SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA N. 1249 2025 – N. R.G. 00000360 2022 DEPOSITO MINUTA 10 07 2025 PUBBLICAZIONE 10 07 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO di BOLOGNA
2 SEZIONE CIVILE
La Corte, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliere Relatore
dott. NOME COGNOME
Consigliere
in esito alla odierna Camera di Consiglio,
udita la relazione della causa fatta dal Relatore
preso atto delle conclusioni assunte dai procuratori delle parti;
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. r.g. 360/2022 promossa da:
),
, con il patrocinio P.
degli avv.ti.
COGNOME
NOMECOGNOME
(
),
APPELLANTE
contro
C.F.
,
C.F.
C.F.
, eredi del sig.
con il patrocinio degli avv.ti NOME COGNOME (
) e NOME COGNOME
(C.F.
),
C.F.
C.F.
C.F.
C.F.
C.F.
C.F.
APPELLATO
Avverso la sentenza 2331 del 2021 emessa dal Tribunale di Bologna
CONCLUSIONI
L’appellante ha concluso come segue:
″Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello adita, disattesa ogni contraria istanza, domanda, eccezione e deduzione, in riforma dell’impugnata sentenza n. 2331/2021 del Tribunale di Bologna (Sez. II civile) pubblicata in data 11.10.2021, accogliere il presente appello e per l’effetto così giudicare:
Nel merito, in INDIRIZZO
-Rigettare, poiché infondata, l’opposizione avversaria nonché ogni avversa richiesta di declaratoria di nullità e/o annullamento e/o revoca e/o modifica del decreto ingiuntivo n. 5476/2019 emesso dal Tribunale di Bologna in data 10.10.2019, e pubblicato il 15.10.2019.
-Conseguentemente, confermare integralmente il decreto ingiuntivo n. 5476/2019 emesso dal Tribunale di Bologna in data 10.10.2019, e pubblicato il 15.10.2019, da valersi anche nei confronti degli eredi del sig. .
In subordine
– unicamente nella denegata e non creduta ipotesi di rigetto della domanda principale, accertare e dichiarare che è creditrice dell’importo di €. 6.108,70, ovvero della maggior o minor somma che sarà ritenuta dovuta per le prestazioni assistenziali (rette di frequenza del centro diurno semiresidenziale “RAGIONE_SOCIALE” sito in San Giovanni in Persiceto e nel servizio di mensa e di trasporto sociale) erogate in favore del sig. dal giugno 2009 fino al 1° luglio 2016, quale data di decorrenza applicativa dell’art. 2 -sexies D.l. n. 42/2016;
– conseguentemente condannare i signori , e quali eredi del sig. , al pagamento in solido tra loro, ed in favore di dell’importo di €. 6.108,70, ovvero della maggiore o minor somma ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al saldo effettivo.
In via istruttoria
Ci si oppone alla richiesta di espunzione dal presente giudizio dei documenti prodotti unitamente all’atto di appello, e contrassegnati con i numeri romani IV, V, VI, trattandosi di documenti tutti di formazione successiva al maturare delle preclusioni processuali di primo grado, ed anzi successivi alla pronuncia della sentenza di primo grado;
-con vittoria di compensi e spese di entrambi i gradi di giudizio″.
L’appellato ha concluso come segue:
Voglia L’Ecc.ma Corte d’Appello adita, ogni contraria istanza disattesa e rigettata, previe le pronunce e declaratorie ritenute opportune ed in accoglimento delle motivazioni espresse in narrativa dagli appellati ed in ogni caso, anche nella denegata e non creduta ipotesi di eventuale parziale modifica della motivazione assunta dal Tribunale di Bologna:
NEL MERITO
RESPINGERE l’appello proposto dalla poiché infondato in fatto ed in diritto e, pertanto, RIGETTARE ogni e qualunque domanda e/o pretesa avanzata dall’appellante poiché destituita di qualsivoglia fondamento giuridico e per l’effetto,
CONFERMARE la sentenza n° 2331/2021 emessa dal Tribunale di Bologna, depositata in cancelleria in data 11.10.2021 e, conseguentemente:
REVOCARE il Decreto Ingiuntivo opposto n. 5476/2019 Rg. 10368/19, emesso dal Tribunale di Bologna, in quanto infondato ed illegittimo e, conseguentemente,
ACCERTARE E DICHIARARE che nulla è dovuto dagli appellati sig.ri
,
e
all’
Con condanna di parte opposta alla rifusione delle spese di lite, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato, , nella sua qualità di amministratore di sostegno del proprio fratello , residente in Calderara di Reno alla INDIRIZZO affetto da grave disabilità, proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo avente ad oggetto l’importo di € 9.027,18 richiesto dalla per contribuzione economica dell’assistito per la frequentazione dal giugno 2009 (quando aveva interrotto i pagamenti) al dicembre 2018, di un centro semiresidenziale e per attività di trasporto e mensa ; l’opponente contestava la debbenza della somma, rilevando che l’ , facendo applicazione della normativa regolamentare del Comune di
Calderara di Reno, teneva conto, quale reddito del disabile, della pensione di invalidità e di un assegno di accompagnamento, che non costituivano reddito.
Si costituiva l’opposta chiedendo il rigetto dell’opposizione.
Respinta la richiesta di concessione della provvisoria esecuzione, e concessi i termini ex art. 183, sesto comma c.p.c., la causa senza ulteriore istruttoria veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni; peraltro, a seguito del decesso dell’opponente, con comparsa del maggio 2021 si costituivano in giudizio gli eredi personalmente, e NOME COGNOME e la causa all’udienza del 16 giugno 2021 veniva trattenuta in decisione e definita dal Tribunale, con l’accoglimento della opposizione e la revoca del decreto.
Il Tribunale ha premesso, come circostanze pacifiche fattuali, che:
l’opponente versa va in stato di gravissima disabilità, e sin dal marzo 2007 usufruiva del servizio di assistenza semiresidenziale gestito dalla , interrompendo il pagamento del contributo previsto a suo carico sin dal giugno 2009, maturando un debito complessivo di € 9.027,18 ; il medesimo percepiva una pensione di invalidità (€ 285,99) e un assegno di accompagnamento (€ 517,84), per importo complessivo mensile di € 803,50, e non gode va di altra fonte di reddito;
la compartecipazione mensile richiesta dalla convenuta era di € 137,60 mensili, che, secondo i calcoli esposti dall’opposta e mai contestati dall’opponente, rappresentava il 5,07% circa del costo complessivo mensile sostenuto dalla collettività (AUSL e ASP) che si fa carico del 94,93% del costo di assistenza nei centri semiresidenziali pari ad € 2.577,80 ;
la Delibera 108 del dicembre 2009 del Comune di Calderara disponeva che per definire la situazione economica dell’utente del servizio si tenesse conto anche di quanto percepito a titolo di pensione di invalidità e di indennità di accompagnamento.
Quindi ricostruiva il quadro normativo di riferimento, costituito dal Dlgs 109 del 1998, che definiva i criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, precisando che per favorire la permanenza degli assistiti nel nucleo familiare la situazione economica rilevante era quella del solo assistito, e dal DL 201 del 2011, che al l’ art. 5 ( Introduzione dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglie ) prevedeva un emanando Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri diretto ad «adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale », poi effettivamente emanato (DPCM del 5 dicembre 2013, n. 159 Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente – ISEE ) che al secondo comma dell’art. 4 espressamente prevedeva che si tenesse conto dei trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche.
Il TAR del Lazio, aveva tuttavia annullato l’ art. 4, comma 2, lett . f ), DPCM n. 159/2013, assumendone la illegittimità (con sentenza n. 2458/15, confermata dal Consiglio di Stato, sezione IV, con sentenza n. 838 del 2016 ), e il legislatore aveva provveduto a regolare diversamente la materia con l’ art. 2 sexies , del DL 42 del 2016 (« ISEE dei nuclei familiari con componenti con disabilità ») convertito con la legge n. 89 del 2016, stabilendo che «nelle more dell adozione delle modifiche al regolamento di cui al ‘ DPCM 5 dicembre 2013, n. 159, volte a recepire le sentenze del Consiglio di Stato, sezione IV, nn. 00841, 00842 e 00838 del 2016, nel calcolo dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) del nucleo familiare che ha tra i suoi componenti persone con disabilità o non autosufficienti, …. sono apportate le seguenti modificazioni: a) sono esclusi dal reddito disponibile di cui all’articolo 5 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, comprese le carte di debito, a qualunque titolo
percepiti da amministrazioni pubbliche in ragione della condizione di disabilità, laddove non rientranti nel reddito complessivo ai fini dell’IRPEF »
Il Tribunale osservava che fino al 2013 la giurisprudenza era incline a considerare legittima la inclusione della indennità di accompagnamento e della pensione di invalidità tra i redditi che definivano la situazione economica dell’assistito, nel momento in cui si verificava se vi fossero i presupposti per richiedere una contribuzione dell’assistito ai costi delle prestazioni sociali erogate, laddove in seguito l’indirizzo era mutato, e il TAR aveva appunto annullato l’art.4 del DPCM 159 del 2013, con sentenza confermata dal Consiglio di Stato, ritenendo illegittima la inclusione tra i redditi delle prestazioni di carattere indennitario o compensativo (che sono volte a riparare ad una situazione di svantaggio, e dunque hanno una natura giuridica incompatibile con il concetto di reddito).
Quindi, condividendo tale orientamento, il Giudice ha ritenuto che pure nella vigenza della disciplina applicabile al caso di specie (anteriore quindi al DL 42 del 2016, convertito con la legge n. 89 del 2016) fosse illegittima, secondo i principi già espressi dalla giurisprudenza, la delibera del Comune di Calderara, che equiparava le forme di sovvenzioni assistenziali al reddito.
In conclusione, ha accolto l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo, dichiarando che nulla era dovuto, compensando le spese.
Avverso la decisione, non notificata, h a proposto tempestivo appello l’ articolando sette motivi di impugnazione. Cont
Si sono costituiti gli appellati, chiedendo la conferma della decisione.
La causa in grado di appello è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni precisate in epigrafe.
*
Con il primo motivo l’azienda appellante deduce error in iudicando – violazione del divieto di retroattività della legge ex art. 11 preleggi del codice civile – violazione del principio costituzionale di certezza del diritto, rilevando che al debito insoluto del sig. (risalente al periodo 20092018) vengono applicati, con effetti retroattivi, l art. ‘ 2 sexies, 1° comma, d.l. 42/2016 e gli orientamenti espressi dal Consiglio di Stato nn. 838, 841 e 842 del 2016.
L’appellante evidenzia che il riferimento normativo vigente ratione temporis costituito dal Dlgs 109 del 1998 era alla “situazione economica dell assistito”, non alle componenti di ‘ ‘ reddito ‘ imponibile ai fini Irpef. Richiama anche e specificamente la Legge Regionale Emilia Romagna 2/2003 che all art. 49, ‘ comma 3, lett. b) sancisce la ″ previsione, quale criterio ulteriore, ai fini della valutazione della situazione economica equivalente dell’assistito, del computo di eventuali indennità di carattere previdenziale e assistenziale percepite dall’utente, considerate esenti ai fini IRPEF, da definirsi nella stessa direttiva, fatte salve le indennità di natura risarcitoria ″ , abrogata solo dalla Legge regionale 10 dicembre 2019, n. 29, con efficacia ex nunc.
Deduce che il Giudice ha, peraltro, omesso – e la questione è in ogni caso dirimente – di considerare e applicare l’art. 2 sexies , 3° comma, D.l. 42/2016, nella parte in cui statuisce che ″ Restano salve, fino a tale data ‘ – quella di decorrenza applicativa, ovvero dal 1.07.2016 -‘ le prestazioni sociali agevolate in corso di erogazione sulla base delle disposizioni vigenti ‘
Con il secondo motivo l’appellante allega ancora error in iudicando – violazione del principio tempus regit actum. Assume che la legittimità degli atti applicativi delle tariffe – non impugnati – deve essere valutata in base alla normativa vigente al momento di maturazione del debito del sig. (2009-2018) facendo esclusivo riferimento alla cornice normativa del D.lgs. 109/1998 (art. 3) e tenendo conto della L.r. 2/2003 (art. 49), quindi, la sentenza di primo grado è erronea laddove afferma: ‘ Si deve assumere, dunque, che i principi espressi da ultimo dal Consiglio di Stato interessino tutto l’arco
temporale di cui al credito oggetto di causa (2009-2018), inducendo in questa sede alla disapplicazione delle fonti di diritto secondario che prevedevano la compartecipazione dell’opponente in ragione della percezione della pensione di invalidità e di un assegno di accompagnamento e all’accertamento, per l’effetto, dell’insussistenza del credito’ sostenendo che ‘ In ultima analisi, la specifica previsione che l’indennit à di accompagnamento e la pensione di invalidità contribuiscono alla determinazione di una quota dovuta dall’assistito quale compartecipazione all’assistenza, deriva non dalla menzionata Legge Regionale (la quale ricadrebbe sotto il controllo della Corte Costituzionale), ma da un provvedimento amministrativo dell’Ente comunale, di talch è ne e consentita la disapplicazione avanti al giudice ordinario .’
Con il terzo motivo, l’appellante deduce errores in iudicando -difetto del potere di disapplicazione da parte del giudice di prime cure – carenza dei presupposti; assume che ha applicato e richiesto al sig. le quote di compartecipazione al servizio semiresidenziale in conformità al D.lgs. 109/1998 e alla L.r. 2/2003, e secondo quanto stabilito dalle delibere comunali e dai contratti di servizio; deduce quindi la erroneità della sentenza di primo grado laddove afferma che i principi espressi da ultimo dal Consiglio di Stato interessino tutto l’arco temporale di cui al credito oggetto di causa (2009-2018), disapplicando le fonti di diritto secondario che prevedevano la compartecipazione dell’opponente in ragione della percezione della pensione di invalidità e di un assegno di accompagnamento, affermando che essa deriva non dalla menzionata Legge Regionale (la quale ricadrebbe sotto il controllo della Corte Costituzionale), ma da un provvedimento amministrativo dell’Ente comunale, di talchè ne e consentita la disapplicazione avanti al giudice ordinario.
Richiama la normativa che consente al giudice ordinario di disapplicare un atto amministrativo, solo ove non sia conforme alla legge (art. 5 L. 2248/1865), laddove il giudice ha violato la regola, e solo nel giudizio tra privati e, quindi, soltanto nelle controversie in cui la P.A. sia estranea.
Con il quarto motivo deduce error in iudicando – grave contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, assumendo che il Giudice di prime cure a fronte di una ricostruzione corretta sugli orientamenti dominanti applicabili ratione temporis all ‘ epoca dei fatti, ritiene in maniera contraddittoria e illogica che, dopo l adozione del DPCM 159/2013, sia intervenuto un mutamento ‘ giurisprudenziale tale da sconfessare il precedente consolidato orientamento favorevole al computo dei sussidi assistenziali – art. 2 sexies , 3°comma, D.l. 46/2016 fa salve in maniera espressa le prestazioni agevolate in corso di erogazione sulla base delle disposizioni previgenti
Con il quinto motivo deduce errata valutazione circa l’inapplicabilità dell’art. 49, comma 3 l.r. 2/2003 per mancanza della specifica direttiva della giunta regionale -infondatezza della statuizione – difetto di istruttoria. Sostiene che la disciplina regionale emanata in tema di accreditamento va a precisare e allo stesso tempo integrare il quadro normativo di riferimento (D.G.R. n. 772/2007, n. 219/2010 e n. 273/2016)
Con il sesto motivo deduce error in iudicando – difetto di istruttoria errore nel ritenere l’art. 3, comma 2 ter, d.lgs. 109/98 non dirimente nella fattispecie e, di fatto, non immediatamente precettivo, anche a prescindere dalla mancata adozione del D.P.C.M. in esso previsto. Impugna la sentenza di primo grado in particolare al punto 7.1. nel quale afferma che il D.lgs. n. 109/1998 non sarebbe significativo rispetto ai criteri di determinazione della contribuzione, laddove individua come rilevante la sola situazione economica dell’assistito.
Con il settimo motivo impugna la sentenza di primo grado (anche) in punto di rigetto della domanda subordinata formulata da (e anche nell’ipotesi in cui si possa considerare quale statuizione implicita di rigetto). Rispetto al debito insoluto del sig. risalente al periodo giugno 2009giugno 2016 compresi, il Giudice di primo grado ha erroneamente applicato con effetti retroattivi, l art. ‘ 2 sexies , 1° comma, D.L. 42/2016 e gli orientamenti espressi dal Consiglio di Stato nn. 838, 841 e 842 del 2016.
I motivi si esaminano congiuntamente, perché sono strettamente connessi, ed in parte ripetitivi: sono infatti diretti tutti a criticare la decisione, che non ha rinvenuto una norma idonea a giustificare la richiesta di contribuzione, pur in epoca anteriore alla vigenza del D.L. 42/2016, ritenendo, di conseguenza, illegittima la disciplina comunale che aveva equiparato al ‘reddito’ le provvidenze prive di connotazione reddituale. L’azienda appellante assume che così facendo il Giudice ha di fatto applicato retroattivamente il DL 42 del 2016, trascurando invece la rilevanza normativa della legge regionale 2 del 2003.
Tale giudizio non è condivisibile, e la decisione di primo grado va confermata, con la sinteticità consentita dal caso.
1)
Il Tribunale ha ricostruito il quadro normativo vigente al momento di erogazione delle prestazioni, a partire dal D.Lgs.109 del 1998 (istitutivo dell’ISEE) che stabiliva, al quarto comma dell’art. 2, che ‘ l’indicatore della situazione economica è definito dalla somma dei redditi , come indicato nella parte prima della tabella 1 ‘ e al comma 2ter dell’art. 3 ‘ limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave ‘ , rimandava ad un emanando decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (…) adottato (…) al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito ‘.
Il Tribunale ha ritenuto detta locuzione ‘ neutra ‘ , in relazione al tema oggi in contestazione, ovvero la possibilità o meno di includere la indennità di accompagnamento e la pensione di invalidità nell’ISEE, il che si condivide, atteso che il termine «situazione economica» è generico, atecnico, e non vale di per sé a negare né affermare la rilevanza, e quindi la inclusione, di provvigioni diverse dai redditi soggetti ad imposizione fiscale; il riferimento della norma alla «situazione economica del solo assistito » significa piuttosto che il legislatore ha inteso certamente escludere dalla valutazione le condizioni reddituali e patrimoniali del nucleo familiare, il che è ragione sufficiente a giustificare, in via interpretativa, la locuzione utilizzata.
2)
Quindi il Tribunale ha analizzato la novella introdotta con DL 201 del 2011, che al l’ art. 5 ( Introduzione dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglie ) prevedeva la emanazione di un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri demandando a questo la adozione di una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale; in effetti è stato emanato il DPCM del 5 dicembre 2013, n. 159 che al secondo comma dell’art. 4 espressamente disponeva che ‘ il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti: (…) f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito ‘.
Ha rilevato che il TAR Lazio ha annullato l’ art. 4, comma 2, lett . f ), DPCM n. 159/2013, assumendone la illegittimità (con sentenza n. 2458/15, confermata dal Consiglio di Stato, sezione IV, con sentenza n. 838 del 2016, v. anche le sentenze gemelle del Consiglio di Stato n. 841 e 842).
Ora, per effetto dell’annullamento la norma è necessariamente venuta meno: che l’art.4 costituisse norma regolamentare non è contestato, ed è comunque desumibile sia dall’epigrafe che dal contenuto, dell’articolo, evidentemente attuativo della legge, e innovativo rispetto all ordinamento giuridico ‘ esistente, perché con un precetto di carattere generale ed astratt o prevedeva che il ‘reddito’ di ciascun
componente il nucleo dovesse comprendere ogni trattamento previdenziale assistenziale ed indennitario, incluse carte di debito.
La conseguente pronuncia di annullamento, emessa dal TAR e confermata dal Consiglio di Stato, deve necessariamente spiegare effetti nei confronti di tutte le fattispecie concrete riconducibili alla previsione della norma caducata, salvo che tale effetto sia precluso dalla mancata impugnazione del provvedimento, emesso in attuazione del regolamento di cui si tratta, ovvero dal giudicato. Cass. civ., 1972 del 2000, 73 del 2014, 16905 del 2024.
3)
Ciò esposto, si osserva che l’appellante non pone a fondamento dei motivi di impugnazione la vigenza della legge 201 del 2011, e del suo regolamento attuativo, pacificamente annullato, ma il carattere direttamente precettivo del Dlgsvo 109 del 1998, e soprattutto della L.r. 2/2003 che all art. 49, comma ‘ 3, lett. b) sanciva la ″ previsione, quale criterio ulteriore, ai fini della valutazione della situazione economica equivalente dell’assistito, del computo di eventuali indennità di carattere previdenziale e assistenziale percepite dall’utente, considerate esenti ai fini IRPEF, da definirsi nella stessa direttiva, fatte salve le indennità di natura risarcitoria ″ . L’appellante osserva che l a norma regionale richiamata è stata abrogata solo dalla Legge regionale 10 dicembre 2019, n. 29, con efficacia ex nunc, e afferma che erroneamente il Tribunale non ha tenuto conto di tale disciplina, disapplicandola laddove avrebbe dovuto se del caso impugnarla per illegittimità avanti la Corte Costituzionale.
L’appellante r ichiama la normativa che consente al giudice ordinario di disapplicare un atto amministrativo, solo ove non sia conforme alla legge (art. 5 L. 2248/1865) e solo nel giudizio tra privati e, quindi, soltanto nelle controversie in cui la P.A. sia estranea. sostenendo che il giudice ha violato la regola, perché non ha tenuto conto della vigenza della legge regionale, e non ha tenuto conto neppure del l’art. 2 sexies , 3° comma, D.l. 42/2016, nella parte in cui statuisce che ″ Restano salve, fino a tale data ‘ – quella di decorrenza applicativa, ovvero dal 1.07.2016 -‘le prestazioni sociali agevolate in corso di erogazione sulla base delle disposizioni vigenti’ .
4)
Ad avviso della Corte questa critica è infondata: il Tribunale, infatti, ha fatto buon uso del potere di disapplicazione : in primo luogo ha premesso che nella vicenda l’Azienda ingiungente opposta ha agito per il recupero di un credito vantato iure privatorum , il che è indubbio, e trova conferma nella scelta di servirsi dello strumento monitorio. Quindi, dopo avere escluso il carattere precettivo del Dlgsvo 109 del 1998, ha anche escluso motivatamente (vedi pagg.6 e 7 della sentenza) la portata precettiva e cogente dell’art.49 comma 3 della L.R. dell’Emilia Romagna 2 del 2003, (come novellato dalla L.R. Emilia Romagna 24 del 2009), perché essa non regola direttamente la contribuzione degli assistiti ai costi, ma rinvia ad una successiva direttiva.
Si tratta di una valutazione fondata, dal momento che la norma regionale recita, nella parte di interesse: 1. La Giunta regionale, con propria direttiva, ……….omissis……….. , definisce gli indirizzi generali per il concorso da parte degli utenti al costo dei servizi sociali e socioeducativi, sulla base del principio di progressività in ragione della capacità economica dei soggetti, ai sensi dell’articolo 53 della Costituzione, e nel rispetto dei principi di cui al decreto legislativo n. 109 del 1998, ….. . 2. In via transitoria …… , sono previste forme di compartecipazione della persona assistita ai costi, non coperti dal Fondo regionale per la non autosufficienza, delle prestazioni relative ai servizi socio-sanitari a favore delle persone non autosufficienti anziane o disabili. 3. Nel rispetto dei principi di equità, omogeneità e progressività in ragione della capacità economica degli utenti non autosufficienti, nonché di quelli in materia di indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), con specifica direttiva della Giunta regionale, …… , sono definite le modalità di concorso da parte degli utenti al
costo alle prestazioni relative ai seguenti servizi socio-sanitari: assistenza domiciliare, servizi semiresidenziali e residenziali. La direttiva tiene conto dei seguenti criteri: a) applicazione, in via generale, dell’indicatore della situazione economica del solo assistito; b) previsione, quale criterio ulteriore, ai fini della valutazione della situazione economica equivalente dell’assistito, del computo di eventuali indennità di carattere previdenziale e assistenziale percepite dall’utente, considerate esenti ai fini IRPEF, da definirsi nella stessa direttiva, fatte salve le indennità di natura risarcitoria …..’ ; c) individuazione di limiti percentuali, differenziati per tipologia di servizio, della quota di redditi esenti a fini IRPEF, comunque incidenti sulla determinazione della contribuzione ai costi….
Il Giudice ha osservato che la direttiva attesa dalla Giunta Regionale per definire gli indirizzi generali ed i criteri di concorso degli assistiti non è stata poi emanata, il che è vero; la Corte in questa sede osserva che la Giunta Regionale ha comunque emanato le direttive prodotte fin dal primo grado dalla in particolare, per i servizi di assistenza oggetto della causa, di carattere semiresidenziale, ha emanato la direttiva 219 del 2010, che ha per oggetto gli accreditamenti e le tariffe da applicare per i servizi forniti del centro diurno socio-riabilitativo per disabili, e il relativo sistema di remunerazione del costo, a carico del Fondo Regionale per la Non Autosufficienza per la quota preponderante e a carico dei Comuni per la quota residua (tra il 20% e il 25%), con la precisazione che all’interno della quota a carico dei Comuni è da ricomprendersi il contributo a carico degli utenti.
In tale Direttiva 219, dando atto anche della possibilità di individuare elementi di flessibilità gestionale, è contenuta una delega al Comitato di distretto (il Comune o la Giunta dell’Unione) per le scelte di dettaglio, anche per la determinazione della contribuzione a carico dei cittadini e dei Comuni, da regolare in conformità a quanto indicato all’art 49 della L.R. 24 del 2009 : dunque la Direttiva della Giunta che specificasse gli indirizzi, non emanata, è stata in buona sostanza sostituita da una delega, il che è in via astratta pienamente legittimo, e conforme alle previsioni del titolo quinto della Costituzione , che in particolare all’art.118 riserva ai Comuni le funzioni amministrative, salvo che per assicurarne l’esercizio unitario siano conferite ad enti territoriali di maggiori dimensioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Vero è che il sistema non è stato nel suo complesso attuato correttamente, perché è mancata la formulazione, anche da parte degli enti delegati, dei criteri generali da applicare per pervenire alla definizione in concreto dei contributi: la stessa opposta, infatti non chiarisce in concreto quale sia stata la specificazione dei criteri per giungere al computo delle indennità di carattere previdenziale e assistenziale percepite dall’utente , ai fini del calcolo della contribuzione, secondo i parametri elencati più sopra.
Neppure i Regolamenti del Comune di Calderara e di contengono infatti tutti gli articolati criteri previsti al fine di pervenire ad un calcolo equo della contribuzione, in termini generali.
In difetto di una regolamentazione che consentisse di attuare la Legge Regionale e richiedere la contribuzione, negli anni anteriori, di fatto mancava il presupposto normativo della medesima; non rileva, quindi, al fine di sostenere le ragioni della azienda, il disposto del l’art. 2 sexies , 3° comma, D.l. 42/2016, nella parte in cui statuisce che ″ Restano salve, fino a tale data ‘ – quella di decorrenza applicativa, ovvero dal 1.07.2016 -‘le prestazioni sociali agevolate in corso di erogazione sulla base delle disposizioni vigenti’ : non vi erano infatti ‘disposizioni vigenti’ idonee a giustificare la contribuzione richiesta.
Dunque, la decisione di primo grado merita integrale conferma.
La complessità del dipanarsi della normativa , la previsione dell’art.49 della Legge Regionale, e l’orientamento largamente maggioritario in giurisprudenza, fino al 2013, che hanno indotto gli enti territoriali a ritenere in concreto pienamente legittima la richiesta del contributo, a fronte della erogazione di un servizio specifico di assistenza alla persona, (contributo pari, come rilevato senza
incorrere in contestazioni dal Tribunale, a 137 euro mensili ovvero il 5,07 % del costo sostenuto, di € 2577,80) giustifica la compensazione delle spese del grado.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
respinge l’appello e conferma la sentenza 2331 del 2021 del Tribunale di Bologna;
compensa le spese.
Ricorrono i presupposti di cui all’art.13 comma 1 quater DPR n.115 del 2002 per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello.
Bologna, così deciso nella Camera di Consiglio del 24 giugno 2025
Il Consigliere Relatore Il Presidente dott. NOME COGNOME dott. NOME COGNOME