Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9313 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9313 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
Oggetto
Comodato abitazione
─
Destinazione
dell’immobile
ad
familiare
─
Onere
della
prova
─
Fattispecie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30618/2021 R.G. proposto da NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv . NOME COGNOME (p.e.c.: pEMAIL);
-ricorrente –
contro
COGNOME Michele, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: racco@pec.it);
-controricorrente –
e nei confronti di
COGNOME NOME, NOME e NOME;
-intimati – avverso la sentenza n. 313/2021 della Corte d’appello di Reggio Calabria, depositata il 3 giugno 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
con ricorso ex art. 447bis cod. proc. civ. del 26 maggio 2018 NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME si rivolsero al Tribunale di Locri chiedendo fosse accertata la cessazione, per intervenuto recesso, del rapporto di comodato precario intercorso con NOME COGNOME in relazione ad immobile sito in Brancaleone (RC), giusta contratto del 5 febbraio 2016, con conseguente condanna dello stesso all’immediato rilascio e al risarcimento del danno;
dedussero che l’ immobile era indicato in catasto come deposito e che in contratto ne era previsto il godimento « per le comodità personali » del comodatario, il quale si era obbligato a restituirlo a richiesta;
il COGNOME resistette alla domanda deducendo che in realtà l’immobile non era stato mai adibito a deposito ma a civile abitazione; che vi abitava con la madre sin dal 1998; che successivamente il COGNOME, per l’affetto che nutriva nei suoi confronti, nel 2011/2012, aveva acconsentito a che ristrutturasse l’immobile per condurvi la famiglia che nel frattempo si era formato, con ciò stipulando un contratto di comodato gratuito ad uso abitazione familiare, da cui il comodante poteva recedere solo in presenza di un grave imprevedibile motivo; eccepì pertanto il carattere relativamente
simulato del contratto del 2016 e la non consapevole sottoscrizione dello stesso; sostenne che il riferimento in contratto alle « esigenze personali del comodatario » implicava autorizzazione all’uso per le sue esigenze familiari;
con sentenza n. 162 del 2019 l’adito Tribunale , in accoglimento della domanda , condannò il Messina al rilascio dell’immobile ed al pagamento in favore dei ricorrenti dell’importo di € 100,00 mensili a decorrere dal dicembre 2017 fino al rilascio dell’immobile, oltre interessi legali dalla scadenza dei singoli ratei al soddisfo;
pronunciando sul gravame interposto dal Messina la Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 313/2021, depositata il 3 giugno 2021, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda risarcitoria, in mancanza di prova del danno, confermando per il resto la sentenza impugnata, con integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio;
ha rilevato a fondamento che:
─ le parti avevano stipulato un contratto di comodato il 5 febbraio 2016, il quale prevedeva l’uso dell’immobile « per le comodità personali » del comodatario e l’obbligo di restituzione a semplice richiesta;
─ tale contratto era valido ed efficace: nessuna prova era stata chiesta per provare la dedotta simulazione, né era stata proposta azione di annullamento del contratto per errore;
─ anche se il Messina avesse utilizzato l’immobile come abitazione prima del 2016, ciò poteva essere interpretato come una tolleranza da parte dei proprietari e non costituiva una prova rigorosa della sussistenza di un contratto di comodato per uso abitazione;
─ in ogni caso, indipendentemente dalla tolleranza o dall’eventuale comodato ad uso abitazione precedente, con il contratto del 2016 le parti avevano stabilito un nuovo regolamento contrattuale, cui dovevano attenersi;
─ anche la missiva del 25 ottobre 2017, con la quale il comodante contestava l’uso non conforme dell’immobile e, allo stesso tempo, riconosceva che il Messina lo stava utilizzando come abitazione, poteva essere interpretata come (manifestazione di) mera tolleranza e non come prova di un nuovo contratto di comodato ad uso abitazione;
─ era d el pari infondata la domanda ex art. 1150 cod. civ. volta a paralizzare la domanda restitutoria avanzata dagli attuali appellanti, atteso che il comodatario che decida liberamente di affrontare spese di manutenzione, anche straordinaria, del bene, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante, anche se comportino miglioramenti;
avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione articolando quattro motivi, cui resiste NOME COGNOME depositando controricorso;
gli altri intimati sono rimasti tali;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; sia il ricorrente che il controricorrente hanno depositato memorie; considerato che:
con il primo motivo il ricorrente denuncia , con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., « nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione di norme di legge; art. 1809 e art. 1810 c.c.; art. 1414 c.c. », in relazione alla operata qualificazione del contratto come di comodato come precario;
lamenta che la Corte d’appello abbia:
─ travisato il contenuto delle difese e trascurato elementi probatori rilevanti, come la destinazione dell’immobile a casa familiare da molti anni prima della stipula del contratto del 2016;
─ improvvidamente escluso la natura parzialmente ( recte :
relativamente) simulata del contratto sottoscritto nel 2016;
─ erroneamente ritenuto che la lettera del contratto si ponesse in contrasto con la precedente destinazione a casa familiare;
─ omesso di considerare che, con la prolungata mancata opposizione dei comodanti, questi abbiano inteso acconsentire alla modifica del precedente accordo, riconoscendo la destinazione dell’immobile a soddisfare le esigenze abitative della famiglia;
sostiene che il contratto del 2016 era parzialmente simulato, dal momento che nascondeva il reale accordo tra le parti, che prevedeva l’uso dell’immobile come abitazione familiare;
il motivo è inammissibile;
come più volte chiarito da questa Corte, le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata; il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione; non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, primo comma, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, attività estranea all’esatta interpretazione della
norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass. 14/01/2019, n. 640);
nella specie, il motivo, pur dedotto sotto la veste formale della violazione e/o falsa applicazione di legge, pretende di sollecitare una nuova lettura del compendio probatorio esaminato dai giudici di merito, per addivenire ad un diverso apprezzamento della fattispecie concreta e deve pertanto ritenersi fuori del perimetro delimitante il sindacato del giudice di legittimità (Cass. 27/03/2024, n. 8272), avendo i giudici di merito accertato che: il contratto del 2016 non poteva non considerarsi valido ed efficace in mancanza di prova del suo dedotto carattere relativamente simulato ed in mancanza altresì di allegazione e prova di un vizio del consenso; il vissuto anteatto non dimostrava l’esistenza di un precedente contratto di comodato e comunque, quand’anche così potesse ritenersi, quello stipulato nel 2016 dava un nuovo assetto al rapporto, caratterizzato dalla mancata previsione, ancorché indiretta, del termine (c.d. comodato precario) e vincolante tra le parti; la lettera del 25 ottobre 2017 non costituiva prova di un diverso regolamento contrattuale;
tale motivazione è contrastata in ricorso in termini meramente oppositivi inidonei a rappresentare una conferente critica cassatoria, tanto meno sul piano della corretta interpretazione e applicazione delle norme giuridiche evocate;
con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., « omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; erronea disamina degli elementi probatori comprovanti la parziale simulazione del contratto di comodato sottoscritto nel 2016 »;
premesso che la prova del preesistente accordo circa la concessione del bene in comodato per soddisfare le esigenze familiari può essere data anche a mezzo presunzioni, sostiene che:
─ contrariamente a quanto sul punto rilevato dal giudice del
merito, tale prova avrebbe dovuto ricavarsi dalla circostanza che egli risiedeva nell’immobile, unitamente ai propri figli, già da molti anni prima della stipula del contratto del 2016;
─ se ne sarebbe dovuto anche desumere, di conseguenza, la natura relativamente simulata di quest’ultimo, che in nulla aveva mutato la regolamentazione dei rapporti tra le parti, se non nella mera dicitura che il comodato riguardava un bene indicato in Catasto Fabbricati alla particella 199, foglio 16, cat. C/2, e che lo stesso veniva consegnato al comodatario « nello stato di fatto in cui trovasi »;
─ la lettera del 25 ottobre 2017 prova che il comodante perfettamente sapesse trattarsi di casa familiare, così come inequivocabili in tal senso sono la certificazione storica circa la residenza e lo stato di famiglia di esso ricorrente;
il motivo è inammissibile;
anzitutto, e in via assorbente, per la preclusione che deriva -ai sensi dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. -dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo assolto l’onere in tal caso su di essi gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 28/02/2023, n. 5947; 15/03/2022, n. 8320; 06/08/2019, n. 20994; n. 22/12/2016, n. 26774);
in ogni caso, per la palese estraneità delle doglianze al paradigma dell’evocato vizio di omesso esame ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.;
lungi dall’indicare, nel rispetto degli oneri imposti dagli artt. 366 n. 6 cod. proc. civ., il fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che
abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), la doglianza si risolve nella sollecitazione di una mera rivalutazione del materiale istruttorio e in una contestazione meramente oppositiva della valutazione di merito operata dai giudici a quibus , peraltro con riferimento agli stessi elementi e argomenti qui reiteratamente proposti;
con il terzo motivo ─ rubricato « violazione o falsa applicazione di norme di legge; art. 115, 116 e 447bis comma terzo c.p.c. in ordine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti; omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti in giudizio, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c. » ─ il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia rifiutato di ammettere prove testimoniali e l’ispezione dell’immobile, nonostante la normativa permetta al giudice di disporre tali prove d’ufficio in qualsiasi momento;
anche tale motivo è inammissibile;
va ricordato che, secondo indirizzo che occorre qui ribadire, in controversia soggetta al c.d. rito locatizio ex art. 447bis cod. proc. civ. per la quale il giudice può avvalersi dei poteri d’ufficio di cui agli artt. 421 e 437 dello stesso codice, l’esercizio di tali poteri costituisce una facoltà discrezionale del giudice, come tale incensurabile in sede di legittimità, e tuttavia qualora di detta facoltà il giudice venga espressamente e specificamente richiesto di avvalersi, in caso di mancato accoglimento dell’istanza di parte sul punto deve essere resa una motivazione (Cass. 26/05/2004, n. 10128, Rv. 573151);
nel caso di specie il ricorrente omette di indicare, tanto meno nel rispetto dei detti oneri di cui agli artt. 366 n. 6 cod. proc. civ., se e in quale fase e con quale atto abbia sollecitato l’esercizio dei detti poteri e con riferimento a quali mezzi istruttori, né peraltro precisa quali siano state sul punto i provvedimenti e le motivazioni addotte dal
primo giudice e se sul punto egli abbia proposto specifico motivo d’appello;
quanto poi alla invocata violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., va ricordato che, secondo i criteri indicati dalla giurisprudenza di questa Corte (inaugurati da Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi, in motivazione non massimata, ma espressa, da Cass., Sez. U., n. 16598 del 2016 e, quindi, ex multis , da Cass. Sez. U. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’articolo 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art . 116 cod. proc. civ.;
s i è inoltre precisato che sussiste violazione dell’art . 116 cod. proc. civ. quando il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non ha operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure ancora, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; diversamente, ove si deduca che il giudice abbia solo male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui è ancora consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione, e dunque solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati
dalle stesse Sezioni unite nelle note sentenze Cass. Sez. U. n. 8053 e n. 8054 del 2014 (v. anche, quali successive conformi, Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34474; Cass. Sez. U. n. 20867 del 2020, cit.);
con il quarto motivo ─ rubricato « violazione o falsa applicazione di norme di legge; art. 1808, secondo comma, c.c.; omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti in giudizio; mancato accoglimento dell’appello in ordine al riconoscimento del diritto di ritenzione sino al pagamento per le spese di manutenzione straordinaria sostenute, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c. » ─ il ricorrente si duole del mancato riconoscimento del proprio diritto al rimborso delle spese di manutenzione straordinaria e necessaria sostenute per l’immobile e del connesso diritto di ritenzione;
lamenta che la Corte d’appello abbia immotivatamente escluso il diritto al rimborso delle spese sostenute, e il conseguente diritto di ritenzione, senza distinguere ─ in violazione dell’art. 1808, secondo comma, c.c. ─ tra spese generiche e spese necessarie e urgenti, quali -sostiene- la documentazione fotografica in atti dimostrava essere quelle sostenute;
il motivo è inammissibile per le medesime considerazioni svolte con riferimento al primo motivo;
anche in tal caso, lungi dall’individuare l’affermazione in diritto che si ponga in contrasto con la norma evocata, il motivo impinge esclusivamente nella ricognizione fattuale della stessa, introducendo questione fattuale (il carattere necessario e urgente delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa) che non risulta in alcun modo trattata nel giudizio di merito;
la memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis.1 , primo comma, cod. proc. civ., reitera le tesi censorie già esposte in ricorso e non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi ;
il ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
a tale attestazione non può ostare l’attuale condizione del ricorrente, risultante dagli atti, di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, occorrendo al riguardo rammentare che « il giudice dell’impugnazione, ogni volta che pronunci l’integrale rigetto o l’inammissibilità o la improcedibilità dell’impugnazione, deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per versamento di un ulteriore importo del contributo unificato anche nel caso in cui quest’ultimo non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venir meno (come nel caso di ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato); mentre può esimersi dalla suddetta attestazione quando la debenza del contributo unificato iniziale sia esclusa dalla legge in modo assoluto e definitivo » (Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315);
spetterà dunque all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.500 per compensi, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P .R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione