Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18659 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18659 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
Oggetto: acquiescenza – danni – compensatio lucri cum damno
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31458/2020 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO , sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima, sito in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 953/2020, depositata il 20 aprile 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata il 20 aprile 2020, che, pronunciandosi a seguito della cassazione di una sua precedenza sentenza, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in suo favore della somma di euro 871.430,00, oltre interessi, a titolo di risarcimento dei danni per violazione dell’obbligo di offerta pubblica d’acquisto, previsto dall’art. 106 t.u.f., sulla totalità del capitale di RAGIONE_SOCIALE;
la Corte di appello ha riferito che il giudice di primo grado aveva accertato che in data 18 febbraio 2002 la RAGIONE_SOCIALE aveva acquisito una partecipazione al capitale de RAGIONE_SOCIALE superiore al 30% in esecuzione di un accordo intervenuto tra la medesima, la sua controllante RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE preordinato all’elusione dell’obbligo di lanciare l’offerta pubblica di acquisto e, conseguentemente, condannato la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni sofferti dall’attore, quale azionista di minoranza de RAGIONE_SOCIALE, quantificati in euro 982.942,00, pari alla differenza tra il prezzo delle azioni in sede di offerta pubblica di acquisto, determinato secondo i criteri di legge, e il valore di mercato del titolo alla predetta data del 18 febbraio 2002, oltre interessi;
-ha aggiunto che con una sua prima sentenza l’importo risarcitorio era stato rideterminato in euro 683.515,00, oltre interessi, ma che tale sentenza era stata cassata con sentenza di questa Corte n. 19741/2018;
-ha dato atto che l’odierno ricorrente aveva riassunto il giudizio chiedendo, in applicazione dei principi indicati dalla Corte di cassazione,
la condanna delle società convenute al pagamento dell’importo di euro 1.500,772,63, oltre rivalutazione e interessi, ovvero, in subordine, di euro 982.940,00, oltre rivalutazione e interessi, mentre le società avevano insistito nelle eccezioni e difese spiegate nei precedenti gradi di giudizio;
ha, quindi, ritenuto sussistente il diritto al risarcimento dei danni vantato dall’attore, ma ha osservato che questi, avendo prestato acquiescenza alla sentenza di primo grado che aveva quantificato l’importo risarcitorio in euro 982.940,00, non poteva chiedere il risarcimento dei danni per un importo maggiore;
inoltre, poiché in epoca successiva alla scadenza del termine per la promozione dell’offerta pubblica di acquisto l’attore aveva conseguito dividendi per un importo pari a euro 111.510,00, ha detratto tale importo da quello originariamente riconosciuto dal giudice di primo grado di euro 982.940,00, in accoglimento dell’eccezione delle società di compensatio lucri cum damno , rideterminando l’importo risarcitorio nella suindicata somma di euro 871.430,00, oltre interessi;
il ricorso è affidato a un unico motivo;
resistono, con distinti controricorsi, sia la RAGIONE_SOCIALE, sia la RAGIONE_SOCIALE;
le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con l’unico motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ., per aver la sentenza impugnata ridotto il risarcimento dei danni originariamente liquidato dal giudice di prime cure;
-evidenzia, sul punto, che l’accoglimento dell’eccezione di compensatio lucri cum damno imponeva di valutare il danno nella sua interezza, per come effettivamente patito dal danneggiato, e non così come limitato a seguito dell’acquiescenza prestata sul punto alla sentenza di primo grado;
– il motivo è fondato;
-va rammentato che l’istituto della compensatio lucri cum damno trova il proprio fondamento nella idea del danno risarcibile quale risultato di una valutazione globale degli effetti prodotti dall’atto dannoso, espressa dall’art. 1223 cod. civ., secondo cui il risarcimento del danno deve comprendere così la perdita subita dal danneggiato come il mancato guadagno, in quanto siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito (cfr. Cass., Sez. Un., 22 maggio 2018, n. 12564);
tale norma implica, dunque, che l’accertamento conclusivo degli effetti pregiudizievoli tenga anche conto degli eventuali vantaggi collegati all’illecito in applicazione della regola della causalità giuridica, pena una inammissibile locupletazione del danneggiato;
da ciò consegue, da un lato, che la compensatio lucri cum damno opera nel solo caso in cui il vantaggio da compensare con il danno dipenda dal medesimo atto che ha provocato quest’ultimo e sia ad esso collegato da un identico nesso causale (cfr. Cass. 30 marzo 2023, n. 9003; Cass. 5 agosto 2020, n. 16702 ) e, dall’altro, che la stessa è un’eccezione in senso lato, risolvendosi in una mera difesa in ordine all’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato (così, Cass. 28 luglio 2022, n. 23588; Cass. 24 novembre 2020, n. 26757);
in sintesi, la compensatio lucri cum damno opera, nell’ambito della struttura dell’illecito (anche contrattuale), sul piano della causalità giuridica, come strumento di selezione delle conseguenze dannose dell’illecito, determinando la compensazione dei vantaggi e dei danni derivanti dal medesimo fatto illecito, stante la funzione eminentemente compensativa della responsabilità civile, basata sulla c.d. teoria differenziale, in virtù della quale il danno risarcibile deve essere quantificato in ragione della differenza tra l’entità del patrimonio attuale del danneggiato e la consistenza che esso avrebbe avuto in mancanza dell’illecito (Cass. 28 luglio 2023, n. 23123);
va da sé che non è configurabile un suo autonomo apprezzamento rispetto al pregiudizio da accertare , e che, cioè, l’entità del vantaggio non può essere determinata isolatamente, al di fuori della considerazione della perdita in cui si compendia il pregiudizio considerato dall’art. 1223 c.c., dal momento che gli elementi espressivi delle conseguenze derivanti dalla condotta illecita devono tradursi in un’espressione unitaria all’esito del relativo accertamento;
ne consegue che l ‘ acquiescenza che una parte presti al capo della sentenza di primo grado che abbia liquidato il danno in una somma x , non comporta affatto che il giudice d’appello possa così e semplicemente, come ha invece fatto, detrarre dalla somma detta quella rapportata ai ritenuti vantaggi, così da pervenire alla liquidazione del danno in una somma minore di x , giacché simile operazione, palesemente illogica, risulta errata in diritto, in quanto effettuata in riferimento a grandezze disomogenee: da un lato la somma che soggettivamente il danneggiato è disposto ad accettare quale ristoro del danno subito, somma che è arbitrario intendere pari alla perdita non comprensiva della compensatio , e dall’altro l’oggettiva misura dei vantaggi collegati all’illecito;
-la corte d’appello, dunque, lungi dal sottrarsi, come ha fatto, alle indicazioni della precedente sentenza rescindente, avrebbe dovuto effettuare la complessiva valutazione di cui si è detto, eventualmente scorporando l’importo corrispondente alla compensatio non già da quello rispetto al quale il COGNOME ha prestato acquiescenza, bensì da quello tale da fotografare la perdita netta, comprensiva delle poste considerate dall’art. 1223 c.c., dal medesimo subita ;
ciò risulta coerente con il principio per cui la acquiescenza alla sentenza conseguente alla sua mancata impugnazione determina, nel caso di rinvio cd. prosecutorio alla corte d’appello, il divieto di reformatio in peius della decisione appellata e, conseguentemente, l’impossibilità per la parte di giovarsi della reiezione dell’appello della
contro
parte per ottenere effetti che solo l’appello incidentale gli avrebbe assicurato (cfr. Cass. 16 novembre 2020, n. 25877);
infatti, nella fattispecie in esame, gli effetti della parte appellata acquiescente non richiederebbero la proposizione di un appello incidentale, risolvendosi nella conferma della decisione impugnata dalla parte opposta;
la sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per spese, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 9 maggio 2024.