Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1386 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1386 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8563/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
REGIONE LAZIO, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO C/O SEDE AVVOCATURA REGIONALE, presso lo studio del l’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende -controricorrente-
RAGIONE_SOCIALE ROMA 1, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5450/2018 depositata il 04/09/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria di parte del credito vantato dalla ‘Provincia Italiana della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione’ verso la Regione Lazio e la ASL RM E, per prestazioni ambulatoriali, di degenza e di erogazione di farmaci svolte nel periodo 2009-2010, conveniva la Regione Lazio e la ASL RM E innanzi al Tribunale di Roma, chiedendo la condanna delle medesime al pagamento in proprio favore di € 9.421.617,00, oltre interessi di mora, e al risarcimento del maggior danno, rappresentato dalla svalutazione monetaria e dai tassi passivi corrisposti. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 25077/2015, riteneva sussistere la legittimazione passiva solo della Regione Lazio e non anche della ASL RM E, condannava la Regione Lazio al pagamento, in favore della UBI Factor S.p.a., di € 2.056.834,60, oltre interessi, decorrenti dalla data di notifica degli atti di cessione del credito delle fatture inevase, ritenuto sussistente il contro-credito della Regione pari alla somma di € 3.253.000,00, respingeva le restanti domande attrici e compensava integralmente tra le parti le spese di lite. I
i cui importi pertanto non erano stati estinti dai pagamenti per una somma pari ad euro 5.913.442,60. Da tale somma, tuttavia, il giudice di primo grado detraeva quella di euro 603.608,00 per prestazioni risultate extra budget e la somma di euro 3.253.000,00 quale importo già pagato dalla Regione Lazio per prestazioni risultate inappropriate all’esito dei controlli automatici Appro ed Apa; di conseguenza condannava la Regione Lazio al pagamento di euro 2.056.834,60 più gli interessi moratori calcolati al tasso legale e secondo il regime codicistico, escludendo così l’applicabilità del regime degli interessi moratori di cui al D. Lgs.. 231/02, con loro decorrenza dalla notificazione alla Regione delle cessioni dei crediti di Ubi Factor s.p.a..
2. Con sentenza n. 5450/2018, pubblicata il 4-9-2018, la Corte di Appello di Roma rigettava sia l’appello principale proposto dalla Regione Lazio, sia l’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la citata sentenza del Tribunale, dichiarato assorbito l’appello incidentale proposto dalla ASL, e compensava tra tutte le parti le spese di lite, confermando la sentenza di primo grado, che correggeva unicamente con riguardo all’errore materiale contenuto nel dispositivo. La Corte di merito, per quanto ora di interesse, affermava che: a) il credito vantato dalla cessionaria e quello opposto in compensazione dalla Regione avevano avuto origine dal medesimo rapporto, cioè da quello sorto in virtù dell’accreditamento della struttura ospedaliera I.D.I. presso il RAGIONE_SOCIALE per le prestazioni medico-sanitarie svolte, sicché nel caso di specie trovava applicazione l’istituto della compensazione impropria, sottratto al regime processualistico delle decadenza e delle eccezioni e consistente in una mera operazione contabile tra reciproci debiti e crediti originati dallo stesso rapporto, da eseguirsi anche d’ufficio dal Giudice, purché risultanti dagli atti; il contro-credito regionale, come correttamente rilevato dal Tribunale, era dimostrato dai documenti
richiamati nella sentenza impugnata, ossia dai controlli ed abbattimenti di spese riepilogati negli allegati 13 e 14 della seconda memoria istruttoria della Regione e dalla D.C.A. n.12/2012 (pag. 13 sentenza); b) l’istituto della disapplicazione dell’atto amministrativo asseritamente illegittimo, ossia della delibera di determinazione dei tetti di spesa, non poteva trovare applicazione, essendo la domanda del cessionario fondata proprio sull’annullamento dell’atto amministrativo, precluso al Giudice Ordinario; come diffusamente argomentato dal Tribunale in modo condivisibile. La mera disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del Giudice Ordinario è ammissibile solo quando su di esso debba svolgersi una valutazione incidentale rispetto al rapporto principale, ossia quando l’atto è solo un presupposto di fatto rispetto al fatto costitutivo del diritto fatto valere, senza che il Giudice Ordinario attribuisca o meno il bene della vita in conseguenza immediata e diretta dell’annullamento dell’atto amministrativo; l’appellante RAGIONE_SOCIALE sul punto non aveva svolto alcuna censura specifica alle argomentazioni del Tribunale relative alla impossibilità di ravvisare un’ipotesi di disapplicazione degli atti amministrativi, né aveva altrimenti dedotto in qual modo, nel caso di specie, il Giudice Ordinario avrebbe dovuto conoscere incidentalmente e non direttamente dell’atto amministrativo; c) il contenuto dei mandati di pagamento doveva interpretarsi, ai sensi dell’art.1193 cod. civ., in base al loro tenore letterale, come affermato dal primo giudice, non essendo condivisibile la tesi prospettata da RAGIONE_SOCIALE, secondo cui i pagamenti mensili, compiuti dalla Regione Lazio, non andrebbero a remunerare le prestazioni eseguite nel mese a cui il singolo mandato di pagamento si riferisce, ma a quelle rese quattro mesi prima; d) neppure era fondato il motivo d’appello concernente il mancato riconoscimento degli interessi disciplinati dal d.lgs. n.231/2002, non essendo condivisibile la tesi di Ubi RAGIONE_SOCIALE secondo cui avrebbe dovuto individuarsi, quale fonte negoziale
successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 231/2002, ai fini dell’applicazione dello stesso, ogni singola richiesta dell’utentepaziente all’ospedale ed ogni consequenziale prestazione sanitaria, poiché, invece, il credito dell’ospedale cedente era sorto quando essa operava in virtù dei provvedimenti di accreditamento provvisorio, come risultava dalla ricostruzione normativa effettuata dal Tribunale, ritenuta pienamente condivisibile.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, affidato a quattro motivi, resistito con separati controricorsi dalla Regione Lazio e dall’ASL Roma 1.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. Parte ricorrente e l’ASL Roma 1 hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., dell’art. 167 cod. proc. civ, dell’art. 2697 cod. civ., e dei principi generali in materia di prova, nonché degli artt. 1241, 1242, 1243 e 1248 e ss. cod. civ., e dei principi generali in materia di com pensazione, ai sensi dell’art.360, comma primo n. 3 e 4 cod. proc. civ.. Ad avviso di UBI Factor, la Corte di merito non ha considerato che i documenti, depositati dalla Regione Lazio, avevano carattere di atti endo-procedimentali, privi di contenuto provvedimentale, e, in quanto tali, inidonei a far sorgere il controcredito regionale, e, comunque, ad attribuirgli i requisiti di certezza e liquidità, che, soli, potevano giustificare il ricorso alla cosiddetta compensazione ‘impropria’ da ritenersi, vicevers a, del tutto esclusa, anche per la ferma contestazione da parte della cessionaria. Denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. , in quanto la Regione Lazio non avrebbe dato la prova del suo controcredito di euro 3.253.000,00 derivante dall’applicazione dei sistemi di controllo dell’appropriatezza dei ricoveri denominati Appro
ed Apa, nonché sostiene che la Corte territoriale abbia fondato il proprio convincimento circa l’esistenza di tale controcredito sulla base del documenti 13 e 14 della seconda memoria della Regione Lazio, che, invece, ad avviso della ricorrente, non forniscono supporto probatorio a tale suo convincimento, stante i criteri previsti per determinare l’inappropriatezza delle prestazioni che diffusamente illustra (da pag. 15 a pag.20). Deduce la ricorrente, dunque, che non ricorre l’ipotesi della compensazione i mpropria, e comunque non solo era assente la prova del controcredito, ma anche quella della reciproca coesistenza dei crediti, né la Corte di merito aveva accertato, in violazione dell’art.1243 cod. civ., che il controcredito avesse i requisiti della facile e pronta liquidazione. Ne conseguirebbe, secondo la prospettazione della società ricorrente, l’intervenuta decadenza della Regione dalla sollevata eccezione, in quanto proposta solo con la comparsa conclusionale in primo grado. Denuncia, altresì, la violazione dell’art. 2697 cod. civ., per avere la Corte d’appello dichiarato la compensazione senza la prova che il controcredito regionale in compensazione sussistesse prima della notificazione alla regione Lazio della cessione dei crediti di cui è
causa ad RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
La Corte d’appello ha, invero, fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di estinzione delle obbligazioni, la compensazione impropria (o atecnica) si distingue da quella propria, disciplinata dagli articoli 1241 e ss. c.c., poiché riguarda crediti e debiti che hanno origine da uno stesso rapporto, e si risolve in una verifica contabile delle reciproche poste attive e passive delle parti. E’ per questo che il giudice può procedere d’ufficio al relativo accertamento anche in grado di appello, senza che sia necessaria un’eccezione di parte o una domanda riconvenzionale, sempre che l’accertamento si fondi su circostanze fattuali tempestivamente acquisite al processo (Cass. 33872/2022). La Corte ha, pertanto,
correttamente provveduto d’ufficio alla compensazione – anche se eccepita in conclusionale di primo grado ma, essendo compensazione impropria, dichiarabile d’ufficio – tra il credito della struttura sanitaria della ricorrente RAGIONE_SOCIALE ed il controcredito della Regione, per prestazioni sanitarie erogate nell’ambito del SSN. L’accertamento di tale controcredito è contestato, nel motivo di ricorso, con argomentazioni ed allegazioni di puro merito.
Infatti la Corte d’appello ha ritenuto, esaminando i documenti indicati nella sentenza impugnata (all.13), dimostrata l’inadeguatezza di alcune prestazioni, in conformità a quanto sostenuto dalla Regione, ed ha affermato che si trattava non di rilevazioni statistiche, ma di criteri normativamente fissati nelle loro linee generali, che avevano fonte legale, erano disciplinati dalla normativa primaria e regionale, quale riassunta, tra l’altro, nel ‘patto per la salute’ 2010-2012 redatto dal Ministero della Salute.
La censura, in parte qua , è inammissibile perché impropriamente diretta a sindacare la valutazione dei dati istruttori posti a base della dimostrazione del controcredito, cioè dei documenti richiamati nella sentenza impugnata. Occorre ribadire, infatti, che la violazione del disposto dell’art.116 cod. proc. civ. ricorre solo quando il giudice di merito disattenda il principio di libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (tra le tante Cass. 18092/2020).
3. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ., la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 5, legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, in relazione ai principi generali in materia di riparto della giurisdizione; la violazione degli artt. 3 e 4 del D.M. 15 aprile 1994, e degli artt. 2, 5, 8 sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e dei principi generali in materia di remunerazione delle prestazioni sanitarie, e di quelli in materia di
illegittimità derivata degli atti amministrativi. Denuncia altresì la violazione degli articoli 1362 cod. civ. e ss. in materia di interpretazione degli atti amministrativi e delle norme di relazione, con riguardo alla carenza assoluta di potere da parte della Pubblica Amministrazione. In particolare, secondo la ricorrente, essendo il provvedimento adottato affetto da carenza assoluta di potere, esso non era riconducibile al potere amministrativo e, conseguentemente, la controversia andrebbe attribuita alla cognizione del giudice ordinario.
4. Il motivo è infondato.
Il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice ordinario non può, invero, essere esercitato nei giudizi in cui sia parte la P.A., ma unicamente nei giudizi tra privati e nei soli casi in cui l’atto illegittimo venga in rilievo, non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì come mero antecedente logico, sicché la questione venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico.
Nella specie, la delibera regionale non costituisce un mero elemento esterno alla fattispecie dedotta in giudizio, ma integra il fatto impeditivo della pretesa di chi agisce per il pagamento del corrispettivo della prestazione e dunque attiene in modo diretto al rapporto dedotto in giudizio. Rispetto alla delibera, ove assunta quale fatto impeditivo della pretesa del privato, la posizione è di interesse legittimo e dunque l’atto amministrativo andava impugnato e non disapplicato (Cass. S.U. 32505/2019; Cass. Sez. U. 28053/2018; Cass. 2244/2015).
5 .Con il terzo motivo, ai sensi dell’art.360 comma primo n.3 e n.4 cod. proc. civ., la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1193 cod. civ. e dei principi generali in materia di imputazione di pagamento, dell’art. 1362 e ss. in relazione all’interpreta zione degli atti amministrativi. Ad avviso della ricorrente, i pagamenti compiuti dalla Regione Lazio andavano imputati secondo il sistema di
centralizzazione, previsto dalla DGR 602/04 e dalle circolari applicative, le quali avevano stabilito che i pagamenti regionali, eseguiti con cadenza mensile – a far data dal mese di agosto 2004 e senza soluzione di continuità rispetto ai pagamenti fino ad allora eseguiti dalle ASL -erano da riferirsi, non già al mese in cui il pagamento era stato effettuato, bensì alle prestazioni erogate quattro mesi prima. Di conseguenza, ad avviso della ricorrente la Corte di Appello di Roma erroneamente non ha considerato che i pagamenti mensili, compiuti dalla Regione Lazio, non andrebbero a remunerare le prestazioni eseguite nel mese a cui il singolo mandato di pagamento si riferisce, ma a quelle rese quattro mesi prima, sicché detti pagamenti eseguiti dalla Regione Lazio alla struttura accreditata, in quanto riferibili alle prestazioni eseguite quattro mesi prima, non avrebbero carattere liberatorio e non sarebbero opponibili alla cessionaria, perché così risulterebbero successivi alla notifica della cessione del credito.
6. Il motivo è inammissibile.
La censura è meritale, essendo diretta ad ottenere una rivisitazione dell’accertamento in fatto – operato dal giudice di appello sulla base dell’interpretazione dei mandati di pagamento – circa l’imputazione dei pagamenti. Sotto l’apparente denuncia del vizio di violazione di legge, in realtà si censura la valutazione di circolari e documenti p er erronea interpretazione di essi, senza, peraltro, l’indicazione specifica e compiuta dei criteri ermeneutici violati. Per quanto occorra, va aggiunto che questa Corte ha affermato, da tempo risalente, che le norme sull’imputazione legale dei pagamenti, contenute nell’art 1193, secondo comma, cod. civ., hanno carattere suppletivo rispetto alla volontà del debitore, e l’accertamento del giudice del merito, in ordine alla volontà medesima è incensurabile i n sede di legittimità, se – come nella specie – logicamente e compiutamente motivato (Cass. 489/1975).
7 .Con il quarto motivo, ai sensi dell’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ., la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 11 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 e dell’art. 1321 cod. civ.. La Corte d’appello, reputando che il credito dell’Ospedale fosse sorto ‘quando esso operava in virtù dei suindicati provvedimenti’, avrebbe escluso l’applicabilità del più favorevole tasso di interesse c.d. ‘europeo’, così trascurando di considerare che l’Ospedale, in data 16 dicembre 2002 e in data 30 lugl io 2004, e cioè in data successiva all’8 agosto 2002, aveva stipulato due accordi con la Regione Lazio, volti a stabilire nuova e diversa disciplina circa la remunerazione delle prestazioni rese dall’Ospedale, integrando e modificando l’originario rapporto , mentre, ad avviso della ricorrente, la Corte di merito ha confuso il rapporto concessorio di accreditamento ed il rapporto contrattuale di esecuzione delle prestazioni mediche.
Il motivo è inammissibile per genericità e difetto di autosufficienza.
La Regione Lazio ha eccepito che la questione di cui trattasi è nuova e in effetti nella sentenza impugnata non ve ne è menzione, poiché la Corte d’appello ha solo affermato, al riguardo, che non era condivisibile la tesi di Ubi RAGIONE_SOCIALE.p.a secondo cui avrebbe dovuto individuarsi, quale fonte negoziale successiva all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 231/2002, ai fini dell’applicazione dello stesso, ogni singola richiesta dell’utente -paziente all’ospedale ed ogni consequenziale prestazione sanitaria. In altre parole, nei giudizi di merito l’odierna ricorrente avrebbe dovuto compiutamente allegare e precisare che le fonti negoziali indicate nel ricorso per cassazione (pag.62 ricorso) rivestivano valenza nel senso ora invocato. Invece la ricorrente deduce, genericamente, di avere prodotto i suddetti contratti nei giudizi di merito, ma non di averli indicati come successive fonti negoziali rilevanti ai fini del l’applicabilità del più favorevole tasso di interesse c.d. ‘europeo’ . Pertanto la sussistenza di contratti, conformi alla disciplina vigente, che avrebbero
consentito il riconoscimento degli interessi suindicati, deve ritenersi dedotta solo in sede di legittimità, difettando la censura, sotto tale profilo, di autosufficienza.
In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato e le spese di lite, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna controricorrente, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto (Cass. S.U. n.5314/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione in favore dell’AUSL Roma 6 delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in € 25.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge; condanna la ricorrente alla rifusione in favore della Regione Lazio delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in € 22.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 26/10/2023.