Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26367 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26367 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 6908/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Aversa (CE), alla INDIRIZZO, in persona legale rappresentante NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia in Venezia, INDIRIZZO, presso lo studio de ll’ AVV_NOTAIO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Venezia-Mestre, alla INDIRIZZO, in persona del AVV_NOTAIO Generale dottAVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia presso lo studio della prima in Roma, al INDIRIZZO.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5462/2019 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, pubblicata il giorno 02/12/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 19/09/2024 dal AVV_NOTAIO; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. RAGIONE_SOCIALE propose opposizione, ex art. 645 cod. proc. civ., avverso il decreto n. 1352/2012 ottenuto, nei suoi confronti, da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., con cui le era stato ingiunto il pagamento, in favore di quest’ultima, della somma di € 405.873,42. Dedusse che, nel gennaio 2009, aveva stipulato con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. un contratto-quadro di factoring e due contratti subordinati di conto corrente, preordinati alla contabilizzazione delle partite di dare e avere che sarebbero scaturite dalle operazioni che le parti avrebbero successivamente posto in essere. In forza di tali contratti, la RAGIONE_SOCIALE cedette a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. crediti da essa vantati nei confronti di Pubbliche Amministrazioni, tra cui la RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE, per l’esecuzione di appalti pubblici. L’amministrazione accumulò ritardi nei pagamenti e non riscontrò i solleciti della banca, la quale, nell’agire in sede monitoria, apprese che RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto il credito verso il RAGIONE_SOCIALE ed aveva promosso, – con iniziativa non comunicata alla banca una procedura monitoria nei confronti di quest’ultimo, raggiungendo dapprima un accordo di pagamento rateale e notificando, infine, il decreto ingiuntivo a fronte del parziale inadempimento del debitore. La banca intervenne nel giudizio di opposizione radicato dal RAGIONE_SOCIALE, rivendicando la propria esclusiva titolarità del credito, facendo rilevare la carenza di legittimazione attiva della cedente e, avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 10 del contratto di factoring , chiese alla RAGIONE_SOCIALE la restituzione delle anticipazioni e delle competenze maturate, per le quali,
successivamente, agì in via monitoria nei confronti della stessa ottenendo dal Tribunale di Venezia il suddetto decreto ingiuntivo n. 1352/2012.
1.1. Costituitasi RAGIONE_SOCIALE, l’adito tribunale, con sentenza n. 739 del 2015, revocò l’appena menzionata ingiunzione e condannò l’opponente al pagamento, in favore della banca predetta, della somma di € 386.523,42, oltre agli interessi (nella misura e con la decorrenza indicate nel decreto) ed alle spese di lite.
Il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso tale decisione fu respinto dalla Corte di appello di Venezia con sentenza del 14 ottobre/2 dicembre 2019, n. 5462, pronunciata nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a.
2.1. In particolare, quella corte rimarcò, innanzitutto, che, « Con riferimento alla doglianza oggetto dell’unico motivo di appello, il Tribunale ha rilevato che le commissioni di factoring e superfactoring , della cui applicazione si duole l’odierna appellante, devono essere considerate alla luce della particolare struttura del contratto di factoring , alla cui disciplina ed effetti non si attagliano i concetti di costo collegato all’erogazione del credito, rilevanti ai fini della determinazione del tasso usu rario. In base all’esame delle condizioni del contratto, il Tribunale ha rilevato che le commissioni di factoring e di plus factoring costituiscono remunerazioni di servizi accessori di natura non finanziaria, in quanto non rappresentano un costo collegato all’erogazione del credito, e quindi non sono rilevanti ai fini della determinazione del tasso usurario. Ai sensi dell’art. 644 cod. pen. per la determinazione del tasso di interesse usurario si deve tenere conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito ». Successivamente, richiamati i principi desumibili da Cass. n. 8806 del 2017, osservò che « L’appellante, per supportare le proprie doglianze, ha prodotto l’ordinanza del 04.06-23.06.2015 emessa dalla I Sezione di questa Corte nel procedimento R.G. n. 163/2015, promosso dalla RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito del quale è stata disposta c.t.u. volta a verificare se le commissioni di factoring e di plus factoring costituiscano, o meno, remunerazione di servizi
accessori di natura non finanziaria. Deve premettersi che nel presente giudizio l’appellante RAGIONE_SOCIALE si è limitata ad allegare e sostenere la natura usuraria delle commissioni applicate dalla RAGIONE_SOCIALE, senza tuttavia corredare di idoneo supporto tecn ico i propri assunti, sicché l’ammissione della c.t.u. -per la quale ha insistito anche nel presente grado -si conferma inammissibile per la sua natura esplorativa. . Deve inoltre osservarsi che la c.t.u. esperita nell’ambito del giudizio pendente ava nti a questa Corte richiamato dall’appellante ha escluso la riconducibilità delle commissioni ad oneri aggiuntivi rispetto alla remunerazione per l’anticipazione del credito, supportando la tesi della RAGIONE_SOCIALE relativa alla non inclusione delle stesse nel computo degli interessi, ossia degli oneri rilevanti ai fini delle verifiche dell’usurarietà dei tassi applicati. Dalla relazione tecnica prodotta dalla RAGIONE_SOCIALE risulta che in tale sede il consulente , con riferimento alle commissioni di factoring e di plus factoring pattuite dalle parti e applicate nel corso del rapporto, ha chiarito che le commissioni di factoring risultavano correttamente determinate applicando sul valore nominale del credito ceduto una percentuale flat , così come contrattualmente prevista, e che le commissioni erano state correttamente addebitate sul c/c ordinario a fronte delle cessioni di crediti. Le commissioni di plus factoring erano state correttamente determinate applicando sul valore nominale del credito ceduto una percentuale per mese o frazione di durata del credito, con addebito mensile decorsi 30 giorni dalla data scadenza, così come contrattualmente stabilito, ed erano state correttamente addebitate mensilmente sul c/c ordinario a fronte dello scaduto a 30 giorni dalla data della scadenza dei crediti ceduti. Ricostruendo tutti i movimenti risultanti dai conti correnti di anticipi factoring e ordinario e degli estratti sorti in dipendenza del rapporto di factoring , il c.t.u. è giunto alle stesse conclusioni cui è pervenuta la sentenza gravata, ossia che le commissioni di factoring e di plus factoring costituiscono remunerazioni di servizi accessori di natura non finanziaria, in quanto non rappresentano un costo collegato all’erogazione del credito. La tesi dell’appellante è risultata, pertanto, smentita dagli accertamenti peritali svolti nello stesso giudizio da essa richiamato per supportare le proprie
doglianze. Riguardo alle censure relative alle commissioni di massimo scoperto e agli interessi anatocistici, deve condividersi la tesi del Tribunale secondo la quale tali voci risultano essere state regolate nel contratto in conformità alle norme bancarie, e sono state correttamente applicate con riferimento alle pattuizioni delle parti ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due motivi. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a.
3.1. È stata formulata, da parte del AVV_NOTAIO delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« In relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione e falsa applicazione di norme di diritto – legge n. 108/1996, art. 644 c.p. – erronea interpretazione delle norme inerenti al collegamento dei costi del finanziamento al medesimo e loro rilevanza ai fini della determinazione del superamento della soglia usuraria – mancato utilizzo ed applicazione della presunzione di collegamento in caso di contestualità tra spesa ed erogazione ». Vengono contestate le argomentazioni con cui la corte distrettuale ha disatteso il gravame di RAGIONE_SOCIALE;
II) «Error in procedendo – nullità della sentenza per violazione delle disposizioni di cui all’art. 132 c.p.c. in relazione all’articolo 360, nn. 3 e 4, c.p.c. ». Si contesta la motivazione utilizzata dalla corte territoriale per disattendere la richiesta di c.t.u. dell’appellante.
Va rilevato, preliminarmente, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore: « Il ricorso è inammissibile anzitutto per difetto dell’esposizione sommaria dei fatti di causa di cui al numero 3 dell’articolo 366 c.p.c. Si tratta, secondo la giurisprudenza di questa Corte dei fatti della controversia, sia sostanziali sia processuali, i quali vanno esposti in quanto rilevanti per la decisione di legittimità e, in ogni caso, in
modo sommario, ossia riassuntivo. Vanno narrate dunque con adeguata sintesi le domande introduttive, le vicende del primo grado e del grado d’appello della decisione d’appello: il tutto, quale premessa per l’esposizione dei motivi del ricorso. Se manca l’e sposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato il ricorso è inammissibile (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308): tale mancanza -chiariscono le S.U. -‘non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si arti cola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione’. Nel cas o in esame il ricorso per cassazione si apre con un paragrafo dedicato allo ‘svolgimento del processo’ nel quale: i) si dà atto del decreto ingiuntivo di pagamento della somma di € 405.873,42, ma non si spiega neppure quale sia il titolo del credito vantato dalla banca: mutuo od altro finanziamento, scoperto di conto corrente o qualunque altro rapporto bancario che possa far sorgere un credito della RAGIONE_SOCIALE; ii) si deduce illiceità degli addebiti formulati a mezzo di commissioni ed oneri denominati commissione gestione factoring e commissione gestione plusfactoring (commissione chiamata così a pagina 2 del ricorso), senza che si spieghi neppure approssimativamente in che cosa dette commissioni consistessero, cosa prevedesse eventualmente un qualche contratto che tra le parti è pur immaginabile sia stato stipulato; iii) si lamenta che attraverso l’apertura di due diversi rapporti di conto corrente l’istituto di credito aveva eluso i limiti fissati dalla legge in materia di usura: ma come ciò sia potuto avvenire rimane assolutamente oscuro, e cioè l’espositiva non dice in proposito nulla altro che quanto si è appena trascritto; iv) si lamenta il computo di una commissione di massimo scoperto, senza che si sappia, come si diceva, neppure quando sia sorto il rapporto e quale sia la disciplina giuridica applicabile quoad tempus alla materia; v) si deduce, nel complesso, almeno per quello che riesce a comprendersi, che la banca avrebbe praticato tassi usurari, ma non si sa neppure quale fosse il tasso soglia e quale fosse il tasso invece, almeno in tesi, applicato. Insomma, la narrativa del ricorso manca
di indicazioni elementari per rendere comprensibile la vicenda sottoposta all’esame della Corte. In ogni caso, il primo mezzo è inammissibile perché non autosufficiente, dal momento che non riporta le clausole concernenti le predette commissioni di factoring e superfactoring (commissione chiamata così a pagina 4 del ricorso). Nell’ambito del motivo si discetta di un conto corrente e di un conto anticipi, senza che riesca a capirsi neppure lontanamente di che cosa si tratti e come ciò possa aver generato usura. Egualmente il secondo mezzo è inammissibile poiché la violazione dell’articolo 132 c.p.c. si verifica soltanto nelle quattro ipotesi elencate da Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053, nessuna delle quali ricorre nel caso di specie, essendo la sentenza impugnata dotata di motivazione che eccede il minimo costituzionale ».
2.1 Il Collegio condivide tali argomentazioni, che resistono ai rilievi formulati da parte ricorrente, ed osserva, inoltre, quanto segue.
Il primo dei descritti motivi si rivela complessivamente inammissibile anche alla stregua di quanto sancito, affatto condivisibilmente, dalla recente Cass. n. 32538 del 2023, richiamata anche dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta, pronunciatasi su questione del tutto analoga e di cui si riporta, per quanto di interesse, la relativa motivazione: assume « carattere decisivo, nel caso di specie, la rilevazione, da parte della corte d’appello, della riconducibilità delle richiamate commissioni di gestione e di garanzia (denominate commissioni factoring, plus-factoring, plafond pro solvendo) a finalità totalmente estranee allo scopo di finanziamento dell’odierna società ricorrente, avendo la corte territoriale motivatamente spiegato le ragioni della riconducibilità di quelle commissioni alla remunerazione di prestazioni connesse alla gestione dei crediti e alla relativa garanzia nei confronti dei debitori ceduti; e avendo dunque spiegato le ragioni dell’assoluta estraneità di quei corrispettivi al mero finanziamento della società odierna ricorrente; da tali premesse deriva l’evidente illegittimità della pretesa onnicomprensività dei calcoli proposti dalla parte odierna ricorrente, non potendo in nessun caso trattarsi le somme corrisposte a titolo di remunerazione per la prestazione di attività in nessun modo riconducibili a
fatti di finanziamento alla stregua di corrispettivi per i finanziamenti ricevuti; a tale specifico riguardo, varrà osservare come, con riferimento alla vicenda relativa alle spese di assicurazione sostenute dal mutuatario in relazione alla conclusione di un contratto di mutuo, questa Corte (cfr. Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3025 dell’1/02/2022, Rv. 663760 – 01) abbia ritenuto che, ai fini della valutazione dell’eventuale natura usuraria di un contratto di mutuo, devono essere conteggiate anche le spese di assicurazione sostenute dal debitore per ottenere il credito, in conformità con quanto previsto dall’art. 644, comma 4, c.p., essendo, all’uopo, sufficiente che le stesse risultino collegate alla concessione del credito. La sussistenza del collegamento può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova ed è presunta nel caso di contestualità tra la spesa di assicurazione e l’erogazione del mutuo ».
3.1. In forza di tali presupposti, come sottolineato anche dal Pubblico Ministero, il criterio destinato a dirimere in concreto la questione relativa alla considerabilità degli oneri imposti alla parte beneficiata di un finanziamento, ai fini del superamen to dei limiti previsti per la valutazione dell’eventuale natura usuraria dei corrispettivi richiesti, dev’essere identificato nell’esame del concreto collegamento tra l’imposizione di tali oneri e la concessione del credito, sicché, ogni qualvolta un simile collegamento sia in concreto ravvisabile, gli oneri comunque collegati alla concessione del credito valgono a concorrere alla verifica dell’eventuale superamento complessivo del tasso -soglia rilevante ai fini dell’usura, laddove, in caso contrario (ossia in assenza di tale concreto collegamento), l’imposizione di tali oneri rimane in ogni caso estranea a detta verifica.
3.1.1. Nella specie, la corte territoriale ha specificamente sottolineato come gli oneri convenuti tra le parti in relazione al rapporto negoziale oggetto di lite (variamente denominati commissioni factoring, plus-factoring, superfactoring ), non rilevassero ai fini della determinazione del tasso-soglia ai fini dell’usura, poiché detti oneri erano stati considerati dalle parti quali corrispettivi per lo svolgimento di servizi del tutto estranei al finanziamento concesso. Tali oneri, dunque, in quanto destinati ad assolvere ad una funzione del tutto diversa rispetto a quella degli interessi moratori (aventi lo
scopo di risarcire il danno derivante dal ritardo nell’adempimento dell’obbligazione di pagamento del canone), dovevano ritenersi esclusi dal computo del tasso-soglia, in quanto in nessun modo collegati alla concessione del credito.
3.1.2. In breve, la corte territoriale ha ritenuto, evidentemente sulla base dell’interpretazione dei testi contrattuali sottoposti al proprio esame, come gli oneri accessori imposti dalla concedente alla odierna ricorrente, in quanto non collegati alla concessione del credito, non concorressero alla determinazione degli oneri contrattuali complessivi rilevanti ai fini della verifica dell’eventuale superamento dei limiti dell’usura, da tanto desumendo il mancato travolgimento di tali limiti in considerazione delle restanti previsioni contrattuali.
3.2. In quest’ottica, peraltro, la censura è inammissibile perché, da un lato, difetta di autosufficienza, non riportando il contenuto delle clausole contrattuali riguardanti le commissioni de quibus ; dall’altro, mostra di non considerare che, come ancora recentemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 18079, 13621, 10786 e 2607 del 2024; Cass. nn. 30878, 13408, 13005 e 7978 del 2023; Cass. nn. 35787, 35041, 29860, 19146 e 15240 del 2022; Cass. n. 25909 del 2021; Cass. n. 25470 del 2019), il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio
dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr ., e plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018; Cass. n. 9461 del 2021; Cass. nn. 30878, 13408 e 7978 del 2023; Cass. nn. 2607, 10786, 13621 e 18079 del 2024).
3.2.1. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016).
3.2.2. Nel caso di specie, l’odierna ricorrente, lungi dal prospettare l’eventuale violazione, da parte del giudice a quo , dei criteri legali di ermeneutica negoziale imposti dalla legge, si è limitata ad orientare l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa censurata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito.
Inammissibile si rivela pure il secondo motivo di ricorso.
4.1. Innanzitutto, perché prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con
l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure ( cfr., e plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878, 27505 e 4528 del 2023; Cass. nn. 35832 e 6866 del 2022; Cass. n. 33348 del 2018; Cass. nn. 19761, 19040, 13336 e 6690 del 2016; Cass. n. 5964 del 2015; Cass. nn. 26018 e 22404 del 2014). In altri termini, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione ( cfr . Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018).
4.1.1. È sicuramente vero, peraltro, che, l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati ( cfr ., sostanzialmente, in tal senso, Cass. n. 39169 del 2021. Si vedano pure Cass., SU, n. 9100 del 2015; Cass. n. 7009 del 2017; Cass. n. 26790 del 2018). Tanto, però, non si rinviene nel motivo di ricorso in esame, il quale, per come concretamente argomentato, non consente di individuare, con chiarezza, le doglianze riconducibili agli invocati vizi, rispettivamente, ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., in modo tale da consentirne un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare quella teoricamente proponibili, al
fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse.
4.2. A tanto deve aggiungersi che la doglianza mostra di non considerare che la corte distrettuale ha chiaramente argomentato le ragioni fondanti il proprio convincimento in ordine alla mancata ammissione della invocata c.t.u., dovendosi qui ricordare che, come ripetutamente sancito dalla giurisprudenza di legittimità, il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste soltanto qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento ( cfr. , tra le più recenti, Cass. nn. 18079, 16117, 9807 e 6127 del 2024; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. nn. 26199, 1522 e 395 del 2021). Ne deriva che è possibile ravvisare una ‘ motivazione apparente ‘ solo nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano, diversamente da quanto accaduto nella specie, del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’ iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice, altresì precisandosi che un simile vizio deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva ( cfr . Cass. n. 16117 del 2024; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. n. 395 del 2021).
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di RAGIONE_SOCIALE deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente.
5.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
5.1.1. Vale rammentare, in proposito, che: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (cfr. Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. n. 16191 del 2024).
5.1.2. Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘ tenuta ‘, pur nella sua sinteticità, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 4.000 ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
5.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
p.q.m.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di RAGIONE_SOCIALE e la condanna al pagamento, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna la medesima ricorrente al pagamento della somma di € 4.000,00 in favore della costituitasi controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di RAGIONE_SOCIALE, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile