Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27219 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27219 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6336/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza della C orte d’appello n. 328/2021 depositata il 6/8/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/9/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Pordenone, con sentenza in data 26 giugno 2019, in parziale accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare proposta dal fallimento di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., dichiarava l’ineff icacia di alcune delle rimesse pervenute sul conto corrente acceso dalla fallita
presso la Banca Antonveneta s.p.a. (ora Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.), per il complessivo importo di € 716.982,87, e condannava l’istituto di credito convenuto a corrispondere tale somma in favore di RAGIONE_SOCIALE, intervenuta in causa in qualità di assuntore del concordato fallimentare omologato nel corso del giudizio.
Giudicava inammissibile la domanda di revoca delle rimesse effettuate dopo il deposito del ricorso per concordato preventivo prenotativo, in ragione della natura eccezionale del disposto dell’art. 69bis , comma 2, l. fall. e della conseguente impossibilità di estensione dei limiti temporali in essa considerati.
La Corte distrettuale di Trieste, in parziale accoglimento dell’appello principale presentato da Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., rilevava che la banca convenuta, fin dalla comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, aveva dedotto che la quasi totalità delle rimesse richieste in revoca era costituito dall’accredito di effetti a maturazione di valuta precedentemente anticipati e giunti a scadenza, non suscettibili di revocatoria, stante il disposto dell’art. 56 l. fall., in forza del patto di compensazione stipulato fra le parti che assisteva i rapporti di anticipazione.
Riteneva che le operazioni effettivamente revocabili dovessero essere circoscritte soltanto a due rimesse, per il complessivo importo di € 77.297,46, sostenendo che i restanti importi erano stati legittimamente trattenuti in forza del patto di compensazione intervenuto fra le parti.
Rigettava, invece, l’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE, incorporante per fusione RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva lamentato che la sentenza impugnata avesse erroneamente escluso l’applicabilità dell’art. 67, comma 2, l. fall. con rife rimento alle rimesse intervenute dopo la data di deposito del ricorso per concordato preventivo prenotativo, rilevando che l’ambito di operatività della revoca richiesta rimaneva necessariamente circoscritto al periodo individuato dal combinato disposto degli artt.
67, comma 2, e 69bis , comma 2, l. fall., con riferimento al semestre antecedente la pubblicazione della domanda di concordato.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 6 agosto 2021, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso Banca Monte dei Paschi di Siena RAGIONE_SOCIALE
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ., sollecitando il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 115 e 167 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ.: la Corte d’appello in tesi di parte ricorrente -ha erroneamente ritenuto che poche righe della comparsa di risposta fossero state sufficienti a dedurre ritualmente l’eccezione di compensazione, quando in realtà la banca in comparsa di risposta aveva dedotto fatti e circostanze tesi esclusivamente a provare il funzionamento del cd. conto unico, che costituiva un normale conto corrente su cui era possibile gestire le anticipazioni di portafoglio al salvo buon fine, e solo con la terza memoria ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ. aveva rappresentato di aver pattuito, rispetto a ogni singola anticipazione, la cessione e la compensazione in proprio favore del credito relativo al titolo presentato.
Per di più i documenti prodotti dalla banca erano inopponibili alla curatela fallimentare, perché privi di data certa, al pari delle asserite cessioni di credito, che non risultavano notificate o accettate dai debitori prima del fallimento.
Risultava, perciò, corretto il ragionamento del tribunale nella parte in cui era stato rilevato che l’eccezione relativa alla presunta cessione dei crediti era del tutto inammissibile, perché tardivamente introdotta in causa.
4.2 Il secondo mezzo lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 56 l. fall., non essendo applicabile l’istituto della compensazione rispetto a rapporti di debito-credito nascenti da un unico contratto di conto corrente caratterizzato da un servizio di cassa, nel cui ambito si svolgono operazioni di conguaglio che rappresentano meri effetti contabili del diritto del correntista di variare la disponibilità del conto; il bonifico effettuato da terzi in favore del correntista poi fallito costituisce un’operazione che, salvo patto contrario, si inserisce nell’ambito dell’unitario rapporto di conto corrente, determinando una mera variazione quantitativa del debito del cliente che può configurare un atto ripristinatorio delle sue disponibilità o un atto direttamente solutorio, risultante dal saldo contabile e assoggettabile a revocatoria fallimentare in caso di fallimento.
I motivi, da esaminare congiuntamente in ragione della loro parziale sovrapponibilità, risultano l’uno (il primo) in parte infondato, in parte inammissibile, l’altro non fondato.
5.1 La prima censura, di carattere processuale, impone a questa Corte, quale giudice del fatto processuale, l’esame degli atti del giudizio e, in particolare, della comparsa di costituzione e risposta.
Il contenuto di tale atto, laddove (a pagg. 3 e ss.) tratta delle ‘ caratteristiche dei rapporti per cui è causa ‘, è volto a sostenere che il conto oggetto di revoca funzionava come conto unico (assistito, oltre che da un fido per cassa, da un affidamento utilizzabile in conto corrente, di importo variabile collegato al portafoglio utilizzato e non scaduto tempo per tempo) e a descrivere la tecnica contabile di anticipo s.b.f. di portafoglio commerciale basata sull’utilizzo di tale conto (attraverso l’utiliz zo di un conto tecnico con funzione di rilevare l’entità del portafoglio presentato e non ancora scaduto).
Le caratteristiche rappresentate corrispondono a quelle delle linee di credito c.d. autoliquidanti, nelle quali la fonte di rimborso dell’erogazione finanziaria della banca è predeterminata ed è pattuita
sin dall’inizio dalle parti la canalizzazione del pagamento del terzo a favore dell’istituto di credito.
Nell’ambito di un simile contesto descrittivo è evidente che la deduzione difensiva riportata (a pag. 13) all’interno della decisione impugnata (ed effettuata a pag. 7 della comparsa di risposta), pur facendo un inesatto riferimento all’art. 56 l. fall., è stata rivolta a dedurre un patto di compensazione che assisteva le anticipazioni effettuate nell’ambito di un conto unico così funzionante e dunque una compensazione impropria.
5.2 La ricostruzione delle caratteristiche del rapporto contrattuale e della sua evoluzione sostenuta dalla banca è stata condivisa dalla Corte d’appello.
Difatti, i giudici distrettuali, preso atto che la banca aveva dedotto che la quasi totalità delle rimesse richieste in revoca era costituito dall’accredito di effetti a maturazione di valuta precedentemente anticipati e giunti a scadenza, a tacitazione di pregresse anticipazioni, hanno constatato, da una parte, che il contratto di apertura di conto corrente in effetti prevedeva il diritto della banca di compensare, fino alla concorrenza del proprio complessivo credito, tutte le somme di pertinenza del debitore che fossero pervenute ad opera di chiunque ed a qualsiasi titolo, dall’altra che tutte le operazioni elencate nella relazione peritale (ad eccezione di due) riportavano la dicitura ‘giro effetti maturati dal c/c 311031.88’ e corrispondevano proprio al lo schema negoziale allegato dalla banca.
In questo modo la Corte territoriale ha acclarato l’esistenza di una linea di credito autoliquidante, secondo una ricostruzione dei fatti di causa non contestata dall’odierna ricorrente, che si è limitata a sostenere l’inapplicabilità, in una simile situazione, dell’istituto della compensazione e la tardiva proposizione di una simile eccezione.
5.3 Un siffatto collegamento negoziale e funzionale tra il contratto di anticipazione e il patto di compensazione previsto all’interno del contratto di conto corrente comportava che i rispettivi debiti e crediti delle parti traessero origine da un unico, ancorché complesso,
rapporto negoziale e che fosse così configurabile una c.d. compensazione impropria, e non quindi la compensazione in senso stretto di cui agli artt. 1241 e ss. cod. civ. (disciplinata nella procedura fallimentare dall’art. 56 l. fall), la quale presuppone l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, attribuendo rilevanza al momento in cui i reciproci debiti e crediti delle parti vengono a coesistenza (cfr. Cass. 28232/2023, Cass. 11524/2020).
Ne discende che la valutazione delle reciproche pretese delle parti implicava soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, accertamento a cui il giudice poteva procedere senza incontrare ostacolo nelle limitazioni vigenti per la compensazione in senso tecnico-giuridico (si vedano in questo senso Cass. 30220/2019, Cass. 4825/2019).
5.4 Se così è, allora la decisione impugnata -sebbene da correggere in iure laddove ravvisa l’applicabilità dell’art. 56 l. fall. non si presta a censure rispetto alla prima doglianza, perché, trattandosi di un mero accertamento di dare e avere con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, il giudice poteva procedere ad essa senza che fossero necessarie l’eccezione di parte o la domanda riconvenzionale (Cass. 26365/2024), rimanendo così ininfluente il momento in cui la questione era stata posta.
Il secondo mezzo risulta parimenti infondato, perché le operazioni riconnesse alla linea di credito autoliquidante costituivano -come detto – una movimentazione contabile in dare ed avere effettuate su un conto unico, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, non rappresentavano rimesse di natura solutoria e non erano soggette a revocatoria.
5.5 Le contestazioni relative alla mancanza di data certa anteriore al fallimento dei documenti prodotti dalla banca ed alla mancanza di notifica ai debitori delle cessioni di credito introducono questioni nuove, non prese in esame dalla decisione impugnata e comportanti un accertamento in fatto, e risultano inammissibili in questa sede di
legittimità, dato che il ricorrente non si è preoccupato di indicare se le stesse era state allegate in sede di merito e dove erano state poste (si vedano in questo senso, ex multis , Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013).
Il terzo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 67, comma 2, e 69bis l. fall.: diversamente da quanto ritenuto dalla Corte distrettuale tutte le rimesse bancarie effettuate dopo la domanda di concordato e prima della dichiarazione di fallimento dovevano essere considerate -sostiene la ricorrente – integralmente revocabili, essendo stato accertato che avevano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallit o nei confronti della banca e non sussistendo alcuna causa di esenzione.
Tali rimesse, peraltro, costituivano pagamenti di debiti anteriori effettuati dall’imprenditore dopo la presentazione della domanda di concordato con riserva ed erano inefficaci nei confronti della massa, perché non autorizzati dal tribunale.
La censura è inammissibile, perché non considera e non critica la ratio decidendi addotta dalla Corte di merito a giustificazione della propria statuizione.
La decisione impugnata ha richiamato il disposto dell’art. 67, comma 2, l. fall., che fa espresso riferimento agli atti ‘ compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento ‘.
Questa norma doveva essere intesa ed applicata, secondo i giudici distrettuali, ‘ in combinato disposto con l’art. 69 -bis, comma 2, l. fall., in riferimento al semestre antecedente la pubblicazione della domanda di concordato ‘ (v. pag. 15 della decisione impugnata), giacché nel caso di specie la dichiarazione di fallimento aveva fatto seguito a una domanda di concordato.
I giudici distrettuali, in questo modo, hanno sostenuto, nella sostanza, che il combinato disposto delle due norme rendeva esperibile l’azione revocatoria fallimentare rispetto agli atti compiuti
nel semestre ‘anteriore’ la data di riferimento, rimanendo giocoforza esclusi gli atti posteriori a tale epoca.
Il motivo in esame non spiega le ragioni per cui gli argomenti offerti dai giudici distrettuali, che hanno valorizzato il dato testuale delle due norme, siano erronei e debbano essere superati.
Il che comporta l’inammissibilità della doglianza, posto che il ricorso per cassazione deve necessariamente contestare in maniera specifica la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 19989/2017).
Il riferimento all’art. 161, comma 7, l. fall. e al fatto che la compensazione operata costituisca un atto di straordinaria amministrazione non autorizzato e dunque inefficace è poi privo di rilievo, perché estraneo all’oggetto della lite, ‘ avendo la procedura sempre ed espressamente specificato di aver promosso, nel presente giudizio, unicamente l’azione prevista dall’art. 67, comma 2, l. fall .’ (v. pag. 15 della decisione impugnata).
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 10.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma in data 23 settembre 2025.
Il Presidente