Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10023 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10023 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6436/2021 R.G. proposto da
QUADRI NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME e COGNOME NOME
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la
Oggetto:
Contratti
bancari – Fideiussione –
Rapporto
di
conto
corrente – Apertura di
credito su anticipazioni –
Rapporto
R.G.N. 6436/2021
Ud. 28/03/2025 CC
CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimati – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO MILANO n. 2030/2020 depositata il 31/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 28/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 2030/2020, pubblicata in data 31 luglio 2020, la Corte d’appello di Milano, nella regolare costituzione di RAGIONE_SOCIALE -e, per essa, di RAGIONE_SOCIALE, procuratrice di RAGIONE_SOCIALE -e nella contumacia di BANCA INTESA SAN PAOLO RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE ha parzialmente accolto l’appello propo sto da NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 1411, del 1213 febbra io 2019 e, per l’effetto, ha: 1) dichiarato il difetto di legittimazione attiva della società RAGIONE_SOCIALE e, per essa, di RAGIONE_SOCIALE, procuratrice di RAGIONE_SOCIALE; 2) revocato il decreto ingiuntivo del Tribunale di Milano n. 15643/2012; 3) previa compensazione, dichiarato che gli appellanti erano tenuti al versamento dell’importo di € 102.097,30, oltre interessi contrattuali di mora dal 12 settembre 2012 al saldo; 4) confermato la compensazione per metà delle spese
del primo grado di giudizio, con condanna degli appellanti, al pagamento della metà residua; 5) compensato integralmente tra le parti costituite le spese del grado del di appello; 6) posto a carico di BANCA INTESA S.P.A. le spese di c.t.u., così come liquidate dal Tribunale.
Come riferito nella decisione impugnata, RAGIONE_SOCIALE aveva intrattenuto con la società RAGIONE_SOCIALE un rapporto di conto corrente e, nell’ambito di tale rapporto, aveva concesso una linea di credito per anticipazioni su fatture fino alla data di chiusura ed estinzione del conto corrente, avvenuta in data 30 giugno 2012.
Detta linea era garantita da fideiussioni omnibus -tra gli altri – da NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME
In relazione a tale linea, la Banca, in data 8 maggio 2013, aveva ottenuto dal Tribunale di Milano l’emissione sia nei confronti della società sia nei confronti dei garanti – del decreto ingiuntivo n. 15643/2012, per il pagamento della somma di € 203.365 ,86, oltre interessi moratori contrattualmente previsti e spese legali, omettendo tuttavia di notificare il decreto ingiuntivo alla società, in quanto nelle more dichiarata fallita.
I garanti ingiunti avevano invece proposto opposizione al decreto ingiuntivo domandando -riferisce sempre la decisione impugnata -‘in via principale, che lo stesso venisse revocato e/o dichiarato nullo per l’illegittima applicazione, sul conto corrente di cui era titolare la società, di interessi anatocistici, usurari e ultralegali, nonché di commissioni di massimo scoperto e spese non pattuite; in via subordinata, eccepivano in compensazione il credito, del quale veniva chiesto l’accertamento, derivante dal ricalcolo del saldo di conto corrente’ .
Si era costituita regolarmente la banca opposta, eccependo che i crediti oggetto d’ingiunzione avevano natura autonoma rispetto al conto corrente, dal momento che trovavano fondamento nelle anticipazioni su fatture.
A ll’esito del giudizio – nel corso del quale: 1) si era verificata l’interruzione a causa del decesso di NOME COGNOME ed era avvenuta regolare riassunzione da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME; 2) si era costituita, in sede di precisazione delle conclusioni, RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del credito di BANCA INTESA SAN PAOLO SPA -il Tribunale aveva accertato, sulla base delle risultanze della CTU, la violazione del divieto di anatocismo, nonché la mancata pattuizione del tasso d’interesse ultralegale, delle commissioni di massimo scoperto e delle spese contrattuali ed aveva quindi rideterminato il saldo del conto corrente da un passivo di € 85.275,83 ad un attivo di € 101.268,56.
Il tribunale, tuttavia, rilevata la natura autonoma del credito derivante dagli anticipi su fatture concesse dalla Banca, aveva confermato il decreto ingiuntivo, escludendo la compensazione invocata dagli opponenti sulla base -riferisce sempre la Corte d’ appello -‘della “sopravvenuta trilateralità del rapporto’ conseguente alla cessione dei crediti oggetto di ingiunzione alla società RAGIONE_SOCIALE, ritenendo che Intesa restasse “unica legittimata passiva della eccezione riconvenzionale di compensazione svolta dai soci fideiussori nei suoi confronti” e RAGIONE_SOCIALElegittimata attiva ad insistere per la conferma del decreto ingiuntivo”‘ .
Proposto gravame dagli odierni ricorrenti, rimaste contumaci le appellate ed intervenuta invece RAGIONE_SOCIALE la Corte d’appello di Milano ha, in sintesi:
-dichiarato il difetto di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE ritenendo che quest’ultima non avesse adeguatamente provato la cessione del credito a proprio favore;
-affermato il formarsi del giudicato interno sul saldo del conto corrente come risultante dal ricalcolo effettuato dal c.t.u., rilevando che le parti non avevano svolto motivi di impugnazione al riguardo;
-disatteso il motivo di gravame col quale veniva dedotto il vizio di ultrapetizione per avere la Corte d’appello respinto una domanda di ripetizione delle somme mai formulata, osservando che la decisione di prime cure non aveva in concreto adottato una statuizione di rigetto di una domanda di tal fatta, limitandosi ad esporre un ragionamento ‘logico -deduttivo’;
–
accolto il motivo con il quale la decisione di prime cure veniva censurata per aver rigettato l’eccezione di compensazione, osservando che la sopravvenuta cessione del credito azionato in monitorio alla RAGIONE_SOCIALE S.R.L. non precludeva la compensazione del medesimo con il controcredito della società derivante dalla rideterminazione del saldo del conto corrente, essendosi i garanti avvalsi del disposto di cui all’art. 1247 c.c.;
-disatteso il motivo di gravame con il quale gli appellanti si dolevano della mancata compensazione di tutte le poste passive del conto corrente rilevate come non dovute dalla consulenza tecnica, osservando che tali poste erano state detratte correttamente dal saldo passivo finale del conto corrente, determinando quindi una minor posta attiva, e rilevando che le deduzioni degli appellanti in ordine ad un saldo finale del conto corrente pari a zero non tenevano conto del
fatto che tale saldo era effetto del passaggio a sofferenza del rapporto;
-dichiarato tardive e quindi inammissibili le deduzioni concernenti l’addebito delle spese di chiusura del conto;
-disatteso il motivo di gravame col quale si censurava la decisione di prime cure per non aver dichiarato nullo il decreto ingiuntivo per assenza di causa delle anticipazioni su fatture concesse nell’ambito del rapporto di conto corrente intervenuto con la società, affermando la piena sussistenza di adeguata causa del contratto di anticipazione;
-escluso l’invalidità delle garanzie fideiussoria a causa della nullità delle clausole riproduttive del modulo ABI – già dichiarato frutto di un’ intesa restrittiva della concorrenza -osservando sia che il rilievo era tardivo sia che non vi era prova del fatto che tali clausole avessero trovato applicazione nella specie e che quindi si fosse prodotto un danno ex art. 2043 c.c.;
-accolto il motivo di gravame relativo al regolamento delle spese della consulenza tecnica d’ufficio compensate dal giudice di prime cure -ritenendo che le stesse dovessero gravare sulla banca opposta.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorrono NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE e, per essa, di RAGIONE_SOCIALE procuratrice di RAGIONE_SOCIALE
Sono rimaste intimate BANCA INTESA SAN PAOLO SPA e RAGIONE_SOCIALE
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è affidato ad otto motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘Nullità della fideiussione omnibus del 1992 per violazione e falsa applicazione della normativa antitrust art.2 della lege 287/1990 e del provvedimento di B.l.n.55 del 2.5.2005, degli articoli 2 (cosiddetta clausola di “reviviscenza”) 6 (rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.) e 8 (cosiddetta clausola di “sopravvivenza”) dello schema contrattuale predisposto dall’ABl per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie, in relazione ali’art.360. c. 1. n.3 e 360. C. 1. n. 5 cpc’ .
Si censura la decisione impugnata per non avere dichiarato la nullità delle clausole della fideiussione omnibus .
Argomenta il ricorso che il danno era da ritenersi in re ipsa essendo stati i ricorrenti segnalati in RAGIONE_SOCIALE e che la Corte d’appello avrebbe dovuto comunque rilevare d’ufficio la nullità, peraltro non contestata dalle altre parti del giudizio.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che si fosse formato il giudicato sulle risultanze della CTU
I ricorrenti deducono che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare la richiesta di chiarimenti che era stata formulata nel giudizio di primo grado e le relative contestazioni mosse all’elaborato del CTU.
Contestano il ragionamento seguito dalla Corte territoriale la quale, dall’omesso appello sul punto delle controparti, avrebbe dedotto il formarsi del giudicato anche nei confronti dei ricorrenti medesimi,
laddove tale atteggiamento avrebbe dovuto essere inteso invece come conferma delle allegazioni dei ricorrenti medesimi, i quali avevano dedotto che il saldo di conto corrente doveva ritenersi azzerato.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc in relazione all’art. 360 c.1 n.4 e violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 119 TUB in relazione all’art. 360 c. 1 n.3. nel punto in cui la Corte pur riconoscendo che il Tribunale aveva ricostruito la vicenda in maniera inesatta non ha dato rilievo’ .
Si censura la decisione impugnata evidenziando che la società correntista non era mai stata parte del processo ‘con la logica conseguenza che l’opposizione al D.l., introitata dai soci fideiussori, non è mai stata un’azione ripetitoria; ma solo una richiesta di accertamento che i garanti nulla dovevano a Banca Intesa’ , evidenziando che ‘le somme che dovessero scaturire dalla rideterminazione del saldo (o minori competenze dovute all’istituto bancario), sono cosa diversa dal saldo di conto’ .
Si argomenta che ‘al Tribunale non è stata richiesta la compensazione tra il saldo di conto e la pretesa monitoria di Banca Intesa, ma tra le poste indebitamente incamerate ed il credito azionato dall’opposta’ e che ‘il vizio di ultrapetizione in cui è incorso il Tribunale doveva essere rilevato dalla Corte di Milano, la quale, pur avendo riconosciuto l’inesatta ricostruzione della vicenda processuale da parte del Tribunale, non ha poi tratto, le logiche conseguenze, dall’errore del Giudice di prime cure, che ha disposto, laddove non gli era stata richiesta alcuna pronuncia, violando così l’art.112 c.p.c.’ .
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c.; 2697 c.c.; 50 e 119 TUB.
Dopo avere premesso che la Banca originaria opposta aveva azionato esclusivamente il rapporto del conto anticipi e non anche il rapporto di conto corrente ‘con l’unico scopo di evitare la domanda riconvenzionale sul ricalcolo del saldo di conto corrente, aperto nel 1984, ed affetto da anatocismo ed addebiti illegittimi’ , i ricorrenti censurano la decisione impugnata per aver ‘ritenuto corretto compensare la pretesa monitoria di euro 203.365,86 (…) con il saldo di conto – ricalcolato dal ctu in euro +101.268,56 (pari alla differenza tra le poste non dovute per euro 186.544,40 ed il saldo negativo apparente di conto corrente pari a 85.275,83), anziché con la somma degli indebiti pari ad euro € 186.544,40 (…), versandosi in un’ipotesi di compensazione impropria (…)’ in tal modo consentendo alle controparti di ‘recuperare un credito che scientemente non avevano azionato nel presente giudizio’ e di avere ‘confuso la sommatoria delle poste indebite con il saldo di conto ricalcolato, facendo un enorme favore a B.I. e cessionarie, che dall’istruttoria sul saldo di conto si erano tenute ben distanti (…)’ .
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1246, n. 4, e 2697 c.c.
Argomenta, in particolare, il ricorso che erroneamente la Corte territoriale avrebbe negato rilevanza alla rinuncia della Banca opposta ad azionare il credito derivante dal saldo di conto corrente, in quanto ‘nel caso de quo, il saldo di conto corrente avrebbe anche potuto risultare attivo alla sua chiusura del 30.6.2012, ma non esonerare il Tribunale da una verifica sugli indebiti (per nullità delle clausole anatocistiche, superiori c.m.s., ed indebite spese bancarie) durante il rapporto contrattuale tra la correntista e la banca, ove fosse stato oggetto di indagine’ .
Si censura, poi, la decisione della Corte territoriale per aver dichiarato tardive le deduzioni riferite alle spese addebitate dalla Banca per l’estinzione di canto corrente, evidenziando che il tema era stato dedotto nelle osservazioni alla consulenza tec nica d’ufficio.
1.6. Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 e 1858 c.c.
Si censura la decisione impugnata ‘con riferimento alla decisiva circostanza che se la Banca non avesse illecitamente addebitato sul conto corrente ordinario, interessi, commissioni e spese, la società correntista non avrebbe sottoscritto le suddette anticipazioni su fattura, rendendole co sì prive di causa’ .
I ricorrenti deducono che la società correntista godeva già di linee di credito concesse dalla Banca e che quest’ultima, invece di utilizzare tali linee, avrebbe fatto sottoscrivere alla società ‘diverse richieste di Anticipi su fatture, con cessione del credito pro solvendo, fino alla concorrenza di massimali, che sono stati via via, in fase di rinnovo, sempre più ridotti da B.RAGIONE_SOCIALE e per periodi di validità sempre più brevi, a fronte però di tassi debitori sempre più alti’ e che la società non avrebbe accett ato tali condizioni, ove consapevole dell’effettivo saldo del conto corrente.
1.7. Con il settimo motivo il ricorso deduce: ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cpc- in relazione all’art. 360 c. 1, n.4,
(A) per carenza ed illogicità della motivazione relativamente alla compensazione delle spese di lite del secondo grado tra RAGIONE_SOCIALE e gli appellanti;
(B) e delle spese di lite del primo grado, con dimezzamento degli esborsi e/o anticipazioni sostenute dagli appellanti ed invece disposti a
loro carico. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2 n.4 cpc.’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la decisione impugnata:
-avrebbe erroneamente -e con motivazione inesistente compensato le spese del grado di appello rispetto a RAGIONE_SOCIALE sebbene nei confronti di quest’ultima fosse stato dichiarato il difetto di legittimazione attiva, con integrale soccombenza;
-con ‘ragionamento illogico ed incongruo’ avrebbe ‘posto a carico degli appellanti, gli esborsi dagli stessi sostenuti in primo grado (pari ad euro 376,68 per c.u., marca da bollo e notifiche), riducendoli a metà’ .
1.8. Con l’ottavo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cpc., per Violazione e Falsa applicazione degli artt. 1283 e 1284 c.c. in relazione all’art.360, C. 1 n.3 c.p.c.’ .
Argomentano i ricorrenti che, in ogni caso, la Corte territoriale avrebbe errato a condannarli alla corresponsione della somma di € 102.097,30, oltre interessi di mora dai 12 settembre 2012 al saldo, in tal modo consentendo ‘alla creditrice di calcolare interessi di mora su altri interessi di mora, indebitamente capitalizzati nell’importo ingiunto’ , laddove la Corte avrebbe dovuto sottrarre dalla somma ingiunta la quota di interessi maturati dal 7 luglio 2012 all’11 settembre 2012 per euro 2.081,86, e quindi compensare il minor importo capitale così ottenuto.
È opportuno rilevare, in premessa, la inammissibilità delle deduzioni contenute nel controricorso, nella parte in cui le stesse vengono a censurare la decisione impugnata per aver dichiarato il difetto di legittimazione della stessa RAGIONE_SOCIALE §
Come rilevato anche dai ricorrenti in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c., le deduzioni in questione avrebbero postulato la proposizione di un ricorso incidentale che invece non è stato formulato, determinando, conseguentemente, l’intangibilità della statuizione assunta dalla Corte d’appello di Milano sul punto.
Il controricorso, quindi, può essere valutato solo nella parte in cui viene a controdedurre avverso le tesi del ricorso, non senza rilevare, ulteriormente, che il settimo motivo di ricorso viene ad investire direttamente la posizione della controricorrente.
Appare, poi, opportuna un’ulteriore premessa.
Numerosi motivi di ricorso -si tratta del primo, secondo, quarto, quinto e sesto motivo – sono stati riferiti dai ricorrenti (solamente o anche) all’ipotesi di cui all’art. 360, n.5), c.p.c.
Si deve osservare -per evitare inutili ripetizioni -che in tutte le ipotesi in questione il riferimento alla previsione testé citata risulta inconferente e, conseguentemente, inammissibile.
L’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nell’attuale testo modificato dall’art. 2, D. Lgs. n. 40/2006, riguarda infatti un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017).
Secondo i principi fissati da Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 (e dalle successive Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 9253 del 11/04/2017),
quindi, l’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., deve essere riferita ad un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6), e 369, secondo comma, n. 4), c.p.c., il ricorrente deve indicare: 1) il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso; 2) il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente; 3) il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti; 4) la sua “decisività”.
Occorre, quindi, ribadire che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018), e ciò in quanto le deduzioni aventi ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attengono alla mera sufficienza della motivazione, e cioè ad un profilo non (più) deducibile come motivo di ricorso (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).
Tornando al ricorso ora in esame, si deve rilevare che in tutti i motivi nei quali viene ad essere invocato l’art. 360, n. 5, c.p.c., non solo i ricorrenti omettono persino di assolvere agli imprescindibili oneri di specificazione individuati dalla giurisprudenza appena richiamata ma, in realtà, non vengono a dedurre alcun omesso esame di un ‘fatto’ come poc’anzi individuato, procedendo invece alla proposizione di censure di carattere eterogeneo ma comunque estraneo all’ambito di
applicazione della previsione, con conseguente inammissibilità, sotto tale aspetto, dei motivi
Risulta, invece, evidente che le medesime censure potranno essere esaminate con riferimento alla diversa e concreta tipologia di vizio effettivamente dedotto -ovviando, in molti casi, ad un evidente errore di sussunzione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5669 del 2022; Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013) -alla luce del concreto contenuto dei motivi.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
L’inammissibilità, invero, viene a derivare da plurime carenze del mezzo: lo stesso, infatti, in primo luogo omette di impugnare tutta la pluralità di rationes decidendi poste dalla Corte territoriale a fondamento della propria statuizione -non risultando, nello specifico, impugnate né le considerazioni della sentenza impugnata in ordine all’assenza di prova dell’applicazione delle clausole censurate né il rilievo circa l’assenza di elementi per affermare il carattere essenziale delle clausole medesime ex art. 1419 c.c. -e, in secondo luogo, omette di rispettare il principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. non avendo i ricorrenti adeguatamente puntualizzato né la sede processuale nella quale la nullità sarebbe stata dedotta -dovendosi osservare che la decisione di prime cure non risultava impugnata con riferimento a tale aspetto -nè le evidenze documentali dalle quali emergerebbe la conformità delle specifiche fideiussioni al modulo ABI ritenuto frutto di intesa restrittiva della concorrenza.
Inammissibile è, parimenti, il secondo motivo.
Anche in questo caso ci si misura con un motivo che non censura adeguatamente la ratio della decisione impugnata, dal momento che quest’ultima ha ritenuto che si fosse formato un giudicato non per effetto della mancata contestazione del ricalcolo della CTU da parte
degli istituti di credito originariamente convenuti -come si opina in ricorso – bensì in virtù del fatto che gli stessi controricorrenti non avevano sul punto proposto appello, evidente essendo che le osservazioni critiche formulate in sede di esame della consulenza tecnica non potevano valere a precludere il formarsi di un giudicato in assenza di rituale impugnazione, sul punto, della decisione di prime cure, da parte degli odierni ricorrenti, i quali, del resto, nella presente sede sono nuovamente incorsi nella trasgressione dell’art. 366 c.p.c., non deducendo l’effettiva presenza di uno specifico motivo di appello .
Né in miglior sorte incorrono le deduzioni dei ricorrenti in ordine all’errore in cui sarebbe incorsa la decisione impugnata in punto di applicazione del saldo finale azzerato del conto corrente.
Tali censure, infatti, vengono ad investire in modo inammissibile il giudizio di fatto espresso sul punto dalla Corte territoriale, la quale, nonostante la precedente affermazione di una preclusione derivante da giudicato, ha comunque esaminato anche nel merito le deduzioni svolte dagli odierni ricorrenti.
Ciò non esime questa Corte dall’osservare che i ricorrenti medesimi omettono adeguatamente di censurare quanto -del tutto correttamente -osservato dalla Corte d’appello, nel momento in cui quest’ultima ha rilevato che come del resto previsto dalle ordinarie regole bancarie -l’azzeramento del conto corrente era stato determinato dal suo passaggio ‘a sofferenza’ e non certo dal venir meno della passività maturata sul conto stesso.
Il terzo motivo di ricorso risulta in parte inammissibile ed in parte infondato.
Inammissibile, nella parte in cui lo stesso viene a censurare inadeguatamente la decisione impugnata.
La Corte territoriale, infatti, ha rilevato nella ricostruzione operata dal giudice di prime cure una sola inesattezza, concernente l’individuazione dell’evento che aveva condotto all’interruzione del giudizio (pag. 8), laddove, in relazione al profilo della sussistenza o meno di un’azione di ripetizione, la Corte medesima ha solo rilevato che -come dai ricorrenti dedotto -tale domanda non era stata formulata ma che la sentenza di primo grado non aveva adottato una statuizione di rigetto di detta (non proposta) domanda, avendo semplicemente chiarito che la Banca convenuta non poteva essere condannata al pagamento in favore dei fideiussori del saldo positivo del conto corrente una volta rideterminato con l’espunzione degli addebiti illegittimi.
Infondato nelle censure riferite invece al profilo della compensazione ed alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c.
Premesso che gli stessi odierni ricorrenti avevano formulato una richiesta di compensazione -come emerge dalla sintesi delle conclusioni rassegnate in primo grado offerta nello stesso ricorso -si deve osservare che la Corte territoriale ha proceduto alla qualificazione della domanda ed ha correttamente inteso la richiesta di rideterminazione del saldo come individuazione del corretto saldo di conto corrente in quanto oggetto della garanzia concessa dagli odierni ricorrenti erano le linee di credito concesse dall’Istituto di credito sul conto corrente
I ricorrenti, infatti, omettono di considerare l’operatività concreta del conto corrente affiancato -come in questo caso – da un conto anticipi, e cioè il fatto che sia le operazioni che concernono strettamente il conto corrente sia le operazioni che riguardano il conto anticipi -oggetto di un autonomo conto con funzione di mero calcolo autonomo – vengono ad essere congiuntamente regolate in via unitaria
sul conto corrente, sul quale, quindi, vengono registrate tutte le annotazioni attive e passive.
È la sommatoria di tali annotazioni che viene a determinare sul conto corrente sia il saldo periodico sia il saldo finale al momento della chiusura definitiva del rapporto, e quindi la sussistenza di un credito o di un debito in capo al correntista.
Da ciò consegue che il credito per poste illegittime dedotto dai ricorrenti era inevitabilmente quello risultante dalla rideterminazione del saldo del conto corrente una volta espunti gli addebiti derivanti da clausole illegittime e che, conseguentemente, tale credito non poteva essere fatto valere se non in relazione al saldo complessivo del medesimo conto, e quindi tenendo conto anche della componente passiva derivante in modo specifico dalla linea di credito su anticipazioni e sconto di fatture.
È questa l’operazione che la Corte territoriale ha correttamente posto in essere, procedendo ad una operazione che è stata qualificata come compensazione ‘impropria’ ma che in realtà si traduceva nella mera rideterminazione del saldo finale del conto corrente che tenesse conto sia dell’espunzione degli addebiti ritenuti illegittimi sia della passività che dal conto anticipi -oggetto di una separata contabilità ‘virtuale’ veniva ad essere poi computata sullo stesso conto corrente.
Tale operazione, tuttavia, ha corrisposto esattamente a quella che era la domanda dei ricorrenti, avendo questi ultimi chiesto la rideterminazione complessiva delle poste relative ad un unico rapporto regolato in conto corrente, e cioè ad un rapporto nel quale le poste si vengono a bilanciare contabilmente, senza che possa invocarsi il ben diverso fenomeno della compensazione.
Le medesime considerazioni che hanno condotto a disattendere il terzo motivo di ricorso valgono a giustificare anche il rigetto del quarto mezzo.
Va premesso, ancora una volta, che la stessa domanda formulata dai ricorrenti -come sintetizzata in ricorso -è venuta a sollecitare la rideterminazione complessiva del debito della società garantita considerando anche il rapporto di conto corrente ed il nuovo saldo che sul medesimo veniva a determinarsi una volta eliminati gli addebiti per poste illegittime, come del resto ampiamente illustrato dalla Corte d’appello nella decisione impugnata, con argomentazioni che non risultano neppure adeguatamente censurate.
A questo punto, una volta appurato che le stesse domande formulate dai ricorrenti con l’opposizione a decreto ingiuntivo a null’altro potevano condurre se non ad una rideterminazione complessiva del saldo di conto corrente – e cioè, come detto poc’anzi , ad un saldo depurato degli appostamenti derivanti dall’applicazione di clausole illegittime ma incrementato delle poste passive derivanti dal conto anticipi, avendo gli stessi ricorrenti criticato la decisione del giudice di prime cure di tenere distinti i due rapporti -risulta, a questo punto inevitabile concludere che la Corte territoriale in alcun modo è venuta a trasgredire la regola di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.
Ancor meno fondate -se non addirittura inammissibili -risultano le deduzioni concernenti la violazione dell’art. 2697 c.c. , atteso che tale trasgressione si viene a configurare nell’ipotesi in cui la decisione venga adottata sulla base di una regola di distribuzione degli oneri probatori diversa da quella legale, e cioè in un’ipotesi che nel caso in esame non risulta ravvisabile, avendo la Corte territoriale proceduto ad accertare il complessivo andamento dei rapporti tra le parti sulla scorta di una
consulenza tecnica d’ufficio, senza alterare la regola dell’onere della prova.
Quanto alla dedotta violazione degli artt. 50 e 119 TUB, risulta inevitabile rilevare che le stesse, ove concretamente poste in essere -dovendosi ancora una volta rilevare un’assoluta scarsità di indicazioni specifiche sul punto, con reiterata violazione dell’art. 366 c.p.c. sarebbero state riconducibili alla decisione di prime cure che, tuttavia, non risulta essere stata impugnata sul punto.
Quanto alle – apodittiche – deduzioni riferite -ancora una volta -all’azzeramento del saldo del conto corrente a seguito del suo passaggio a sofferenza, non possono che richiamarsi le considerazioni già svolte in sede di esame del secondo motivo di ricorso.
Il quinto motivo è, parimenti, infondato.
Il motivo, in primo luogo, si viene a basare su un richiamo normativo -quello all’art. 1246 c.c. che risulta assolutamente non pertinente, atteso che -come correttamente esplicato dalla decisione impugnata -a venire in rilievo era la rideterminazione contabile di un unico rapporto complesso che, semmai, era stata la decisione di prime cure a ritenere erroneamente scindibile.
Esclusa la pertinenza del richiamo alla compensazione ‘propria’, risultano, di riflesso, caducate anche le doglianze dei ricorrenti impropriamente riferite all’art. 2697 c.c., non senza rilevare che, ancora una volta, l’impianto complessivo del ricorso è irrimediabilmente compromesso dal fatto che risultano essere stati gli stessi ricorrenti a dedurre in giudizio il rapporto di conto corrente, sollecitando una rideterminazione complessiva del saldo medesimo che tenesse conto anche delle poste passive derivanti dalle linee di credito azionate in sede monitoria dalla Banca.
Quanto alla specifica censura riferita al computo delle spese di chiusura conto, la stessa risulta financo inammissibile, dal momento che quello dedotto con il motivo di ricorso si traduce in un errore di fatto che avrebbe dovuto essere fatto valere con lo specifico strumento di cui all’art. 395 c.p.c.
9. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo, in realtà, non deduce alcun concreto omesso esame di fatti decisivi, dovendosi osservare che quanto dedotto nel motivo risulta essere stato esaminato e motivatamente disatteso dalla Corte territoriale e che le argomentazioni dei ricorrenti vengono sostanzialmente a sollecitare un riesame del merito della decisione dovendosi, pertanto, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
10. Il settimo motivo è infondato.
Quanto al regolamento delle spese del giudizio di appello, si deve osservare che giustificazione della compensazione delle spese del grado è da ravvisarsi nella reciproca soccombenza delle parti, valutata, quanto agli odierni ricorrenti, sul pia no dell’esito complessivo del
giudizio – che li ha visti comunque essere condannati sia pure in misura inferiore rispetto a quella portata dal decreto ingiuntivo originariamente opposto – e, quanto al cessionario, in relazione al grado in cui era intervenuto.
Quanto al regolamento delle spese del giudizio di primo grado, invece, la Corte territoriale risulta avere adeguatamente motivato la propria statuizione, peraltro sulla base del criterio complessivo della soccombenza e procedendo unicamente, in favore degli stessi ricorrenti, a computare -dimidiate per effetto della compensazione disposta dal giudice di prime cure – le spese vive che non erano state invece riconosciute dal Tribunale.
11 . L’ottavo motivo, infine, è inammissibile
Il motivo, invero, risulta privo di specificità ex art. 366 c.p.c.
Lo stesso, infatti, viene a dedurre che la sorte capitale ingiunta (e residuata dopo la compensazione) fosse comprensiva di interessi, senza che, tuttavia la circostanza emerga in modo adeguatamente univoco dagli atti ed in tal modo sollecita a questa Corte un’indagine di merito che è invece preclusa.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause
originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.000,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima