Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23537 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23537 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 09594/2024
promosso da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 295/2023 pubblicata il 12/10/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 529/2019 il Tribunale di Campobasso rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla RAGIONE_SOCIALE contro l’ingiunzione di pagamento n. 417/2017 per € 70.905,03, emessa dallo stesso Tribunale a favore della RAGIONE_SOCIALE derivante da crediti afferenti ad un contratto di fornitura di materiale e nolo attrezzature per la manutenzione di strade.
La RAGIONE_SOCIALE proponeva appello contro tale decisione, affidato a due motivi di censura.
Con il primo motivo di gravame, l’appellante deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2967 c.c., per avere il Tribunale erroneamente ritenuto la mancanza di specifica contestazione della fornitura, delle fatture e dei documenti di trasporto depositati e dell’importo richiesto in sede monitoria, dando rilievo a tale contegno, valutato insieme alle risultanze della prova dichiarativa assunta, e per non avere considerato che la convenuta opposta non era stata in grado di dimostrare il quantum delle prestazioni asseritamente svolte.
Con il secondo motivo di gravame, l’appellante deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., 99, 112 e 115 c.p.c., poiché il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto valido il contratto di fornitura posto alla base del ricorso monitorio, mentre invece si trattava di un subappalto nullo, poiché privo della autorizzazione della stazione appaltante (RAGIONE_SOCIALE.p.a.) e della clausola di tracciabilità finanziaria, vertendo in tema di appalti pubblici.
Costituitasi l’appellata, la Corte d’appello respingeva il gravame.
Con riguardo al primo motivo di doglianza, la menzionata Corte rilevava che il giudice di primo grado aveva correttamente motivato in ordine a tutte le contestazioni proposte dall’attore, in particolare sulla ripartizione dell’onere probatorio, evidenziando che la convenuta opposta aveva prodotto il contratto di fornitura e allegato la relativa documentazione a supporto (fat-
ture e documenti di trasporto), su cui aveva fondato la domanda monitoria, senza che tale documentazione fosse stata disconosciuta o solo contestata in sede di opposizione, mentre l’opponente si era limitata a sollevare l’eccezione di nullità del contratto, sostenendo il collegamento del contratto di fornitura con un precedente contratto di subappalto del 14/09/2015, intercorrente tra le medesime parti, e facendo da ciò discendere la nullità dell’intero rapporto negoziale, perché sostanzialmente riconducibile ad un unico contratto di subappalto, privo della necessaria autorizzazione della Stazione appaltante, senza però fornire alcuna prova di tale eccezione.
Con riferimento al secondo motivo di gravame, la Corte d’appello ha evidenziato la differenza tra la nozione di contratto di subappalto (art. 118, comma 11, d.lgs. n. 163 del 2006) e quella di contratto di subfornitura (art. 1, comma 1,l. n. 192 del 1998), aggiungendo che, nella fattispecie, il contratto stipulato il 03/11/2015 non prevedeva che la RAGIONE_SOCIALE dovesse impiegare i mezzi necessari e la gestione a proprio rischio nell’esecuzione dell’opera commissionata dall’ente committente, né aveva ad oggetto un’attività che richiedeva manodopera e personale con costo superiore al 50% dell’importo dei lavori, consistendo, anzi, l’obbligazione assunta dalla RAGIONE_SOCIALE esclusivamente nella fornitura di materiale. La Corte rilevava che anche dall’istruttoria di primo grado era emerso che la RAGIONE_SOCIALE, in ossequio alle disposizioni contrattuali, si era limitata a consegnare il materiale richiesto dalla committente, e che l’unica manodopera posta in essere era stata quella dello scarico presso i cantieri, come pure era confermato dalle fatture, dall’ulteriore documentazione contabile in atti e dalle dichiarazioni dei testi COGNOME NOME e COGNOME sentiti nel giudizio di primo grado.
La Corte distrettuale rigettava l’eccezione di nullità del contratto anche sotto il diverso profilo della violazione dell’art. 3 l. n. 136 del 2010, ossia per mancanza della clausola di tracciabilità finanziaria, evidenziando che la
norma invocata non poteva trovare applicazione, non trattandosi di appalti pubblici, essendo i contraenti soggetti di natura privatistica che avevano concluso tra loro un contratto di fornitura, mentre la clausola di tracciabilità finanziaria, a riprova di quanto riportato, era stata inserita nel diverso contratto di subappalto del 14/09/2015 che disciplinava altre attività tra le medesime parti, aventi, invece, profili di natura pubblicistica, ma non oggetto del presente giudizio.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo di doglianza.
L’intimata si è difesa con controricorso.
Con decreto comunicato il 27/11/2024, il Consigliere delegato della Prima Sezione Civile ha formulato proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
Il 03/10/2024, la ricorrente ha depositato istanza di decisione ai sensi dell’art. 380 bis , comma 2, c.p.c., contenente anche argomentazioni in diritto.
È stata fissata adunanza in camera di consiglio per l’esame del ricorso. La controricorrente ha depositato memoria difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo e unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., oltre al vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello erroneamente escluso la ricorrenza di un collegamento negoziale tra una pluralità di contratti di subappalto, fornitura e distacco dipendenti tutti stipulati in stretta prossimità cronologica dalle parti RAGIONE_SOCIALE al fine di eludere il limite normativo della percentuale massima appaltabile ai sensi dell’art. 118 d.lgs. n. 163 del 2006 (nella formulazione ratione temporis vigente ) e, dunque, la autorizzazione
della Stazione appaltante RAGIONE_SOCIALE in spregio all’art. 21 l. n. 646 del 1982, con conseguente nullità dell’intero programma negoziale.
Secondo la ricorrente, la motivazione della decisione impugnata è radicalmente viziata, non avendo la Corte d’appello tenuto conto che l’eccezione di nullità investiva non solo, e non tanto, il contratto di fornitura in quanto tale, ma l’intero programma negoziale dato dal collegamento funzionale di questo contratto con quello principale di subappalto e di distacco, volto alla attribuzione di lavorazioni in favore della controricorrente in misura superiore alla percentuale massima subappaltabile, con conseguente nullità del rapporto anche in relazione alla quota di fatto subappaltata, ma non subappaltabile e, quindi, non autorizzata.
In ogni caso, ad opinione della RAGIONE_SOCIALE la menzionata Corte di merito è incorsa anche nel vizio di falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c., per avere considerato il contratto di fornitura del 3/11/2015 in termini del tutto atomistici, senza collocarlo nell’ambito di un più ampio contesto negoziale, teso ad attuare un programma ulteriore derivante dal collegamento funzionale di più contratti (ovvero quello di assegnare in subappalto -nell’ambito di una commessa pubblica – lavorazioni di fatto elusive della percentuale massima subappaltabile ratione temporis vigente e, dunque, della autorizzazione della Stazione appaltante), sebbene vi fossero elementi valutabili in tal senso, quali: la precisazione nel ricorso monitorio che il pagamento delle fatture relative alla fornitura fosse previsto mediante la cessione del credito della controricorrente nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE s.p.a. derivante dal contratto di appalto per cui la fornitura era stata effettuata; la contiguità temporale dei tre contratti (subappalto, distacco dei dipendenti e fornitura); il preventivo del 25/08/2015 e le risultanze delle prove orali.
Come sopra evidenziato, il 27/11/2024 il Consigliere delegato della Prima Sezione Civile ha formulato la proposta di definizione anticipata del ricorso, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
Il 03/01/2025 il difensore della ricorrente ha presentato istanza di decisione del ricorso, contenente anche argomentazioni in diritto.
L’unico motivo di ricorso è inammissibile per le dirimenti ragioni di seguito illustrate.
3.1. Com’è noto, l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o per vizio di motivazione (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 353 del 08/01/ 2025).
Nessuna delle due possibili censure, però, può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice.
In particolare, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici negoziali, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 19044 del 03/09/2010).
Con specifico riferimento alla deduzione del vizio di motivazione, occorre ricordare che, a seguito della modifica del testo dell’art. 360, comma 1, n.
5, c.p.c., intervenuta con la novella del 2012, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, che risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).
Ricorre, dunque, il vizio in questione, quando la decisione, benché graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020).
Ovviamente il controllo della motivazione del giudice di merito, nei limiti sopra indicati, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16526 del 05/08/2016).
3.2. Ove sia censurata l’interpretazione del contratto, dunque, la censura non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito, che sia esplicitato ed esplicato in modo comprensibile.
Come evidenziato nella proposta di definizione accelerata, ai fini della ammissibilità del motivo di ricorso, non è idonea la mera critica del convincimento espresso nella sentenza impugnata mediante la mera contrapposizione d’una difforme interpretazione, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (v. da ultimo Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 353 del 08/01/2025; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 13603 del 21/05/2019).
Deve, infatti, ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/ 2019; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021).
3.3. Nel caso di specie la ricorrente ha censurato l’interpretazione del contratto operata dalla Corte d’appello, senza indicare specificamente le ragioni per le quali avrebbero dovuto ritenersi violati i criteri ermeneutici e le norme di legge di riferimento, limitandosi ad evidenziare la mancata considerazione di elementi di fatto, ritenuti rilevanti dalla parte – ma non dal Giudice di merito, che ne ha esaltati altri, con una motivazione espressa e chiara – così risolvendosi la censura in una vera e propria contrapposizione dell’interpretazione negoziale offerta dalla parte a quella operata dalla Corte d’appello.
In conformità alla proposta di definizione del giudizio, il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
In applicazione dell’art. 380 bis c.p.c., vanno applicati il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c.
Com’è noto, infatti, la novità normativa – introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. n. 149 del 2022, a decorrere dal 18/10/2022 – contiene, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte costituita (art. 96, comma 3, c.p.c.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00 ( art. 96, comma 4, c.p.c.).
Risulta così «codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale, tant’è che la opzione interpretativa, sulla disciplina intertemporale, ne ha fatto applicazione -in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 del d.lgs. n. 149/2022 -ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1°.1.2023 per i quali non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio; anche ai fini della reattività ordinamentale, l’istituto integra il corredo di incentivi e di fattori di dissuasione contenuto nella norma in esame (che sono finalizzati a rimarcare, come chiarito nella relazione illustrativa al D. Lgs. n. 149/2022, la limitatezza della risorsa giustizia, essendo giustificato che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo)» (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023; Cass., Sez. U, Sentenza n. 28540 del 13/10/2023; conf. Sez. 2, Ordinanza n. 11346 del 29/04/2024).
Di siffatta ipotesi di abuso, già immanente nel sistema processuale, va esclusa una interpretazione che conduca ad automatismi, non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, sicché l’applicazione in concreto delle predette sanzioni deve rimanere affidata alla va-
lutazione delle caratteristiche del caso di specie (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 36069 del 27/12/2023).
Nondimeno, nell’ipotesi in esame non si rinviene alcuna ragione per discostarsi dalla suddetta previsione legale, essendo evidente la complessiva conferma della proposta di definizione anticipata rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso.
La ricorrente deve quindi essere condannata al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una ulteriore somma, equitativamente determinata in dispositivo, nonché al pagamento d ella somma di € 2.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite sostenute dalla controricorrente che liquida in € 5.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge;
condanna altresì la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento, in favore della controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 5.000,00;
condanna infine la ricorrente al pagamento in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c., di una somma pari ad € 2.500,00;
dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile