Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30655 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30655 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19173/2023 R.G. proposto da : BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
nonchè contro
CURATORE DELL’EREDITA’ GIACENTE DEL SIG. NOME COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1613/2023 depositata il 24/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. – Banca Monte dei Paschi Di Siena S.p.A. ricorre per sei mezzi, illustrati da memoria, nei confronti di NOME COGNOME e del Curatore dell’eredità giacente di NOME COGNOME, contro le sentenza non definitiva del 16 febbraio 2021 e quella definitiva del 24 luglio 2023 con le quali, per quanto rileva, la corte d’appello di Venezia, provvedendo in parziale riforma di sentenza del tribunale di AVV_NOTAIO, ha condannato essa banca al pagamento di € 652.974,16 in favore di COGNOME NOME, quale cessionario del credito di COGNOME NOME, oltre interessi dalla domanda giudiziale al saldo, ed ha accertato che il saldo del c/c n. 6681W, alla data dell’11 giugno 2009, era pari ad € 23.289,13 a credito del correntista, rigettando l’eccezione di compensazione spiegata dalla odierna ricorrente in dipendenza del mancato rimborso, da parte del COGNOME, di una somma data a mutuo fondiario, in ragione della pendenza, allora, di un diverso giudizio concernente la sussistenza di detto controcredito.
– NOME COGNOME resiste con controricorso, anch’esso illustrato da memoria, mentre la curatela è rimasta intimata.
– Le parti hanno effettuato ulteriori deduzioni e produzioni, in ordine alla questione, che si esaminerà, del conferimento della procura alle liti, per la ricorrente, da parte di NOME, fino alla data dell’adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. – Il ricorso contiene i seguenti motivi, gli ultimi due dei quali peraltro rinunciati in sede di istanza di fissazione dell’udienza avanzata dalla banca.
Il primo mezzo è indirizzato contro la sentenza definitiva, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione degli articoli 99, 112, 277 comma 2, 279 comma 2 n. 4, e 361 c.p.c., nonché 2907 c.c., per avere la Corte d’Appello di Venezia nell’escludere che risultino integrati i presupposti per la compensazione legale o, in subordine, giudiziale, tra il credito restitutorio accertato in favore del COGNOME e il maggior credito di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. derivante dal contratto di mutuo concluso con atto del 18 febbraio 2008 a rogito del AVV_NOTAIO, rep. 45.177, pronunciato in modo difforme su questioni implicitamente definite nella precedente sentenza non definitiva n. 346/2021, con riferimento al requisito della certezza del controcredito.
Il secondo mezzo è spiegato contro la sentenza definitiva ex art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., per violazione degli artt. 115 e 345 c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’Appello di Venezia escluso che risultino integrati i presupposti per la compensazione legale o, in subordine, giudiziale, tra il credito restitutorio accertato in favore del COGNOME e il maggior credito di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. derivante dal contratto di mutuo concluso con atto del 18 febbraio 2008, già menzionato, per avere ritenuto che l’esistenza del controcredito sia controversa nel contesto del presente giudizio.
Il terzo mezzo si rivolge contro la sentenza definitiva ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per violazione degli artt. 1241, 1242 e 1243 c.c., per avere la Corte d’Appello di Venezia escluso che risultino
integrati i presupposti per la compensazione legale o, in subordine, giudiziale, tra il credito restitutorio accertato in favore del COGNOME e il maggior credito di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. derivante dal contratto di mutuo già citato, per essere l’esistenza del controcredito contestata in un separato giudizio successivamente incardinato.
Il quarto mezzo è proposto contro la sentenza definitiva ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’Appello di Venezia escluso che risultino integrati i presupposti per la compensazione legale o, in subordine, giudiziale, tra il credito restitutorio accertato in favore del COGNOME. COGNOME e il maggior credito di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. derivante dal detto contratto di mutuo, omettendo di esaminare gli atti della causa n. 7557/2017 R.G. del Tribunale di AVV_NOTAIO, inclusa la sentenza n. 1475/2022, e del giudizio di appello n. 2090/2022 R.G. della Corte d’Appello di Venezia, dai quali emerge la manifesta infondatezza dell’azione del COGNOME relativa al contratto di mutuo.
Il quinto mezzo mira a contrastare la sentenza definitiva per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., per avere la Corte d’Appello di Venezia condannato Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. a corrispondere al COGNOME la somma di € 652.974,016 a titolo di restituzione di importi addebitati sui conti correnti nn. 13516, 12127 e 33306, ritenuti pagati dal correntista per il fatto che, al momento dell’estinzione di ciascuno di tali conti correnti, il relativo saldo debitorio era stato girocontato su altro conto corrente in essere e infine sul conto n. 6681W, risultato in corso di causa aperto con saldo positivo.
Con il sesto e ultimo mezzo è attaccata la sentenza non definitiva ex art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 115 c.p.c. e per omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’Appello di Venezia ritenuto incontestata l’inesistenza di contratti scritti di apertura dei rapporti di conto corrente n. 15127 e 13516 e che l’onere della prova gravasse sul punto su Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A..
5. – Va in via pregiudiziale disattesa l’eccezione spiegata dal COGNOME il quale, per la prima volta in memoria illustrativa, ha posto in rilievo che Banca Monte dei Paschi Di Siena S.p.A. ha proposto il ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore, avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, officiata da « NOME … nella qualità di Deliberante con funzione ‘Credito Problematico’ e, come tale, munita dei necessari poteri di rappresentanza (livello procura E5) come da delibera del CDA del 27 maggio 2021 ai sensi del vigente Statuto sociale, come aggiornata dalla determinazione dell’Amministratore Delegato del 17 aprile 2023, e della conseguente procura speciale ai rogiti AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO in Siena, in data 17 aprile 2023, repertorio numero 42.423 raccolta numero 21 mila 712 registrata in Siena il 18 aprile 2023 al n. 2021 serie 1T »: procura speciale, ha aggiunto il COGNOME, non prodotta in atti dalla società ricorrente, di guisa che, secondo l’opinione di esso COGNOME, dovrebbe ritenersi che quest’ultima abbia agito a mezzo di persona, la NOME, priva del relativo potere.
Il controricorrente ha in tal modo inteso invocare l’orientamento di RAGIONE_SOCIALE Corte secondo cui la società la quale agisca o resista in giudizio a mezzo di persona fisica, che essa persona giuridica dichiari essere dotata del potere di rappresentanza organica dell’ente, non ha l’onere di dimostrare tale veste, sia che il potere rappresentativo discenda dall’atto costitutivo o dallo statuto, sia che discenda da un diverso atto comunque sottoposto ad un regime di pubblicità legale, mentre spetta in tali frangenti alla controparte contestare la sussistenza del dichiarato potere
rappresentativo e fornire la relativa prova negativa (da ult. Cass. n. 15914 del 2025); viceversa, qualora il potere rappresentativo non derivi da un atto soggetto a pubblicità legale, e la controparte contesti la sussistenza del potere, la società è tenuta a dimostrare, tramite pertinente produzione documentale, anche ex art. 372 c.p.c., la spettanza del potere medesimo (tra le molte Cass. n. 2033 del 25/01/2022; n. 24893 del 15/09/2021; n. 576 del 15/01/2021; n. 11898del 07/05/2019; n. 4924 del 27/02/2017; n. 21803 del 28/10/2016; n. 16274 del 31/07/2015).
Ora, il principio che precede, certo largamente ribadito, e che anche qui non si intende affatto mettere in discussione, ha da essere però rettamente inteso, giacché l’orientamento elaborato da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, considerato nella sua complessiva ed organica ricostruzione, non si ferma all’affermazione poc’anzi riassunta, ma contiene l’ulteriore e altrettanto largamente ribadita precisazione riproposta ad esempio, in fattispecie identica all’attuale, dall’ordinanza di RAGIONE_SOCIALE sezione n. 15177 del 2024, ove si invoca l’autorità della decisione delle Sezioni Unite n. 20596 del 2007 secondo cui, se è senz’altro vero che, nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della società non soggetto a pubblicità legale, incombe su chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere, è altrettanto vero che detto onere si concretizza, diviene in altri termini attuale ed operante, solo a condizione che – anche in tale ipotesi – vi sia stata la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte e, inoltre, ed è quanto rileva per il nostro caso, che tale contestazione sia stata tempestiva, i.e. tale da consentire all’interessato di effettuare nel rispetto delle scansioni processuali applicabili la produzione documentale a tal punto resasi necessaria.
E cioè, secondo quanto si legge nella decisione delle Sezioni Unite appena citata, non può « invocarsi il principio secondo cui, in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, il giudice
ha il dovere di accertare, anche d’ufficio ed in sede d’impugnazione, la legittimazione processuale delle parti, perché, com’è pacifico, tale principio comporta solo che debba essere verificato se il soggetto che ha dichiarato di agire o contraddire in nome e per conto dell’ente abbia anche dichiarato di far ciò in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza sostanziale dell’ente stesso nel processo, non che il giudice sia tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante ».
Poiché il brano trascritto, tratto da Cass., Sez. Un., n. 20596 del 2007, dà per pacifico, senza ulteriori richiami di giurisprudenza, quanto detto, non è senza ragione ricordare che tale affermazione è effettivamente da lungo tempo fermamente radicata nella giurisprudenza di RAGIONE_SOCIALE Corte. A mero titolo di esempio, la sentenza n. 8442 del 2002, dopo aver fatto cenno alle regole generali operanti in materia di poteri rappresentativi delle società per azioni, spiega doviziosamente che « la circostanza che un soggetto dichiari di agire per una società in qualità che è tale da potergli consentire di farlo, e quindi afferma la sua legittimazione processuale pur senza documentarla, non comporta che egli sia privo di legittimazione processuale. Infatti, la persona fisica che si costituisce in giudizio allegando la sua qualità di legale rappresentante di una persona giuridica non ha l’onere di provare tale qualità (Cass. 27 aprile 1995, n. 4642); ha bensì tale onere quando la qualità sia contestata (Cass. ss. uu. 14 dicembre 1999, n. 894). È pur vero che l’accertamento circa il presupposto della legittimazione processuale deve essere compiuto d’ufficio dal giudice anche nelle fasi di impugnazione del processo, ma l’obbligo sussiste solo quando la parte interessata sia messa in condizione di depositare la documentazione mancante; cioè solo quando la contestazione sia stata sollevata tempestivamente. Ne deriva non solo che il giudice non è tenuto a svolgere di sua iniziativa gli
accertamenti sulla effettiva esistenza della legittimazione delle parti, ma anche che la contestazione di cui si tratta non può seguire le sorti del processo (essere, cioè, esercitata secundum eventum litis ) ». In breve, come è stato in altra occasione stabilito: « Il soggetto che si costituisce in giudizio allegando la propria qualità di rappresentante di una persona giuridica ha l’onere di dare la prova di tale qualità quando la stessa sia contestata » (Cass., Sez. Un., 14 dicembre 1999, n. 894): l’onere, detto altrimenti, scatta solo se vi è la contestazione. Ed in particolare, con riguardo alla fattispecie ricorrente in RAGIONE_SOCIALE sede: « In tema di rappresentanza delle persone giuridiche, solo in presenza di contestazioni circa la qualità di rappresentante sostanziale in capo al procuratore speciale che abbia sottoscritto la procura alle liti incombe, sulla parte rappresentata, l’onere della prova dei poteri rappresentativi spesi in ordine al rapporto dedotto in giudizio; ne consegue che, in difetto di tale contestazione, l’allegazione dei suddetti poteri è sufficiente ai fini della valida nomina dei difensori » (Cass. 28 settembre 2011, n. 19824).
Insomma, il diverso trattamento delle due ipotesi in discorso, e cioè che la società abbia agito a mezzo di persona i cui poteri rappresentativi risultino (prima ipotesi) oppure non risultino (seconda ipotesi) da un atto sottoposto ad un regime di pubblicità legale, non risiede affatto in ciò, come pare credere il COGNOME, che nell’un caso è il controinteressato a dover contestare la titolarità del potere di rappresentanza dell’ente, mentre nell’altro caso l’onere di contestazione non sussiste, ed il soggetto che ha agito per la società va ritenuto ineluttabilmente privo del potere rappresentativo della società, se essa non abbia prodotto in limine l’atto dal quale quel potere discende.
Ben altro è l’indirizzo della giurisprudenza della Corte di cassazione:
-) la società, nell’agire od essere convenuta in giudizio, in primo grado come in sede di impugnazione, ha il solo onere di dichiarare che la persona fisica a mezzo della quale agisce è dotata del potere di rappresentanza sostanziale dell’ente, specificando, ovviamente, quale sia la fonte di detto potere;
-) la controparte, se lo ritiene, ha l’onere di contestare, beninteso in limine , che la persona fisica che ha agito per la società sia dotata del dichiarato potere, tanto se la società abbia allegato la titolarità di un potere risultante da un atto sottoposto ad un regime di pubblicità legale, tanto se abbia richiamato un atto non sottoposto ad un regime pubblicitario;
-) in caso di spendita del potere rappresentativo fondato su un atto sottoposto ad un regime di pubblicità legale, la controparte oltre a contestare la sussistenza del potere, deve anche provare la sua insussistenza, deve offrire, come ripete la giurisprudenza di RAGIONE_SOCIALE, la prova negativa; se, viceversa, la società ha agito a mezzo di una persona che il suo potere rappresentativo ripete da un atto non soggetto a pubblicità legale, la controparte, una volta contestata la sussistenza del potere, non deve fare altro, ed è la stessa società a dover dimostrare, attraverso la necessaria produzione, che il potere sussiste in forza dell’atto invocato;
-) quanto al giudice, il suo compito consiste in un primo tempo soltanto nel verificare, officiosamente, se la società abbia dichiarato di agire a mezzo di una persona fisica della quale sia allegata una veste astrattamente idonea ad abilitarla alla rappresentanza sostanziale dell’ente (lasciando da parte le eventualità, qui non rilevanti, che la controparte sia contumace, ovvero che la veste indossata dalla persona fisica sia già in astratto inidonea a conferirgli il potere rappresentativo dell’ente); in un secondo tempo, a seguito della contestazione della controparte, il giudice deve stabilire se il potere rappresentativo in questione sussista o meno, verificando nell’un caso, quello dell’atto sottoposto a regime
di pubblicità legale, se la controparte abbia dato la prova negativa, nell’altro caso se la parte abbia dato la prova positiva.
In altre parole, il differente trattamento delle due situazioni, in ciascuna delle quali la controparte è parimenti onerata della menzionata contestazione, si colloca sul solo piano del riparto dell’onere probatorio, giacché, come si è visto: « In tema di rappresentanza processuale della persona giuridica, colui che conferisce la procura alle liti ha l’obbligo di indicare la fonte del proprio potere rappresentativo e, ove tale potere derivi da un atto soggetto a pubblicità legale, la controparte che lo contesti è tenuta a provare l’irregolarità dell’atto di conferimento, mentre, in caso contrario, spetta a chi ha rilasciato la procura dimostrare la validità e l’efficacia del proprio operato ».
Quanto al requisito della tempestività della contestazione, che si è già visto essere indispensabile, il collegio non ritiene di dover aggiungere altro a quanto osservato nell’ordinanza n. 15177 del 2024: « nel rito camerale del processo di cassazione (in questo caso applicato) la contestazione relativamente alla legittimazione processuale del rappresentante del ricorrente deve essere proposta con il controricorso e non può essere sollevata solo con la memoria ex art. 380bis1 c.p.c., come conferma decisivamente anche il fatto che lo sfalsamento del termine per il deposito ex art. 372 c.p.c. (dieci giorni prima della camera di consiglio, la prima, quindici il secondo) non consente alla controparte, destinataria del rilievo, di replicare attivamente ».
Nel caso di specie:
-) non v’è alcun dubbio che la società ricorrente abbia agito a mezzo di un proprio procuratore dotato, come risulta dal dettagliato richiamo agli estremi ed al contenuto della procura, di « una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza sostanziale dell’ente stesso », e si tratta dell’elemento determinante in relazione a quanto si è venuto specificando;
-) la contestazione in ordine alla sussistenza del potere da parte del COGNOME è stata effettuata tardivamente, non nel controricorso, ma solo nella memoria, quando ormai il ricorrente non aveva spazio per replicare nel rispetto del termine di cui all’articolo 372 c.p.c..
L’eccezione, come si è premesso, va in fin dei conti disattesa già solo per la sua tardività, senza che occorra ulteriormente soffermarsi sulle deduzioni e produzioni che le parti, come accennato in espositiva, hanno continuato ad effettuare, mediante deposito telematico, addirittura fino al giorno dell’odierna adunanza camerale: ivi compresa, in precedenza, la citata procura per AVV_NOTAIO, che la ricorrente ha in fin dei conti ritenuto di depositare non appena preso atto dell’avversa eccezione.
6. – Il ricorso va accolto.
Rinunciati gli ultimi due mezzi, possono sinteticamente ed unitariamente esaminarsi i primi quattro, i quali vanno accolti nel senso che segue.
La banca, nella propria memoria illustrativa, ha riferito che il diverso giudizio civile avente ad oggetto l’azione di nullità del contratto di mutuo fondiario del 18 febbraio 2008, fonte del credito da essa banca opposto in compensazione, è stato deciso, in primo grado, dal Tribunale di AVV_NOTAIO con sentenza che, per quanto rileva, ha condannato il COGNOME a pagare alla banca medesima l’importo di euro 2.281.757,55 oltre interessi al tasso di legge dal 22 dicembre 2017 al saldo, decisione confermata dalla Corte d’Appello di Venezia con sentenza n. 1590/2024 passata in giudicato in data 19 novembre 2024.
6.1. – Ciò impone una prima considerazione.
Dall’estraneità al divieto di cui all’art. 372 c.p.c. della produzione di documentazione dalla quale risulti l’applicabilità dello ius superveniens , ove rilevante ai fini della riforma della decisione di
merito (p. es. Cass. 8 febbraio 2017, n. 3349), scaturisce anche l’orientamento di RAGIONE_SOCIALE Corte concernente la produzione di documenti che comprovino il giudicato esterno. Nel giudizio di cassazione l’esistenza del giudicato esterno, difatti, è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, ed anche in pendenza del giudizio di legittimità. Ciò perché si tratta di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato, come si premetteva, a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici. L’accertamento del giudicato esterno, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem , corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato (tra le tante Cass. 22 gennaio 2018, n. 1534).
La produzione di detta sentenza, con la documentazione del suo passaggio in giudicato, è dunque senz’altro ammissibile.
6.2. – L’altra considerazione riguarda il rilievo del giudicato formatosi, nei termini indicati, non soltanto nei confronti dell’eredità giacente del COGNOME, ma anche del COGNOME, cessionario del credito litigioso di cui la sentenza qui impugnata ha accertato l’esistenza, pronunciando la condanna della banca al pagamento, in favore del COGNOME, della somma indicata in apertura, ed accertando altresì il saldo del c/c n. 6681W, alla data dell’11 giugno 2009.
Posto che il giudicato è indubbiamente opponibile al COGNOME, in applicazione dell’articolo 111 c.p.c., in ragione della sua veste di successore a titolo particolare nel diritto controverso, essendo avvenuta la cessione lite pendente, si tratta, in particolare, di verificare, giusta il disposto del primo comma dell’articolo 1248 c.c., se il debitore, e cioè la banca, abbia accettato puramente e semplicemente la cessione che il creditore, COGNOME, ha fatta delle sue ragioni al terzo, il COGNOME, giacché, se così fosse, essa banca non potrebbe opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto opporre al COGNOME: in difetto di accettazione pura e semplice, viceversa, la compensazione opererebbe nei limiti accertandi dal giudice di merito. Mentre è evidentemente fuori causa l’applicazione del secondo comma della stessa disposizione.
E con riguardo all’accertamento che precede, ed in altri termini in vista della decisione sull’eccezione di compensazione ormai non più preclusa dalla pendenza del separato giudizio conclusosi con la sentenza dell’appello di Venezia di cui si è detto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla stessa corte d’appello di Venezia in diversa composizione.
– In conclusione, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla corte d’appello di Venezia in diversa composizione, la quale, attenendosi a quanto dianzi indicato, preso atto del giudicato, opponibile al COGNOME, derivante dalla pronuncia della stessa corte
d’appello n. 1590/2024, deciderà la sorte dell’eccezione di compensazione spiegata dalla banca, e provvederà infine anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
accoglie i primi quattro motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla corte d’appello di Venezia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2025.
Il presidente NOME COGNOME