Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29207 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29207 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17413/2020 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Curatore pro tempore e domiciliato ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
COMUNE RAGIONE_SOCIALE LONIGO , in persona del Sindaco pro tempore e domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente –
Oggetto: pubblico
Appalto
R.G.N. 17413/2020
Ud. 28/10/2025 CC
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 4371/2019 depositata il 14/10/2019, lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso,
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 28/10/2025 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 4371/2019, pubblicata in data 14 ottobre 2019, la Corte d’appello di Venezia, nella regolare costituzione dell’appellato COMUNE di LONIGO, ha solo parzialmente accolto l’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza n. 1494/2015, pubblicata in data 19 agosto 2015.
Il RAGIONE_SOCIALE aveva agito chiedendo la condanna del COMUNE di LONIGO alla corresponsione sia della somma di € 50.156,34, oltre IVA, quale saldo del corrispettivo di un contratto di appalto concluso il 15 giugno 2000 avente ad oggetto la ristrutturazione della scuola elementare comunale, sia dell’ulteriore somma di € 25.089,85 , quale prezzo di un impianto antincendio realizzato nella medesima scuola in virtù di un successivo contratto del 28 dicembre 2000.
Costituitosi il COMUNE di LONIGO, contestando l’avversa domanda ed eccependo in particolare l’inadempimento della società poi fallita, il Tribunale, all’esito dell’istruttoria, aveva accolto unicamente la domanda relativa all’impianto antincendio condannando il COMUNE di LONIGO alla corresponsione della somma di € 25.089,85 oltre interessi al tasso legale, mentre aveva disatteso la domanda relativa alla ristrutturazione della scuola elementare, affermando, sulla scorta della consulenza tecnica disposta in corso di giudizio, che le opere di
cui al primo contratto non erano complete, erano state eseguite in ritardo e presentavano difetti e concludendo che il controcredito avanzato dal COMUNE di LONIGO per i vizi e la penale da ritardo era superiore alla somma richiesta dalla società.
La Corte d’appello di Venezia ha integralmente disatteso il gravame avverso la statuizione di rigetto della domanda concernente l’appalto della scuola elementare.
Per quanto ancora rileva nella presente sede alla luce di motivi di ricorso, la Corte d’appello veneziana ha, in primo luogo, escluso l’applicabilità dell’art. 81 l. fall., dedotta dal RAGIONE_SOCIALE al fine di negare la possibilità di prendere in considerazione i controcrediti vantati dal COMUNE, in quanto l’approvazione del certificato di collaudo era intervenuta dopo la dichiarazione di fallimento.
Al riguardo la Corte territoriale ha osservato:
-da un lato, che il fallimento era stato dichiarato successivamente all’ultimazione dei lavori – constatata con il relativo verbale -risultando irrilevante il fatto che il collaudo non fosse stato ancora approvato alla data di dichiarazione di fallimento, poiché la prestazione dell’appaltatore comunque era già stata eseguita;
-dall’altro lato, che, anche ritenendo applicabile l’art. 81 l. fall., lo scioglimento del rapporto contrattuale avrebbe avuto efficacia ex nunc e non avrebbe impedito alla stazione appaltante di opporsi al pagamento del corrispettivo delle opere ineseguite o non eseguite a regola d’arte, irrilevante risultando il tema dell’applicazione dell’art. 109, r.d. 25 maggio 1895, n. 350, in quanto funzione del procedimento di collaudo era quella di verificare l’esecuzione a regola d’arte dei lavori, senza che il sopravvenire del fallimento dell’appaltatore
potesse interrompere il procedimento amministrativo, privando di efficacia il certificato di collaudo.
La Corte d’appello, in secondo luogo, ha disatteso le contestazioni dell’appellante in ordine all’applicabilità della compensazione ex art. 56 l. fall., rilevando che il controcredito del COMUNE di LONIGO era sorto per effetto dell’inadempimento della società fallita, indipendentemente dall’approvazione del certificato di collaudo, e che la compensazione -anche ove qualificata come eccezione in senso proprio – era stata tempestivamente eccepita dal COMUNE in sede di costituzione innanzi al Tribunale.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia ricorre il RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso COMUNE di LONIGO.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 4 C.P.C., per ultra petizione, ex art. 112 C.P.C. con riferimento all’art. 1242 co. 1° C.C. e agli artt. 35, 167 co. 2° e 345 co. 2° C.P.C., essendosi pronunciata la Corte territoriale sull’eccezione di compensazione in assenza di eccezione di parte, non formulata dall’appellato Comune, né nel primo, né nel secondo grado del giudizio’ .
Richiamando alcuni passaggi degli atti difensivi dell’odierna controricorrente, la ricorrente argomenta che quest’ultima, ben lungi
dal sollevare tempestivamente l’eccezione di compensazione, avrebbe espressamente affermato con le proprie difese che non intendeva sollevare l’eccezione di compensazione.
Conclude, quindi, la ricorrente, affermando che la decisione impugnata sarebbe viziata dal vizio di ultrapetizione, per aver rilevato d’ufficio ed in assenza di tempestiva eccezione la compensazione.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘nullità della sentenza, a sensi dell’art. 360 n. 4 C.P.C., per omessa pronuncia, ex art. 112 C.P.C., ovvero in subordine per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, a sensi dell’art. 360 n. 3 C.P.C., in relazione al disposto degli artt. 1362 e segg. e 1372 C.C. e dell’art. 11 Disposizioni sulla Legge in AVV_NOTAIO con riguardo alla L. 11.02.1994 n. 109 e al regolamento DPR 21.12.1999 n. 554, avendo la Corte d’Appello di Venezia omesso di dichiarare che il contratto d’appalto di data 15.06.2000 è soggetto alla normativa dettata dal D.P.R. 16.07.1962 n. 1063, dalla L. 20.03.1865 n. 2248 All. F e dal R.D. 25.05.1895 n. 350 e comunque non facendo corretta applicazione della normativa applica bile al contratto’ .
La ricorrente imputa alla decisione impugnata di non essersi pronunciata su uno specifico motivo di appello con il quale si censurava la decisione di prime cure per avere, a propria volta, negato rilevanza al tema dell’applicabilità al contratto d’appalto della Legge n. 109/1994 e del d.P.R. 554/1991 e per non avere invece direttamente escluso l’applicabilità di tale disciplina , come invece dedotto dal controricorrente.
Argomenta la ricorrente che tale pronuncia negatoria doveva essere adottata dalla Corte territoriale, in accoglimento del motivo di impugnazione, laddove sul punto non vi sarebbe stata pronuncia.
Sostiene la ricorrente che, secondo una corretta interpretazione del contratto di appalto, ‘la Corte veneta, atteso lo specifico motivo d’appello, avrebbe dovuto rigettare la tesi del Comune di Lonigo sull’asserita applicabilità della legge 109/1994 e del DPR 554/1999 e avrebbe dovuto affermare, invece, che il contratto di data 15.06.2000, stipulato tra le parti, era soggetto alla LL.PP. 20.03.1865 n. 2248, all.F, al Regolamento R.D. 25.05.1895 n. 350, al D.P.R. 1063/1962, alle norme succedutesi nel tempo, alle norme, richiamate dall’art. 6) dello stesso contratto d’appalto ed in via suppletiva alle stesse norme del Codice Civile’ , e, conseguentemente, ‘valutare e risolvere le ulteriori questioni circa la disciplina dell’appalto, la natura dell’atto di approvazione del certificato di collaudo, circa la compensabilità dei crediti pretesi dal Comune appaltante’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘violazione o falsa applicazione di norma di diritto, a sensi dell’art. 360 n. 3 C.P.C., in relazione al disposto degli artt. 55, 56 e 81 R.D. 16.03.1942 n. 267, nel testo previgente le modifiche introdotte dal D.Lgs. 09.01.2006 n. 5, (di seguito L.Fall.) e 2917 C.C. dell’artt. 1672 C.C., nonché dell’art. 351 L. 20.03.1865 n. 2248 All. F, e degli artt. 91 e seg.ti e 109 – 117 R.D. 25.05.1895 n. 350 e degli art. 1241 – 1242 e seguenti C.C.: la Corte territoriale ha ritenuto la compensabilità dei contrapposti crediti in carenza dei presupposti di legge’ .
Si censura la decisione della Corte d’appello di Venezia nella parte in cui la stessa non ha rilevato l’autonomia tra l’obbligazione dedotta dal RAGIONE_SOCIALE ricorrente e l’obbligazione opposta dalla controricorrente, con le relative conseguenze in tema di applicabilità dell’art. 56 l. fall.
Ulteriormente, e di riflesso, si censura la Corte d’appello per avere escluso l’applicabilità al caso in esame dell’art. 81 l. fall., omettendo di
considerare che l’appalto tra le parti era ancora in corso al momento della dichiarazione di fallimento, non essendo ancora intervenuta l’approvazione del collaudo e quindi la liquidazione del corrispettivo.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
L a Corte d’appello, nella decisione impugnata, ha evidenziato che , sin dalla comparsa di costituzione, l’odierno controricorrente aveva eccepito l’esistenza del proprio controcredito, risultando, quindi, smentita la tesi del l’odierno ricorrente, secondo il quale la compensazione (sulla cui natura si avrà modo di tornare) era stata rilevata d’ufficio.
Questa affermazione è stata inadeguatamente impugnata dal ricorrente medesimo, il quale ha richiamato frammenti delle difese dell’odierno controricorrente, dai quali si dovrebbe evincere che lo stesso, ben lungi dal sollevare eccezione di compensazione, avrebbe anzi rinunciato ad avvalersene.
Ma è proprio la lettura dei suddetti passaggi degli atti difensivi dell’odierno controricorrente ad evidenziare che lo stesso, ben lungi dall’operare una rinuncia alla facoltà di opporre il proprio controcredito, si era limitato a puntualizzare di non voler agire in via riconvenzionale per il riconoscimento della maggior somma che sarebbe risultata a proprio favore a seguito della reciproca neutralizzazione delle poste attive o passive.
Tale affermazione -che scaturisce dall’evidente consapevolezza dell’odierno controricorrente di non poter agire per il riconoscimento di un proprio credito al di fuori della sede della formazione dello stato passivo -non vale, quindi, in alcun modo a suffragare le deduzioni del motivo di ricorso, il quale, quindi, risulta del tutto inidoneo ad impugnare la ratio decidendi .
Vi è, del resto, da evidenziare che risultano del tutto condivisibili le deduzioni svolte sul punto dal Pubblico Ministero, il quale ha osservato che, risultando dedotte contrapposte pretese creditorie scaturenti da un unico rapporto contrattuale di appalto, veniva ad operare la c.d. ‘compensazione impropria’, come del resto con evidente chiarezza dedotto dall’odierno controricorrente proprio nei passaggi difensivi riprodotti nel motivo di ricorso.
La c.d. ‘compensazione impropria’ , infatti, a differenza della compensazione in senso proprio – da questa Corte effettivamente qualificata quale eccezione in senso stretto (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 14689 del 31/05/2025; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 28568 del 18/10/2021; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 7474 del 23/03/2017) – si traduce nel mero accertamento delle reciproche partite di dare e avere, cui il giudice può procedere senza che sia necessaria l’eccezione di parte o la proposizione della domanda riconvenzionale, purché tale accertamento si fondi su circostanze tempestivamente dedotte in giudizio (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 6700 del 13/03/2024; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 33872 del 17/11/2022; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 28469 del 15/12/2020; Cass. Sez. L, Sentenza n. 11030 del 12/05/2006) – come la Corte territoriale ha, appunto, ritenuto fosse avvenuto nel caso in esame -a ciò non ostando la circostanza che una delle poste creditorie contrapposte abbia natura di risarcimento da inadempimento dell’ob bligazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16800 del 13/08/2015; Cass. Sez. L, Sentenza n. 14688 del 29/08/2012).
Il secondo motivo è invece inammissibile.
È lo stesso motivo di ricorso, infatti, ad evidenziare che la tesi dell’applicabilità della Legge n. 109/1994 e del d.P.R. n. 554/1999 era stata sostenuta in primo grado dal l’odierno controricorrente, venendo poi disattesa da Tribunale, il quale aveva ritenuto il profilo irrilevante.
Ebbene, non avendo l’odierno controricorrente impugnato la relativa statuizione , appare evidente che l’odierno ricorrente non rivestiva alcun interesse ad ottenere la sostituzione di un giudizio di irrilevanza con un giudizio di infondatezza, dovendosi, del resto, osservare che il motivo di ricorso non adduce alcun elemento per evidenziare né il pregiudizio che l’odierno ricorrente avrebbe subito per effetto della statuizione del giudice di prime cure né -conseguentemente – il riflesso positivo che avrebbe potuto conseguire dall’accoglimento del motivo di appello di cui lamenta l’omesso esame.
4. Inammissibile è anche il terzo motivo.
In primo luogo, invero, lo stesso non si confronta adeguatamente con una ratio decidendi espressa dal provvedimento impugnato, e cioè con l’affermazione per cui, anche a voler postulare come invocato dall’odierno ricorrente -l’applicabilità dell’art. 81, l. fall., lo scioglimento non avrebbe avuto carattere retroattivo e non avrebbe preclus o, quindi, all’odierno controricorrente di opporsi alla pretesa di pagamento dell’appaltatore, deducendo l’inadempimento di quest’ultimo (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23810 del 20/11/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4616 del 06/03/2015).
In secondo luogo, si deve osservare che, se pur è vero che gli obblighi del committente pubblico nei confronti dell’appaltatore risultano condizionati al collaudo dell’opera, ciò non vale ad escludere che sia la pretesa di pagamento del corrispettivo dell’appalto sia la contrapposta -pretesa di risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento dell’appaltatore trovino comunque titolo comune nel contratto, non potendosi attribuire al collaudo alcun effetto novativo delle obbligazioni gravanti sulle parti e trovando, conseguentemente, applicazione il meccanismo della c.d.
compensazione impropria, come già rilevato in sede di esame del primo motivo.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso.
condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.700,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 28 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME