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Comodato familiare: la durata del contratto e i limiti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 573/2025, chiarisce la natura del comodato familiare. Un immobile concesso per esigenze abitative familiari non costituisce un comodato precario. La sua durata è intrinsecamente legata al persistere di tali esigenze, e il proprietario (comodante) non può richiederne la restituzione immediata se non per un bisogno urgente e imprevisto, come stabilito dalla legge.

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Comodato Familiare: Quando il Proprietario Non Può Chiedere la Restituzione dell’Immobile

Il comodato familiare è una figura contrattuale molto diffusa, ma spesso fonte di contenziosi. Si tratta della concessione gratuita di un immobile per soddisfare le esigenze abitative di un nucleo familiare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: questo tipo di contratto ha una durata implicita legata alle necessità della famiglia e non può essere risolto a semplice richiesta del proprietario. Analizziamo insieme la decisione per capirne la portata e le implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dalla richiesta del trustee di un fondo patrimoniale di ottenere la restituzione di un appartamento. L’immobile era stato concesso in comodato a un beneficiario affinché vi vivesse con la sua famiglia. Il trustee, ritenendo che si trattasse di un comodato precario (cioè senza una durata definita), aveva chiesto al beneficiario di liberare l’appartamento.

Di fronte al rifiuto, la questione è approdata in tribunale. Sia in primo grado che in appello, i giudici hanno dato torto al trustee. La Corte d’Appello di Torino, in particolare, ha stabilito che il contratto non era precario, ma finalizzato a soddisfare le esigenze abitative della famiglia. Questa destinazione d’uso conferiva al contratto una durata non predeterminata, ma desumibile dallo scopo stesso: finché persistono tali esigenze, il contratto resta valido. Il trustee ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica: Comodato Familiare o Precario?

Il cuore della controversia risiede nella distinzione tra due tipi di comodato disciplinati dal Codice Civile:

* Comodato con determinazione di durata (art. 1809 c.c.): La durata è stabilita esplicitamente o può essere dedotta implicitamente dall’uso a cui l’immobile è destinato. In questo caso, il proprietario può chiedere la restituzione anticipata solo in caso di un bisogno urgente e imprevisto.
Comodato precario (art. 1810 c.c.): Non è previsto un termine di durata e non è desumibile dall’uso. Il proprietario (comodante) può chiedere la restituzione del bene ad nutum*, cioè in qualsiasi momento e a sua discrezione.

Il ricorrente sosteneva che la generica destinazione a ‘vivere con la propria famiglia’ non fosse sufficiente a stabilire un termine, configurando così un comodato precario. Permettere il contrario, a suo avviso, creerebbe un diritto quasi reale a favore del comodatario, limitando eccessivamente il diritto di proprietà.

L’impatto della destinazione d’uso sul comodato familiare

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha seguito il suo orientamento consolidato, rafforzato da diverse pronunce delle Sezioni Unite. Ha affermato che quando un immobile viene concesso in comodato per essere adibito a casa familiare, la sua destinazione imprime al contratto un termine implicito. La durata del rapporto non è indefinita, ma è correlata al persistere delle esigenze abitative del nucleo familiare.

Questo significa che il rapporto cessa quando tali esigenze vengono meno (ad esempio, in caso di separazione, divorzio, o se la famiglia si trasferisce altrove). Fino a quel momento, il comodante non può arbitrariamente porre fine al contratto.

L’interpretazione delle clausole contrattuali

Nel caso specifico, il contratto conteneva una clausola che obbligava il comodatario a restituire l’immobile entro trenta giorni dalla richiesta. Secondo la Cassazione, questa clausola non trasforma il comodato familiare in un comodato precario. Va interpretata in modo coerente con la finalità del contratto: la richiesta di restituzione è legittima non per un mero capriccio del proprietario, ma solo al cessare della destinazione d’uso per cui il bene era stato concesso.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha spiegato che la destinazione di un immobile a casa familiare è di per sé incompatibile con un godimento incerto e revocabile ad nutum. L’esigenza di stabilità del nucleo familiare prevale, in questo contesto, sulla libera volontà del comodante. La giurisprudenza ha costantemente protetto questa finalità, ispirata a principi di solidarietà.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che il riferimento alla ‘vita della famiglia’ del comodatario, pur non indicando una data precisa, permette comunque di individuare un termine finale. Non si crea un diritto reale atipico, ma si riconosce semplicemente che il contratto è soggetto a un termine, sebbene incerto nel quando. La disciplina applicabile è quindi quella dell’art. 1809 c.c. (comodato con termine) e non quella dell’art. 1810 c.c. (comodato precario).

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione conferma un principio di grande importanza pratica. Chi concede un immobile in comodato a un parente o a un terzo per destinarlo a casa familiare deve essere consapevole che non potrà richiederne la restituzione a proprio piacimento. Il vincolo di destinazione impresso al bene ne determina la durata, che si estenderà fino a quando le esigenze abitative della famiglia non saranno venute meno.

Per il comodatario, questa pronuncia rappresenta una garanzia di stabilità. Per il comodante, invece, è un monito a ponderare attentamente le conseguenze prima di stipulare un contratto di comodato familiare, che comporta una significativa limitazione del proprio diritto di disporre liberamente del bene.

Quando un contratto di comodato per una casa viene considerato ‘comodato familiare’?
Un contratto di comodato viene considerato ‘familiare’ quando un immobile è concesso gratuitamente per soddisfare le esigenze abitative stabili di un nucleo familiare. La finalità di adibire l’immobile a casa della famiglia è l’elemento qualificante.

Il proprietario di un immobile in comodato familiare può chiederne la restituzione in qualsiasi momento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il proprietario (comodante) non può chiedere la restituzione a suo piacimento (ad nutum), perché la durata del contratto è implicitamente legata al persistere delle esigenze abitative della famiglia. La restituzione può essere richiesta solo se sopraggiunge un bisogno urgente e imprevisto del proprietario (art. 1809 c.c.) o quando vengono meno le esigenze abitative familiari.

Cosa succede se il contratto di comodato familiare contiene una clausola che prevede la restituzione ‘a richiesta’ del proprietario?
Anche in presenza di tale clausola, il contratto non diventa automaticamente un comodato precario. La Corte ha chiarito che tale clausola deve essere interpretata in coerenza con lo scopo del contratto. Di conseguenza, la richiesta di restituzione è legittima non per mera volontà del proprietario, ma solo al verificarsi della cessazione delle esigenze abitative familiari che avevano giustificato il comodato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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