Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17095 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17095 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14693/2024 proposto da:
, rappresentata e difesa dal l’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti; V.D.
-ricorrente –
-contro-
, rappres. e difesa dall’avv. NOME COGNOME per
procura speciale in atti; I.M.
-controricorrente-
-nonché-
;
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso la sentenza n. 1359/2023 emessa dalla Corte d’appello di Genova, depositata l’ 11.12 .2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Massa, nella sentenza di separazione n. 420/2019 dei coniugi e recepiva integralmente le conclusioni congiunte formulate da entrambi i coniugi con le quali il marito si era impegnato a corrispondere alla moglie la somma mensile di € 350,00 quale contributo per il mantenimento della figlia minore, oltre al 50% delle spese straordinarie preventivamente concordate tra i genitori, e si era altresì obbligato al versamento della somma mensile di € 500,00 in favore della moglie , ‘quale contributo al pagamento del canone di locazione dell’abitazione dove la stessa si sarebbe trasferita con la figlia minore’, avendo le parti in quella sede concordato che la casa coniugale rimanesse assegnata al marito, prevedendo tuttavia che qualora il non avesse ottemperato all’obbligo di versamento anche di un solo contributo mensile ammontante ad euro 500,00 stabilita quale contributo per il pagamento del canone di locazione mensile dell’abitazione dove la madre e la minore si sarebbero trasferite, l’abitazione un tempo destinata a casa coniugale, sita in RAGIONE_SOCIALE
sarebbe stata nuovamente assegnata alla madre, previa semplice richiesta al marito.
Intanto, introdotto il giudizio di divorzio, il Tribunale accoglieva il reclamo della vverso l’ordinanza presidenziale del Tribunale di Massa del 20/10/20 e per l’effetto, in parziale riforma della stessa, ripristinava a carico del l’obblig o di corrispondere alla reclamante la somma di € 500.00 mensili, quale contributo per il pagamento del canone di locazione in cui viv evano quest’ultima e la figlia minore. RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza del 27.1.2023, il Tribunale: 1) dichiarava la cessazione degli effetti civili dei matrimonio contratto dai suddetti coniugi in data 2.09.2006 in e trascritto nei registri dello stato civile di quel Comune; affidava la figlia minore congiuntamente ad entrambi i genitori, con collocazione abitativa prevalente presso la madre, e con diritto di visita del padre in accordo a quanto dettagliatamente indicato in parte motiva; 3) assegnava la casa familiare, sita in INDIRIZZO, alla 4) pone va a carico dell’ex marito l’obbligo di corrispond ere all’ex moglie la somma mensile di euro 250,00, rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT, a titolo di contributo al mantenimento della figlia, oltre al 50% delle spese straordinarie secondo le vigenti linee guida del CNF; 5) compensava integralmente tra le parti le spese del giudizio. O.V. I.M.
Avverso la predetta sentenza il proponeva appello impugnando unicamente il capo 3) relativo all’assegnazione dell’abitazione familiare alla Y.N. I.M.
Con sentenza dell’11.12.2023 la Corte territoriale rigettava l’appello e l’intervento di madre di e comproprietaria dell’immobile assegnato alla osservando che: premessi i principi dettati dalle Sezioni Unite nel 2014 in ordine al comodato familiareda inquadrare nell’ambito del comodato a tempo indeterminato, ma non riconducibile al comodato senza determinazione di durata (di cui all’art. 1810 cc) – che non ha un termine prefissato, ma è desumibile dall’uso c onvenuto (spettando al giudice valutare la sussistenza di un termine), con possibilità di risolverlo, ex art. 1809 cc, motivatamente in caso di bisogno, era da ritenere provato, valorizzando il comportamento concludente degli ex coniugi, protrattosi per 13 anni, che gli stessi avessero inteso trasformare il V.D. Y.N. I.M.
rapporto in comodato per soddisfare le esigenze della loro famiglia e che il primo pi ano dell’immobile in questione fos se stato considerato a tutti gli effetti casa coniugale anche al momento della separazione ; era da condividere appieno il ragionamento seguito dal giudice di primo grado laddove aveva evidenziato la rinuncia della all’assegnazione d ella casa familiare, pur trovandosi in una non rosea condizione economica, a fronte della prospettata percezione di un sostanzioso contributo funzionale a consentirle di condurre in locazione un altro immobile e sostenerne le relative spese, e che la sentenza di separazione avesse già previsto il diritto della moglie a trasferirsi nuovamente con la minore presso l’abitazione di INDIRIZZO in caso di inottemperanza del all’impegno assunto per la corresponsione del contributo funzionale a consentirle di far fronte al pagamento del canone di locazione di altro appartamento: il che è proprio ciò che si era verificato nel caso in esame, essendosi il reso inadempiente da tempo al citato obbligo tanto che la a subito lo sfratto per morosità dall’abitazione ove era andata a vivere in locazione con la figlia minore; né era stata allegata e dimostrata una sopravvenuta situazione di bisogno o di urgente necessità (ex art. 1809 cc) in capo all’interventrice o al che legittimasse la risoluzione del comodato. I.M. Y.N. Y.N. I.M. Y.N.
ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza d’appello, con sette motivi. resiste con controricorso, illustrato da memoria. Non si è costituito l’intimato al quale la ricorrente ha notificato il ricorso. V.D. I.M. Y.N.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 101 c.p.c. , in relazione all’art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360, 1° co. , n. 4, c.p.c., per aver la Corte distrettuale ritenuto che la ricorrente fosse intervenuta in
secondo grado aderendo alle difese dell’appellante, senza avvedersi che la stessa era intervenuta, ai sensi dell’art. 344 c.p.c., quale terzo legittimato a fare opposizione ex art. 404 c.p.c., incorrendo dunque nel vizio di violazione del contraddittorio , con la sostituzione d’ufficio di un intervento diverso -quello volto a « sostenere le ragioni di alcuna delle parti » ai sensi dell’art. 105, 2° co., c.p.c. a quello, formalmente proposto, di cui all’art. 344 c.p.c. del terzo legittimato a fare opposizione ex art. 404 c.p.c.; -nonché in una inesatta rilevazione del contenuto della domanda che ha comportato una errata individuazione del ‘ petitum ‘ e, dunque, una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 344, 404, 105, 2° co., c.p.c., ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3 e 4, c.p.c.. Al riguardo, la ricorrente lamenta che l’esercizio del potere d’interpretazione e qualificazione della domanda da parte della Corte distrettuale sia stato insufficientemente ed illogicamente motivato, laddove il giudice di seconde cure ha sostenuto che la sia « intervenuta volontariamente (…) aderendo alle difese dell’appellante », in un caso in cui, invece, la stessa è intervenuta, ai sensi dell’art. 344 c.p.c., quale terzo legittimato a fare opposizione ex art. 404 c.p.c., in assenza di un contratto di comodato, mai concluso, risultando titolare di un diritto autonomo e indipendente, qual è rispetto all’asserito diritto personale di godimento nel quale avrebbe dovuto subentrare l’assegn ataria il possesso titolato e diretto dell’intera unità immobiliare della quale era comproprietaria per la quota di ¾. V.D. I.M.
Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 111 cost. e 136 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., per aver la Corte d’appello rigettato le domande avanzate dalla ricorrente nella comparsa di costituzione quale terzo legittimato a fare opposizione ex art. 404 c.p.c.
esclusivamente esaminando e ritenendo infondati i motivi di appello avanzati dal figlio avverso il capo della sentenza di divorzio che aveva assegnato a l’abitazione asserita coniugale al tempo del matrimonio e richiesta da quest’ultima in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado; così incorrendo nel vizio di motivazione apparente, perplessa e obbiettivamente incomprensibile. RAGIONE_SOCIALE
Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c. , per aver la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sulle istanze di prova per interrogatorio formale e per testimoni, nonché sulla richiesta di consulenza tecnica, avanzate dalla ricorrente nella comparsa di intervento promosso ai sensi dell’art. 344 c.p.c. quale terzo legittimato a proporre opposizione a norma dell’art 404 c.p.c.
La ricorrente assume in particolare che le istanze istruttorie non esaminate riguardavano circostanze che con un giudizio di certezza avrebbero potuto condurre ad una decisione diversa da quella adottata (cfr. Cass. Civ., Sez.III, Sent., 29.2.2016, n. 3904), posto che erano volte a dimostrare, per un verso, che nessun contratto di comodato era mai stato concluso tra e essendosi costoro, in qualità di comunisti, limitati a stabilire le modalità del godimento dell’unità immo biliare, per l’altro, che il rapporto contrattuale di comodato, se effettivamente sorto, sarebbe, in ogni caso, cessato per consumazione del termine finale, nel momento in cui, con la sentenza di separazione del Tribunale di Massa n. 420/2019, pubblicata il 24 giugno 2019, l’ex moglie si fosse trasferita altrove. V.D. Y.N.
Al riguardo, la ricorrente soggiunge che il fatto che la abbia cessato, a far data dalla separazione, di abitare nella casa già coniugale -così come quello che non vi abitasse al momento dell’assegnazione I.M.
dell’abitazione da parte del Tribunale stante il disposto normativo dell’art. 337 -sexies , 1° co., 2° capoverso, c.c., costituiva fatto impeditivo rispetto al sorgere del diritto personale di godimento, posto che se il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio , quel medesimo diritto non può tra l’altro, risorgere qualora siano in essere, al momento della sua emanazione, le accennate co ndizioni di cui all’art. 337 -sexies , 1° co., 2° capoverso, c.c.
Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., ai sensi dell’ar t. 360, 1° co., n. 5, per aver la Corte distrettuale ritenuto sussistente un comodato c.d. familiare tra
e sulla base di un non precisato « comportamento concludente degli odierni ex coniugi protratto per 13 anni », che, a suo dire, consentirebbe di ritenere provato -in via presuntiva -che « gli stessi avevano inteso trasformare il rapporto in comodato per soddisfare le esigenze della loro famiglia e che il primo piano dell’immobile in questione era stato considerato a tutt i gli effetti casa coniugale anche al momento della separazione »; così incorrendo nel vizio di motivazione in ordine all’utilizzo del ragionamento presuntivo, stante l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, posto che dalla lettura della pronuncia non era dato comprendere: tra chi sussistesse il preesistente « rapporto », che gli ex coniugi « avevano inteso trasformare in comodato per soddisfare le esigenze della loro famiglia »; in che cosa consistesse tale « rapporto »; come potesse il comportamento concludente di una sola parte -qual è quella comodataria composta dagli ormai ex coniugi -trasformare un non meglio precisato « rapporto » in qualcosa di diverso, qual è il comodato c.d. familiare; quale rilevanza avesse, rispetto al V.D. Y.N.
terzo, il fatto che gli ex coniugi avessero, al momento della separazione, considerato il primo piano dell’unità immobiliare come casa coniugale; tali circostanze di fatto erano tutte nel senso di escludere che la fattispecie sottoposta all’attenzione della Corte distrettuale -che la stessa ha definito «rapporto» -fosse un contratto di comodato ex art. 1803 c.c.
In definitiva, la ricorrente conclude nel senso che, dalle circostanze fattuali richiamate si evinceva che e non avessero inteso concludere un contratto di comodato, essendosi gli stessi -comproprietari e compossessori -piuttosto limitati, per prassi costante, a governare le modalità del godimento dell’immobile : promiscuo, cioè caratterizzato dalla contemporanea partecipazione dei due comunisti al godimento di tutta la cosa, dalla morte di RAGIONE_SOCIALE
sino al matrimonio del figlio ; basato su di un criterio di divisione spaziale, a far data dal suddetto matrimonio e sino all’interv enuta separazione; di nuovo promiscuo, dalla separazione in avanti. Y.N.
Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 6° co., L. 1.12.1970, n. 898 in relazione all’ art. 337sexies , artt. 1803,1804, 1353, c.c., ai sensi dell’art. 36 0, 1° co., n. 3, c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto il rapporto contrattuale esistente anche al momento dell’assegnazione dell’abitazione alla in sede di divorzio, nonostante oltre tre anni prima fosse intervenuta la separazione personale dei coniugi, e la stessa si fosse trasferita ad abitare altrove, con conseguente cessazione del rapporto di comodato per consumazione del termine finale, così violando il principio consolidato secondo cui il provvedimento di assegnazione della casa familiare ex art. 6, 6° co., L. 1.12.1970, n. 898, in relazione all’ art. 337 sexies , 1° co., c.c, implica non solo che sussista, ma anche che I.M.
persista al momento dell’assegnazione un preesistente titolo idoneo al godimento dell’immobile.
A far data dal suddetto trasferimento dell’ex moglie -come allegato da e come dalla stessa chiesto di poter dimostrare mediante testimoni e interrogatorio formale -sarebbe ripreso il godimento promiscuo dell’immobile da parte di madre e figlio. V.D.
Ci si duole, infine, che la Corte distrettuale abbia ritenuto apoditticamente esistente tra madre e figlio un contratto di comodato, così invertendo l’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., spettando a chi domanda l’assegnazione della casa coniugale dimostrare la sussistenza di un preesistente titolo idoneo al godimento dell’immobile quale avrebbe dovuto essere, nel caso di specie, il contratto di comodato c.d. familiare e, dunque, dovendo gravare sulla richiedente l’assegnazione dell’abitazione coniu gale il rischio della mancata prova. Il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 6° co., L. 1.12.1970, n. 898;337sexies , 1230, 1325, 1803, 1809, 1362, 2697 c.c.ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., per aver la Corte d’appello qualificato quello definito un « rapporto » tra V.D.
e come un contratto di comodato, per poi ritenere « provato, valorizzando il comportamento concludente degli odierni ex coniugi, protrattosi per 13 anni, che gli stessi avevano inteso trasformare il rapporto in comodato per soddisfare le esigenze della loro famiglia e che il primo piano dell’ immobile in questione era stato considerato a tutti gli effetti casa coniugale anche al momento della separazione ». NOME
I primi tre motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono infondati.
La Corte d’appello ha sostanzialmente accomunato la posizione dell’ex marito e della madre, terza interventrice, argomentando dalla
sussistenza di un comodato familiare in ordine alla casa familiare, oggetto d’assegnazione dal giudizio di separazione, con provvedimento confermato in sede di divorzio.
Ora, il fatto che la Corte di merito abbia ritenuto che l’intervento fosse da qualificare come adesivo dipendente (per sostenere le ragioni del e non fondato sull’opposizione del terzo ex art. 404 cpc, c ome sostiene la ricorrente, non muta l’oggetto della deci sione, nel senso che la questione non è rilevante, né decisiva. Y.N.
La sentenza impugnata ha infatti accertato che: era da presumere che tra l’interventrice e il figlio, ex marito, fosse stato stipulato un comodato familiare avente ad oggetto la casa familiare, protrattosi per circa 13 anni; tale comodato non era scaduto per il fatto che l’ex moglie, insieme alla figlia minore, si fosse trasferita altrove, in quanto ciò era avvenuto sotto la condizione risolutiva del mancato contributo dell’ex marito al pagamento del canone di locazione dell’altra abitazione; non era stato dimostrato un urgente, imprevisto bisogno delle parti che giustificasse la risoluzione del comodato.
Pertanto, la prospettazione dell’opposizione di terzo non avrebbe potuto indurre a divers a conclusione, proprio perché la Corte d’appello non ha ravvisato i presupposti della caducazione del rapporto di comodato, per cui la terza interventrice non avrebbe comunque potuto opporre il titolo di comproprietaria della casa d’abitazione assegnata alla I.M.
Inoltre, la controricorrente ha eccepito il difetto d’interesse della ricorrente, in quanto la stessa non aveva mai utilizzato l’immobile assegnato, sito al primo piano, avendo sempre vissuta al pian terreno; in realtà, la Corte territoriale ha ritenuto, sul punto, che non era stato allegato e dimostrato un sopravvenuto, urgente bisogno dell’interventrice per ritornare nella detenzione dell’immobile.
Il quarto motivo è inammissibile, in quanto diretto a criticare la mancata ammissione di mezzi istruttori- sulla questione delle modalità d’uso della casa familiare – e a sindacare dunque il potere discrezionale del giudice.
Va osservato che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass., n. 30721/2024; n. 16214/2019; n. 5654/2017).
Nel caso concreto, i mezzi di prova non ammessi dal giudice di merito erano diretti, come detto, a dimostrare le particolari modalità di godimento della casa familiare tra i comproprietari, il figlio NOME
per inferirne che non era stato concluso un contratto di comodato con la con la conseguenza che il successivo trasferimento di quest’ultima avrebbe comportato la cessazione del predetto accorso sulle modalità di godimento del bene. Y.N. I.M.
Ora, la Corte d’appello ha ritenuto provato, valorizzando il comportamento concludente degli ex coniugi, protrattosi per 13 anni, che gli stessi avessero inteso trasformare il rapporto di godimento dell’immobile in comodato per soddisfare le esigenze della loro famiglia e che il primo piano fosse stato considerato a tutti gli effetti casa coniugale anche al momento della separazione.
Al riguardo, il collegio ritiene di aderire all’orientamento a tenore del quale il giudice di merito non è tenuto a respingere espressamente e
motivatamente le richieste di prova avanzate dalla parte ove i fatti risultino già accertati a sufficienza e i mezzi istruttori formulati appaiano, alla luce della stessa prospettazione della parte, inidonei a vanificare, anche solo parzialmente, detto accertamento (Cass., n. 15502/2009; n. 14611/2005).
E’ dunque evidente che la Corte di merito, con la suesposta motivazione, abbia implicitamente rigettato le istanze istruttorie della ricorrente, in quanto inidonee a sovvertire le argomentazioni adoperate sui fatti accertati e sulle conseguenziali deduzioni in diritto.
Il quinto motivo è inammissibile, in quanto diretto a contrapporre all’interpretazione della Corte territoriale sulla questione della configurabilità del comodato familiare tra l’ex marito e i genitori, una diversa interpretazione, fondata su argomentazioni presuntive circa diverse modalità d’uso dell’immobile da parte dei comproprietari.
Invero, la sentenza impugnata, sulla base della ricostruzione dei fatti, ha ritenuto presumibile, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, che la condotta delle parti, protrattasi per 13 anni, deponesse per il comodato familiare, dato che gli ex coniugi avevano vissuto per tale tempo presso l’immobile assegnato quale casa familiare.
La questione di diritto può riassumersi nelle seguenti osservazioni. ll comodato di un bene immobile, stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, ha un carattere vincolato alle esigenze abitative familiari, sicché il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento anche oltre l’eventuale crisi coniugale, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c., ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di
tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante (Cass., n. 27634/2023; n. 24618/2015).
Il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi (salva la concentrazione del rapporto in capo all’assegnatario, ancorché diverso) il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare. Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile per relationem , con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (nella specie, relative a figli minori) che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile (SU, n. 20448/2014).
Sesto e settimo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, so no infondati. Anzitutto, la Corte d’appello ha ritenuto che non fosse scaduto il termine del comodato, sulla base delle esigenze della minore e della madre, considerando che il trasferimento di quest’ultima presso altra abitazione non aveva comportato lo scioglimento del rapporto, attesa la condizione risolutivaespressamente pattuita in sede di accordi di separazione- del mancato contributo dell’ex marito al pagamento del canon e di locazione.
Invero, il giudice di secondo grado ha evidenziato che nei confronti della ra stata promossa la procedura di sfratto per morosità I.M.
a testimoniare il sopravvenuto mancato versamento delle somme occorrenti da parte dell’ex marito .
Pertanto, non può dirsi che il comodato si fosse sciolto per il venir meno dell’uso convenuto.
Ne consegue altresì l’infondatezza della critica afferente all’onere della prova, in quanto la munita del provvedimento d’assegnazione giudiziale, ha dimostrato la persistenza della destinazione dell’immobile in questione a casa familiare, allegando la circostanza dello sfratto per morosità e, dunque, del verificarsi della suddetta condizione risolutiva della rinuncia all’assegnazione della casa familiare, mentre la ricorrente non aveva allegato alcuna necessità di rito rnare in possesso dell’immo bile. I.M.
Al riguardo, giova anche rilevare che la rinuncia all’assegnazione (e dunque al godimento in comodato familiare del bene) sarebbe da considerare comunque nulla perché contrastante con l’interesse della minore, la quale, come riportato nella sentenza impugnata, aveva affermato di stare megli o presso l’abitazione dei nonni, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale.
Invero, in sede di valutazione della domanda di rilascio proposta dal comodante nei confronti del coniuge cui l’immobile è stato assegnato quale casa familiare, il giudice è tenuto ad accertare, ai sensi dell’art. 1810 c.c., che perduri, nell’interesse dei figli co nviventi minorenni (o maggiorenni non autosufficienti), la destinazione dell’intero bene all’uso cui è stato adibito, dovendo, in caso contrario, ordinarne la restituzione, quanto meno parziale (Cass., n. 2771/2017). Nella specie, infatti, è stato accertato che la minore avesse espresso l’esigenza di vivere presso l’abitazione dei nonni e, pertanto, una diversa casa familiare non sarebbe stata conforme al miglior interesse della stessa minore.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 3.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Dispone che ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile del 4