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Clausole vessatorie: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che dichiarava la nullità di alcune clausole vessatorie inserite in contratti di finanziamento. Tali clausole, relative a commissioni per servizi finanziari e di intermediazione, sono state ritenute nulle per indeterminatezza dell’oggetto e perché creavano un significativo squilibrio a danno del consumatore. Di conseguenza, è stato confermato l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente pagate, specificando che l’azione va rivolta contro chi ha effettivamente incassato le somme, anche se per tramite di un rappresentante.

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Clausole Vessatorie nei Finanziamenti: la Cassazione Conferma la Tutela del Consumatore

L’Ordinanza in esame offre un importante chiarimento sulla nullità delle clausole vessatorie nei contratti di finanziamento e sui principi che regolano la restituzione delle somme non dovute. La Corte di Cassazione, con una decisione netta, ha rigettato il ricorso di un intermediario finanziario, confermando la tutela del consumatore di fronte a pattuizioni poco chiare e squilibrate. Analizziamo insieme i passaggi chiave di questa pronuncia.

I Fatti del Caso: Commissioni Finanziarie Sotto Esame

Una consumatrice aveva stipulato due contratti di finanziamento. Successivamente, ha agito in giudizio per far dichiarare la nullità di una specifica clausola, la numero 6, che prevedeva il pagamento di commissioni per non meglio specificate attività “bancarie/finanziarie” e per un “intermediario finanziario”. La Corte d’Appello aveva accolto la sua domanda, ritenendo la clausola nulla per indeterminatezza dell’oggetto e per la sua natura vessatoria, in quanto generava un evidente squilibrio contrattuale ai danni della cliente. La Corte territoriale aveva quindi condannato l’intermediario a restituire le somme percepite a quel titolo.

La Decisione della Corte: Focus sulle Clausole Vessatorie

L’intermediario finanziario ha presentato ricorso in Cassazione, basato su otto motivi. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso in toto. Il cuore della decisione risiede nella conferma della natura vessatoria della clausola contestata. La Corte ha ribadito che una clausola che impone costi al consumatore senza specificare in modo chiaro e comprensibile a quale servizio o prestazione corrispondano è in contrasto con il Codice del Consumo. L’indeterminatezza e la genericità della formulazione impediscono al consumatore di comprendere la reale portata dell’obbligazione che assume, creando un significativo squilibrio di diritti e doveri. L’intermediario, nel suo ricorso, non era riuscito a confutare le ragioni di merito della Corte d’Appello, limitandosi a un’affermazione generica sulla legittimità delle commissioni, senza entrare nel dettaglio delle motivazioni che avevano portato alla dichiarazione di nullità.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su principi giuridici consolidati. In primo luogo, ha affrontato la questione della legittimazione passiva. L’intermediario sosteneva di non essere il soggetto corretto a cui chiedere la restituzione, essendo solo un mandatario della società erogante. La Corte ha respinto questa tesi, chiarendo che nell’azione di ripetizione d’indebito, legittimato passivo è colui che ha materialmente ricevuto il pagamento (l’accipiens) e nella cui sfera giuridica le somme sono confluite. Poiché l’intermediario era il destinatario finale delle commissioni, era corretto citarlo in giudizio per la restituzione.

In secondo luogo, la Corte ha dichiarato inammissibili diversi motivi di ricorso per violazione del principio di autosufficienza. L’intermediario non aveva riportato nel ricorso i passaggi specifici degli atti processuali che contestava, impedendo alla Corte di valutare la fondatezza delle sue censure. Questo principio è fondamentale per garantire che il giudizio di legittimità si concentri sulle questioni di diritto, senza che i giudici debbano compiere un’attività di ricerca tra gli atti del fascicolo.

Infine, per quanto riguarda la nullità della clausola, la Cassazione ha sottolineato che il tentativo dell’intermediario di contestare la valutazione della Corte d’Appello si traduceva in una richiesta di riesame del merito della causa, attività preclusa nel giudizio di legittimità. La decisione impugnata aveva adeguatamente motivato perché la clausola fosse indeterminata, poco chiara e squilibrata, e tali motivazioni non sono state scalfite dai motivi di ricorso.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza la protezione dei consumatori nel settore del credito. Stabilisce con fermezza che le clausole che impongono costi devono essere formulate in modo trasparente e dettagliato. Non è sufficiente un generico riferimento a “prestazioni istruttorie” o “servizi finanziari” per giustificare una commissione. Ogni costo deve avere una causa chiara e corrispondere a un servizio effettivo e identificabile. Inoltre, la decisione chiarisce che il consumatore che ha pagato somme non dovute può agire direttamente contro chi le ha incassate, semplificando il percorso per ottenere la restituzione. Per gli operatori finanziari, questo rappresenta un monito a redigere contratti chiari e a evitare formulazioni ambigue che possano essere interpretate come vessatorie.

Quando una clausola che prevede commissioni in un contratto di finanziamento è considerata nulla?
Una clausola è considerata nulla quando ha un oggetto indeterminato, è poco chiara e difficilmente comprensibile, e crea un “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi” a danno del consumatore, violando così il Codice del Consumo.

Se una commissione è stata pagata a un intermediario, chi deve restituire i soldi in caso di nullità della clausola?
La restituzione deve essere richiesta al soggetto che è stato il destinatario finale del pagamento (l'”accipiens”), ovvero colui nella cui sfera giuridica le somme sono effettivamente confluite, anche se l’incasso è avvenuto tramite un rappresentante.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile per indeterminatezza?
Un ricorso è inammissibile se non rispetta il principio di autosufficienza, ovvero se non riporta in modo specifico e completo il contenuto degli atti e le argomentazioni contestate, impedendo alla Corte di decidere sulla base del solo ricorso senza dover cercare elementi in altri documenti processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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