Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12834 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12834 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
Oggetto: collegamento negoziale interpretazione e qualificazione dei patti contrattuali -valutazione complessiva del comportamento delle parti – necessità.
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 17771/21 proposto da:
-) RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore ; COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME , tutti domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
-) RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia 12 maggio 2021 n. 280; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2015 la società RAGIONE_SOCIALE convenne dinanzi al Tribunale di Perugia la società RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME esponendo che:
-) per molti anni aveva condotto in locazione, ad uso commerciale, un locale di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE sito a Firenze;
-) scaduto il contratto, e non volendo la RAGIONE_SOCIALE perpetuare la locazione, il 27.6.2008 la RAGIONE_SOCIALE ed i quattro soci della RAGIONE_SOCIALE (NOME
COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME) stipularono un contratto preliminare di vendita delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE da essi detenute;
-) il contratto preliminare prevedeva che parte del prezzo sarebbe stata pagata dalla RAGIONE_SOCIALE in rate mensili e che il contratto definitivo sarebbe stato stipulato dopo tre anni, nel 2011;
-) contestualmente alla stipula del suddetto contratto preliminare di vendita, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE stipularono un contratto di comodato, in virtù del quale la prima concesse alla seconda l’uso (formalmente) gratuito dell’immobile per tre anni;
-) tuttavia, i promittenti venditori non adempirono gli obblighi scaturenti dal preliminare; in particolare non consegnarono alla società promissaria acquirente i documenti dimostrativi della regolarità urbanistica e catastale dell’immobile ;
-) scaduto il triennio di durata del contratto di comodato, ed essendo rimasta la COGNOME nella detenzione dell’immobile, la COGNOME aveva preteso il pagamento di una indennità mensile per l’occupazione di esso. Premessi questi fatti, la COGNOME formulò due domande:
la prima nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME rispetto ai quali chiese la pronuncia d’una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., la quale trasferisse la proprietà delle quote sociali della COGNOME COGNOME in vendita; tale domanda in corso di causa fu modificata in domanda di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare;
la seconda nei confronti della COGNOME COGNOME rispetto alla quale chiese una sentenza di accertamento negativo dell’obbligo della RAGIONE_SOCIALE di versare alcunché alla COGNOME a titolo di indennità di occupazione.
T utti i convenuti si costituirono eccependo l’incompetenza per territorio del Tribunale di Perugia; nel merito dedussero di avere fornito alla promissaria acquirente i documenti richiesti; che fu la RAGIONE_SOCIALE a sottrarsi all’obbligo di stipulare il contratto definitivo; che in seguito alla renitenza della RAGIONE_SOCIALE a comparire dinanzi al notaio nel giorno e nell’ora fissati per la
stipula del definitivo, i quattro promittenti venditori legittimamente erano receduti dal contratto preliminare, ai sensi dell’art. 1385 c.c..
Con sentenza 26.9.2017 il Tribunale di Perugia dichiarò risolto il contratto preliminare di vendita delle quote sociali per inadempimento dei promittenti venditori; dichiarò cessata la materia del contendere rispetto alla domanda di accertamento negativo (così la sentenza, p. 2; il ricorso a p. 3 parla di ‘rigetto’) .
La sentenza fu appellata da tutte le parti.
Con sentenza 12.5.2021 n. 280 la Corte d’appello di Perugia:
-) rigettò l’appello dei promittenti venditori;
-) accolse l’appello della RAGIONE_SOCIALE e dichiarò da questa non dovuta alcuna somma alla COGNOME Mir a titolo di indennità di occupazione. Per quanto qui rileva la Corte d’appello affermò che:
correttamente il Tribunale di Perugia ritenne sussistente la propria competenza ratione loci ; il contratto infatti doveva ritenersi concluso nel Comune di Torgiano (PG), sede della RAGIONE_SOCIALE , dove quest’ultima società aveva ricevuto a mezzo fax una copia del contratto sottoscritta dai quattro promittenti venditori, qualificata dalla Corte territoriale come ‘accettazione’;
correttamente il Tribunale aveva ritenuto sussistente l’inadempimento dei promittenti venditori, perché la ‘ rappresentazione catastale dell’immobile non corrispondeva alla situazione di fatto esistente al momento della stipula del contratto preliminare, con conseguente incommerciabilità del bene’ ;
dopo la scadenza del contratto di comodato, la RAGIONE_SOCIALE era rimasta legittimamente nel possesso dell’immobile, fidando nell’imminente stipula del contratto definitivo, poi non avvenuta per fatto e colpa dei promittenti venditori.
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione dalla RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME con ricorso unitario, con ricorso fondato su quattro motivi.
La Sinergy ha resistito con controricorso.
Ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo è denunciata la violazione degli artt. 1326 c.c.; 18, 19 e 20 c.p.c..
I ricorrenti sostengono che erroneamente è stata ritenuta dalla Corte d’appello la competenza per territorio del Tribunale di Perugia ai sensi dell’art. 20 c.p.c.. Formulano al riguardo una tesi che si può così riassumere:
-) se le parti di un contratto se ne scambiano a mezzo fax il testo, deve presumersi che l’accordo sia già stato raggiunto;
-) la trasmissione a mezzo fax del clausolario contrattuale, pertanto, non è equiparabile allo scambio di proposta ed accettazione;
-) di conseguenza la circostanza che la società RAGIONE_SOCIALE ricevette presso la propria sede a Torgiano, a mezzo fax, il testo del contratto, non consentiva di concludere che ivi il proponente avesse avuto notizia della accettazione, e che di conseguenza ivi si fosse concluso il contratto ex art. 1326 c.c..
1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 6, c.p.c..
Essa infatti si fonda su due documenti (gli atti scambiati a mezzo fax tra le parti) dei quali i ricorrenti non trascrivono né riassumono indirettamente (in questo secondo caso indicando la parte del documento oggetto dell’indiretta riproduzione) il contenuto essenziale, mentre, quanto al fax cui ha fatto riferimento la sentenza impugnata non ne forniscono la c.d. localizzazione.
1.2. Ad abundantiam , non sarà superfluo aggiungere che l a Corte d’appello ha accertato i seguenti fatti:
-) il rappresentante della RAGIONE_SOCIALE sottoscrisse il testo del contratto e ne inviò una copia a mezzo fax ai quattro promittenti venditori;
-) i quattro promittenti venditori sottoscrissero la copia già firmata dal rappresentante della Sinergy, e la inviarono a mezzo fax alla sede di quest’ultima.
Ha di conseguenza, qualificato il fax della RAGIONE_SOCIALE come ‘proposta’, e quello dei promittenti venditori come ‘accettazione’ (p. 4, penultimo capoverso, della sentenza impugnata).
L’art. 1326 c.c. non è dunque stato violato, perché la Corte territoriale ha ravvisato il luogo di conclusione del contratto in quello ove il proponente ha avuto notizia dell’accettazione ; né, del resto, i ricorrenti hanno formulato censure avverso l’interpretazione e la qualificazione dei due atti qualificati come prenegoziali dalla Corte d’appello.
Essi si sono limitati, su questo punto, a dedurre che ‘ lo scambio a mezzo fax di un contratto già concordato non costituisce proposta contrattuale’. Trattasi tuttavia di affermazione apodittica: stabilire se un qualunque scritto, con o senza elencazione dei patti contrattuali, costituisca o meno una ‘proposta’ è giudizio sintetico a posteriori, non analitico a priori. Non è esatto affermare a priori che un certo documento non sia una proposta sol perché contenga i patti contrattuali; è possibile solo a posteriori , avuto riguardo al contenuto di quel documento ed alla condotta delle parti, stabilire se costituisca un invito a trattare, una puntuazione, una proposta contrattuale.
Col secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto sussistente il loro inadempimento. Prospettano la violazione degli artt. 244 e 253 c.p.c.; 1455 e 2697 c.c..
Il motivo, se pur formalmente unitario, contiene plurime censure così riassumibili:
la Corte d’appello ha ricavato la prova della difformità urbanistica dell’immobile già condotto in locazione dalla Sinergy dalla prova testimoniale, là dove una difformità urbanistica è un giudizio e non può essere domandato ad un testimone, ma poteva desumersi solo da una consulenza d’ufficio ;
la consegna della documentazione catastale non formava oggetto d’una clausola risolutiva espressa , sicché la mancata consegna di essa non legittimava la risoluzione del contratto;
la suddetta documentazione era stata comunque offerta a maggio del 2012, e quindi il non averla tempestivamente fornita non costituiva un inadempimento ‘ grave ‘ ex art. 1455 c.c. , idoneo come tale a giustificare l’ accoglimento della domanda di risoluzione; tanto più in un caso in cui oggetto del contratto preliminare non era l’immobile, ma solo le quote d’una società di capitali. Osservano i ricorrenti che il giudizio di ‘non scarsa importanza’ dell’adempimento ex art. 1455 c.c. deve essere rispettoso di vari parametri, tra i quali: a) l’accertamento che l’inade mpimento sia tale da rendere inutile l’esecuzione tardiva; b) la comparazione delle circostanze dell’inadempimento rispetto alla natura ed all’oggetto del contratto.
2.1. La censura sub (a) è inammissibile perché investe la valutazione delle prove.
È comunque anche infondata, perché il riferire se la planimetria d’un immobile corrisponda alla sua consistenza reale non è un giudizio. E comunque, quand’anche avesse costituito un giudizio, non risulta che in primo grado sia stata eccepita l’ inammissibilità del relativo capitolo di prova, né che il giudizio di ammissione di quella prova abbia formato oggetto di impugnazione.
Pertanto, una volta ammesso senza contestazioni un certo capitolo di prova testimoniale, in tesi inammissibile, non può ascriversi a vizio della sentenza l’utilizzo, ai fini della ricostruzione dei fatti, delle risposte date dal testimone a quel capitolo.
La censura è, inoltre, infondata perché la prova della difformità tra mappe catastali e stato di fatto dell’immobile è stata desunta dalla Corte d’appello anche da prove documentali e non solo testimoniali.
2.2. La censura sub (b) è manifestamente infondata, e forse temeraria. La risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. esige soltanto che l’inadempimento sia ‘di non scarsa importanza’, e dunque non v’era
necessità, per dichiarare il contratto risolto, che la consegna dei dati catastali aggiornati formasse oggetto d’una clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c..
2.3. La censura sub (c) è inammissibile.
I ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 1455 c.c.. Ma, da un lato, lo stabilire se un inadempimento sia o non sia ‘di non scarsa importanza’ ai fini della pronuncia di risoluzione del contratto costituisce un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità; dall’altro lato, quel che più rileva, la scarna illustrazione di questa censura (p. 11, secondo capoverso, del ricorso) si riduce ad una serie di enunciazioni astratte di princìpi di diritto, non correlate al caso concreto. I ricorrenti, d’altro canto, si disinteressano della motivazione enunciata dalla sentenza alle pagg. 6-7 e a tale disinteresse non può supplire questa Corte procedendo ad un esame d’ufficio degli atti evocati da essa in difetto di attività di critica dei ricorrenti e, dunque, di una censura.
Col terzo motivo è denunciata la violazione degli artt. 1362, 1366, 1374, 1375 e 1385 c.c..
Questo motivo investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha condannato i promittenti venditori alla restituzione del doppio della caparra. L’illustrazione del motivo si può così riassumere:
-) nel contratto preliminare di cessione di quote fu stabilito che la promissaria acquirente avrebbe versato ai promittenti venditori una caparra di euro 432.000, divisa in 36 rate mensili di euro 12.000 ciascuna;
-) contestualmente, la COGNOME COGNOME concesse l’immobile in comodato (formalmente) gratuito alla Sinergy per tre anni;
-) la valutazione unitaria dei due negozi, chiaramente collegati, avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello a ritenere che la somma qualificata dalle parti come ‘caparra’ in realtà tale non era, ma rappresentava il corrispettivo del godimento dell’immobile per il triennio intercorrente tra la stipula del preliminare e quella del definitivo, corrispettivo che sarebbe stato imputato a diffalco del prezzo d’acquisto;
-) pertanto, non essendo stata pagata dalla promissaria acquirente nessuna caparra, i promittenti venditori non potevano essere condannati a restituirne il doppio.
3.1. Il motivo è fondato.
La Corte d’appello ha confermato la condanna dei promittenti venditori al pagamento di euro 864.000, osservando: ‘ il chiaro tenore letterale del contratto preliminare che l’acconto di euro 432.000 veniva versato a titolo di caparra confirmatoria’ .
La Corte d’appello, dunque, si è arrestata alla lettera del contratto preliminare di vendita delle quote societarie.
Ha dunque trascurato sia l’esistenza del parallelo contratto di comodato; sia la singolare modalità di pagamento d’una caparra dilazionata in tre anni; sia la circostanza che il rateo della ‘caparra’ fosse pari al canone fino ad allora pagato dalla RAGIONE_SOCIALE per la locazione del medesimo immobile.
Così giudicando , la Corte d’appello ha effettivamente violato l’art. 136 2, secondo comma, c.c., per non avere tenuto della condotta complessiva delle parti.
Col quarto motivo è prospettata la violazione degli artt. 1227 e 1460 c.c.. Il motivo investe il capo di sentenza col quale in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla Sinergy la Corte d’appello ha statuito che nessuna indennità d’occupazione era dovuta dalla Sinergy alla Pico Mir, per il periodo di tempo nel quale la prima rimase nel possesso dell’immobile tra la scadenza del comodato (novembre 2011) e la riconsegna (giugno 2012). Osservano i ricorrenti che delle due l’una:
-) se si privilegia l’apparenza, la RAGIONE_SOCIALE deteneva l’immobile a titolo di comodato; sicché, una volta scaduto il comodato, la sua occupazione era divenuta sine titulo , e per ciò solo era tenuta al pagamento d’una indennità di occupazione;
-) se si privilegia la sostanza, la RAGIONE_SOCIALE deteneva l’immobile a titolo di locazione (ovvero, in subordine, di vendita a rate o rent to buy che dir si
voglia); sicché in questo caso il pagamento del corrispettivo per il godimento sarebbe stato dovuto sino alla riconsegna.
4.1. Il motivo è fondato.
La Corte d’appello doveva stabilire se la RAGIONE_SOCIALE, rimasta sei mesi nel possesso d’un immobile dopo la scadenza del comodato, dovesse pagare alcunché alla COGNOME COGNOME proprietaria dell’immobile.
Lo ha escluso dichiarando di ritenere ‘fondati’ gli argomenti svolti dall’appellante incidentale Sinergy, e cioè:
scaduto il contratto di comodato, la RAGIONE_SOCIALE poteva restare nel possesso dell’immobile senza pagare alcunché ‘ex art. 1460 c.c.’;
se la RAGIONE_SOCIALE avesse rilasciato subito l’immobile, ciò avrebbe ‘ aggravato gli oneri a carico degli inadempimenti venditori, venendo meno all’onere prescritto dall’art. 1227 c.c. ‘.
La Corte d’appello ha ritenuto fondati tali argomenti con la seguente motivazione: ‘ il contratto di comodato era strettamente collegato al contratto preliminare di cessione delle quote, in quanto era evidente la volontà delle parti di garantire la permanenza della RAGIONE_SOCIALE fino alla stipula del contratto definitivo’.
4.2. Trattasi di motivazione imperscrutabile e perciò incomprensibile.
In primo luogo, è fuori luogo il richiamo all’art. 1460 c.c., dal momento che non risulta mai sollevata formalmente dalla RAGIONE_SOCIALE una eccezione di inadempimento (cfr. la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c., depositata dalla RAGIONE_SOCIALE).
In secondo luogo, il creditore dell’obbligazione di restituzione dell’immobile era la Pico Mir, mentre i debitori dell’obbligo di stipulare il contratto pr eliminare erano i soci di essa. La Corte d’appello ha dunque ammesso la possibilità di sollevare l’eccezione di inadempimento nei confronti di persona diversa dal creditore della controprestazione.
In terzo luogo, quel che più rileva: l’eccezione di inadempimento serve a paralizzare la domanda di esecuzione del contratto, ma nel caso di specie la
NOME COGNOMEformalmente comodante) non ha mai formulato una simile domanda.
4.3. Non meno incomprensibile è il richiamo all’art. 1227 c.c..
La Corte d’appello, condividendo sul punto il corrispondente motivo d’appello, in sostanza ha ritenuto che l’occupante sine titulo d’un immobile nulla debba al proprietario se, rilasciandolo, l’occupante patisca un danno del quale il proprietario dovrà rispondere.
Trattasi d’un perfetto esempio d’aporia zenoniana, in quanto :
a) se al momento della richiesta di rilascio d’un immobile da parte del proprietario la restituzione è effettivamente dovuta e non avviene, l’ occupante stesso versa in una condizione di illegittimità, e per ciò solo nessun risarcimento potrebbe mai pretendere per effetto del rilascio forzoso: in tal caso dunque l’art. 1227 c.c. non viene in gioco;
b) se al momento della richiesta di rilascio d’un immobile da parte del proprietario la restituzione non è dovuta, ciò non scioglie il problema dell’indennità d’occupazione, in quanto la legittimità dell’occupazione non ha per corollario la gratuità della stessa.
Nell’uno come nell’altro caso, pertanto, il riferimento alla ‘condotta colposa del creditore’ ex art. 1227 c.c. compiuto dalla Corte d’appello per motivare la propria decisione ha costituito una falsa applicazione di tale norma.
4.4. Una perfetta tautologia, infine, è il secondo capoverso del foglio 8 della sentenza d’appello.
Ivi in sostanza si afferma che era volontà delle parti lasciare la RAGIONE_SOCIALE nel possesso dell’immobile sino alla stipula del contratto definitivo, e quindi ‘ la RAGIONE_SOCIALE è rimasta nel legittimo possesso dell’immobile ‘.
Il che significa null’altro che spiegare un concetto col concetto stesso.
Il punto di diritto che la Corte era chiamata a stabilire, infatti, non era se la detenzione dell’immobile fosse legittima nel momento in cui ebbe inizio, ma era stabilire se per quell’occupazione fosse dovuto un compenso al proprietario anche per il periodo di tempo successivo alla scadenza del
rapporto formalmente qualificato come ‘comodato’ : valutazione che è sostanzialmente mancata nella sentenza impugnata.
4.5. Spetterà al giudice del rinvio sanare le mende sopra evidenziate, in particolare: a) qualificando sub specie iuris il rapporto intercorso tra tutte le parti alla luce del loro comportamento complessivo e degli interessi concretamente perseguiti; b) motivando in modo esaustivo sulla natura giuridica del pagamento qualificato dalle parti come ‘caparra’; c) motivando in modo esaustivo sulle ragioni per le quali riterrà che sia o non sia dovuta l’indennità di occupazione domandata dalla società proprietaria dell’immobile.
Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso;
(-) accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile