Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1999 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1999 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24599-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Compensi collaborazione professionale
R.G.N. 24599/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/11/2023
CC
avverso la sentenza n. 233/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 19/02/2019 R.G.N. 72/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
La Corte d’appello di Brescia ha respinto l’appello di NOME COGNOME, confermando la pronuncia di primo grado con cui erano state rigettate le domande svolte dal predetto nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere il pagamento d i ulteriori compensi per l’attività di consulenza professionale eseguita in base all’accordo del 22 ottobre 2009.
La Corte territoriale ha premesso che, con il contratto di consulenza, il COGNOME era stato incaricato (per la durata di tre anni e a fronte di un compenso di euro 5.000,00 netti per 13 mensilità) di ‘curare le relazioni esterne ed istituzionali, anche nei confronti della UE al fine di agevolare la creazione delle condizioni politiche istituzionali e di contesto utili per il miglior perseguimento dello scopo sociale. La collaborazione sarà prestata, con gli stessi contenuti, anche in favore delle aziende estere controllate COGNOME, in Romania, e RAGIONE_SOCIALE in Bosnia Erzegovina. Curerà, inoltre, il riposizionamento dell’immagine aziendale, in relazione alle politiche di sviluppo che verranno man mano realizzate sui mercati interni ed internazionali’. All’art. 2 del contratto era inoltre stabilito che ‘Per quanto concerne più specificamente l’azienda
denominata RAGIONE_SOCIALE, con sede nella Repubblica di Bosnia ed Erzegovina, il dr. COGNOME perseguirà particolarmente l’obiettivo dell’ottenimento, direttamente e/o indirettamente, delle più favorevoli condizioni per la diminuzione dei costi dell’acquisto di energia elettrica, secondo un progetto messo a punto dall’azienda con la collaborazione del dottor COGNOME; ha accertato, in relazione ai compiti di cui all’art. 2 del contratto, che nessun risparmio di spesa era stato ottenuto dalla società; ha esaminato le domande relative agli incarichi extra contratto ed ha ritenuto che quelli affidati al COGNOME in epoca anteriore alla conclusione dell’accordo del 22 ottobre 2009 erano ricompresi nell’oggetto dello stesso, e difatti il collaboratore all’atto di sottoscrizione dell’accordo non aveva fatto alcuna riserva di compenso per le attività già eseguite; in ogni caso, il ricorrente non aveva allegato in modo dettagliato l’attività concretamente svolta e ciò impediva ogni valutazione in termini economici della stessa; anche l’attività resa in esecuzione di incarichi conferiti dopo il 2009 rientrava nell’oggetto del contratto in quanto relativa a società collegate a RAGIONE_SOCIALE e, peraltro, il COGNOME, prima della scadenza del contratto, non aveva mai avanzato pretese di sorta per tali incarichi né, all’atto di conferimento degli stessi, aveva precisato che dovessero considerarsi estranei all’accordo di ottobre 2009.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi. La RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale deciso su eccezioni e contestazioni, cioè la mancanza di riserve sui compensi maturati prima della sottoscrizione del contratto, mai proposte dalla società.
Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la completa ratio decidendi della sentenza impugnata. Questa ha negato i compensi richiesti per gli incarichi anteriori al contratto di ottobre 2009 sul rilievo che tali incarichi fossero ricompresi nell’oggetto del contratto ed inoltre perché mancavano allegazioni sul contenuto concreto degli incarichi eseguiti dal collaboratore, cosa che rendeva ‘(im)possibile apprezzare l’attività stessa dal punto di vista economico’. Si tratta di un complesso di argomentazioni ed il motivo in esame censura unicamente la prima, senza nulla rilevare in ordine alla seconda, idonea da sola a sorreggere la motivazione sul punto.
Secondo la costante giurisprudenza di questa S.C., ove sia impugnata una statuizione fondata su più ragioni
argomentative, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura; diversamente, l’omessa impugnazione di una delle autonome rationes decidendi oppure la resistenza di una di esse all’impugnazione, e quindi la definitività della decisione sul punto, rende inammissibile per difetto di interesse la censura relativa alle altre statuizioni poiché inidonea a determinare la cassazione della pronuncia suddetta (cfr. Cass. n. 3633 del 2017; n. 18441 del 2017; n. 3386 del 2011; n. 24540 del 2009; n. 4349 del 2001).
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno formulata dal COGNOME, per essere stato estromesso dalle trattative, a seguito del cambiamento di rotta nelle scelte aziendali, cosa che gli ha impedito di conseguire gli obiettivi di cui all’art. 2 del contratto ed ha provocato un danno alla sua immagine professionale.
Il motivo è inammissibile.
La deduzione, in sede di legittimità, del vizio di omessa pronuncia postula che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini, con l’indicazione
specifica dell’atto o del verbale di udienza in cui sono state proposte (v. recentemente Cass. n. 28072 del 2021; n. 16899 del 2023).
11. Nel caso in esame difettano tali indispensabili requisiti poiché la parte ricorrente non indica in che termini e in quale atto processuale sia stata proposta la domanda di risarcimento del danno per estromissione dalle trattative.
12. Con il terzo motivo, si deduce, in via subordinata e ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., il vizio di motivazione inconciliabile o omessa in relazione alla domanda risarcitoria. Il ricorrente aveva allegato di essere ad un passo sia dal raggiungere il risultato del minor costo dell’energia per lo stabilimento RAGIONE_SOCIALE e sia per la creazione di un nuovo stabilimento nella Repubblica di Srspka, quando la società ha cambiato strategia, lo ha estromesso e ha puntato tutto su un diverso obiettivo, la creazione, con una società ad hoc, di un nuovo stabilimento con un finanziamento a fondo perduto. Rispetto a tale allegazione, non sarebbe pertinente la motivazione della sentenza d’appello, secondo cui la società aveva fornito prova della mancata riduzione del costo dell’energia per RAGIONE_SOCIALE
13. Il motivo è assorbito da quanto esposto a proposito del secondo motivo. Comunque, la Corte di merito ha escluso che il mancato raggiungimento dell’obiettivo di riduzione dei costi di acquisto dell’energia elettrica, di cui all’art. 2 del contratto, fosse in qualsiasi modo correlato alla condotta della società
che aveva optato per la creazione della new company, con finanziamento e prezzo concordato dell’energia. La sentenza ha puntualizzato come quest’ultima operazione riguardasse ‘un soggetto (la RAGIONE_SOCIALE) non menzionato nel contratto stesso’ e non fosse in alcun modo collegata ‘né direttamente né indirettamente alla finalità del risparmio del costo dell’energia per BSI oggetto del contratto’ (sentenza, pag. 5, primo cpv.). Il ricorrente oppone a tale accertamento la sua diversa visione dei fatti (v. ricorso cassazione, pag. 21, ultimo cpv., pag. 22, primo cpv.) ma in tal modo finisce per criticare inammissibilmente la ricostruzione operata dai giudici di merito e la cui motivazione non permette di ritenere integrata la violazione di cui all’art. 132 n. 4 c.p. c., come interpretato dalle S.U. con le sentenze n. 8053 e 8054 del 2014.
14. Con il quarto motivo il ricorrente addebita alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 116, 132 n. 4 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost. per avere escluso che fosse stata raggiunta la prova sugli incarichi extra negoziali senza essersi pronunciata sulle istanze istruttorie e sui documenti n. 5, 83 e 84 prodotti nel fascicolo di primo grado (e depositati in allegato al ricorso per cassazione n. 3, 12 e 13).
15. Con il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1363, 1364 e 2697 c.c. in rapporto al doc. n. 3 allegato al ricorso per cassazione (già doc. n. 5 fascicolo
di primo grado), per avere la Corte di merito errato nell’interpretare il contratto del 22 ottobre 2009 come comprensivo degli incarichi anteriori alla sua stipulazione, atteso che lo stesso prevede una data certa di decorrenza, utilizza verbi all’indicati vo futuro, ha ad oggetto attività diverse rispetto agli incarichi precedenti.
16. Il quarto e il quinto motivo, da trattare congiuntamente, sono inammissibili. La Corte di merito ha ritenuto che tutti gli incarichi, sia quelli conferiti prima della sottoscrizione dell’accordo di ottobre 2009 e sia quelli attribuiti dopo, rientrasser o nell’oggetto del contratto e fossero pertanto inclusi nel compenso pattuito. Non sono quindi pertinenti le censure di mancata ammissione delle prove atteso che non è discussione lo svolgimento di tali incarichi da parte del COGNOME ma unicamente la loro inclusione oppure estraneità rispetto all’oggetto del contratto sottoscritto tra le parti. Su quest’ultimo aspetto, la dedotta violazione dei canoni ermeneutici non appare fondata, risolvendosi nella prospettazione di una diversa lettura del testo contrattuale e della condotta complessiva delle parti, meramente contrappositiva rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito e motivata con riferimento ad una complessa serie di indici presuntivi; in particolare, la sentenza d’appello fa leva, per gli incarichi precedenti e successivi, sia sulla mancanza di autonomia di tali incarichi rispetto all’oggetto del contratto e sia sulla condotta delle parti e, specificamente, del
collaboratore che, all’atto d ella conclusione del contratto e fino alla sua scadenza, non aveva mai avanzato pretese di ulteriori compensi correlati alle pretese attività extranegoziali. Le censure mosse investono tale complessiva interpretazione e valutazione e pongono l’accento in via prioritaria sul tenore letterale del contratto (uso dell’indica tivo futuro), contrapponendo, alla lettura data dai giudici di merito, una diversa lettura senza, tuttavia, evidenziare errori o lacune interpretative e così ponendosi al di fuori del vizio di violazione di legge.
17. Costituisce orientamento consolidato quello secondo cui l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà,
nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati.
Con il sesto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1362, 1363, 1364 c.c. e degli artt. 1175 e 1375 c.c., in rapporto ai documenti n. 3, 12 e 13 allegati al ricorso per cassazione (già doc. n. 5, 83, 84 fascicolo di primo grado), per erronea lettura dei documenti citati.
Con il settimo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., la mancanza di motivazione sulle istanze istruttorie proposte dal ricorrente, in particolare sulle prove testimoniali articolate (e trascritte alle pagg. 32-47 del ricorso per cassazione) e sulla richiesta di c.t.u. contabile.
Parimenti inammissibili sono il sesto e il settimo motivo di ricorso che, sebbene formulati (il sesto) sub specie di violazione di legge, si dirigono sulla valutazione ed
ammissione dei mezzi istruttori, attività riservata al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. che presuppone l’omesso esame di un fatto storico, avente rilievo decisivo per il giudizio. Le deduzioni di parte ricorrente investono non fatti storici ma plurimi elementi istruttori, nessuno dei quali evidentemente decisivo, e sollecitano null’altro che una revisione del procedimento decisorio eseguito dai giudici di merito; censure così formulate non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 10.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 22.11.2023