Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31030 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 31030 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3061/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
AMEC RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE , che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2590/2017, depositata il 13/06/2017.
Udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il PUBBLICO MINISTERO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2007 RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) ha convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE), deducendo di avere concluso con la committente RAGIONE_SOCIALE un contratto di appalto per la realizzazione della seconda linea di un termovalorizzatore e di avere subappaltato parte dell’opera alla convenuta con contratto datato 1° agosto 2005 e con termine di ‘completamento meccanico’ entro il 15 novembre 2006, che la convenuta non aveva rispettato il termine pattuito e aveva terminato il montaggio delle parti principali dell’impianto soltanto a fine giugno 2007. L’attrice ha quindi chiesto al Tribunale di Milano di condannare la convenuta al pagamento della penale per il ritardo prevista dal contratto, pari a euro 810.000, oltre IVA. La convenuta, costituendosi, ha chiesto, a titolo riconvenzionale, il pagamento del saldo di quanto ancora dovuto, pari a euro 600.762,20, oltre a euro 38.056 per lavori non previsti in contratto e a euro 594.790,21 a titolo di risarcimento del danno per la maggiore durata del cantiere (domanda quest’ultima poi oggetto di espressa rinuncia). L’attrice a sua volta, a titolo di reconventio reconventionis , ha chiesto il pagamento delle opere da essa completate ovvero eseguite da terzi e che erano invece a carico della convenuta (c.d. punch list e backcharge ), per la somma complessiva di euro 234.344,86. Nel corso del processo l’attrice ha escusso la fideiussione bancaria prestata dalla convenuta a garanzia della penale per il ritardo, per l’importo di euro 500.000.
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 2227/2014, ha accertato il diritto dell’attrice a percepire euro 521.544,52, somma comprensiva di IVA e interessi sino al 30 dicembre 2011, già dedotto l’importo di euro 500.000 corrisposto dal fideiussore; ha poi accertato il diritto della convenuta a percepire a titolo di saldo del corrispettivo delle opere eseguite euro 798.662,29, somma comprensiva di IVA e interessi moratori sino al 30 dicembre 2011; ha poi operato la compensazione tra i rispettivi crediti e ha condannato l’attrice al pagamento in favore della convenuta di euro 277.177,77, oltre interessi moratori dal 31 dicembre 2011 sino al saldo.
La sentenza è stata impugnata in via principale da COGNOME (che ha chiesto di accertare che nulla era dovuto a titolo di penale, comunque da ridursi secondo equità, e ha contestato la decorrenza del calcolo degli interessi) e in via incidentale da RAGIONE_SOCIALE (che ha chiesto di accertare che controparte non aveva completato gli interventi previsti dal contratto e, confermata in ogni altra sua parte la sentenza, di dichiarare compensate le reciproche poste di dare e avere alla data della coesistenza dei reciproci debiti). Con la sentenza 13 giugno 2017, n. 2590, la Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame principale di Atzwanger e, in parziale accoglimento di quello incidentale di RAGIONE_SOCIALE, ha stabilito che la compensazione andava operata ‘alla data della coesistenza tra i reciproci crediti, previo calcolo degli interessi legali maturati sino alla data di ciascuna estinzione parziale’.
3. Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE che dalla
Memoria è stata depositata sia dalla ricorrente controricorrente in prossimità della pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è articolato in tre motivi.
I primi due motivi attengono alle contestazioni relative alla conferma del riconoscimento, in favore della controricorrente, della penale per il mancato rispetto del termine contrattualmente previsto e rispettivamente denunciano:
il primo motivo, ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1382 e 1661 c.c., art. 360, n. 3 c.p.c.’, in quanto la Corte di merito, pur avendo accertato che vi erano stati ‘rilevanti mutamenti dell’oggetto del subappalto’, ha poi erroneamente ritenuto, sulla ‘scorta di una mera illazione del consulente tecnico d’ufficio’, che le ‘riconosciute variazioni, impedimenti, ostacoli non determinerebbero la decadenza del termine assistito da penale’;
il secondo motivo, ‘nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., violazione di legge costituzionalmente rilevante concernente l’obbligo di motivazione sotto il profilo della motivazione apparente e del contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c.’, in quanto in ogni caso la Corte d’appello ‘è incorsa nel vizio di extrapetizione o ultrapetizione laddove ha ritenuto che nel caso di specie vi fosse ritardo nella consegna di opere’; la clausola contrattuale si riferisce infatti al ritardo nel ‘completamento meccanico’, mentre la domanda era stata formulata in relazione alla ‘consegna’ dell’impianto e a una serie di altri presunti inadempimenti non presidiati dalla penale; il vizio della sentenza di primo grado, censurato dalla ricorrente in appello, è stato ritenuto insussistente dalla Corte d’appello con affermazioni tra loro irriducibilmente contrastanti, concretanti una motivazione meramente apparente.
I motivi non possono essere accolti.
Con il primo motivo la ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha da un lato accertato che vi erano stati mutamenti rilevanti dell’oggetto del subappalto e dall’altro lato che ciò non avrebbe determinato il venire meno del termine, ponendosi così in contrasto
con la giurisprudenza di questa Corte. Il giudice d’appello, in realtà, ha compiuto un attento accertamento in fatto, basato sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio (v. le pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata), dal quale è risultato che vi sono state alcune ‘fisiologiche’ varianti, ma che tali varianti non sono state tali da causare ritardi di oltre sei mesi nei montaggi dei materiali, come d’altro canto è confermato dal comportamento della ricorrente che, ancora con comunicazione del 27 ottobre 2006, inviava un nuovo cronoprogramma dei lavori con cui indicava uno slittamento dei tempi di consegna al massimo di due mesi (fine dicembre 2006metà gennaio 2007), quando invece i montaggi furono completati nel mese di giugno 2007.
Il vizio di ultra o extrapetizione denunciato con il secondo motivo non sussiste. Come ha già precisato la Corte d’appello nel respingere l’analoga censura rivolta alla pronuncia di primo grado, non è stato riconosciuto un petitum diverso o ulteriore rispetto a quello richiesto, ma il Tribunale ha interpretato la domanda dell’attrice, che aveva parlato di inadempimento ‘all’obbligo di consegnare l’impianto alla data contrattualmente stabilita del 15 novembre’, come riferita al completamento meccanico, ossia al completamento della fornitura dei materiali e delle attività di montaggio, interpretazione che la Corte d’appello ha confermato . Tale attività ermeneutica è riservata al giudice di merito ed è denunciabile di fronte a questa Corte di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg., denuncia che non è stata effettuata dalla ricorrente, che d’altro canto non ha neppure trascritto la suddetta clausola nello svolgimento del motivo.
2) Il terzo motivo lamenta ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1242, 1243 e 2909 c.c., art. 360, n. 3 c.p.c.’: in accoglimento dell’appello incidentale la Corte di merito ha ritenuto che la compensazione dovesse avere luogo dal momento della
coesistenza dei crediti, così violando il giudicato interno formatosi sul punto; controparte, sin dall’introduzione del giudizio, ha chiesto che le reciproche poste di dare-avere fossero computate, con i relativi interessi, non dalla loro coesistenza, bensì all’attualità del calcolo (ossia alla data del 30 dicembre 2011); non vi era quindi soccombenza di controparte, né legittimazione alcuna all’impugnazione della sentenza; in ogni caso, la Corte di merito non ha considerato che i crediti dipendevano tutti da un unico rapporto giuridico, così che ‘era esclusa la compensazione disciplinata dal codice civile, potendo piuttosto essere effettuato un semplice conto del dare e dell’avere con riferimento alla data dell’accertamento giudiziale, c.d. compensazione impropria’.
Il motivo non può essere accolto. La ricorrente anzitutto invoca la violazione del giudicato interno. Tale violazione non sussiste: controparte ha infatti proposto appello incidentale con il quale ha contestato come la compensazione dovesse essere operata considerando come i debiti si estinguano dal giorno della loro coesistenza (v. pagg. 34 e segg. dell’atto), così che sul punto non era sceso il giudicato. Non assume al riguardo rilievo quanto poi sostenuto nello sviluppo del motivo dalla ricorrente, che fa riferimento alla mancanza di interesse di controparte alla proposizione del motivo d’appello, in quanto sarebbe stata essa stessa a prospettare nella propria comparsa conclusionale un calcolo degli interessi non alla data della coesistenza delle poste di dare e avere: a parte che il profilo è contestato da controparte (che trascrive alle pagg. 13 e 14 del controricorso una sezione della propria memoria di replica), l’interesse a proporre l’impugnazione interesse peraltro sussistente alla luce della pronuncia d’appello è profilo distinto dal passaggio in giudicato di una statuizione.
La pronuncia della Corte d’appello sarebbe poi, ad avviso della ricorrente, errata perché non considera che ci si trova di fronte a una ipotesi di compensazione c.d. impropria, rispetto alla quale non
si applicherebbe la regola di cui alla prima parte del primo comma de ll’art. 1242 c.c. (rubricato effetti della compensazione), per cui ‘ la compensazione estingue i due debiti dal giorno della loro coesistenza’.
La censura non può essere accolta. Nel caso in esame ci troviamo in effetti di fronte a una ipotesi di compensazione impropria, trattandosi di crediti e debiti che hanno origine da uno stesso rapporto, il contratto di subappalto concluso tra le parti. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la compensazione impropria (o atecnica) si distingue da quella propria ‘poiché riguarda crediti e debiti che hanno origine da uno stesso rapporto e si risolve in una verifica contabile delle reciproche poste attive e passive delle parti; è per questo che il giudice può procedere d’ufficio al relativo accertamento anche in grado di appello, senza che sia necessaria un’eccezione di parte o una domanda riconvenzionale, sempre che l’accertamento si fondi su circostanze fattuali tempestivamente acquisite al processo’ (così, da ultimo, Cass. n. 33872/2022; negli stessi termini si vedano Cass. n. 7474/2017, Cass. n. 12302/2016 e Cass. n. 23539/2011).
Questa Corte (cfr. Cass. n. 16561/2002) si è chiesta se, nel caso di compensazione impropria a non applicarsi siano soltanto le regole processuali, ossia l’appena ricordato divieto di applicare d’ufficio la compensazione, o se non siano inapplicabili pure le regole sostanziali sui limiti della compensabilità dei crediti e la risposta è stata positiva. Si è così esclusa l’applicazione della regola della incompensabilità del credito dichiarato impignorabile di cui agli artt. 1246, n. 3 c.c. e 545 c.p.c. (si vedano al riguardo Cass. n. 18498/2006 e Cass. n. 7337/2004) e si è afferma ta l’ammissibilità del semplice accertamento contabile di dare ed avere, proprio della compensazione impropria, anche in presenza di ragioni debitorie derivanti dalla commissione di un fatto illecito ( ex multis , Cass. n. 16561/2002).
La regola di cui la ricorrente sostiene la non applicabilità è invece quella relativa agli effetti della compensazione, ossia della estinzione delle poste di dare e avere dal giorno della loro coesistenza. La ricorrente, nello svolgere la sua tesi, si basa su una premessa erronea, ossia che tale regola non possa essere applicata perché, nel caso in esame, le poste di dare e avere sono state oggetto di previo accertamento da parte del giudice. In tal modo la ricorrente confonde il profilo del rapporto tra compensazione legale e compensazione giudiziale . Ai sensi dell’ , l n.
23225/2016, per la quale ‘ la compensazione legale si distingue da quella giudiziale perché per la ricorrenza della prima i due crediti contrapposti devono essere certi, liquidi ed esigibili anteriormente al giudizio, mentre per la seconda il credito opposto in compensazione non è liquido, ma viene liquidato dal giudice nel processo’)
n. 23225/2016, già richiamata, se la certezza del
contro
credito si matura nel corso del giudizio sul credito principale, anche in appello, gli effetti estintivi della compensazione decorrono dalla coesistenza dei crediti). Tale regola vale tanto più nel caso della compensazione impropria, ove vi è un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, con l’operare di una ‘sorta di meccanismo di delle correlate pretese, inesorabilmente destinato a compiersi a cagione dell’unicità del vincolo, nel cui ambito le stesse pretese costituivano mere poste contabili, ad un tempo attive e passive’ (così Cass. n. 4825/2019; cfr. ancora Cass.
n. 10447/1991, che, in una ipotesi di rapporto di agenzia caratterizzato da parasubordinazione, ha sottolineato la necessità di prima determinare il saldo contabile, comprendendo nell’operazione tutte le partite di debito e credito derivanti dal rapporto stesso, e, solo ove risulti un credito residuale dell’agente, il relativo importo deve essere rivalutato e maggiorato degli interessi legali). Va infine precisato che la ricorrente cita a sostegno della propria tesi (v. le pagg. 36 e 37 del ricorso) una frase contenuta nella motivazione di una pronuncia di questa Corte (Cass. n. 20484/2011), estrapolandola dal resto della decisione, frase dalla quale non è possibile ricavare una espressa presa di posizione sul tema, tanto più che, a quanto pare, si verteva in una i potesi di contestazione del rilievo d’ufficio della compensazione impropria.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 15.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio seguita alla