Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23777 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23777 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21990/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (domicilio digitale PEC: EMAIL
-ricorrente-
contro
COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME quale tutrice di NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (domicilio digitale PEC: EMAIL
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 390/2020 depositata il 19/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/03/2025 dal Consigliere
TIZIANA MACCARRONE.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano concluso in data 29.1.2000 un contratto preliminare con cui il primo aveva promesso di cedere al secondo un immobile in Monopoli, INDIRIZZO e NOME COGNOME aveva promesso di acquistare il bene e di cedere in permuta parte di quanto avrebbe edificato sul suolo, previa demolizione del fabbricato esistente. In data 14.2.2001 erano stati stipulati tra le stesse parti due contratti modificativi del precedente preliminare, consistenti: in una compravendita con cui NOME COGNOME alienava a NOME COGNOME con riserva di proprietà, l’immobile in Monopoli, già oggetto del precedente preliminare, al prezzo di € 270.000,00, di cui € 50.000,00 già versati al momento della stipula; in un contratto preliminare con cui NOME COGNOME prometteva di vendere a NOME COGNOME gli stessi immobili oggetto di permuta in base al precedente contratto preliminare, per un corrispettivo di € 220.000,00 oltre IVA. Sempre in data 14.2.2001 i due contraenti avevano sottoscritto una ‘dichiarazione integrativa ad atto di vendita e contratto preliminare’ prevedente un serie di condizioni regolanti entrambi i rapporti negoziali, con compensazione dei saldi reciproci da effettuare al momento della stipula del contratto definitivo di cessione degli immobili promessi in vendita da NOME (da effettuare entro e non oltre diciannove mesi, previa ultimazione dei lavori).
Erano sorti in seguito diversi contenziosi tra le parti: –NOME COGNOME aveva presentato ricorso ex art.700 c.p.c. in data 2.4.2003 per la cancellazione del patto di riservato dominio come previsto nella ‘dichiarazione’ del 14.2.2001, accolto parzialmente e seguito dall’introduzione della causa di merito, istruita con disposizione di CTU; –NOME COGNOME aveva pure introdotto un giudizio ordinario in data 17.4.2003, con domanda di risoluzione del contratto preliminare del 14.2.2001 per inadempimento del promissario acquirente, nel cui ambito NOME COGNOME aveva chiesto riconvenzionalmente, tra l’altro, la pronuncia di sentenza ex art.2932 c.c. (a quel giudizio aveva partecipato anche, su chiamato in causa di COGNOME, l’ing. NOME COGNOME, progettista e direttore dei lavori, dal quale il chiamante chiedeva di essere garantito per i danni da ritardo); -ancora NOME COGNOME aveva introdotto un altro giudizio ordinario nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, contestando errori e violazioni nel progetto, redatto dal Tecnico e sottoscritto da COGNOME quale proprietario del suolo, ed altre inadempienze; nello stesso giudizio COGNOME aveva proposto domande riconvenzionali per ottenere, previo accertamento dell’inadempimento contrattuale
dell’attore, l’esecuzione in forma specifica del preliminare di vendita e il risarcimento dei danni; anche NOME COGNOME aveva proposto domanda riconvenzionale per il ottenere riconoscimento dell’onorario non pagato (vi era stata la chiamata in causa di Unipol s.p.a. da parte di COGNOME, che intendeva essere garantito dalla stessa a fronte delle domande svolte nei suoi confronti da COGNOME).
Il primo giudizio radicato all’esito del ricorso ex art.700 c.p.c. – era stato definito con sentenza n.201/2011, di accoglimento della richiesta di cancellazione del patto di riservato dominio, con condanna di NOME COGNOME al risarcimento dei danni per circa € 3.813,60, oltre rivalutazione monetaria ed interessi e regolamentazione delle spese processuali.
Disposta la riunione del secondo e del terzo giudizio, era stata espletata una consulenza tecnica d’ufficio e, all’esito, con sentenza n.2423/2014 il Tribunale di Bari aveva: -accolto la domanda di COGNOME ex art.2932 c.c. in relazione al contratto preliminare del 14.2.2001 e condannato altresì NOME COGNOME al pagamento della penale da ritardo di € 5.164,00, oltre interessi, e al pagamento a titolo risarcitorio di € 6.686,35, oltre rivalutazione monetaria e interessi, con rigetto della domanda risarcitoria ulteriore (il Tribunale aveva considerato implicitamente rinunciata la domanda di condanna al pagamento della penale da inadempimento, pure proposta inizialmente da COGNOME); -respinto le domande di NOME COGNOME verso NOME COGNOME; -accolto in parte la domanda risarcitoria di COGNOME verso NOME COGNOME con manleva a carico della società assicuratrice limitata a parte dell’importo quantificato a favore di COGNOME, e accolto la domanda di pagamento svolta per gli onorari maturati da NOME COGNOME verso NOME COGNOME -regolato le spese del giudizio tenendo conto dell’esito del giudizio.
NOME COGNOME aveva proposto appello nei confronti della sentenza del Tribunale di Bari n.201/2011. NOME COGNOME aveva a propria volta proposto appello avverso la sentenza dello stesso Tribunale n.2423/2014: a seguito del decesso di NOME COGNOME nel giudizio di appello erano intervenuti i suoi eredi.
Le pronunce relative alle domande coinvolgenti NOME COGNOME e Unipol s.p.a. non erano state sottoposte ad impugnazione dalle parti soccombenti e, di conseguenza, né COGNOME, né Unipol s.p.a. avevano partecipato al giudizio di appello.
Riuniti i due procedimenti di secondo grado, all’esito la Corte di Appello di Bari aveva parzialmente accolto l’impugnazione di NOME COGNOME limitatamente alla debenza anche dell’IVA sul corrispettivo dovutogli per il trasferimento
dell’immobile oggetto del contratto preliminare, condizionando al suo versamento l’effetto traslativo ex art.2932 c.c., e aveva respinto gli altri motivi di appello, proposti sia da COGNOME sia da COGNOME in relazione alla sentenza n.201/2011.
Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte di merito aveva così motivato la decisione: COGNOME lamenta l’arbitraria ed erronea applicazione da parte del Tribunale degli art.1362 e 1552 c.c., che ha comportato l’inquadramento della fattispecie nella permuta di cosa presente con cosa futura; l’appellante lamenta anche che non sia stato ritenuto esistente l’inadempimento di NOME COGNOME al preliminare di vendita, da ritenere altresì grave e tale da giustificare la risoluzione richiesta; -le censure esposte non sono condivisibili, perché la Corte ritiene ‘ di condividere l’operazione ermeneutica, operata dal giudice di primo grado, di attribuire rilievo alla complessiva operazione negoziale intervenuta tra l’COGNOME e il COGNOME, come finalizzata alla realizzazione di un contratto di permuta di cosa presente con cosa futura, sulla scorta degli elementi interpretativi in concreto utilizzati e secondo un esauriente iter logicogiuridico’ , essendo i contratti dedotti in giudizio tra loro connessi da uno stretto vincolo funzionale, riconducibile ad un vero e proprio collegamento negoziale finalizzato al conseguimento di un risultato economicogiuridico unitario; questo risultato può infatti essere raggiunto, nell’ambito dell’esercizio dell’autonomia negoziale, non solo con ipotesi innominate di contratti ma anche orientando in contenuti atipici gli effetti di negozi tipici, singolarmente presi oppure attraverso la loro combinazione, senza che ciò comporti simulazione o novazione; è pertanto legittimo l’accordo delle parti contraenti di realizzare il contenuto ordinario di una permuta (con conguaglio in denaro) attraverso la stipulazione di atti negoziali asincroni collegati, uno dei quali astrattamente riconducibile alla compravendita; -nel caso di specie il collegamento negoziale è dimostrato dal fatto che il contratto preliminare di permuta del 29.1.2001 è stato concretamente attuato attraverso i due contratti del 14.2.2001, tanto che lo stesso COGNOME, nel procedimento ex art.700 c.p.c., affermava che i contratti del 14.2.2001 erano simulati, avendo le parti già precedentemente stipulato il contratto del 29.1.2001, come sarebbe stato sostanzialmente confermato dalla dichiarazione integrativa del 14.2.2001; -se si considera il tenore combinato dei negozi, il collegamento funzionale causale voluto da entrambe le parti emerge inequivocabilmente, essendo (solo e tutta) l’intera operazione volta a consentire ad NOME di entrare immediatamente nella piena proprietà del suolo (sborsando
subito solo una minima parte del prezzo) per potervi liberamente edificare e a COGNOME di ottenere una porzione del nuovo fabbricato che sarebbe stato eretto sullo stesso suolo del fabbricato venduto, avendo peraltro le parti contestualmente pattuito anche la compensazione dei saldi reciproci alla stipula dell’atto pubblico di vendita dei beni oggetto del preliminare; -i principi di buona fede e correttezza, che presiedono non solo alla formazione e interpretazione ma anche all’esecuzione del contratto, comportano che ciascun contraente debba tenere presente anche l’interesse della controparte in modo da addivenire ad un equilibrio accettabile degli interessi in gioco; in quest’ottica, ai fini della pronuncia di risoluzione del contratto, occorre valutare non solo l’inadempimento ma anche la sua gravità, da commisurare alla rilevanza delle violazioni con riferimento alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, al concreto interesse dell’altra parte all’esatta e tempestiva prestazione; nel caso di specie entrambe le parti hanno tenuto un comportamento non conforme al principio di buona fede e correttezza ma da una valutazione effettuata secondo le indicazioni esposte ‘ la domanda di risoluzione del contratto proposto dall’COGNOME avrebbe inciso sugli interessi contrapposti in modo assolutamente sproporzionato, anche in considerazione dell’alternativa, prevista dal nostro ordinamento di richiedere in via giudiziale sentenza costitutiva ex art.2932 c.c. diretta a produrre gli effetti del contratto non concluso ‘, idonea a salvaguardare la complessiva operazione economica voluta e al contempo a superare la patologia del rapporto; ‘ alla luce della comparazione dei comportamenti tenuti dalle parti, si ritiene doversi escludere il mezzo estremo dell’ablazione del vincolo contrattuale qual è la risoluzione del contratto ‘; -il rigetto della domanda di pagamento della penale per inadempimento consegue al rigetto della domanda di risoluzione e, di conseguenza, la doglianza rimane assorbita; -quanto all’accoglimento della domanda ex art.2932 c.c., non è ostativo a ciò il fatto che COGNOME avesse chiesto anche il pagamento della penale per inadempimento, in spregio al divieto di cumulo ex art.1383 c.c.; il Tribunale ha ritenuto che la domanda di pagamento della penale di € 51.600,00 fosse stata rinunciata dal COGNOME che aveva optato per il risarcimento dei danni per le specifiche inadempienze attribuite alla controparte e per l’esecuzione in forma specifica del contratto; le critiche di COGNOME al riguardo sono superate dal fatto che la domanda di pagamento della penale da inadempimento è stata abbandonata, e quindi implicitamente rinunciata, in appello, non avendo gli eredi COGNOME proposto appello incidentale sul capo della
sentenza di primo grado che l’aveva valutata negativamente, con conseguente formazione di giudicato.
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a due motivi.
Vi è controricorso di NOME COGNOME quale tutrice di NOME COGNOME, di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME -eredi di NOME COGNOME-, con articolazione di difese volte a giustificare la richiesta di rigetto integrale del ricorso.
Il PG ha depositato requisitoria, chiedendo e argomentando il rigetto del ricorso proposto, perché la Corte di merito: avrebbe correttamente configurato il collegamento negoziale riconoscibile nei contratti conclusi tra le parti il 14.2.2001, attraverso la puntuale ricostruzione degli interessi delle parti in base all’esegesi del testo e valutando la coerenza delle pattuizioni con tali interessi; avrebbe correttamente verificato la gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive ai sensi dell’art.1455 c.c., con motivazione congrua e immune da vizi logici e giuridici. Quanto alla richiesta contemporanea di adempimento del preliminare ai sensi dell’art.2932 c.c. e di condanna al pagamento della penale da inadempimento, a superamento del divieto di cumulo di cui all’art.1363 c.c. il Tribunale aveva ritenuto implicitamente rinunciata la seconda, decidendo quindi sulla prima accogliendola, e ‘ la Corte ha accertato che, di fatto, il rischio della duplicazione, che si era verificato in primo grado …, era stato definitivamente scongiurato in appello con il passaggio in giudicato del rigetto nel merito della domanda di condanna alla penale ‘.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative, insistendo nelle rispettive posizioni difensive anche all’esito delle considerazioni del PG.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente si duole della ‘Violazione con riferimento all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. degli art.115 e 116 c.p.c. e dell’art.1362 c.c. nonché degli art.1552 e 1555’
La sentenza d’appello sarebbe errata in diritto nella parte in cui riconosce esistente il collegamento negoziale cd funzionale tra i diversi contratti intervenuti tra le parti. In realtà i risultati degli schemi negoziali in concreto attuati e quello alternativo desumibile dal collegamento negoziale, cioè la permuta di cosa presente con cosa futura, non sarebbero affatto equivalenti dal punto di vista giuridico, se non trasformando ed annullando inammissibilmente gli effetti tipici dei singoli negozi conclusi; la dichiarazione integrativa del 14.2.2001, volta a regolare gli aspetti
economici derivanti dal contratto di compravendita e dal preliminare di vendita in pari data con compensazione dei saldi reciproci, confermerebbe questa autonomia, così come militerebbe in tal senso, al di là del complessivo comportamento delle parti, il dato letterale costituito dalle espressioni utilizzate nei contratti, escludenti chiaramente che l’acquisto della proprietà fosse ricollegato alla sola venuta in essere del bene; del resto, se fosse tutto qualificabile come permuta, non avrebbe avuto senso prevedere il patto di riservato dominio, che garantiva non la cessione dei beni a COGNOME ma unicamente il pagamento del saldo del prezzo dell’immobile venduto da COGNOME ad COGNOME. Ne consegue che il percorso logico della Corte di merito violerebbe le norme che individuano gli effetti tipici dei contratti di vendita e di permuta e che le fattispecie negoziali considerate avrebbero dovuto essere valutate autonomamente, con considerazione dell’inadempimento di COGNOME (rifiuto della stipula del definitivo, incidente anche sulla possibilità di cancellare il patto di riservato dominio, a fronte del ritardo di soli due mesi nella conclusione dei lavori e dell’esistenza di difformità non significative sul valore dei beni) nell’ambito del contratto preliminare di vendita come grave e giustificante l’accoglimento della domanda di risoluzione; ‘ la sentenza gravata è dunque errata e va riformata con conseguente accoglimento integrale del primo motivo di appello contenuto nell’atto di citazione in appello datato 18 maggio 2015 e notificato in data 1 giugno 2015 ‘, con accoglimento della domanda di risoluzione del preliminare di vendita del 14.2.2001 travolgente l’accoglimento della domanda di controparte ex art.2932 c.c. Il motivo è infondato per le considerazioni che seguono.
Perché si possa ipotizzare una violazione degli art.115 c.p.c. e 116 c.p.c. da parte del Giudice di merito, rilevabile nell’ambito del sindacato di legittimità proprio di questa Corte, le SSUU con la sentenza n.20867/2020 hanno enucleato specifici presupposti reiterati nelle pronunce successive, sintetizzati nelle seguenti massime: ‘ In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa
consentita dall’art. 116 c.p.c.’; ‘ In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione ‘.
Nel caso concreto si è al di fuori della prospettabilità di una violazione degli art.115 e 116 c.p.c., inquadrabile in tesi nell’ambito dell’art.360 n.3 c.p.c., perché i ricorrenti non lamentano alcuna delle situazioni sopra evidenziate ma affermano una errata valutazione da parte della Corte di merito, e del Tribunale prima, degli elementi documentali acquisiti agli atti, in modo tale da giungere ad una interpretazione unitaria dei diversi negozi giuridici intervenuti tra le parti nell’ambito di un’ipotesi di collegamento negoziale funzionale, invece affermata inesistente da NOME COGNOME.
Ora, la valutazione di sussistenza di collegamento negoziale funzionale, e cioè di un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo negozio ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, spetta al giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione che non sia solo apparente e che non presenti profili di inconciliabile contraddittorietà cfr. sul primo profilo Cass. 18585/2016; Cass. n.22216/2018; Cass. n.22353/2021; Cass. n.28324/2023; cfr. Cass. n.11763/2018 e Cass. n.17148/2019 anche sulla necessità di valutare, in ipotesi di collegamento negoziale, la gravità dell’inadempimento all’interno della complessiva struttura negoziale; sui limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione, dopo la riforma dell’art.360 n.5 c.p.c., si richiama Cass. SSUU n.8053/2014, alla quale si sono conformate le pronunce successive). Questo perché ‘ Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale,
ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ‘ -così Cass. n.331/2020, rispetto alla quale è conforme Cass. n.23055/2024-.
La Corte di merito ha, come sopra evidenziato, motivato circostanziatamente in ordine alle ragioni sulla cui base ha ritenuto esistente il collegamento negoziale funzionale tra i contratti conclusi tra le parti il 14.2.2001, dando conto del materiale documentale acquisito agli atti (richiamando anche la linea difensiva tenuta dal ricorrente nel procedimento ex art.700 c.p.c. promosso a suo carico da NOME COGNOME secondo la quale i contratti del 14.2.2001 sarebbero stati simulati, dovendosi considerare i rapporti tra le parti regolati dal solo contratto del 29.1.2000). La Corte d’Appello di Bari ha altresì correttamente richiamato la libertà dell’autonomia privata in relazione alla quale, fermo il presupposto della meritevolezza degli interessi, l’art. 1322 cod. civ. consente la disponibilità e la fungibilità degli effetti negoziali tipici, rendendone possibile l’espressione non soltanto attraverso la formazione di ipotesi innominate di contratti ma anche orientando in contenuti atipici gli effetti dei negozi tipici, combinandoli, in modo tale che il contenuto ordinario di una permuta (con conguaglio in denaro) può essere raggiunto attraverso la stipulazione di più atti negoziali collegati, destinati a creare vincoli giuridici operanti in tempi diversi, uno dei quali riconducibile allo schema della compravendita -cfr., in tal senso, Cass. n.3827/1982, richiamata dalla Corte di merito, e la più recente, Cass. n.28324/2023, che sintetizza bene le caratteristiche specifiche e le finalità del collegamento negoziale funzionale, il quale non è un istituto di diritto positivo ma trova la sua giustificazione normativa appunto nell’ambito dell’autonomia negoziale -. La Corte di merito ha tenuto conto, nella valutazione complessiva degli accordi negoziali tra le parti, anche del fatto che la compravendita del fabbricato intervenuta tra COGNOME, cedente, e COGNOME, acquirente, era sottoposta a patto di riservato dominio, attraverso la piena condivisione espressa alla motivazione sul collegamento negoziale già operata dal primo Giudice, che è stata riportata nella sentenza, in sintesi nella parte iniziale dei ‘motivi della decisione’: sul punto (come riportato
nella sentenza d’appello a pag.7) il Tribunale aveva rilevato che COGNOME aveva infatti, in base alla ‘Dichiarazione’ coeva ai contratti del 14.2.2001, la possibilità di liberare l’immobile dal patto di riservato dominio e di acquistarne la piena proprietà per eventuali finanziamenti, oltre che alla stipula del definitivo relativo agli immobili promessi in vendita a Di Bello, anche prima, al momento della realizzazione a rustico dell’erigendo fabbricato, previo rilascio di fideiussione. In concreto, quindi, anche i due profili di criticità ripetutamente sottolineati da COGNOME per escludere la congruenza del ritenuto collegamento negoziale sono stati esaminati dalla Corte di merito (e prima dal Tribunale), che ha motivatamente valutato in modo diverso rispetto al ricorrente entrambi.
L’attività interpretativa della Corte di merito ha tenuto conto della volontà delle parti in base agli interessi dalle stesse perseguiti nella complessa operazione contrattuale, considerando il legame funzionale delle singole operazioni negoziali e la prospettiva più generale dell’operazione economica perseguita, tenendo conto del dato letterale dei singoli contratti e ricostruendo, anche in base ad esso l’intenzione delle parti verificandone in modo sostanziale e non sulla base di un’analisi solo formale e schematica- la coerenza con il complesso delle disposizioni negoziali e con la condotta tenuta in esecuzione degli accordi (cfr., in proposito, Cass. n. 32786/2022 e, ancora, Cass. n.28324/2023).
Del resto, il ricorrente non identifica alcuna specifica violazione delle norme in materia di interpretazione dei contratti, genericamente richiamate per affermare la non adeguata valorizzazione del dato testuale. Anche per questo profilo si deve rilevare che ‘… l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito ‘ con la conseguenza che ‘ il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata. … ‘ -cfr. Cass. n.9461/2021, che è espressione di un indirizzo interpretativo consolidato-.
Nemmeno il richiamo agli art.1552 e 1555 c.c., disciplinanti la permuta, è utile a ‘vestire’ come violazione di legge le argomentazioni svolte a supporto del primo motivo di ricorso proposto, trattandosi del mero richiamo allo schema legale del contratto di permuta a fronte della ricostruzione dei Giudici di merito individuante la volontà negoziale delle parti di permutare un bene esistente con un bene futuro attraverso il collegamento funzionale economico-giuridico di negozi diversi.
Si osserva infine che, non essendo censurabile in questa sede, per quanto esposto, l’accertamento di esistenza del collegamento negoziale tra i contratti, di compravendita e preliminare di compravendita, conclusi il 14.2.2001, correttamente la Corte di merito ha valutato l’inadempimento delle parti e la gravità di esso in relazione alla complessiva struttura negoziale posta in essere dalle parti e non con specifico riferimento ad ogni singolo contratto -cfr. le pronunce di legittimità sopra richiamate- e, in presenza di articolata motivazione volta ad escludere i presupposti di operatività degli art.14531455 c.c. in relazione all’operazione economica alla quale l’operazione negoziale era finalizzata, non vi è spazio per un riesame della stessa in sede di legittimità.
In conclusione, il ricorrente prospetta come violazione di legge quella che, in realtà, è una critica all’attività di interpretazione e valutazione degli atti negoziali intervenuti tra le parti e del materiale probatorio documentale acquisito operata prima dal Tribunale e poi, in modo conforme, rilevante ai sensi dell’art.348 ter c.p.c. ai fini della proponibilità di motivi di ricorso rientranti nell’ambito di operatività dell’art.360 n.5 c.p.c., dalla Corte d’Appello: ciò che il ricorrente vorrebbe ottenere è la sostituzione a quella dei Giudici di merito della propria interpretazione e valutazione della documentazione in atti, con richiesta di una rivalutazione del merito della controversia preclusa al Giudice di legittimità
Con il secondo motivo il ricorrente prospetta la ‘Violazione, con riferimento all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., dell’art.1383 c.c.’.
Secondo il ricorrente, la domanda di NOME COGNOME fondata sul disposto dell’art.2932 c.c. avrebbe dovuto essere comunque respinta, perché egli aveva proposto nello stesso giudizio sia la domanda di esecuzione in forma specifica, sia la domanda diretta ad ottenere il pagamento della penale da inadempimento, in spregio al divieto di cumulo stabilito all’art.1383 c.c.; sarebbe erroneo, in fatto e in diritto, l’assunto del Tribunale, secondo cui COGNOME avrebbe optato per la domanda ex art.2932 c.c. rinunciando implicitamente alla domanda di pagamento della penale per
inadempimento attraverso l’autonoma richiesta di risarcimento dei danni subiti. La Corte d’Appello, alla quale la questione sarebbe stata proposta nell’ambito del terzo motivo di censura articolato da NOME COGNOME non avrebbe risposto, secondo il ricorrente, alla critica formulata avverso il deciso di primo grado, che era appunto nel senso che, non essendo qualificabile il comportamento della controparte come rinuncia alla penale da inadempimento, il divieto di cumulo imposto dall’art.1383 c.c. avrebbe dovuto comportare il rigetto di entrambe le domande.
Il punto di decisione della Corte d’Appello di Bari, che è messo in discussione con il secondo motivo di ricorso, è così argomentato nella sentenza ricorsa: rileva la Corte di merito che secondo l’appellante sarebbe erroneo l’assunto del primo Giudice nel senso che il Di COGNOME avesse optato per la domanda di esecuzione in forma specifica, con implicita rinuncia a richiedere anche la penale per inadempimento avendo richiesto il risarcimento del danno per le inadempienze lamentate, ma ‘ la questione posta ‘ risulta ‘ superata dalla implicita rinuncia, costituita dall’abbandono di detta domanda in appello, non avendo gli eredi COGNOME proposto appello incidentale avverso il provvedimento di rigetto della domanda di pagamento di detta penale, sulla cui non spettanza si è quindi formato il giudicato. Infatti la rinuncia alla domanda, a differenza della rinuncia agli atti del giudizio, non richiede l’adozione di forme particolari, non necessita di accettazione della controparte ed estingue l’azione ‘.
Occorre chiarire che la domanda di corresponsione della penale da inadempimento, che il primo Giudice ha ritenuto implicitamente rinunciata a favore della domanda ex art.2932 c.c., non è stata riproposta in appello dagli eredi COGNOME che hanno accettato il deciso del Tribunale sul punto; la Corte d’Appello ha confermato altresì l’intervenuta rinuncia alla domanda in esame, interpretata come rinuncia sostanziale coinvolgente l’azione, per la sua mancata riproposizione in appello.
Quindi non più essere rimesso in discussione il profilo dell’intervenuta rinuncia, esplicitata in modo chiaro quantomeno in appello con la sua mancata riproposizione, alla domanda della penale per inadempimento -inizialmente richiesta da COGNOME assieme alla domanda ex art.2932 c.c.-: essa non è stata più coltivata sicuramente in sede di impugnazione e, pertanto, non è stata vagliata nel merito nè dal primo Giudice, né dal Giudice di secondo grado e, trattandosi di rinuncia alla domanda, non ne è possibile la reiterazione in altro giudizio.
Non vi era e non vi è interesse, giuridicamente rilevante, di NOME COGNOME ad impugnare la pronuncia in discussione sotto il profilo dell’esistenza ed effettività della rinuncia di controparte alla domanda di condanna a suo carico al pagamento della penale da inadempimento, perché rispetto ad essa egli non è soccombente: COGNOME e i suoi eredi hanno rinunciato definitivamente alla domanda di cui si discute, rispetto alla quale quindi non intendono esercitare alcuna pretesa nei confronti della controparte; trattandosi di rinuncia alla domanda e non di rinuncia agli atti ex art.306 c.p.c. -rilevante solo in relazione al processo (ma, nel caso di specie, comunque rilevante come scelta definitiva sulla domanda residua coltivata, per quanto si dirà oltre)-, non era necessario il consenso della parte destinataria della domanda per il suo abbandono; NOME COGNOME non ha mai chiesto l’accertamento negativo, con valenza autonoma, della debenza della penale da inadempimento pattuita a COGNOME e comunque la rinuncia alla relativa domanda avrebbe necessariamente soddisfatto anche l’eventuale interesse all’accertamento negativo che sarebbe stato con essa implicitamente riconosciuto (sull’interesse ad impugnare presupponente una soccombenza, sostanziale e non solo formale, cfr. Cass. n.658/2015; Cass n.38054/2022; Cass. n.12086/2023).
Il divieto di cumulo disciplinato dall’art.1383 c.c. non può fondare l’interesse ad impugnare del ricorrente, a meno di affermare che non sia possibile effettuare la scelta in corso di giudizio e che quindi ove una delle due domande non cumulabili, previste dall’art.1383 c.c., sia rinunciata in corso di giudizio prima della decisione finale della controversia, persista la violazione del disposto della norma la cui conseguenza è il rigetto di entrambe. In tal caso però il problema si dovrebbe spostare dalla valutazione dell’esistenza dei presupposti di effettività della rinuncia alla valutazione della possibilità di valorizzare la scelta e/o l’intervenuta rinuncia all’una o all’altra delle domande illegittimamente proposte in via cumulativa ex art.1383 c.c., traendone la ritualità dell’esame dell’unica domanda residua, considerata come se fosse stata la sola proposta, fin dall’origine all’esito della scelta operata dalla parte interessata nel corso del processo. In sostanza quindi la doglianza dovrebbe essere interpretata come volta a negare la possibilità di conoscere in questo giudizio, nella situazione descritta e sul presupposto dell’impraticabilità della scelta nel processo, la domanda di adempimento in forma specifica ex art.2932 c.c.
Ora, l’art.1383 c.c., escludendo la possibilità di chiedere sia la prestazione principale che la penale per inadempimento, impone al creditore una scelta impedendo il
cumulo delle due domande nello stesso processo così come la proposizione utile di entrambe in processi separati -cfr., sul punto, Cass. n.5887/2001-; certamente la scelta è del creditore e non può essere operata d’ufficio dal Giudice, con la conseguenza che la contemporanea proposizione delle due domande, entrambe coltivate dalla parte interessata, comporta l’impossibilità di esame sia dell’una che dell’altra -cfr., ancora, Cass. n.5887/2001-; in tal caso cioè nessuna delle due domande proposte potrebbe essere valutata nel merito e la decisione di rigetto di entrambe non potrebbe acquisire efficacia di giudicato, rendendo comunque riproponibile l’una o l’altra domanda a seconda della scelta comunque ancora esercitabile da parte dell’interessato.
Non vi è motivo per non ritenere possibile, anche alla luce dei principi enucleabili dall’art.111 Cost. -in particolare, del principio di ragionevole durata dei processi che implica la necessità di garantire l’utilità del processo al fine di una pronuncia effettivamente volta a definire la controversia che ne è oggetto-, che la scelta venga operata dalla parte interessata che abbia inizialmente agito cumulando le due domande, spontaneamente o anche su sollecitazione del Giudice nell’esercizio dei poteri di direzione del processo che gli sono propri- pure nel corso del processo e anche attraverso la rinuncia -definitiva, per quanto sopra detto- ad una di esse con estinzione della relativa azione. Il senso del divieto di cumulo è di escludere che il creditore possa ottenere sia l’adempimento della prestazione, sia il risarcimento del danno da inadempimento secondo la quantificazione già predeterminata con la penale (che non permette il risarcimento del danno ulteriore, salvo che ciò sia stato espressamente convenuto, ma non richiede che l’esistenza e l’entità del danno risarcito attraverso la corresponsione della penale siano provate) e la ratio della disposizione in esame appare rispettata anche nel caso in cui questa scelta avvenga, con effetti definitivi, nel corso del processo.
Si osserva infine che, pur essendo senz’altro corretto l’assunto del ricorrente, che rileva come la scelta dell’una o dell’altra delle domande non cumulabili ex art.1383 c.c. non possa essere operata dal Giudice -con richiamo alla pronuncia della Corte di Cassazione n.5887/2001 sopra evidenziata-, se potesse esservi il dubbio, nel caso di specie, sulla riferibilità effettiva della rinuncia ritenuta dal Tribunale a NOME COGNOME il fatto che l’interessato -e gli erediabbia comunque fatto propria l’indicazione del Tribunale, non coltivando in fase di appello la domanda che si era assunta rinunciata e che quindi non era stata esaminata utilmente in primo grado e
non avrebbe più potuto essere azionata in giudizio, supera ogni questione sul punto e consolida definitivamente la scelta sulla sola domanda ex art.2932 c.c. effettivamente accolta.
Appare opportuno ancora precisare, per completezza, che il potere di interpretazione delle domande, anche in relazione alla loro rinuncia esplicita o implicita, è proprio del Giudice di merito e, una volta supportato da motivazione congruente e priva di contraddizioni, come nel caso di specie, non potrebbe essere rimesso in discussione in sede di legittimità: se anche si considerasse quindi esistente (ma non si vede come, per quanto sopra detto) il diritto ad impugnare il punto di decisione in esame in capo ad NOME non si potrebbe rimettere in discussione quanto rilevato dai Giudici di merito in ordine all’effettività della rinuncia alla domanda, trattandosi di valutazione meritale.
In conclusione, il ricorso proposto deve essere integralmente respinto.
Le spese del giudizio di legittimità si pongono a carico del ricorrente e si liquidano come in dispositivo.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento a carico del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione respinge il ricorso.
Condanna NOME COGNOME a rimborsare a NOME COGNOME quale tutrice di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME -eredi di NOME COGNOME Bellole spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 7.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il