Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17149 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17149 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18441 R.G. anno 2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
Intesa Sanpaolo s.p.a. RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME domiciliat a presso l’avocato NOME COGNOME
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 206/2022 depositata il 21 gennaio 2022 della Corte di appello Milano.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 maggio 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Il 18 dicembre 2012 RAGIONE_SOCIALE e Veneto Banca s.p.a. ebbero a concludere sia un accordo denominato contratto di partecipazione, sia un contratto di distribuzione in esclusiva di prodotti assicurativi della prima società, che vedeva coinvolta la seconda società e altri istituti bancari facenti parte dello stesso gruppo. Col primo contratto RAGIONE_SOCIALE si obbligò, tra l’altro, e per quanto qui rileva, a sottoscrivere l’eventuale inoptato del prestito obbligazionario convertibile denominato Veneto Banca 5% 2013-2017 fino alla concorrenza di euro 21.500.000,00: impegno successivamente adempiuto. Fu convenuto che al ricorrere di determinate condizioni, qualora – come poi avvenne la banca avesse rimborsato anticipatamente il prestito obbligazionario attraverso un concambio in azioni, HDI avrebbe avuto il diritto di conferire mandato a Veneto Banca per la vendita di un certo numero di azioni a un prezzo prefissato; venne pure stabilito che, nel caso in cui la banca non fosse riuscita a dare esecuzione al mandato, essa avrebbe riacquistato, su richiesta di HDI, le azioni proprie rimaste invendute al corrispettivo convenuto. RAGIONE_SOCIALE si avvalse dei diritti ad essa assegnati contrattualmente, prima conferendo il mandato a vendere le azioni in suo possesso e poi, stante l’esito non fruttuoso dell’offerta dei titoli da parte di Veneto Banca, richiedendo alla stessa di procedere al loro acquisto al prezzo concordato. La banca non ottemperò all’impegno assumendo di non poter procedere al riacquisto delle proprie azioni in ragione della mutata disciplina per l’acquisto di azioni proprie, operazione che, in base al reg. (UE) 575/2013, necessitava di specifica autorizzazione.
RAGIONE_SOCIALE ha quindi evocato in giudizio innanzi al Tribunale di Milano Veneto Banca affinché, accertato l’inadempimento all’impegno
assunto con l’accordo del 18 dicembre 2012 quanto all’acquisto di azioni proprie, la convenuta fosse condannata al pagamento dell’importo di euro 16.348.892,00, pari al valore delle azioni da retrocedere, oltre interessi; in via subordinata ha domandato il risarcimento dei danni in misura non inferiore alla stessa somma.
Il processo è stato interrotto a seguito dell’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa nei confronti di Veneto Banca e riassunto anche nei confronti della cessionaria dell’impresa bancaria, Intesa Sanpaolo.
Con sentenza del 26 giugno 2019 il Tribunale di Milano ha dichiarato improcedibile la domanda proposta dall’attrice nei confronti di Veneto Banca e ha rigettato quella spiegata nei confronti della cessionaria Intesa Sanpaolo.
Nella resistenza delle due banche l ‘impugnazione p roposta da HDI avverso la decisione di primo grado è stata respinta dalla Corte di appello di Milano con sentenza pubblicata il 21 gennaio 2022.
RAGIONE_SOCIALE ricorre ora per cassazione facendo valere quattro motivi di censura. Resistono con controricorso Intesa Sanpaolo e Veneto Banca. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1351 e 2932 c.c., oltre che delle regole di ermeneutica di cui agli artt. 1362 ss. c.c.. La censura investe il tema nell’accertamento del collegamento negoziale esistente tra le diverse pattuizioni intercorse tra la ricorrente e Veneto Banca. Sostiene l’istante che il contratto di partecipazione andrebbe qualificato come contratto preliminare a mezzo del quale le parti assunsero l’obbligo di concludere, oltre al contratto di distribuzione, gli altri contratti, tra cui quello avente ad oggetto il prestito obbligazionario. L’istante n ega, dunque, che il richiamato collegamento fosse esistente.
La Corte di appello ha evidenziato che i contenuti dell’accordo di
partecipazione evidenziavano espressamente la finalità complessiva perseguita dalle parti con l’assetto negoziale: l’intendimento comune secondo il Giudice distrettuale era quello di realizzare, da un lato, importanti interessenze di HDI in Veneto Banca e, dall’altro, di consentire alla prima la diffusione di prodotti assicurativi attraverso la capillare presenza sul territorio della seconda. Osservato che il collegamento negoziale deve essere valutato in relazione ai contratti stipulati dalle parti considerati nella loro interezza, posto che il detto collegamento investe il profilo della causa concreta, la Corte di appello ha fatto proprio il convincimento espresso dal Giudice di primo grado, secondo cui i contratti collegati non erano funzionali all’esercizio dell’azienda bancaria, avendo ad oggetto partecipazioni societarie, mentre il debito della banca era «verso HDI quale azionista»: onde i contratti in questione risultavano esclusi dai rapporti giuridici, attivi e passivi, ceduti a Intesa Sanpaolo il 26 giugno 2017. Il Giudice del gravame ha precisato che l’art. 3.1.2 del contratto di cessione indicava tra le passività incluse i soli debiti di Veneto Banca inerenti e funzionali all’esercizio dell’attività bancaria , mentre l’art. 3.1.4 annoverava tra le attività escluse « i contratti di distribuzione, servicing e/o outsourcing» conclusi dalla banca; ha rilevato, inoltre, che il cit. art. 3.1.2 prevedeva che il « contenzioso pregresso », cui si estendeva la cessione, comprendeva « i contenziosi civili relativi a giudizi già pendenti alla data di esecuzione, diversi da quelli in corso con azionisti o voi obbligazionisti convertibili e/o subordinati ».
L ‘assunto della ricorrente, secondo cui l’accordo di partecipazione andrebbe qualificato come preliminare rispetto agli altri contratti conclusi tra Veneto Banca e HDI, non appare coerente con l’accertamento di fatto della Corte territ oriale, la quale ha individuato il collegamento funzionale dei negozi non già nella previsione delle modalità attraverso cui si sarebbe dovuto attuare il programma negoziale contenuto nell’accordo di partecipazione, quanto, piuttosto,
nella progettazione di una complessa operazione finalizzata a creare un rapporto di cointeressenza della banca con HDI e a veicolare l’offerta dei prodotti assicurativi della seconda (i quali sarebbero stati offerti nelle filiali di Veneto Banca). Del resto, non risulta – e la ricorrente non deduce, con la necessaria specificità – che nel corso del giudizio il collegamento negoziale sia stato allegato avendo riguardo alla relazione esistente tra l’accordo di partecipazione e i negozi che le parti avrebbero dovuto concludere in esecuzione di esso: il che assume rilievo ai fini dell’inammissibilità della censura , non potendosi questa basarsi su una situazione di fatto diversa da quella prospettata ed accertata nel giudizio di merito (Cass. 11 novembre 2015, n. 23045).
Per il resto, occorre considerare che gli accertamenti sulla natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale spettano al giudice del merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. 22 settembre 2016, n. 18585; Cass. 28 marzo 2006, n. 7074; Cass. 12 luglio 2005, n. 14611).
La società ricorrente contesta la correttezza dell’interpretazio ne contrattuale che la Corte di appello ha posto a fondamento dell’ affermazione circa l’esistenza di un collegamento funzionale dei negozi, assumendo che esso fosse solo occasionale. La censura è declinata lamentando la violazione e falsa applicazione « delle regole di ermeneutica di cui agli artt. 1362 ss. ». Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l ‘accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità nelle sole ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c.; pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme
asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 16 gennaio 2019, n. 873; Cass. 15 novembre 2017, n. 27136; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 9 agosto 2004, n. 15381). La doglianza non presenta il richiesto grado di specificità.
Il motivo è dunque inammissibile.
2. – Col secondo mezzo si oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 t.u.b. e degli artt. 1362 ss. c.c. in relazione all’interpretazione dell’art. 3.1.2 b) del contratto di cessione aziendale. Rileva la ricorrente che, in base a quest’ultima disposizione contrattuale, rientrerebbero tra le passività incluse le sole posizioni debitorie inerenti e funzionali all’esercizio dell’attività bancaria; osserva, in proposito, che nella clausola in questione il rapporto di inerenza e funzionalità riguarda l’esercizio dell’impresa bancaria, e non l’attività bancaria. Ciò avrebbe determinato l’errore consistente nell’affermazione per cui gli obblighi derivanti dai contratti conclusi non rientrerebbero tra le passività incluse nella cessione.
Anche tale motivo è inammissibile.
Esso si fonda sull’estrapolazione di un passaggio della m otivazione dell’impugnata sentenza e non tiene nella dovuta considerazione il completo portato della decisione impugnata, per la parte che interessa. L’esclusione del trasferimento della posizione debitoria afferente il riacquisto delle azioni di Veneto Banca nella titolarità di HDI è infatti da porre anche in relazione alla previsione convenzionale ─ che assume, in realtà, carattere decisivo ─ per cui il contenzioso pregresso di cui doveva rispondere Intesa Sanpaolo ricomprendeva « i contenziosi civili relativi a giudizi già pendenti alla
data di esecuzione, diversi da quelli in corso con azionisti o obbligazionisti convertibili e/o subordinati » (pagg. 9 s. della pronuncia), e alla regolamentazione dettata d all’art. 3 d.l. n. 99 del 2017, richiamato nella trattazione del secondo motivo di appello (pag. 10 della sentenza); norma che, alla lett. b), estromette dalla cessione « i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche ».
3. -Il terzo mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 d.l. n. 99 del 2017, convertito in l. n. 121 del 2017 in relazione all’art. 1362 c.c.. Deduce la ricorrente che la prestazione dedo tta in giudizio e rimasta inadempiuta non rientrerebbe tra i debiti ai quali si riferisce la norma di legge sopraindicata, in quanto essa HDI ha la qualifica di investitore professionale e il rapporto che ha dato origine all’obbligo della detta prestazione resta estraneo all’area di applicazione della normativa sui servizi di investimento. La società istante pare sostenere, in particolare, che l’esclusione di cui alla lett. b) dell’art. 3 opererebbe in presenza di una responsabilità della banca per violazione delle norme sulla prestazione dei servizi di investimento nella commercializzazione delle azioni e delle obbligazioni subordinate: responsabilità, questa, per l’appunto non configurabile, stante la qualità di investitore professionale ad essa riferibile.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha disatteso l’assunto dell’odierna ricorrente, secondo cui l’espressione « commercializzazione di azioni » presente nel contratto di partecipazione del 18 dicembre 2012 farebbe esclusivo riferimento alle operazioni relative alla negoziazione di titoli presso la clientela retail della banca. Ha spiegato il Giudice del gravame che la formulazione letterale dell’art. 3 d.l. n. 99/2017 e dell’art. 3.1.4 del contratto di cessione portava a ritenere che « il legislatore prima e le parti contrattuali successivamente escluso dal perimetro
della cessione tutte le operazioni di commercializzazione di azioni o i debiti della banca derivanti dalle operazioni correlate a servizi di investimento ». Secondo la Corte territoriale verrebbero così in questione « due categorie non necessariamente coincidenti – stante la locuzione ‘o’ – e che il perimetro delle passività escluse ».
L’art. 3, lett. b), d.l. n. 99/2017 configura due diverse fattispecie in cui il subentro del cessionario è escluso: come si è detto, la prima è riferita ai debiti derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni e obbligazioni subordinate e la seconda alle violazioni della normativa sulla prestazioni dei servizi di investimento concernenti le predette azioni e obbligazioni subordinate. La norma è da interpretare nel senso che esulano dalla cessione sia le prestazioni che le Banche venete erano tenute a porre in atto in favore degli azionisti e obbligazionisti subordinati, in conseguenza della commercializzazione dei detti titoli, sia il risarcimento del danno e la restituzione degli importi nascenti dalla violazione delle prescrizioni in materia di intermediazione finanziaria, ove la prestazione dei servizi di investimento riguardasse tali titoli azionari e obbligazionari. In conclusione, l ‘art. 3, lett. b) , configura due ipotesi distinte, dettando una previsione che, nella prima parte, è diretta ad escludere dalla cessione tutte le passività correlate alla negoziazione di azioni e obbligazioni subordinate (indipendentemente dal fatto che detta negoziazione sia avvenuta nel rispetto o nel mancato rispetto della normativa in tema di servizi finanziari). Non è possibile dunque sostenere che nella fattispecie in esame HDI potesse far valere nei confronti di Banca Intesa il diritto al rimborso delle proprie partecipazioni azionarie.
La scelta normativa, che penalizza indubbiamente gli azionisti, è del resto coerente con la direttiva quadro sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (dir. 2014/59/UE), visto che come osservato dalla Corte di giustizia, sebbene
vi sia un evidente interesse pubblico a garantire, in tutta l’Unione, una tutela forte e coerente degli investitori, tale interesse non può essere considerato come prevalente in qualsiasi circostanza sull’interesse generale consistente nel garantire la stabilità del sistema finanziario (Corte giust. UE 5 maggio 2022, Banco Santander , C-410/20, punto 36, citata dalla controricorrente Intesa Sanpaolo; Corte giust. UE 19 luglio 2016, Kotnik e a. , C- 526/14, punto 91; Corte giust. UE 8 novembre 2016, Dowling e a. , C 41/15, punto 54). E’ da sottolineare, in proposito, come, a norma dell’art. 34, par. 1, lett. a), della richiamata direttiva, gli azionisti dell’ente soggetto a risoluzione sono i primi soggetti a dover sopportare le perdite.
4. – Col quarto motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1285, 1286, comma 1, 1290, 1291, 1322, comma 1, 1353 e 1813, nonché dell’art. 3, lett. b), d.l. n. 99 del 2017. La ricorrente contesta l’affermazione della Corte di appello di Milano secondo cui la prestazione cui era tenuta Veneto Banca a seguito dell’esercizio da parte di essa ricorrente, dell’opzione put , consistente nel riacquisto delle azioni o nel procurarne l’acquisto da parte di terzi, non poteva qualificarsi come estintiva dell’obbligo di rimborso di un mutuo; rileva, in proposito, che le parti di un contratto di mutuo possono ben convenire modalità alternative di esecuzione della obbligazione di rimborso assunta dal mutuatario. Una seconda censura si dirige contro la statuizione di rigetto della domanda subordinata di HD, avente ad oggetto il risarcimento del danno. Si osserva in proposito, che la predetta domanda andava accolta in quanto la sua causa petendi non trovava fonte in un titolo contrattuale, ma in una disposizione di legge, in pa rticolare nell’art. 1290 c.c..
La prima doglianza investe la decisione impugnata con riguardo alla decisione assunta dalla Corte di Milano in merito al terzo motivo di appello, con cui la società oggi ricorrente aveva ribadito che il giudizio da essa promosso aveva ad oggetto il rimborso di un prestito, atteso
che, come esposto nell’atto di gravame, «nelle intenzioni delle parti ciò che si voleva convenire era un (eventuale) prestito da HDI a VR Veneto Banca, cartolarizzato in quanto rappresentato da titoli obbligazionari non subordinati e non un possibile acquisto da parte di HDI di un quantitativo di azioni Veneto Banca» . Sul punto, la Corte di appello ha anzitutto evidenziato che l’assunto si poneva in contraddizione con le conclusioni formulate da HDI nel giudizio di primo grado, ove era stato chiesto accertarsi « la violazione da parte di Veneto Banca dell’impegno all’acquisto di azioni proprie assunto con HDI ». Il Giudice distrettuale ha poi rilevato come HDI avesse sottoscritto un prestito obbligazionario convertibile che era stato a suo tempo rimborsato con le azioni di Veneto Banca di cui l’appellante aveva chiesto il riacquisto attraverso l’esercizio dell’opzione put : con la conseguenza che la stessa HDI doveva ritenersi azionista di Veneto Banca, onde restava escluso che il rapporto, inerente alla commercializzazione di azioni, fosse stato trasferito a Intesa Sanpaolo, giusta l’art. 3.1.4.b) del contratto di cessione.
La detta censura è inammissibile.
La ricorrente mira a confutare la ricostruzione della Corte di appello, secondo cui, come si è detto, il prestito obbligazionario venne rimborsato a HDI attraverso azioni di Veneto Banca, ragion per cui, secondo il Giudice distrettuale, al momento dell’esercizio dell’opzione put l ‘odierna ricorrente era da considerarsi azionista e il credito da essa fatto valere doveva dirsi relativo a « operazioni di commercializzazione di azioni». A fronte della tesi per cui il riacquisto delle azioni da parte di Veneto Banca rappresentava una delle diverse modalità alternative di esecuzione dell’originaria obbligazione di rimborso , piuttosto che una prestazione oramai indipendente dal prestito obbligazionario, oramai estinto, occorre evidenziare che HDI ha agito facendo valere l’inadempimento di Veneto Banca all’impegno al riacquisto di azioni di cui essa ricorrente era divenuta titolare: ipotesi, questa,
tipologicamente riconducibile alla fattispecie dei « debiti derivanti da o comunque connessi con le operazioni di commercializzazione di azioni » di cui all’art. 3.1.4 . b) (iv) del contratto di cessione; del resto, la ricorrente non fa questione dell’interpretazione delle condizioni contrattuali che disciplinavano il prestito obbligazionario convertibile, onde esula dalla doglianza in esame il tema dei possibili errori in cui fosse incorsa la Corte territoriale nel prendere in esame detta disciplina convenzionale.
La seconda censura del quarto motivo investe la questione, introdotta con domanda subordinata da HDI, relativa all’inadempimento all’obbligo di riacquisto di Veneto Banca, siccome produttivo di obbligazione risarcitoria: tale adempimento, secondo l’odierna ricorrente, era conseguenza della trasformazione della banca da società cooperativa a società per azioni, circostanza che aveva reso impossibile la prestazione per fatto imputabile al debitore. La Corte di merito ha evidenziato, al riguardo, che il credito risarcitorio andava accertato, nei confronti di Veneto Banca, all’interno della procedura concorsuale. Con riferimento alla posizione di Intesa Sanpaolo ha poi osservato che l’accertata esclusione della posizione debitoria dalla cessione del 26 giugno 2017 comportava il rigetto della domanda di risarcimento del danno.
Anche tale censura va disattesa.
La domanda subordinata della ricorrente, riprodotta nell’epigrafe della sentenza impugnata, si fondava sulla « responsabilità esclusivamente attribuibile a Veneto Banca » con riguardo all’ impegno di questa avente ad oggetto il riacquisto delle azioni. Si deve ritenere che la fattispecie dei « debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche », di cui al cit. art. 3, lett. b), d.l. n. 99 del 2017, ricomprenda anche i corrispondenti debiti discendenti dall’inadempimento della negoziazione
di quei titoli: se l’interesse del legislatore è quello di estromettere dai diritti ceduti quelli spettanti agli azionisti e obbligazionisti subordinati non ha fondamento razionale la distinzione tra le prestazioni spettanti a quei soggetti e le prestazioni vicarie esigibili in ragione della mancata esecuzione delle prime.
– Il ricorso è respinto.
– Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuna di esse, in euro 25.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione