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Clausola statutaria S.r.l.: recesso e lavoro

Alcuni soci di minoranza, ex dirigenti di una società del gruppo, hanno impugnato una clausola statutaria S.r.l. che li obbligava a cedere le proprie quote al valore di patrimonio netto al momento della cessazione del rapporto di lavoro. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la piena validità della clausola. Ha chiarito che non si tratta di un’ipotesi di esclusione del socio, ma di una legittima causa convenzionale di recesso obbligatorio, legata al venir meno di un requisito soggettivo previsto dallo statuto stesso (il rapporto di lavoro), e non necessita di una delibera assembleare.

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Clausola Statutaria S.r.l.: Legittimo l’obbligo di vendita delle quote alla fine del rapporto di lavoro

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande rilevanza per il diritto societario e del lavoro, confermando la validità di una clausola statutaria S.r.l. che lega la partecipazione sociale al mantenimento di un rapporto di lavoro. Questa decisione fornisce chiarimenti cruciali sulla distinzione tra recesso ed esclusione del socio e sulla libertà statutaria nel definire i requisiti per far parte della compagine sociale.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dall’impugnazione, da parte di alcuni soci di minoranza, di una clausola contenuta nello statuto di una holding S.r.l. I soci erano diventati tali aderendo a un piano di incentivazione aziendale mentre ricoprivano ruoli dirigenziali in una società controllata. La clausola contestata prevedeva l’obbligo, per i soci di minoranza, di offrire in vendita le proprie quote di partecipazione agli altri soci al momento della cessazione, per qualsiasi causa, del loro rapporto di lavoro con le società del gruppo. Il prezzo di vendita era fissato al valore del patrimonio netto, e non al valore di mercato.

I ricorrenti sostenevano la nullità della clausola, qualificandola come una forma illegittima di esclusione del socio, in violazione dell’art. 2473-bis del codice civile, poiché non prevedeva una delibera assembleare. Contestavano inoltre il carattere discriminatorio della clausola e la deroga al criterio legale di liquidazione basato sul valore di mercato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, confermando le decisioni dei giudici di merito, ha rigettato il ricorso, ritenendo tutti i motivi infondati o inammissibili. I giudici hanno stabilito che la clausola in esame è pienamente valida e non integra una fattispecie di esclusione, bensì una causa convenzionale di recesso “obbligatorio” o “vincolato”.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Clausola Statutaria S.r.l.

L’analisi della Corte si è concentrata su alcuni punti chiave che meritano un approfondimento.

Recesso Obbligatorio vs. Esclusione del Socio

Il cuore della decisione risiede nella corretta qualificazione giuridica della clausola. Secondo la Cassazione, non si tratta di un’esclusione. L’esclusione, disciplinata dall’art. 2473-bis c.c., è un atto con cui la società estromette il socio per una giusta causa, che richiede una valutazione e una decisione da parte dell’assemblea.

Nel caso di specie, invece, la perdita della qualità di socio è la conseguenza automatica del verificarsi di un evento oggettivo e predeterminato dallo statuto: la cessazione del rapporto di lavoro. La volontà dei soci, espressa al momento dell’approvazione dello statuto, è quella di legare la partecipazione a un requisito soggettivo specifico. Il venir meno di tale requisito attiva l’obbligo di dismissione della quota. Pertanto, la fattispecie è correttamente ricondotta a una forma di recesso convenzionale e non necessita di alcuna delibera assembleare successiva.

Validità della Clausola e Omogeneità della Compagine Sociale

La Corte ha ribadito che è meritevole di tutela l’interesse della società a mantenere una compagine sociale omogenea, composta da soci che possiedano determinati requisiti soggettivi. Nel caso specifico, l’obiettivo era quello di avere una compagine sociale composta da personale dirigenziale attivamente coinvolto nel gruppo, in un’ottica di fidelizzazione e incentivazione. Una clausola statutaria S.r.l. che prevede la fuoriuscita del socio al perdere di tale requisito è, dunque, pienamente legittima in quanto funzionale a preservare l’assetto organizzativo voluto dai soci.

Criterio di Liquidazione della Quota

Infine, i giudici hanno respinto anche le censure relative al criterio di liquidazione della quota. Sebbene la legge preveda, in caso di recesso, una liquidazione basata sul valore di mercato (art. 2473 c.c.), la Corte ha affermato che tale criterio è derogabile dalla volontà dei soci espressa nello statuto. La liquidazione al valore di patrimonio netto, essendo un criterio oggettivo che consente un’equa valorizzazione, è stata considerata legittima, in quanto accettata dai soci al momento del loro ingresso in società.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante principio: l’autonomia statutaria nelle S.r.l. consente di strutturare clausole che legano la permanenza del socio in società a specifici requisiti personali, come il mantenimento di un rapporto di lavoro. La qualificazione di tali clausole come ipotesi di recesso convenzionale, e non di esclusione, le sottrae alla necessità di una delibera assembleare, rendendo automatico l’obbligo di cessione della quota al verificarsi dell’evento previsto. La decisione offre quindi preziosi spunti per la redazione di statuti sociali e piani di incentivazione, confermando la flessibilità dello strumento della S.r.l. nel modellare la compagine sociale secondo le specifiche esigenze imprenditoriali.

Una clausola statutaria può obbligare un socio a vendere le proprie quote se cessa il suo rapporto di lavoro con una società del gruppo?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che una clausola di questo tipo è pienamente valida. Essa rappresenta un legittimo interesse della società a mantenere una compagine sociale omogenea, legata al possesso di specifici requisiti soggettivi.

Questo tipo di clausola è da considerarsi un’esclusione del socio ai sensi dell’art. 2473-bis c.c.?
No. La Corte ha chiarito che non si tratta di un’esclusione, ma di una causa convenzionale di recesso obbligatorio. L’uscita dalla società non deriva da una decisione discrezionale dell’assemblea, ma è la conseguenza automatica del verificarsi di una condizione oggettiva prevista dallo statuto stesso (la fine del rapporto di lavoro).

Lo statuto può prevedere un criterio di liquidazione della quota diverso dal valore di mercato, ad esempio il valore del patrimonio netto?
Sì. Secondo la sentenza, il criterio legale del valore di mercato per la liquidazione della quota del socio uscente è derogabile dalla volontà dei soci. Pertanto, è legittimo prevedere nello statuto un criterio diverso, come quello basato sul patrimonio netto, purché garantisca un’equa valorizzazione e sia accettato dai soci.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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