Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13949 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13949 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4734/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in TERNIINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME
– intimato –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di PERUGIA n. 484/2021 depositata il 20/08/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Terni accoglieva il ricorso per decreto ingiuntivo proposto da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, in liquidazione, quale debitrice in solido con NOME COGNOME e con NOME COGNOME, per il pagamento della somma di € 11.200,00, oltre agli interessi di mora e alle spese del procedimento, sul presupposto di avere installato la rete di illuminazione interna ed esterna, l’impia nto di allarme, la rete LAN e l’impianto telefonico, con relativi materiali, presso la società committente in virtù di un contratto di appalto.
La committente avrebbe versato soltanto la somma di € 4.400,00, a fronte della fattura n. 84/a del 12 dicembre 2008 e dell’avvenuto riconoscimento del debito, da parte di RAGIONE_SOCIALE, che aveva sottoscritto il relativo documento di trasporto.
In sede di opposizione, gli opponenti assumevano che il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE tale NOME COGNOME, si era impegnato a eseguire i lavori in questione per il prezzo di € 20.000,00 e sempre con accordo verbale avevano pattuito che dalla suddetta somma dovevano essere detratti i compensi dovuti per prestazioni di officina svolte da parte di RAGIONE_SOCIALE e i corrispettivi per l’acquisto di motociclette e abbigliamento motociclistico. Gli opponenti disconoscevano la loro firma sul d.d.t. e assumevano che, a fronte di lavori eseguiti con notevole lentezza nel corso
dell’anno 2008 e dell’emissione di d.d.t. palesemente falsi, operate le rispettive compensazioni, la RAGIONE_SOCIALE restava creditrice della somma di € 6.316,00 nei confronti della società opposta o altrimenti, della minor somma di € 1.048,00, qualora fosse r isultato provato l’ammontare complessivo delle fatture, indicate dall’appellata quale titolo per l’ingiunzione.
Il Giudice di primo grado rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo opposto dopo avere assunto numerosi testimoni e dopo avere disposto CTU contabile in corso di causa. Con la medesima sentenza rigettava anche la domanda riconvenzionale proposta dall’opponente, e accoglieva l’opposizione a precetto relativamente a NOME COGNOME e NOME COGNOME e ne dichiarava la nullità, compensando le spese di lite tra le parti nella misura di ½ e condannando l’opponente per il residuo, ponendo infin e a carico dell’opponente le spese di CTU
3.1 Il primo Giudice riteneva che gli opponenti non avessero tempestivamente contestato l’esecuzione a regola d’arte dei lavori commissionati e dei quali era stato richiesto il pagamento, che le contestazioni successive fossero state generiche o tardive e che, per quanto riguarda la consegna dei materiali indicati nei d.d.t. allegati al ricorso per decreto ingiuntivo, non fosse stata fornita la prova della mancata riconducibilità delle sottoscrizioni ai dipendenti della società; che non potesse accogliersi l’eccezione, circa la non tempestiva conclusione dei lavori, sollevata dagli opponenti, che non avevano provato la pattuizione di un termine per l’esecuzione dei lavori da parte di RAGIONE_SOCIALE, né provato le conseguenze dannose in merito a un eventuale ritardo, per cui non potevano essere quantificati i danni o ridotto il prezzo, né era provato che
questo fosse stato determinato convenzionalmente nell’importo complessivo di € 20.000,00 (i testi dell’opponente avevano dichiarato di non avere conoscenza diretta di questa circostanza, ma di averla appresa dai soci della RAGIONE_SOCIALE).
Il Tribunale, pertanto, affermava che il corrispettivo dei lavori, ai sensi dell’art. 1667 c. c., dovesse essere stabilito sulla base dei prezzi vigenti, come aveva fatto il CTU mediante inventario delle lavorazioni eseguite, nella misura di € 26.012,70, da cui doveva essere detratto quanto versato dalla RAGIONE_SOCIALE, risultando in favore di RAGIONE_SOCIALE il credito residuo di € 10.222,70, al netto di IVA, oltre interessi di mora ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2002, somma nel complesso superiore a quella oggetto dell’ingiunzione, per cui il credito doveva essere ridotto nella stessa misura, indicata nel decreto ingiuntivo, che doveva essere confermato.
3.2 L’eccezione di compensazione, proposta dagli opponenti, veniva rigettata per mancanza di prova visto che i testi avevano reso dichiarazioni meramente indirette e pertanto inutilizzabili.
Il precetto era invece nullo, perché il creditore sociale non poteva procedere coattivamente a carico del socio, se non dopo avere agìto infruttuosamente sui beni della società, per cui il precetto era stato illegittimamente intimato nei confronti dei soci COGNOME e COGNOME, considerato il beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale, che si manifestava sin dalla notifica dell’atto di precetto.
RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
La Corte d’Appello accoglieva parzialmente il gravame relativamente alla eccezione di compensazione. In particolare,
risultava che i lavori erano stati effettivamente e compiutamente eseguiti come emergeva dalle testimonianze (testi COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME) e dall’interrogatorio formale di COGNOME NOME . Il prezzo determinato dal CTU non era molto distante da quello delle due fatture, emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE in rapporto al prezzo dell’appalto, pari a complessivi € 29.268,00 (€ 13.668,00+€ 15.600,00), per cui riteneva preferibile determinare il costo dei lavori nella misura indicata nelle fatture, perché la prima era stata emessa da RAGIONE_SOCIALE a distanza ravvicinata, rispetto all’esecuzione dei lavori e il loro importo complessivo diverge va di una somma non molto distante da quella, determinata in sede di consulenza tecnica. Il fatto che l’elaborato fosse stato eseguito quando i lavori erano da tempo compiuti, non ne inficiava la validità come mezzo istruttorio, ma rendeva comunque maggiormente attendibile la ricostruzione del valore dell’appalto nella misura indicata nella somma complessiva delle due fatture, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, più vicine al tempo dell’esecuzione dei lavori.
5.1 Per quel che ancora rileva la Corte d’Appello evidenziava che il motivo relativo all’eccezione di compensazione doveva essere accolto e la sentenza riformata con la conseguente declaratoria circa la sussistenza di un debito residuo da parte della società opponente, nella misura indicata nella domanda subordinata, articolata da parte della difesa di RAGIONE_SOCIALE ovvero nella misura pari a complessivi € 1.048,00, oltre agli interessi spettanti alla creditrice nell’ambito delle transazioni commerciali, seco ndo il disposto dell’art. 5 del D. Lgs. n. 231/2002.
Secondo il primo Giudice non era stata provata l ‘esistenza di un contrapposto credito dell’appellante.
Secondo la Corte territoriale, invece, l’esistenza di un accordo tra le parti era sufficientemente provata. Gli acquisti, eseguiti personalmente presso la RAGIONE_SOCIALE da parte di NOME (acquisti provati tramite la produzione di un cospicuo numero di fatture da parte dell’appellante e per le parziali ammissioni del COGNOME, rese nel corso del suo interrogatorio formale, ma limitatamente ai soli acquisti di pezzi di ricambio), nella sua qualità di legale rappresentante pro tempore della RAGIONE_SOCIALE, erano da imputarsi alla suddetta società e, quindi, da detrarsi dal debito complessivo di quest’ultima.
In tal senso deponevano il complesso dei documenti in atti e le dichiarazioni di numerosi testimoni, i quali avevano concordemente affermato l’esistenza di un accordo tra entrambe le società per la decurtazione degli acquisti eseguiti dal RAGIONE_SOCIALE presso la RAGIONE_SOCIALE, dai debiti che quest’ultima aveva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per i lavori eseguiti nella sua sede.
In tal senso, la Corte richiamava le testimonianze di NOME COGNOME (meccanico, secondo il quale le forniture eseguite da RAGIONE_SOCIALE in favore del RAGIONE_SOCIALE erano documentate nelle schede di lavorazione, non saldate al momento ma comunque relative a prestazioni realmente da lui eseguite, in esecuzione di un accordo tra le due società), di NOME COGNOME (che vide le schede contabili e al quale, da parte dei soci, fu riferito il contenuto dell’accordo tra le parti, come sopra indicato), infine quella di NOME COGNOME, secondo cui gli accordi tra le parti prevedevano per RAGIONE_SOCIALE un compenso di € 20.000,00 oltre
IVA, dai quali dovevano essere detratti i prezzi della merce acquistata dal COGNOME presso la RAGIONE_SOCIALE e mai pagata. Di queste, soltanto la testimonianza del COGNOME era de relato, ma soltanto in parte, mentre per la parte residua essa era utilizzabile.
Non rilevava il fatto che il COGNOME avesse beneficiato personalmente e non la società, delle prestazioni della RAGIONE_SOCIALE, perché quel che rilevava ed era confermato dalle testimonianze citate, era la pacifica esistenza di un accordo, tra le due società, rivestendo il COGNOME un ruolo gestionale nella sas, accordo finalizzato alla decurtazione del costo delle prestazioni di vendita rese dalla committente dell’appalto, per cui erano state emesse le fatture oggetto dell’ingiunzione e contestate nell’oppos izione a decreto ingiuntivo, da parte della società RAGIONE_SOCIALE.
L’accordo tra le parti per un prezzo di € 20.000,00 non era provato, non essendo sufficiente a tal fine la sola testimonianza del COGNOME, a fronte delle univoche risultanze della CTU esperita in corso di causa e, a fronte dell’ammontare delle fatture, emesse dall’appellata società in merito al superiore valore dei lavori eseguiti in appalto, che erano rappresentative del credito globale per i lavori eseguiti.
Partendo dalla somma di € 29.228,00 portata dalle due fatture indicate nel decreto ingiuntivo opposto, dei quali € 13.668,00 regolarmente pagati ed € 15.600,00 ancora da pagare, considerata l’IVA sul residuo per € 4.000,00 complessivi, detraendo la fattura di € 13.668,00 IVA compresa, pagata da RAGIONE_SOCIALE per i lavori commissionati all’RAGIONE_SOCIALE e il pagamento in denaro della somma di € 4.400,00 in favore di RAGIONE_SOCIALE, il cui credito residuo ammontava a € 5.932,00, in accoglimento della riconvenz ionale,
formulata dall’appellante a titolo di corrispettivo per le riparazioni eseguite per complessivi € 12.248,00, operata conseguentemente la compensazione, il credito di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ammontava, in definitiva, a € 1.048,00 compl essivi, oltre interessi ai sensi dell’art. 5 del D. Lgs. n. 231/2002, da corrispondersi dalla domanda al saldo.
Ne derivava la revoca del decreto ingiuntivo e del precetto che era stato emesso sulla base di quel titolo e la condanna dell’appellata al pagamento della somma di denaro, che residua va quale proprio debito in esito alla disposta compensazione.
La Corte d’Appello confermava , invece, la parte della sentenza che aveva escluso la possibilità di richiedere il pagamento del debito a COGNOME e COGNOME. Peraltro, la questione era comunque superata dall’avvenuto accoglimento dell’opposizione e dal conseguente riconoscimento del debito dell’appellata società nei confronti dell’appellante, che consent iva di disporre la revoca del decreto ingiuntivo opposto e conseguentemente, del precetto emesso sulla base di quel decreto.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi e con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione hanno resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Erroneità della sentenza per violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3 e/o n. 5, c.p.c., per intervenuta implicita rinuncia alla domanda riconvenzionale.
Il primo motivo di impugnazione deriva dalla condotta processuale dei resistenti. Il Tribunale di Terni aveva rigettato l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE e la relativa riconvenzionale, confermando il decreto opposto.
Come risulta dalla premessa in fatto, la RAGIONE_SOCIALE, in relazione all ‘ identico petitum, ha dapprima proposto domanda riconvenzionale nell ‘ ambito del giudizio di opposizione e, il giorno successivo alla pronuncia della sentenza di primo grado di rigetto della sua domanda riconvenzionale, ha emesso due fatture e richiesto e ottenuto dal Tribunale di Terni il decreto ingiuntivo n. 136/2019 per le medesime prestazioni da cui sarebbe scaturito il credito opposto in compensazione.
In data 15 gennaio 2019, ovvero dopo il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo n. 136/2019, la RAGIONE_SOCIALE ha notificato l’atto di citazione in appello reiterando tutte le domande già proposte in primo grado, compresa la riconvenzionale.
La circostanza dell’esistenza del decreto ingiuntivo , pur rappresentata dalla RAGIONE_SOCIALE nella comparsa conclusionale, veniva del tutto trascurata dal collegio giudicante e non menzionata dalla difesa della parte appellante.
Le conclusioni dell ‘ atto di appello avversario erano ribadite nelle note di trattazione scritta depositate per l ‘ udienza di discussione davanti alla Corte di Appello fissata per il 25 marzo 2021.
Pertanto, la RAGIONE_SOCIALE, per le identiche prestazioni, proponeva domanda riconvenzionale e otteneva in sede di giudizio di appello la compensazione tra tale credito e quello vantato dalla RAGIONE_SOCIALE, con condanna di quest’ultima al pagamento della
residua somma di € 1.048,00, oltre interessi ex art. 5 d. lgs. n. 231/2002.
Da tale condotta processuale dovrebbe logicamente desumersi una rinuncia implicita alla domanda riconvenzionale, considerato che la RAGIONE_SOCIALE ha inteso agire nei confronti del COGNOME NOME (unico ed effettivo debitore) in monitorio per l ‘ identico credito poi coltivato anche in sede di appello in via riconvenzionale.
Con la conseguenza che la Corte di Appello si sarebbe pronunciata su una domanda riconvenzionale che dovrebbe intendersi implicitamente rinunciata dalla RAGIONE_SOCIALE, avendo questa richiesto ed ottenuto, immediatamente prima di proporre l ‘ appello, un decreto ingiuntivo per le identiche causali. Inoltre, per effetto della compensazione la RAGIONE_SOCIALE avrebbe conseguito un indebito arricchimento in violazione dell’art. 2041 c.c.
La sentenza, infatti, ha revocato il decreto ingiuntivo emesso in favore della RAGIONE_SOCIALE dichiarando la compensazione tra differenti ragioni di credito di cui una non provata, e comunque esistenti tra soggetti diversi (quindi ex art. 1241 c.c. non compensabili) e riconoscendo alla RAGIONE_SOCIALE il diritto al pagamento della differenza di € 1.048,00.
Immediatamente prima, il decreto ingiuntivo n. 136/2019, passato in giudicato, ha sancito il diritto della RAGIONE_SOCIALE a ricevere da NOME, per le prestazioni già ritenute oggetto di compensazione dalla Corte di Appello, il pagamento dell ‘ ulteriore somma di € 13.200,00.
Tale paradossale situazione dovrebbe necessariamente condurre alla cassazione della sentenza di secondo grado, nella quale, per quanto appena dedotto, il Giudice del gravame non
avrebbe dovuto esaminare la domanda riconvenzionale della RAGIONE_SOCIALE né operare alcuna compensazione.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: per violazione nonché falsa ed erronea interpretazione degli artt. 1241 e 1243 c.c.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto fondato il quinto e sesto motivo di appello relativo all’avvenuta compensazione dei crediti tra le parti, in accoglimento della domanda riconvenzionale promossa in primo grado dalla RAGIONE_SOCIALE.
Infatti, ai sensi degli artt. 1241 e 1243 c.c., la compensazione e la reciproca estinzione fra crediti può avere luogo esclusivamente se essi sono certi, liquidi ed esigibili: nel presente caso si tratterebbe invece di due rapporti di credito/debito non certi, né liquidi, né esigibili, e nemmeno di pronta liquidazione. Ciò, in primo luogo, perché si tratterebbe di crediti relativi a soggetti diversi: il credito nascente dalle prestazioni eseguite dalla RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE non avrebbe nulla a che vedere con il credito della RAGIONE_SOCIALE verso NOME per acquisti da lui compiuti a titolo personale, nell ‘ ambito di un rapporto obbligatorio estraneo alla RAGIONE_SOCIALE come risulterebbe dalla documentazione allegata dalla RAGIONE_SOCIALE, nella quale si menziona sempre e soltanto NOME, e dalla tipologia di acquisti effettuati, estranei all ‘ oggetto sociale della RAGIONE_SOCIALE.
In secondo luogo, non sarebbe né liquido né esigibile il controcredito della RAGIONE_SOCIALE, perché mai oggetto né di accertamento né di riconoscimento da parte del l’ odierna ricorrente.
Nell’ambito del giudizio di primo grado tale credito è stato infatti oggetto di contestazione, sia quanto alla sua esistenza, sia
quanto alla sua entità, e la RAGIONE_SOCIALE riguardo ad esso non ha mai richiesto una pronuncia di accertamento. L’intero compendio documentale depositato dalla RAGIONE_SOCIALE – e contestato fin dal principio dalla RAGIONE_SOCIALE – dimostrerebbe non soltanto che non poteva esservi alcuna compensazione, ma anche che il credito nei riguardi del COGNOME si fondava su meri ordini di lavorazione interni, inidonei a fungere da prova.
Sarebbe erronea la sentenza nella parte in cui si sostiene che gli acquisti da parte di NOME sarebbero stati, in primo grado, “provati tramite la produzione di un cospicuo numero di fatture da parte del l’ ‘appellante”. Al contrario, nel giudizio non sarebbe mai stata prodotta alcuna fattura a riprova di tale credito, ma esclusivamente i menzionati ordini interni, i quali da soli nulla dimostrano. Le fatture relative ai suddetti ordini ed acquisti (nn. 8 e 9 del 05.12.2018) sarebbero state emesse dalla RAGIONE_SOCIALE dopo la sentenza di primo grado e immediatamente prima del ricorso per decreto ingiuntivo proposto avanti al Tribunale di Terni nei confronti di NOME COGNOME e non della RAGIONE_SOCIALE, (addirittura il giorno successivo alla sentenza di primo grado – oltre che dopo ben dieci anni dagli acquisti del COGNOME), a riprova ulteriore della consapevolezza della controparte dell ‘ inesistenza di qualsiasi accordo di compensazione e, per quanto qui di interesse, anche della mancanza di un concreto fondamento documentale di un credito che comunque vantava nei riguardi di NOME personalmente.
Pertanto, laddove la Corte territoriale nell’accogliere – sia pure per il minore importo di € 1.048,00 – la domanda riconvenzionale della RAGIONE_SOCIALE già rigettata dal Tribunale di Terni, avrebbe
doppiamente errato: in primo luogo, ritenendo compensabili due tipologie di crediti tra soggetti diversi e quindi in violazione dell ‘ art. 1241 c.c., il quale richiede la coesistenza di reciproci rapporti obbligatori (presupposto imprescindibile anche qualora si versi nell ‘ ipotesi di compensazione volontaria ex art. 1252 c.c.), in secondo luogo, avrebbe errato perché comunque i crediti sarebbero tra loro disomogenei, ed uno di essi (quello asseritamente vantato dalla RAGIONE_SOCIALE verso la RAGIONE_SOCIALE) anche privo dei caratteri della certezza, liquidità ed esibigilità, perché oggetto di integrale contestazione nel primo giudizio.
Di conseguenza, la compensazione operata sarebbe stata disposta in violazione di quanto prescritto dall ‘ art. 1243 c.c.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Erroneità della sentenza per violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3 e/o n. 5, c.p.c. per violazione nonché falsa ed erronea interpretazione dell’art. 1252 c.c.
Ulteriore erronea determinazione della Corte d ‘ Appello risiederebbe nell ‘ aver assunto come ”pacifica” l’esistenza di un accordo di compensazione, che in realtà sarebbe invece rimasta indimostrata.
La controparte avrebbe sostenuto genericamente, senza fornirne la prova, che l’ accordo di decurtare dal prezzo dell’appalto gli acquisti e le prestazioni future effettuate in favore di NOME era stato raggiunto nel 2007, quindi prima del sorgere dei rispettivi crediti. La RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non avrebbe precisato, e soprattutto provato, i termini esatti di tale accordo e le relative tempistiche: circostanze invece fondamentali qualora si intendesse ritenere operante, nella presente fattispecie, un ‘ ipotesi di accordo
compensativo volontario regolato dall’art. 1252 c.c., come sembrerebbe aver fatto la Corte territoriale.
Parte ricorrente precisa che la compensazione volontaria, ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 1252 c.c., si concretizza in un negozio bilaterale diretto ad elidere le reciproche ragioni di credito, previo riconoscimento della loro esistenza, e precisazione -in caso di accordo precedente al sorgere dei crediti, come si assume nel caso di specie – delle condizioni che consentano l’operatività della compensazione in relazione ai rapporti futuri ed in effetti per individuare il momento estintivo dei reciproci rapporti bisogna fare riferimento all’accordo delle parti e distinguere tra le due diverse ipotesi previste dall’articolo in esame tant’è vero che nel caso di accordo successivo l’effetto estintivo deve ritenersi prodotto al momento del perfezionamento dell’accordo. Diversamente nell’ipotesi di accordo preventivo, di cui al secondo comma dell’art. 1252 c.c., l’estinzione dei reciproci rapporti si verifica nel tempo in cui vengono ad esistenza tutte le condizioni previste dalle parti per il verificarsi della compensazione volontaria.
L’eccepibilità di detta compensazione, pertanto, postula la dimostrazione di un incontro delle volontà delle parti nel senso indicato (Cass. civ., 18/09/1978, n. 4177) e del requisito della reciprocità fra i crediti, che deve ritenersi sempre sussistente anche in ipotesi di compensazione volontaria.
I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono in parte inammissibili in parte infondati.
Preliminarmente è opportuno sintetizzare la fattispecie: la sentenza di primo grado ha rigettato l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
al decreto ingiuntivo richiesto dalla RAGIONE_SOCIALE ritenendo non provato l’accordo negoziale di portare in compensazione il credito vantato dalla opponente nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello avverso la suddetta decisione e contemporaneamente ha richiesto un decreto ingiuntivo per far valere il medesimo credito nei confronti della persona di NOME COGNOME, socio accomandatario della RAGIONE_SOCIALE. Il Tribunale ha emesso il decreto ingiuntivo, il quale non è stato opposto da NOME ed è divenuto definitivo.
Nel giudizio di appello nessuna delle parti ha dedotto o rappresentato l’esistenza di questo decreto ingiuntivo non opposto sicché la Corte d’Appello, ignara della sua esistenza, ha riformato la sentenza di primo grado e ha ritenuto sussistente un accordo tra le parti per portare il medesimo credito in compensazione nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
4.1 Ciò premesso deve rilevarsi che la questione posta con il primo motivo non risulta sollevata nel giudizio di merito e in quanto nuova è inammissibile.
Infatti, come si è già detto, nel giudizio di appello nessuna delle due parti ha fatto cenno all’esistenza del decreto ingiuntivo non opposto. Parte ricorrente asserisce di averlo dedotto nella comparsa conclusionale nel giudizio di appello ma dalla lettura dell’atto ciò non emerge.
Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro
deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio» ( ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 61, Ord n. 15430 del 2018).
Ne consegue che il ricorrente deduce un fatto nuovo che attiene ad un decreto ingiuntivo non opposto formatosi nel corso del giudizio di appello e, dunque, non deducibile per la prima volta in cassazione.
Per le stesse ragioni risulta nuova la questione circa la rinuncia implicita alla compensazione del credito fatto valere autonomamente con il decreto ingiuntivo non opposto.
D’altra parte, in base al decreto ingiuntivo non opposto il credito portato in compensazione è anche diventato certo, liquido ed esigibile senza che rilevi il fatto che i rapporti sono riconducibili a soggetti diversi posto che si è accertata l’esistenza di un accordo tra NOME COGNOME in qualità di socio accomandatario della RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE.
Risulta inammissibile, infatti, la censura di cui al terzo motivo con la quale parte ricorrente , pur lamentando la violazione dell’art. 1252 c.c., sostanzialmente lamenta che l’ accordo di compensazione non sia stato provato.
La Corte d’appello , invece, sulla base di una motivazione non sindacabile in questa sede ha ritenuto provato l’accordo negoziale
intercorso tra NOME COGNOME in qualità di socio accomandatario della RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE sulla compensazione dei reciproci crediti.
Sotto il profilo della prova, infatti, mentre la compensazione legale si configura come fatto giuridico che produce immediatamente effetti e richiede la sola prova della contemporanea esistenza dei crediti contrapposti, nella compensazione volontaria, che si fonda sull’accordo, è invece richiesta la prova di questo. In entrambi i casi, comunque, non è chiesto che le prove siano date con una forma particolare. Ciò accade anche nella compensazione volontaria fondata su un accordo contenuto in un atto che deve essere redatto per iscritto. La mancanza della forma scritta, infatti, incide sulla validità dell’atto in sé, ma non dell’accordo, con il quale le parti hanno stabilito di elidere le rispettive posizioni di credito e di debito (Cass. civ. Sez. III, 10/02/2003, n. 1955).
Secondo la Corte d’Appello, l’accordo risultava provato. In tal senso deponevano il complesso dei documenti in atti e le dichiarazioni di numerosi testimoni, i quali avevano concordemente affermato l’esistenza di un accordo tra entrambe le società per la decurtazione degli acquisti eseguiti dal RAGIONE_SOCIALE presso la RAGIONE_SOCIALE, dai debiti che quest’ultima aveva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per i lavori eseguiti nella sua sede.
Di conseguenza una volta accertato l’accordo negoziale risulta infondato il secondo motivo circa la mancanza dei presupposti per operare la compensazione vale a dire la certezza, liquidità e d esigibilità del credito opposto in compensazione. Tali presupposti, infatti, si riferiscono alla compensazione legale o giudiziale ma non
devono necessariamente ricorrere nell’ipotesi della compensazione volontaria. L’art. 1252 c.c. , infatti, testualmente dispone che la compensazione possa aver luogo per volontà delle parti anche se non ricorrono le condizioni previste dagli articoli precedenti e che le parti possono anche stabilire preventivamente le condizioni di tale compensazione.
La volontà negoziale dà luogo a un contratto di accertamento sull’esistenza delle reciproche ragioni di credito, previo riconoscimento della loro esistenza. In questo caso è il contratto che produce l’effetto estintivo che ha effetto dal momento della coesistenza dei crediti. La compensazione volontaria, al pari di quella legale, può essere accertata dal giudice con effetto dichiarativo e non costitutivo, su espressa eccezione di parte.
Come si è detto, ciò che occorre allegare e provare è innanzitutto l’esistenza della volontà negoziale che accerta il credito, cioè il contratto, così da far luogo all’ef fetto compensativo. Dunque, la compensazione volontaria si concretizza in una convenzione intervenuta prima o dopo la coesistenza dei debiticrediti, con la quale le parti si accordano per far valere la compensazione, pur in mancanza dei requisiti previsti per la compensazione legale.
In questa sede deve, infine, precisarsi che, una volta operata la compensazione, il credito della RAGIONE_SOCIALE di cui al successivo decreto ingiuntivo non opposto dalla RAGIONE_SOCIALE risulta pagato e, dunque, non potrà essere posto in esecuzione. In altri termini il fatto estintivo derivante dalla compensazione produce effetti nei confronti sia di NOME COGNOME che di RAGIONE_SOCIALE.
In proposito deve ribadirsi che: la mancata opposizione a decreto ingiuntivo preclude la deducibilità, con l’opposizione all’esecuzione, di fatti estintivi anteriori alla formazione del giudicato sulla sussistenza del credito, ma non impedisce al condebitore, coobbligato in virtù di titolo esecutivo di formazione giudiziale passato in giudicato nei suoi confronti, di far valere con l’opposizione ex art. 615 c.p.c. l’avvenuta integrale estinzione della pretesa creditoria conseguente al pagamento eseguito da altro soggetto, ancorché prima che il provvedimento monitorio acquisisse carattere di definitività, perché il principio del giudicato ha la funzione di accertare definitivamente l’esistenza e l’ammontare del credito nei confronti di uno o più debitori, ma non quella di consentire al creditore di pretendere molteplici pagamenti da tutti i coobbligati una volta che il credito sia già stato soddisfatto (Sez. 3, Sentenza n. 28044 del 14/10/2021, Rv. 662577 – 01).
Peraltro questa Corte ha già avuto modo di affermare che: Il principio, secondo il quale il creditore che abbia ottenuto una pronuncia di condanna nei confronti del debitore ha esaurito il suo diritto di azione e non può, per difetto di interesse, richiedere “ex novo” un decreto ingiuntivo contro il medesimo debitore per lo stesso titolo e lo stesso oggetto, trova deroga nei casi in cui la domanda di condanna rivolta al giudice, nella preesistenza di altro ed analogo titolo giudiziale, non mira alla duplicazione del titolo già conseguito, ma è diretta a far valere una situazione giuridica che non ha trovato esaustiva tutela, suscettibile di conseguimento di un risultato ulteriore rispetto alla lesione denunziata (Sez. 2, Sentenza n. 15084 del 30/06/2006, Rv. 590865 – 01).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 2000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione