Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9434 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9434 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
Oggetto: Mediazione provvigione – Clausole vessatorie – Nullità parziale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18384/2021 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
DITTA FAIA IMMOBILIARE
– intimata –
avverso la sentenza n. 4328/2020, emessa dal Tribunale di Catania il 18/12/2020, pubblicata il 23/12/2020 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 marzo 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
COGNOME NOME propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 865/2012, col quale il giudice di pace di Catania gli aveva ingiunto il pagamento, in favore dell’impresa RAGIONE_SOCIALE in persona del titolare COGNOME NOME, della somma
di € 3.600,00, quale corrispettivo per l’attività di mediazione espletata in suo favore per la vendita di un immobile.
Il giudice di pace di Catania rigettò l’opposizione con sentenza n. 3561/2013, che, impugnata dal medesimo COGNOME Salvatore, fu confermata dal Tribunale di Catania con sentenza n. 4328/2020, pubblicata il 23/12/2020, sul presupposto che la proposta irrevocabile di acquisto da parte dell’appellante fosse stata accettata dal venditore, dando luogo alla conclusione del preliminare di vendita, con obbligo di stipulare il definitivo entro il 31/7/2011, che, in occasione della riunione tenutasi il 15/6/2011, il funzionario della Banca Credem avesse comunicato il buon esito della pratica di richiesta di mutuo posta a condizione della conclusione dell’affare, che la mancata consegna della caparra fosse ininfluente ai fini della conclusione del contratto preliminare, avvenuta nel momento in cui il proponente aveva avuto contezza dell’accettazione dell’altra parte, e che le clausole da 1) a 6) del contratto di mediazione, quand’anche vessatorie, non avrebbero determinato la nullità dell’intero contratto.
Contro la predetta sentenza, COGNOME Salvatore propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. La Ditta RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 645 cod. proc. civ., 1757 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito ritenuto tardiva la contestazione afferente all’incontro del 15/6/2011, in occasione del quale il ricorrente sarebbe stato messo al corrente dell’accoglimento della domanda di mutuo in favore dei promissari acquirenti, senza considerare che le argomentazioni difensive contenute nell’atto di
opposizione a decreto ingiuntivo erano incompatibili con la presunta tardività della contestazione relativa a siffatta circostanza. Infatti, in quella sede il ricorrente aveva sostenuto che alla data del 15/6/2011, pattiziamente fissata come termine ultimo per la comunicazione a lui dell’avveramento della condizione sospensiva apposta al contratto e data dall’accoglimento dell’istanza di mutuo inoltrata dai promissari acquirenti, nessuna comunicazione gli fosse pervenuta, essendo stata la relativa missiva inoltrata il 30/6/2011 e ricevuta il 12/7/2011 a termine ormai scaduto, sicché con siffatta argomentazione il giudice aveva ribaltato l’onere probatorio che spettava alla controparte in quanto attrice sostanziale.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 320 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito ritenuto infondata la doglianza relativa al mancato avveramento della condizione sospensiva, in quanto l’appellante non aveva contestato tempestivamente la circostanza, allegata dalla controparte, secondo cui, in occasione dell’incontro del 15/6/2011, il funzionario della Banca Credem aveva dichiarato che il mutuo era stato concesso, senza considerare che la RAGIONE_SOCIALE si era costituita il giorno prima dell’udienza, che l’opponente aveva chiesto, in udienza, rinvio per poter controdedurre, che il giudice aveva rinviato per il tentativo di conciliazione, e che, avuto esito negativo, vi era stato rinvio di udienza con deposito di note difensive, nelle quali aveva dedotto che, in occasione dell’incontro del 15/6/2011, il funzionario della banca aveva escluso che il mutuo fosse stato ancora concesso, sicché la contestazione era avvenuta alla prima udienza utile.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 101, secondo comma, cod. proc. civ., 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc.
civ., e la nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio, perché il giudice d’appello aveva fondato la decisione sul presupposto che la deduzione in merito agli esiti dell’incontro tenutosi tra le parti e il funzionario della banca Credit il 16/6/2011 fosse tardiva, senza considerare che, avendo il giudice di primo grado fondato la decisione di rigetto sul diverso presupposto che la banca avesse comunicato con una missiva l’esito positivo della pratica di mutuo, avrebbe dovuto invitare la parti a dedurre sulla tardività, non essendo stata la questione oggetto di discussione tra le parti.
4. Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere il giudice d’appello fondato la decisione su una questione che non era stata fatta oggetto di eccezione della parte opposta, tant’è che questa aveva dedotto interrogatorio formale e prova per testi al fine di dimostrare cosa fosse successo in occasione dell’incontro del 15/6/2011, così violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
5. Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1419, 1342, 1362 e 1469-bis cod. civ. e 33 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, 18, 19, 20, 21, 22, 33, 34, 35, 36 e 64, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito ritenuto infondata l’eccezione di nullità del contratto di mediazione fondata sulla vessatorietà delle clausole nn. 1-6, ritenendo che le stesse non fossero applicabili alla fattispecie in esame e che la vessatorietà delle stesse non avrebbe determinato la nullità dell’intero contratto, senza considerare che le clausole in questione ponevano, a carico del consumatore, obblighi di irrevocabilità ed esclusività del mandato che limitavano la libertà negoziale e prevedevano penali
di importo corrispondente al valore dell’intera provvigione in caso di mancato adempimento di siffatti obblighi, e che la clausola n. 6, obbligava il venditore ad effettuare un versamento, in favore del professionista, anche in caso di rinuncia all’acquisto da parte dell’acquirente, senza specificare se la rinuncia riguardasse la proposta accettata o quella non ancora accettata. Quest’ultima poneva, dunque, una rendita di posizione in favore del mediatore che prescindeva, in sostanza, dall’attività da questi svolta e che pertanto rendeva insufficiente, ai fini della sua validità, la sottoscrizione sul mero suo richiamo numerico, con la conseguenza che, non avendo il mediatore dimostrato, ma solo dedotto, che dette clausole erano state frutto di trattative, il contratto doveva considerarsi nullo nella sua interezza, giacché, senza di esse, non sarebbe stato sottoscritto.
6. Il quinto motivo, da trattare per primo in quanto, vertendo su un vizio genetico del contratto, è logicamente e giuridicamente prioritario, è fondato.
Si premette, innanzitutto, che il giudice di merito non ha valutato e, dunque, neppure negato la qualità di consumatore del ricorrente, e, conseguentemente, l’applicabilità potenziale del d.lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo), dal medesimo espressamente invocato e riproposto in appello.
L’estensione di tale normativa a siffatte situazioni è del resto espressamente contemplata dall’art.1469 -bis cod. civ., introdotto dall’art. 142 del Codice del Consumo, con cui si stabilisce che le disposizioni del codice civile contenute nel titolo “Dei contratti generale” “si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal Codice del Consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore’, con una chiara preferenza del legislatore per quest’ultima normativa, che, volta a tutelare il consumatore in posizione di inferiorità nei confronti del
professionista, sia per quanto riguarda il potere negoziale, sia per quanto riguarda il livello di informazione (sul punto Cass., Sez. 2, 09/01/2024, n. 785, che richiama, in particolare, CGUE, sentenza del 17 luglio 2014, NOME COGNOME e NOME COGNOME, C169/14, EU:C:2014:2099, punto 22 e giurisprudenza ivi citata), e a porre rimedio all’asimmetria del rapporto che si è ripercossa sulla contrattazione, è applicabile non solo in relazione al contratto di vendita, ma altresì a tutti i contratti in cui è parte il consumatore ( ex multis Cass., Sez. 2, 09/01/2024, n. 785 cit.; Cass., Sez. 3, 30/5/2019, n.14775).
Orbene, per effetto del rinvio operato dal ridetto art. 1469bis , trova applicazione anche l’art. 33 del Codice del consumo, che, nel riprodurre l’articolo 6, paragrafo 1, della Direttiva 93/13, secondo cui «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive», e nel prevedere che «Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto», contiene una norma imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime (Cass., Sez. 2, 09/01/2024, n. 785 cit., che richiama CGUE sentenze del 17 luglio 2014, NOME COGNOME e NOME COGNOME, C-169/14, EU:C:2014:2099, punto 23, nonché del 16 dicembre 2016, COGNOME e a., C-154/15, C-307/15 e C308/15, EU:C:2016:980, punti 53 e 55).
A mente dell’art. 36, comma 1, del Codice del Consumo, «le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto», sicché esse, in quanto idonee a determinare un significativo squilibrio normativo ai sensi del comma 1 dell’art. 33, devono considerarsi nulle e quindi non apposte per nullità parziale di protezione ex art. 36, comma 1, codice di consumo, mentre il contratto rimane per il resto valido (in questi termini, Cass., Sez. 2, 11/04/2023, n. 9612, che ha analizzato proprio il contratto di mediazione).
Come affermato dalla Corte di Giustizia, il giudice ha il dovere e non la mera facoltà di rilevare d’ufficio l’abusività di una clausola contrattuale, quand’anche il consumatore non abbia sollevato la relativa eccezione (CGUE 27 giugno 2000, cause riunite C240/1998 a C-244/1998, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; Corte di Giustizia, 21 novembre 2002, causa C-473/2000, RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME; Corte di Giustizia, 26 ottobre 2006, causa C-168/2005, Mostaza Claro), «a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (…)» (Corte di Giustizia, 4 giugno 2009, causa C-243/2008, COGNOME), e di adottare all’uopo, in via officiosa, tutte le misure istruttorie ritenute opportune al fine di verificare il carattere abusivo di una pattuizione contrattuale (Corte di Giustizia, 9 novembre 2010, causa C137/2008, RAGIONE_SOCIALE), anche derogando ad alcuni principi dei diritti processuali interni (Corte di Giustizia, 16 febbraio 2016, causa C-49/2014, COGNOME), onde rispondere alla duplice finalità di salvaguardare il consumatore dal vincolo derivante da una siffatta clausola e di dissuadere il professionista dall’inserirla nel contratto concluso col primo, sebbene non sia tenuto a «disapplicare la clausola in esame qualora il consumatore, dopo essere stato avvisato da detto giudice, non intenda invocarne la natura abusiva e non vincolante», sicché il giudice che rilevi
l’abusività della clausola deve disapplicarla, «tranne che nei casi in cui il consumatore vi si opponga» (Corte di Giustizia, 4 giugno 2009, causa C-243/2008, COGNOME, cit.), rispondendo proprio a questa finalità la possibilità, a lui riconosciuta, di presentare le sue osservazioni in sede di contraddittorio (Corte di Giustizia, 21 febbraio 2013, causa C-472/2011, Banif Plus Bank Zrt).
In questo contesto si inserisce, dunque, la sentenza delle Sezioni Unite n. 26242 del 12 dicembre 2014, la quale ha stabilito che la patologia in esame, quantunque operi soltanto a vantaggio del consumatore, non impedisce che debba essere rilevata d’ufficio dal giudice, atteso che le c.d. nullità di protezione si configurano, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una species del più ampio genus rappresentato dalle nullità, in quanto tutelano interessi e valori fondamentali – quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost) – che trascendono quelli del singolo, benché tale rilievo officioso sia subordinato alla manifestazione di interesse a far valere l’invalidità, entro il termine di decadenza previsto per il suo esercizio, ad opera della parte del processo che ne sia legittimata in esclusiva (Cass., Sez. 2, 22/10/2018, n. 26614).
Con la citata sentenza, le Sezioni Unite hanno poi chiarito che le peculiarità delle nullità di protezione, rispetto alla nozione ordinaria, dà luogo a differenti conseguenze, sia sul piano sostanziale, che processuale, derivando ciò dalla natura ancipite delle stesse, siccome volte a tutelare, da una parte, il contraente debole e l’equilibrio contrattuale e, dall’altra, l’interesse generale al corretto funzionamento del mercato e che ciò comporta la necessaria divaricazione tra l’accertamento della nullità, obbligatoria per il giudice, e la sua declaratoria, condizionata
dall’interesse del contraente debole, che può anche volere la conservazione del contratto.
Orbene, l’accertamento sulla abusività della clausola non può che estendersi anche alla valutazione della natura, essenziale o accessoria, della stessa, atteso che soltanto in quest’ultima evenienza la restante parte del contratto può restare in vita, mentre nel primo caso occorre ulteriormente valutare l’eventuale sua incidenza sull’intero assetto degli interessi oggetto del programma negoziale (sulla nullità parziale e sulla essenzialità dell’elemento negoziale vedi Cass., Sez. 3, 10/1/1975, n. 91; Cass., Sez. 1, 15/12/1982, n. 6917; Cass., Sez. 2, 29/5/1995, n. 6036; Cass., Sez. 1, 19/7/2002, n. 10536; Cass., Sez. 3, 21/5/2007, n. 11673; Cass., Sez. 3, 30/9/2009, n. 20948).
In proposito, sebbene la nullità di protezione costituisca una specie del generale istituto della nullità e sia, dunque, soggetta a regole sue proprie, possono al riguardo trarsi indici significativi dai principi affermati in materia di nullità parziale ex art. 1419 cod. civ., sicché l’indagine diretta a stabilire se la pattuizione nulla debba ritenersi essenziale va condotta, come chiarito da Cass., Sez. 2, 11/7/2012, n. 11749, con metodo oggettivo, tenendo conto della perdurante utilità del contratto rispetto agli interessi con esso perseguiti (Cass., Sez. 1, 19/4/1982, n. 2411; Cass., Sez. 2, 1/3/1995, n. 2340), ossia provvedendo ad un confronto fra lo scopo pratico sotteso al programma originariamente divisato e il diverso assetto d’interessi che risulta dal contratto, depurato della clausola colpita da nullità, e la valutazione della compatibilità di quest’ultimo, in termini di causa in concreto e di buona fede, con il primo.
Ciò comporta che, nella specie, il giudice di merito ha doppiamente errato allorché ha rigettato l’eccezione di nullità affermando che le clausole oggetto di censura non avevano alcuna rilevanza nella risoluzione della controversia, senza neppure esaminarle ancorché
vi fosse tenuto d’ufficio, e limitandosi a dire che comunque la loro nullità non avrebbe determinato la caducazione integrale del negozio, senza valutarne natura e incidenza sul sinallagma contrattuale.
Deriva da quanto detto la fondatezza della censura.
I primi quattro motivi restano assorbiti dall’accoglimento del quinto.
8. In conclusione, dichiarata la fondatezza del quinto motivo e l’assorbimento degli altri, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio al Tribunale di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 marzo 2025.