Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1865 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1   Num. 1865  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 27/01/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 10066-2023 r.g. proposto da:
COGNOME  NOME  (c.f.  CODICE_FISCALE)  e  COGNOME  NOME (c.f. CODICE_FISCALE), entrambe in proprio e nella qualità di eredi di NOME COGNOME, rappresentate e difese, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO del Foro di Bari e dall’AVV_NOTAIO del Foro di Catania.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, (P_IVA), in persona del curatore, AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso – giusta procura speciale in atti -dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo digitale del suo difensore.
-controricorrente –
avverso  il  decreto  emesso  dal  Tribunale  di  Catania,  in  data  2.3.2023, pubblicato  il  22.3.2023  e  comunicato  in  pari  data  a  mezzo  pec  dalla cancelleria, nelle cause civili riunite n. 11366/2019 e n. 11367/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2024
dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito  il  P.M.,  in  persona  del  AVV_NOTAIO  Procuratore  Generale  NOME  AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito, per le ricorrenti, l ‘AVV_NOTAIO (per delega scritta), che ha chiesto accogliersi il ricorso;
udito, per il fallimento controricorrente, l’AVV_NOTAIO (per delega scritta) , che ha chiesto respingersi l’avverso ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.Con domanda di ammissione al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE, recante il num. 191 di cronologico, NOME COGNOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di eredi di NOME COGNOME, nel premettere che la società fallita vantava un credito nei loro confronti di euro 238.762,00, deducevano che detto credito si era estinto per compensazione ex art. 1241 e ss. c.c. attesa la coesistenza dei seguenti controcrediti dagli stessi vantati a vario titolo verso la società: (i) crediti vantati da NOME COGNOME, a titolo di compensi derivanti d all’attività di amministratore unico non versati dalla società fallita, per complessivi euro 68.744,14; (ii) crediti vantati da NOME COGNOME a titolo di retribuzioni quantificati in euro 142.854,79 oltre TFR; (iii) crediti per finanziamento soci. Gli istanti, pertanto, all’esito della compensazione, chiedevano l’ammissione al passivo fallimentare per NOME COGNOME per l’importo di euro 56.233,00, di cui euro 21.489,11 in via privilegiata ex art. 2751 bis n.1 cc. a titolo di TFR ed euro 34.743,89, in via chirografaria postergata a titolo di finanziamenti in solido tra il predetto NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.Con  ulteriore  domanda  di  ammissione  al  passivo,  recante  il  n.  192  di cronologico, sostanzialmente identica alla precedente, gli istanti, deducendo le medesime premesse, chiedevano l’ammissione di NOME COGNOME al passivo fallimentare per l’impo rto di euro 34.743,89, in via postergata e in solido  con  NOME  COGNOME  e  NOME  COGNOME  a  titolo  di  rimborso  di finanziamento soci.
Nel progetto di stato passivo il curatore fallimentare, operando le medesime osservazioni per entrambe le domande, indicava in euro 480.324,75 il credito della RAGIONE_SOCIALE verso i tre istanti (e non già in euro 238.762,00 come sostenuto dagli stessi) e, ritenendo poi praticabile la compensazione ex art. 56 L.F. con i crediti da lavoro di NOME COGNOME e NOME COGNOME, precisava che – a seguito della suddetta compensazione residuava un credito della società fallita nei confronti degli istanti di ben 276.545,17 euro; proponeva, così, il rigetto della domanda per intervenuta compensazione e l’ammissione del solo credito di euro 23.757,90, rettificato poi in euro 113.372,90 a seguito delle osservazioni formulate dagli istanti, a titolo di finanziamenti postergati.
Il Giudice delegato non accoglieva le domande ‘ sia per le ragioni addotte dal curatore e sia nei confronti della domanda per crediti postergati essendo anch’essi compensabili in quanto sorti in data anteriore al fallimento seppur esigibili in coda ‘ e dichiarava esecutivo lo stato passivo con provvedimento del 18.6.2019.
Con ricorso ex art. 98 L.F. del 15.7.2019 COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano opposizione avverso lo stato passivo, con riferimento alla domanda recante il n.191 di cronologico, chiedendo al Tribunale adito di ‘ …annullare e/o privare di giuridici effetti il provvedimento di rigetto adottato dal Giudice delegato nei confronti della suddetta domanda per l’importo richiesto nella stessa e, conseguentemente, modificare lo stato passivo integrativo del fallimento n. 114/2016 della RAGIONE_SOCIALE, ammettendo la domanda n. 191 per l’importo richiesto nella stessa e/o comunque, in via subordinata, nella misura che sarà determinata nel corso di causa dal Tribunale adito. Con vittoria di spese e compensi .’.
Con ulteriore ricorso ex art. 98 L.F., gli stessi proponevano, altresì, opposizione allo stato passivo anche con riferimento alla domanda recante il n.192 di cronologico, chiedendo al Tribunale di ‘… annullare e/o privare di giuridici effetti il provvedimento di rigetto adottato dal Giudice delegato nei confronti della suddetta domanda per l’importo richiesto nella stessa e, conseguentemente, modificare lo stato passivo integrativo del fallimento n. 114/2016 della RAGIONE_SOCIALE, ammettendo la domanda n. 192 p er l’importo richiesto nella stessa e/o comunque, in via subordinata, nella misura che sarà determinata nel corso di causa dal Tribunale adito. Con vittoria di spese e compensi ‘.
Gli opponenti, insistendo in tutte le pretese avanzate con le originarie domande di ammissione e contestando le risultanze contabili effettuate dal c uratore, deducevano che l’ammontare dei crediti da loro vantati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (sia a titolo di compensi che a titolo di rimborso di finanziamento soci) era in realtà maggiore rispetto ai debiti verso la società fallita e, dunque, una volta operata la compensazione tra le reciproche partite, ne residuava in loro favore un credito da insinuare al passivo.
Si costituiva il fallimento COGNOME in entrambi i giudizi, chiedendo il rigetto delle domande formulate dai ricorrenti e, disposta la riunione dei due procedimenti oppositivi, il Tribunale, dopo aver disposto C.t.u. contabile, con decreto del 2.3.2023, pubblicato il 22.3.2023, in accoglimento parziale dell’opposizione, ammetteva gli opponenti al passivo fallimentare per l’importo di euro 34.743,89 al rango postergato e rigettava per il resto la domanda, compensando integralmente le spese di lite.
Più in particolare, il Tribunale ha rilevato che: (a) quanto alla compensazione dei crediti da lavoro, il credito di NOME COGNOME dovesse essere determinato in euro 64.741,07 e che il credito di NOME COGNOME fosse quantificabile in euro 137,424,54; (b) essendo la somma di predetti importi inferiore al credito vantato dalla curatela, doveva anche rigettarsi la domanda di ammissione al passivo in relazione ai detti importi; (c) in ordine, invece, alla compensazione dei crediti postergati, sussisteva l’impossibilità di opporre in compensazione gli importi, asseritamente spettanti, quale rimborso finanziamenti; (d) quanto all’importo insinuato a
titolo  di  finanziamento  dei  soci,  doveva  rilevarsi  come  la  curatela  avesse ammesso il versamento di importi per l’anno 2014 di euro 89.615,00 e per l’anno 2015 di euro 77.675,25, e dunque per complessivi euro 167.290,25, importo inferiore alla somma di euro 34.743,89 richiesta quale importo da ammettersi  al  passivo;  (e)  poteva  ammettersi  il  rimborso  del  credito  da finanziamento nei limiti della domanda e al rango postergato.
Il decreto, pubblicato il 22.3.2023, è stato impugnato da COGNOME NOME e COGNOME NOME con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti depositavano memoria prima della adunanza del 17.4.2024.
Con ordinanza interlocutoria del 17.04.2024, questa Sezione disponeva il rinvio della causa alla PU, con la seguente motivazione: ‘ Ritiene il Collegio che – in considerazione della novità delle questioni trattate nel primo motivo di ricorso, che interroga la Corte sui rapporti tra le disposizioni contenute nell’art. 2467 c.c. e quelle contenute nell’art. 56 l. fall., e delle implicazi oni sistematiche sottese alla soluzione degli interrogativi posti dalle ricorrenti -è opportuno il rinvio della causa in pubblica udienza, con la necessaria interlocuzione anche della Procura Generale ‘.
Le sole ricorrenti hanno depositato ulteriore memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2467 c.c. e 56 L.F., in tema di compensazione dei crediti da finanziamento.
1.1 Sostengono che il provvedimento impugnato sarebbe errato nella parte in  cui  ha ritenuto  ‘l’impossibilità  di  opporre  in  compensazione  gli  importi asseritamente  spettanti  quale  rimborso  finanziamenti’,  e  ciò  anche  in contrapposizione a quanto stabilito dal giudice delegato che, nel verbale dello stato passivo, aveva, invece, affermato che anche i crediti postergati erano compensabili in quanto sorti in data anteriore al fallimento, seppur esigibili in coda.
1.2 Si ricorda da parte delle ricorrenti che, invece, nella pronuncia impugnata il Tribunale aveva, da una parte, escluso categoricamente la possibilità di compensare gli importi relativi ai finanziamenti dei soci (ammontanti secondo le ricorrenti ad euro 302.704,48 e secondo la curatela ad euro 167.290,25) e, dall’altra, aveva ammesso al passivo solo la minor somma di euro 34.743,89 ‘nei limiti della domanda’. Evidenziano ancora le ricorrenti che il Tribunale, senza nemmeno entrare nel merito della vicenda e senza nemmeno verificare l’esattezza delle somme richieste, aveva direttamente statuito per la non compensabilità dei finanziamenti postergati, richiamando semplicemente giurisprudenza a supporto delle proprie deduzioni.
1.3 Rammentano, inoltre, che la decisione impugnata aveva fondato il giudizio di non compensabilità, sulle seguenti argomentazioni: (i) – la compensazione in sede concorsuale incontrava il suo limite nella portata precettiva del divieto sancito dall’art. 2467 c.c. che, posto a tutela dei creditori sociali, operava una riqualificazione imperativa del prestito in ‘prestito postergato’; (ii) la postergazione era una condizione legale integrativa del regolamento negoziale e, dunque, l’art. 2467 c.c. aveva carat tere imperativo ‘prevalendo’ così sul disposto di cui all’art. 56 L.F.; (iii) ritenendo diversamente, infatti, e cioè l’estinzione per compensazione del credito postergato proprio nella sede in cui era conclamata l’incapacità dell’imprenditore di soddisfare le proprie obbligazioni, la diversa tesi avrebbe contrastato in modo insanabile con l’art. 2467 c.c. , concretando la conseguenza che la norma era volta ad impedire, ossia la soddisfazione del socio creditore prima degli altri creditori, sottraendo peraltro risorse alla massa; (iv) l’inapplicabilità dell’art. 56 L.F. andava rinvenuta nella previsione di cui all’art. 1246 n. 5 c.c., il quale dispone che la compensazione è esclusa quando sussiste un divieto previsto dalla legge, divieto individuato proprio nell’art. 2467 c.c.
1.4  Sostengono,  invece,  le  ricorrenti  che  sia  il  ragionamento  svolto  dal Tribunale  che  le  conclusioni  a  cui  lo  stesso  era  giunto  sarebbero  errati  e dovrebbero essere riformati, in quanto gli stessi si fondavano su una errata interpretazione delle norme, ed in particolare del combinato disposto dell’art. 56 L.F. e dell’art. 2467 c.c. Secondo le ricorrenti, il Tribunale, nell’escludere
l’applicabilità della compensazione del credito postergato per incompatibilità teleologica con la previsione di cui all’art. 2467 c.c. , avrebbe utilizzato una argomentazione generica in quanto fondata su una mera affermazione di principio. Al contrario, il credito postergato non difetterebbe di alcun requisito che potesse escluderne la compensazione ai sensi dell’art. 56 L.F. , tenuto conto che: ( a) l’art. 56 L.F. al primo comma così espressamente dispone: ‘I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento’ , trattandosi di una disposizione evidentemente ispirata ad una esigenza di equità in quanto riconoscerebbe il diritto di chi viene a trovarsi nella posizione di creditore-debitore di compensare le contrapposte ragioni senza dover, da un lato, pagare il proprio debito per intero e, dall’altro, subire la soddisfazione del proprio credito in ‘moneta fallimentare’ ; (b) il requisito essenziale affinché sia applicabile la compensazione fallimentare sarebbe integrato unicamente dal fatto che le rispettive obbligazioni siano sorte anteriormente rispetto alla procedura concorsuale; (c) consolidata giurisprudenza, infatti, ritiene in tal senso che in caso di fallimento, la compensazione determina, ai sensi dell’art. 56 L.F., una deroga alla regola del concorso, essendo ammessa la compensazione pure quando i presupposti di liquidità ed esigibilità ex art. 1243 c.c. maturino dopo la dichiarazione di fallimento, purché il fatto genetico delle rispettive obbligazioni sia sempre anteriore alla domanda; (d) a i fini dell’esplicarsi degli effetti della compensazione, dunque, sarebbero del tutto irrilevanti i richiami ai principi della par condicio , della graduazione dei privilegi e della cristallizzazione delle masse attive e passive, essendo rilevante unicamente l’anteriorità del fatto genetico del credito che si vuole opporre in compensazione; (e) occorrerebbe solo che il credito sia sorto anteriormente alla dichiarazione di fallimento, in modo da poter essere considerato un credito pienamente esistente e dunque compensabile; (f) non rilevava neanche la circostanza secondo cui la soddisfazione del credito sarebbe ‘condizionata’ , in senso atecnico, alla preventiva soddisfazione di tutti gli altri creditori; (g) l ‘effetto di postergazione, infatti, non costituirebbe un limite alla esigibilità del credito, ma rappresenterebbe semplicemente -come rilevato in dottrina -una
‘ qualità  deteriore ‘ del  credito,  ossia  una  sorta  di  ‘privilegio  negativo’, acquistando  rilevanza  solo  in  sede  di  liquidazione  dell’ attivo,  tramite  la modifica del l’ordine di distribuzione.
1.5 Si evidenzia sempre da parte delle ricorrenti che la circostanza – secondo cui tale credito debba essere soddisfatto solo dopo gli altri – non potrebbe di certo connotarsi quale peculiarità esclusiva del credito postergato, ma altro non sarebbe che uno dei tanti ordini di preferenze che descrivono la ripartizione dell’attivo, al pari, dei crediti prededucibili e privilegiati. Con la conseguenza che, quando il credito postergato coesiste con un debito ed entrambi sono sorti anteriormente alla dichiarazione di fallimento, opererebbe la compensazione prevista da ll’art. 56 L.F. , la quale sarebbe impermeabile alla sorte della soddisfazione dei crediti.
1.6  Inoltre  secondo  le  ricorrenti,  l ‘art.  2467  c.c.,  diversamente  da  quanto sostenuto dal Tribunale, non potrebbe ritenersi norma cogente, e ciò sulla scorta del disposto del primo comma (oggi sostituito dall’art. 164, co. 2, del Codice  della  crisi  d’impresa)  il  quale,  disponendo  l’inefficacia  dei  rimborsi avvenuti nei limiti temporali indicati nella norma, farebbe automaticamente salvi i rimborsi avvenuti oltre il predetto termine.
1.7 Sostengono che la disposizione sopra richiamata avrebbe natura meramente processuale in quanto troverebbe applicazione esclusivamente in presenza di un concorso di creditori, dunque nel solo ambito delle procedure concorsuali: la postergazione, pertanto, rileverebbe soltanto quando occorre operare la distribuzione delle somme che rinvengono dal patrimonio del debitore e, dunque, solo in sede di liquidazione e ripartizione. Aggiungono infine che l’art. 56 L.F. rappresenterebbe una norma di diritto speciale (fallimentare) che, in virtù del principio secondo cui ‘lex specialis derogat lex generalis’, d eve necessariamente prevalere su una norma generale civilistica, quale è l’art. 2467 c.c. Conseguentemente, la compensazione voluta e prevista dal legislatore con apposita norma speciale avrebbe dovuto, per forza di cose, applicarsi automaticamente ex lege anche ai crediti postergati, non potendo questi ultimi costituire un’eccezione.
Le argomentazioni sostenute dalle ricorrenti non sono condivisibili.
2.1 Occorre in primo luogo chiarire che è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui risulta estensibile ad altri tipi di società di capitali il disposto di cui all’art. 2467 c.c. che, nelle sRAGIONE_SOCIALE, prevede la postergazione del rimborso del finanziamento del socio concesso in situazioni che renderebbero necessario un conferimento, perché la “ratio” della norma consiste nel contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale delle società “chiuse”. Tale disciplina deve trovare pertanto applicazione anche al finanziamento del socio di una sRAGIONE_SOCIALE, qualora le condizioni della società siano a quest’ultimo note, per lo specifico assetto dell’ente o per la posizione da lui concretamente rivestita, quando essa sia sostanzialmente equivalente a quella del socio di una RAGIONE_SOCIALE (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16291 del 20/06/2018; v. anche: Cass. n. 14056/2015).
2.2 Ciò posto, occorre in primo luogo richiamare il contenuto delle due norme, asseritamente in contrasto, e cioè il disposto di cui all’art. 56 L.F. e quello dettato invece dall’art. 2467 c.c., per comprendere in apicibus quale sia (e se vi sia) un paradigma giuridico applicabile per superare l’antinomia tra i due istituti, e, cioè, detto altrimenti, se detto paradigma debba essere declinato nei termini della ‘incompatibilità’ tra due regulae iuris tra loro in contrasto ossia nei termini di una necessaria ‘prevalenza’ di una regola rispetto a un’altra .
2.3 Ritiene la Corte che la soluzione della questione giuridica proposta nella sopra ricordata ordinanza interlocutoria debba essere rintracciata sul terreno della  già  preannunciata  ontologica ‘ incompatibilità ‘ tra  regole  giuridiche diverse, tra loro in rapporto di interferenza applicativa.
L’art. 56 L.F dispone, nel comma 1, che i creditori hanno diritto di compensare con  i  loro  debiti  verso  il  fallito  i  crediti  che  essi  vantano  verso  lo  stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Il comma 2, poi, contempla  una  fattispecie  particolare,  escludendo  la  compensazione  ‘se  il creditore  ha  acquistato  il  credito  per  atto  tra  vivi  dopo  la  dichiarazione  di fallimento o nell’anno anteriore’.
Nella  giurisprudenza  di  questa  Corte  si  è  ritenuto  che  la  disposizione contenuta nell’art. 56 L.F. rappresenta una deroga al concorso, a favore dei soggetti che si trovano a essere al contempo creditori e debitori del fallito,
non rilevando il momento in cui l’effetto compensativo si produce e ferma restando l’esigenza dell’anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte (v., tra le altre, anche: Cass. 31029 del 2023).
Il principio va ribadito anche in questo contesto decisorio.
Difatti mentre la compensazione nella disciplina sostanziale di matrice civilistica risponde essenzialmente ad esigenze di rapidità e certezza dei rapporti giuridici, in quella fallimentare è diretta invece a soddisfare istanze di tipo equitativo o di garanzia, costituendo in tal modo una deroga al principio del concorso sostanziale tra i creditori. La compensazione fallimentare, estinguendo reciprocamente le obbligazioni gravanti sulle parti del rapporto, consente al creditore in bonis di evitare il pregiudizio che gli deriverebbe dal fatto di dover adempiere regolarmente la prestazione nei confronti del fallito, a fronte della controprestazione di quest’ultimo in moneta fallimentare ( v. Cass. 14615 del 2016).
2.4 Sull’altro versante normativo qui in scrutinio, occorre ricordare che l’art. 2467, comma 1, c.c. nel testo, applicabile ratione temporis , risalente al d.lgs. n. 6 del 2003, prevede che il diritto dei soci al rimborso di un finanziamento concesso alla società in una situazione di squilibrio finanziario, o in un contesto che avrebbe richiesto un aumento di capitale, è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e deve essere restituito alla massa qualora effettuato nell’anno anteriore alla dichiarazion e di fallimento.
2.5 Nella materia dei finanziamenti dei soci, l’art. 2467 c.c., comma 1, parla espressamente di rimborso ‘postergato’ rispetto agli ‘altri creditori’, espressione utilizzata per indicare il meccanismo della posposizione del diritto a quelli altrui, non già per alludere solo al momento dell’effettivo concorso procedimentalizzato delle pretese creditorie (Cass. n. 12994 del 2019). Ed invero, la postergazione disposta dall’art. 2467 c.c. opera anche durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apre un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando essa una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del ‘finanziamento’, sino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma stessa.
2.6 La società, pertanto, è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del ‘finanziamento’, in presenza della situazione di difficoltà economico -finanziaria indicata dalla legge, ove sussistente sia al momento della concessione del finanziamento, sia al momento della richiesta di rimborso, che è compito dell’organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società (cfr., da ultimo, Cass. n. 15196 del 2024). E in caso di azione giudiziale di restituzione proposta dal socio, il giudice del merito è chiamato a verificare se la situazione di crisi prevista dall’art. 2467, comma 2, c.c., sussista, oltre che al momento della concessione del ‘finanziamento’, altresì al momento della sua decisione. Lo stato di eccessivo squilibrio nell’indebitamento o di una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento, prevista da ll’art. 2467 c.c., comma 2, è dunque fatto impeditivo del diritto alla restituzione del finanziamento operato dal socio in favore della società, rilevabile dal giudice d’ufficio, in quanto oggetto di un’eccezione in senso lato (così, sempre Cass. n. 12994 del 2019, cit. supra ).
3. Ritiene il Collegio che l’art. 2 467 c.c. esprima una regola normativa ‘forte’ . Non  si  tratta  cioè  di  un  principio  di  diritto  da  porre  in  correlazione  e  da ‘ confrontare ‘ in un ambito comparatistico, di carattere valoriale.
Diversamente occorre scrutinare se vi sia una sostanziale incompatibilità tra le due regole normative dettate rispettivamente dall’art. 2467 c.c., in tema di postergazione, e dall’art. 56 L.F., in tema di compensazione fallimentare. Ritiene la Corte che tale incompatibilità esiste perché il credito postergato deve essere ‘trattato’, nella sede satisfattoria, solo dopo che tutti gli altri crediti concorsuali risultino soddisfatti; tale credito non risulta pertanto ‘comparabile’, ai fini dell’applicazione della compensazione ex art. 56 L.F., con altro controcredito.
Diversamente ragionando, dovrebbe ammettersi una sostanziale neutralizzazione del precetto normativo contenuto nell’art. 2467 c.c. proprio nell’ambito temporale del manifestarsi degli effetti della crisi d’impresa, che costituisce, invece, il suo terreno di elezione e di applicazione prevalente.
3.1 Se è vero che la compensazione fallimentare, estinguendo reciprocamente le obbligazioni gravanti sulle parti del rapporto, consente al
creditore in bonis di evitare – come già sopra evidenziato – il pregiudizio che gli deriverebbe dal fatto di dover adempiere regolarmente la prestazione nei confronti del fallito, a fronte della controprestazione di quest’ultimo in moneta fallimentare, è altrettanto vero che ammettere la compensazione del credito postergato significherebbe vanificare la tutela effettiva dei creditori sociali che l’art. 2467 c.c. mira a salvaguardare. La compensazione di un credito postergato ex art. 2467 c.c. nei confronti del debitore dichiarato fallito, o che abbia presentato domanda di concordato, con un controcredito vantato da quest’ultimo, comport erebbe infatti una evidente riduzione dell’attivo destinato alla soddisfazione degli altri creditori, che è proprio l’effetto che la disciplina della postergazione intende scongiurare.
Invero la postergazione protegge interessi di tutela preventiva dei creditori sociali  che  trascendono l’interesse dei soci e che  da quest’ultimi non sono disponibili.
3.2 A fronte di tanto, il socio parte da un punto di osservazione di assoluta prevalenza rispetto a quello degli altri creditori, disponendo egli di una potenziale conoscenza più approfondita delle dinamiche societarie, che agli altri creditori manca. Ne consegue che, i n presenza dell’espresso dettato normativo di cui agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., non può ravvisarsi alcun affidamento ‘incolpevole’ , circa l’operatività della compensazione , del socio creditore-debitore in bonis , che sia degno di tutela. Se la disciplina di cui all’art. 56 L.F. dovesse applicarsi anche in ipotesi di controcrediti ex art. 2467 c.c. nell’ambito delle procedure concorsuali , si dovrebbe affermare il venir meno dell’operatività di quest’ultima norma proprio nel suo terreno di elezione: con il paradossale effetto di una mancanza di operatività nel momento topico, dinanzi a un ‘ socio finanziatore ‘ debitore della società la cui crisi sia stata accentuata da lui stesso, mediante quel finanziamento che risulti eseguito al posto del conferimento nonostante la situazione di squilibrio finanziario o patrimoniale poi sfociata nel fallimento.
Occorre dunque concludere nel senso che è la stessa funzione satisfattoria della compensazione, così come l’effetto che essa realizza nel fallimento (di antergazione  del  creditore  della  procedura),  ossia,  in  buona  sostanza,  la sottrazione di risorse da destinare alla soddisfazione dei creditori concorsuali,
a  porsi  in  rapporto  di  insanabile  ed  ontologica  incompatibilità  –  logica  e giuridica  –  con  la ratio della  postergazione di  cui  all’art.  2467  c.c. ,  norma inderogabile  e  di  sistema,  posta  a  presidio  della  solidità  della  struttura societaria, anche in ragione dell’affidamento che i creditori sociali ripongono nella possibilità di soddisfazione dei loro interessi creditori.
Da  qui  la  conclusione  per  cui  la  compensazione,  in  favore  del  creditore postergato,  non  è  possibile,  a  pena  di  infrangere  lo  scopo  oggettivo  del disposto normativo contenuto nell’art. 2467 c.c.
Deve così condividersi il rilievo di matrice dottrinale per cui la postergazione impone un vincolo di destinazione sulle somme oggetto del finanziamento a vantaggio  dei  creditori  non  subordinati,  così  che l’inesigibilità  del  credito postergato diventa espressione di un divieto legale di effettuare il rimborso finché la società è a rischio di insolvenza.
3.3 In ciò si coglie la giustificazione dell’esistenza di un caso ‘implicito’ (come osservato anche dal P.G.) di esclusione dell’operatività della compensazione, ai sensi del n. 5 dell’art. 1246 c.c. ovvero della configurabilità nella specie di un ‘divieto stabilito dalla legge’ all’operatività del meccanismo compensatorio.
Ne consegue il rigetto del primo motivo.
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 99 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione al principio della domanda e a quello di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
4.1 Le ricorrenti rilevano infatti che il provvedimento sarebbe errato nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto che ‘può quindi ammettersi il rimborso del credito da finanziamento nei limiti della domanda’. Si ricorda che in seno alle conclusioni dei ricorsi ex art. 98 L.F. avevano specificatamente richiesto di modificare lo stato passivo, ammettendo le domande n. 191 e n. 192 per gli importi richiesti nelle stesse e/o comunque ‘nella misura che sarà determinata nel corso di causa dal Tribunale adito’ . Evidenziano le ricorrenti che lo stesso Tribunale, dopo aver escluso la compensabilità dei finanziamenti postergati, aveva altresì affermato che in ordine a tali finanziamenti la curatela fallimentare aveva ammesso e riconosciuto il versamento di importi
pari ad euro 89.615,00 per l’anno 2014 ed euro 77.675,25 per l’anno 2015, così per un totale di euro 167.290,25. Nonostante, dunque, fosse emerso nel corso del giudizio e fosse risultato incontestato dalla stessa curatela che i soci avevano certamente effettuato versamenti per un importo nettamente superiore a quello indicato, il Tribunale aveva ritenuto non solo di non compensare dette somme ma aveva ritenuto di dover ammettere solo petitum l’importo originariamente chiesto senza tener conto del reale form ulato in seno all’atto introduttivo del giudizio ed ai successi atti di causa. 4.2 Il Tribunale sarebbe, pertanto, incorso in una violazione del principio della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato tenuto conto che esse ricorrenti avevano sì indicato un importo a titolo di rimborso finanziamento, ma avevano altresì accompagnato la richiesta con la formula ‘e/o nella misura che sarà determinata nel corso di causa’. Pertanto, la richiesta di liquidazione con formule di salvaguardia del tipo “secondo quanto sarà ritenuto di giustizia” o “eventuale maggiore misura” non avrebbe posto limitazioni al potere del giudice, il quale, all’esito della fase istruttoria, ben avrebbe potuto liquidare un importo maggiore rispetto a quello specificamente richiesto.
4.3 Il motivo è inammissibile, in ragione della sua genericità di formulazione e perché, comunque, espresso in difetto di autosufficienza.
Va infatti osservato che le ricorrenti hanno mancato di trascrivere, quanto meno nei punti salienti, ovvero puntualmente descrivere già l’originaria domanda di ammissione al passivo, né vi hanno fatto espresso riferimento nel contesto del motivo. Si sono limitati alla mera indicazione delle conclusioni delle domande rese successivamente in sede di giudizio di opposizione allo stato passivo, mentre non è consentito, secondo la pacifica giurisprudenza espressa da questa Corte, la modifica del thema decidendum già introdotto nella fase di verifica dei crediti (Sez. 1, Sentenza n. 6279 del 24/02/2022; v. anche: Sez. 1, Ordinanza n. 32750 del 07/11/2022).
Onde consentire alla Corte lo scrutinio della denunciata violazione, sarebbe stata necessaria proprio la descrizione puntuale della originaria domanda di insinuazione al passivo.
Sul punto è invero utile ricordare , anche superando l’erronea rubrica articolata dalle ricorrenti, che, in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Suprema Corte ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti (così, espressamente: Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 23834 del 25/09/2019; vedi anche: Cass. n. 11738/2016, e soprattutto Cass. Sez. U n. 8077-12).
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso e l’affermazione, in relazione al primo motivo, del seguente principio di diritto:
‘Il rapporto tra l’istituto della postergazione dei crediti da rimborso dei finanziamenti dei soci, regolato dall’art. 2467 cod. civ., e quello della compensazione in sede fallimentare di cui all’art. 56 l. fall. si pone in termini di ontologica incompatibilità, nel senso che il creditore postergato non può compensare nella predetta sede i crediti di cui al menzionato art. 2467 cod. civ. con gli eventuali debiti verso il fallito, dovendosi ritenere inderogabile la finalità di protezione dei creditori sociali anche rispetto alle ragioni poste a fondamento della possibilità per il creditore in bonis di compensare il proprio diritto con quello del debitore assoggettato alla procedura concorsuale’.
Le  spese  del  giudizio  di  legittimità  seguono  la  soccombenza  e  vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono  i  presupposti  processuali  per  il  versamento  da  parte  delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta  il  ricorso  e  condanna  le  ricorrenti  al  pagamento,  in  favore  del fallimento controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida
in euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai  sensi  dell’art.  13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 10.12.2014