediti discendenti da incarichi professionali distinti conferiti nel corso degli anni dalla BCC all’avvocato NOME COGNOME ancorché regolati da convenzioni tariffarie, e quindi non di crediti derivanti da un unico rapporto obbligatorio, sottolineando che la stessa BCC, per contrastare l’avversa eccezione di giudicato esterno del decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza, emesso a favore del professionista, e tardivamente opposto dalla BCC, abbia sottolineato la diversità dei crediti fatti valere in quella sede, rispetto a quelli oggetto di questo giudizio, ed ha richiamato sul punto un precedente di questa Corte (Cass. ord. n.19898/2018). Già l’ordinanza di questa Corte n. 7354/2025 pronunciata tra le stesse parti per altri incarichi professionali ha ricordato che ‘non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, proporre plurime richieste giudiziali di adempimento
(Cass. sez. un. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e anche le domande aventi ad oggetto distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, devono esser proposte nel medesimo giudizio se le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata’ (Cass. n. 6591/2019; Cass. n. 17893/2018; Cass. n. 31012/2017; Cass. sez. un. 4090/2017), ed ha puntualizzato che è ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023). Il quadro non risulta modificato dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 7299 del 19.3.2025, nelle more sopravvenuta, chiamata a deliberare sulle diverse conseguenze riconducibili all’illegittimo frazionamento del credito (inammissibilità, o improponibilità della domanda; conseguenze sul piano delle spese processuali e della responsabilità ex art. 96 c.p.c.), che ha ribadito che ‘le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, e che tuttavia, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione
della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. n. 6591/ 2019; Cass. n.17893/2018; Cass. n. 31012/2017; Cass. sez. un. 4090/2017). Ne deriva che poiché nel caso in esame il Tribunale di Milano ha accertato l’esistenza di distinti crediti professionali rispetto a quelli separatamente azionati dall’avvocato NOME COGNOME ancorché basati su una medesima convenzione tariffaria dei compensi con la BCC, non riconducibili ad un rapporto obbligatorio unico e non inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato, né fondati sul medesimo fatto costitutivo, il provvedimento impugnato non era tenuto a motivare in ordine alla sussistenza in capo al creditore di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, ben potendo il professionista legittimamente agire per il recupero di crediti relativi a distinti clienti della banca.
16. Il secondo motivo del ricorso incidentale, lamenta la nullità della pronuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione agli artt. 134 c.p.c. e 111 Cost., per avere il Tribunale contraddittoriamente ritenuto, con affermazioni inconciliabili, che le fatture emesse sulla base della convenzione dell’11.4.2013 costituissero elementi confermativi dell’esecuzione del contratto, salvo poi ritenere non conclusa la predetta convenzione.
16.1. Il motivo è inammissibile, in quanto dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. operata dall’art. 54 comma 1 lettera b) del D.L. 22.6.2012 n. 134, non è più censurabile la contraddittorietà della motivazione.
In ogni caso, l’ordinanza impugnata ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto non accettata mediante sottoscrizione di un unico testo ad
opera delle parti la convenzione del 2013, alla quale semplicemente ha fatto rinvio l’accordo liquidatorio del 2015 nei termini già precisati, e non può ammettersi la rivalutazione in questa sede del materiale istruttorio rappresentato dalle fatture emesse dall’avvocato NOME COGNOME allo scopo di desumerne, in contrasto con quanto deciso dal giudice di merito competente per la ricostruzione dei fatti, la conclusione della convenzione del 2013.
Con il terzo motivo, il ricorrente incidentale si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., avendo il Tribunale ritenuto spettante all’avvocato COGNOME il rimborso forfettario del 15%, nonostante la convenzione del 2013 non facesse alcun riferimento al rimborso per spese generali.
Con il quarto motivo si denuncia, in correlazione al precedente motivo, la nullità della pronuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 134 c.p.c. e all’art. 111 Cost., sotto l’aspetto della mancata motivazione riguardo alla debenza delle spese forfettarie.
18.1. I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Il Tribunale ha ritenuto perfezionato tra le parti l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 e non la convenzione dell’11.4.2013 e, di co9nseguenza, ha correttamente riconosciuto il rimborso spese generali sui compensi professionali liquidati all’avvocato COGNOME in quanto, al momento della stipulazione dell’accordo, era entrato in vigore il D.M. n. 55/2014, che all’art. 2 prevedeva l’obbligatorietà del rimborso spese generali del 15% anche in caso di determinazione contrattuale del compenso.
19. Il quinto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione/falsa applicazione degli artt. 1224 e 1284 c.c., nonché dell’art. 4 D. Lgs. n. 231/2002, nella parte in cui il Tribunale ha condannato la banca debitrice alla corresponsione degli interessi moratori a decorrere dalla data di deposito del ricorso monitorio, nonostante la carenza di liquidità del credito.
19.1. Il motivo è infondato.
Nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 cod. civ., competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui al D. Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore, in quanto il nostro ordinamento non ha recepito il principio romanistico in illiquidis non fit mora (Cass. ord. 10.10.2022 n. 29351; Cass. 19.8.2022 n. 24973; Cass. ord. 16.3.2022 n. 8611). Nel caso in esame, essendo stato notificato il decreto ingiuntivo opposto il 9.7.2018, doveva trovare applicazione l’art. 1224 comma 4 cod. civ., introdotto dal D.L. n.132/2014, convertito nella L.n.162/2014, che dispone che, in assenza di predeterminazione delle parti, gli interessi dovuti a far data dalla domanda giudiziale siano quelli previsti dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento delle transazioni commerciali (ossia dal D. Lgs. n. 231/2002). Pertanto, il Tribunale ha correttamente fatto decorrere gli interessi ex D. Lgs. 231/2002, dalla data della domanda giudiziale, da
individuarsi in quella della notifica del decreto ingiuntivo dell’avv. NOME COGNOME
20. In conclusione, devono essere rigettati i ricorsi principale ed incidentale.
Le spese di lite del presente giudizio vanno integralmente compensate, attesa la reciproca soccombenza.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari al doppio di quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale.
Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale ed incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari al doppio di quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29/05/2025.