Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19364 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19364 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13386/2021 R.G. proposto da: COGNOME, COGNOME, DI RE NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ARTENA INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
CONTI NOME
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 6068/2020 depositata il 02/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME, in relazione alla successione testamentaria di NOME, deceduto il 17 ottobre 2004, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Velletri la madre NOME (beneficiaria per testamento della quota disponibile), i germani NOME e NOMECOGNOME e la nipote NOMECOGNOME figlia del fratello premorto NOME; chiedeva la divisione dei beni ereditari, costituiti dalla quota indivisa pari a 1/3 di un immobile sito in Artena, INDIRIZZO, di proprietà per i restanti 2/3 del coniuge del de cuius COGNOME NOME, precisando che, ai fini della divisione, occorreva considerare anche le donazioni effettuate in vita dal de cuius in favore dei fratelli NOME e NOME, aventi ad oggetto la quota indivisa di 1/3 di porzioni immobiliari compresi nel medesimo stabile in Artena, alla INDIRIZZO chiedeva ancora che i convenuti fossero condannati al pagamento delle indennità per le migliorie e le addizioni apportate all’appartamento compreso nell’eredità, di cui aveva avuto il possesso; chiedeva ancora la condanna della Di Re NOME al pagamento della somma di € 15.493,71, a saldo di un prestito a suo tempo effettuato in favore della madre.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale determinava la quota di riserva spettante a NOME e NOME COGNOME condannava i coeredi al pagamento della relativa somma, pari a € 41.000,00, in proporzione della quota di ciascuno; dichiarava compensato il credito di NOME con quanto dovuto da questa a titolo di canoni non corrisposti al de cuius per godimento dell’immobile infine caduto nell’eredità; condannava NOME COGNOME NOME, NOME a NOME al pagamento della somma di € 40.780,25 in favore di NOMECOGNOME a titolo di migliorie apportate
all’appartamento di cui sopra; disponeva le conseguenti assegnazioni in favore della Di Re e di NOME e NOME, ai quali attribuiva le porzioni oggetto di donazione; accoglieva la domanda della COGNOME NOME nei confronti della Di Re, che condannava al pagamento della somma di € 15.493,71.
In via preliminare il Tribunale riteneva inammissibile la domanda proposta dai due donatari, nella parte in cui questi avevano richiesto che, nella stima degli immobili donati, si applicasse l’art. 748 c.c., tenuto conto che essi furono donati dal de cuius allo stato grezzo e realizzati successivamente a cura e spese dei donatari. La ragione della inammissibilità fu ravvisata dal primo giudice nella tardiva costituzione dei convenuti, che quindi avevano formulato la relativa eccezione oltre il termine previsto dall’art. 167 c.p.c.
Avverso detta sentenza proponevano appello principale NOME e NOME COGNOME cui resistevano NOME COGNOME COGNOME NOME e NOMECOGNOME le ultime due proponendo a loro volta appello incidentale.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 6068/2020, per quanto qui rileva, assumeva le seguenti statuizioni: dichiarava inammissibile il motivo d’appello di NOME COGNOME e NOME COGNOME con il quale i medesimi avevano cesurato la decisione per la mancata applicazione dell’art. 748 c.p.c.; disponeva alcune correzioni alla sentenza di primo grado in ordine alla misura dei miglioramenti dovuti a NOMECOGNOME avuto riguardo al fatto che l’immobile era compreso nell’asse solo per la quota di 1/3; precisava che gli immobili donati, conferiti per imputazione, non potevano costituire oggetto di attribuzione divisoria; dichiarava inammissibile l’appello incidentale di COGNOME NOME perché proposto con comparsa depositata il 9 maggio 2015, oltre il termine
previsto, che scadeva il giorno precedente e dichiarava parimenti inammissibile l’appello incidentale di COGNOME, proposto solo con la comparsa depositata il 4 dicembre 2015.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso NOME COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME sulla base di quattro motivi, cui resiste con controricorso NOME COGNOME che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di procura speciale e per il conflitto di interessa sussistente fra i tre ricorrenti, tenuto conto che la mancata applicazione dell’art. 748 c.c. si risolveva in un danno per i donatari e in un vantaggio per la Di COGNOME.
Conti NOME rimane intimata.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale, le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.L’ eccezione, formulata dalla controricorrente, di inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale, in quanto rilasciata su foglio separato e con l’uso di espressioni riferibili alla sola difesa nel giudizio di merito, è infondata. Con la n. 36507/2022 è stato enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte il principio così massimato: In tema di procura alle liti, a seguito della riforma dell’art. 83 c.p.c. disposta dalla l. n. 141 del 1997, il requisito della specialità, richiesto dall’art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all’atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso; tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di
cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione, tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall’art. 1367 c.c. e dall’art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all’atto di produrre i suoi effetti. (Cass. Sez. U., 09/12/2022, n. 36057, Rv. 666374 01).
È altrettanto infondata la censura che fa leva sul conflitto di interessi fra le parti in causa difesi dal medesimo difensore. Nella specie si tratta di una causa di divisione, nella quale sussiste l’interesse comune a che la stima sia eseguita secondo criteri corretti. La censura, proposta in proposito da più condividenti, i quali lamentino che il giudice si è discostato dai criteri legali, non è pertanto suscettibile di dar luogo a conflitto di interessi. In particolare, il conflitto non è ravvisabile nel fatto che l’errore denunziato si sia risolto in un vantaggio per uno dei compartecipi in uno svantaggio per altri. Tale situazione non rende inammissibile la costituzione dei condividenti assistiti da un solo difensore.
I motivi di ricorso possono così riassumersi:
v iolazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.: è oggetto di censura la statuizione di inammissibilità del motivo di appello relativo alla mancata considerazione, nella stima dei beni donati, di quanto dispone l’art. 748 c.c. favore dei donatari ;
violazione e falsa applicazione dell’art. 748 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per non avere la Corte d’appello tenuto conto che ai fini della collazione e della successiva divisione,
si sarebbe dovuto considerare il valore degli appartamenti donati allo stato grezzo;
violazione ea falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 e 5 c.p.c., per omesso esame di documenti da cui si evinceva che gli immobili furono donati allo stato grezzo e successivamente migliorati dai donatari.
Inoltre, quanto all’importo liquidato in favore di NOME per le migliorie da questa apportate nell’appartamento posto al secondo piano della palazzina, la Corte d’ appello avrebbe omesso di considerare che si trattava di un appartamento abusivo e che nulla veniva depositato in atti circa l’asserito sost enimento dei costi di ristrutturazione;
violazione la falsa applicazione degli artt. 334 e 343 c.p.c., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., essendo erronea la dichiarazione di inammissibilità dell’appello incidentale proposto dalla Di NOME, trattandosi di impugnazione incidentale tardiva proposta a seguito della notifica dell’impugnazione incidentale di NOME e quindi consentita dall’art. 334 c.p.c.
Il primo motivo è fondato e il suo accoglimento comporta l’assorbimento del secondo motivo.
In appello gli attuali ricorrenti avevano censurato la decisione di primo grado nella parte in cui il primo giudice aveva ritenuto inammissibile la deduzione con la quale essi, nella loro qualità di donatari di beni compresi nella massa di calcolo della legittima, avevano invocato l’art. 748 c.c., al fine far detrarre in loro favore il valore delle migliorie apportate ai beni donati. La ratio della decisione del primo giudice è nella qualificazione della deduzione quale eccezione in senso stretto, soggetta alle preclusioni di cui
all’art. 167 c.p.c. Risulta dalla stessa sentenza impugnata in questa sede che, in appello, i donatari avevano sostenuto che il Tribunale avrebbe dovuto applicare d’ufficio la previsione dell’art. 74 8, senza necessità di domanda di parte. La Corte d’appello ha ritenuto che la censura, così formulata, non integrasse il requisito della specificità richiesto dall’art. 342 c.c., in quanto gli appellanti non avevano spiegato «per quale ragione la relativa questione non costituirebbe materia di eccezione in senso stretto, contrariamene a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità». La Corte d’appello prosegue, richiamando il principio di Cass. n. 24150 del 2015.
Per questa parte, la decisione è in radicale conflitto con i principi applicabili in materia secondo la univoca giurisprudenza di questa Corte: «Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass., S.U., n. 36481/2022).
Ora, in presenza di una decisione di primo grado, con la quale una certa deduzione è stata considerata eccezione in senso stretto, la ragione di impugnazione, intesa sostenere che la deduzione integrava una questione rilevabile d’ufficio, è sufficiente a integrare
una critica specifica della decisione. La decisione della Corte d’appello, verosimilmente, è stata ispirata dal convincimento che il primo giudice avesse ragione, essendo corretta la qualificazione quale eccezione in senso stretto.
La giurisprudenza di questa Corte, però, compresa la pronunzia richiamata dalla Corte d’appello, è di contrario avviso: «In tema di collazione ereditaria d’immobili, la pretesa del donatario di dedurre migliorie e spese a norma dell’art. 748 c.c. non integra domanda riconvenzionale, ma semplice eccezione in senso lato, come tale liberamente proponibile e rilevabile anche in grado d’appello, non ampliando il contenuto del giudizio divisorio, atteso che il patrimonio del donante non può comprendere quanto realizzato sul bene dal donatario» (Cass. n. 29247/2020).
4. Il terzo motivo è assorbito, nella parte in cui si riferisce alla stima degli immobili donati, mentre è inammissibile nella parte in cui si censura la decisione in ordine alla liquidazione del credito per i miglioramenti riconosciuto in favore di NOME
È stato precisato al riguardo (cfr. Cass. 19 gennaio 2021, n. 825; Cass. 3 novembre 2020, n. 24395; ed altre) che una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di
fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali.
È fuori luogo poi la censura di motivazione assente, avendo la Corte d’appello adeguatamente argomentato il proprio convincimento sulla base della consulenza tecnica, accogliendo la censura proposta dagli appellanti, attuali ricorrenti, in ordine al fatto che il rimborso doveva essere commisurato sulla quota dei beni compreso nell’asse.
5. Il quarto motivo è infondato. La ricorrente rileva che il proprio interesse a proporre l’appello incidentale sarebbe sorto dall’impugnazione incidentale d i Conti NOME, non dall’impugnazione principale. La tempestività andava pertanto verificata con rapporto all’impugnazione incidentale, mentre la Corte d’appello ha fatto riferimento al termine p revisto in rapporto all’udienza di comparizione. La considerazione è in linea di principio esatta: «Nel caso in cui l’interesse a proporre l’appello incidentale sorga a seguito della impugnazione incidentale di parte diversa dall’appellante principale, il termine per la proposizione della ulteriore impugnazione è costituito dalla udienza successiva a quella in cui è stata proposta tale impugnazione incidentale, sempre che con essa vengano dedotte questioni attinenti o collegate con le doglianze formulate nel primo appello incidentale» (Cass. n. 370/1994). Tuttavia, ciò non giova all’assunto dei ricorrenti, perché non si considera che l’appello incidentale di NOME è stato dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello , argomentando in base al suo deposito con comparsa depositata oltre la scadenza. Ergo è applicabile il principio secondo il quale «in base al combinato disposto di cui agli artt. 334, 343 e 371 c.p.c., è
ammessa l’impugnazione incidentale tardiva (da proporsi con l’atto di costituzione dell’appellato o con il controricorso nel giudizio di cassazione) anche quando sia scaduto il termine per l’impugnazione principale, e persino se la parte abbia prestato acquiescenza alla sentenza, indipendentemente dal fatto che si tratti di un capo autonomo della sentenza stessa e che, quindi, l’interesse ad impugnare fosse preesistente, dato che nessuna distinzione in proposito è contenuta nelle citate disposizioni, dovendosi individuare, quale unica conseguenza sfavorevole dell’impugnazione cosiddetta tardiva, che essa perde efficacia se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile» (Cass. n. 29593/2018).
La Corte d’appello, in verità, ha dichiarato l’impugnazione incidentale inammissibile, mentre sarebbe stato più appropriato, nella prospettiva seguita dai ricorrenti, la declaratoria di perdita di efficacia. Fatta salva tale precisazione (art. 384, comma 4, c.p.c.), il motivo di ricorso è comunque infondato.
5. In conclusione, la sentenza deve essere cassata, in relazione al primo motivo, e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, che provvederà a nuovo esame dell’impugnazione, in conformità a quanto sopra, e liquiderà le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo e dichiara assorbiti il secondo, e nei limiti di cui in motivazione, il terzo, che dichiara inammissibile per il resto; rigetta il quarto motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda