Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18891 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18891 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
Oggetto: società a responsabilità limitata clausola statutaria
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24883/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, sito in Roma, INDIRIZZO – ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo RAGIONE_SOCIALE, sito in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO,
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 757/2021, depositata il 30 giugno 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, depositata il 30 giugno 2021, di reiezione del loro appello, per la riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva respinto le domande dai medesimi avanzate di declaratoria di nullità dell’art. 9, par. 2, dello Statuto della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE (in seguito, RAGIONE_SOCIALE) e aveva accertato il loro inadempimento de ll’obbligo ivi previsto di offrire in acquisto agli altri soci le loro quote di partecipazione al capitale della società medesima al valore del patrimonio netto;
la Corte di appello ha dato atto che gli attori erano già dirigenti della RAGIONE_SOCIALE e, in forza d ell’adesione a un piano di incentivazione rivolto a dipendenti e amministratori, titolari di quote di minoranza della RAGIONE_SOCIALE (avente quale socio di maggioranza e, in virtù di un patto di sindacato, esercente il controllo unitamente ad alcuni istituti di credito la RAGIONE_SOCIALE) e che la clausola impugnata prevedeva l’obbligo dei soci di minoranza, alla cessazione, per qualsiasi motivo, del l’attività lavorativa per le società controllate o collegate , di offrire in acquisto agli altri soci le loro quote di partecipazione al capitale della società al valore del patrimonio netto e non al prezzo di mercato;
ha riferito che il giudice di prime cure aveva ritenuto che la clausola statutaria integrasse una lecita fattispecie di esclusione del socio e che sussistesse il requisito della giusta causa, in relazione al venir meno del rapporto di lavoro, che il criterio del valore di mercato previsto per
la liquidazione della quota era derogabile, che non sussistevano i presupposti per il recesso ad nutum , prospettato sul fondamento della durata a tempo indeterminato dalla società e che la RAGIONE_SOCIALE non era qualificabile quale patto parasociale finalizzato a mantenere il controllo del COGNOME COGNOME, socio unico della RAGIONE_SOCIALE, sulla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE;
ha, quindi, disatteso il gravame principale dei soci (nonché quello incidentale condizionato della RAGIONE_SOCIALE) osservando che l’obbligazione di vendere la quota era più correttamente qualificabile quale obbligo di recesso ed evidenziando, in particolare, che: il venir meno dell’attività lavorativa costitui va una giusta causa di esclusione; non sussisteva la denunciata disparità di trattamento rispetto alla posizione del COGNOME COGNOME; il criterio del valore di mercato era derogabile e consentiva un’equa val orizzazione della quota sociale; la circostanza che la società avesse una durata fino all’anno 2050 non consentiva di poter ritenere cha la durata fosse a tempo indeterminata e, conseguentemente, che sussistesse il diritto dei soci al recesso ad nutum ;
il ricorso è affidato a undici motivi;
resistono, con distinti controricorsi, sia la RAGIONE_SOCIALE, sia la RAGIONE_SOCIALE, intervenuta nel corso del giudizio di primo grado;
con nota del 13 marzo 2024 i ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME depositano atto di rinuncia al giudizio, debitamente accettato dalle controricorrenti, e chiedono dichiararsi l’estinzione del giudizio;
le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
deve disporsi in conformità con la richiesta dei ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, attesa la regolarità della rinuncia al giudizio e RAGIONE_SOCIALE relative accettazioni;
il ricorso va, dunque, esaminato con riferimento alla sola posizione di
NOME COGNOME;
con il primo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2287, 2473 e 2473 bis cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che la clausola statutaria in esame integrasse gli estremi della fattispecie dell’obbligo di recesso definito «vincolato-obbligatorio» o, comunque, «imposto» -e non già di esclusione, la quale avrebbe richiesto la relativa delibera assembleare, mai assunta dalla società;
il motivo è infondato;
premesso che l’interpretazione di una clausola statutaria è, al pari dell’interpretazione dei contratti, un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. (cfr. Cass. 4 settembre 2012, n. 14775; Cass. 16 novembre 2000, n. 14859) e che tali vizi non sono stati prospettati con il motivo in esame, si rileva che Corte di appello ha accertato che la clausola in esame prevedeva l’obbligo dei soci di alienare la loro quota di partecipazione al capitale della RAGIONE_SOCIALE al momento della cessazione del rapporto di lavoro con una RAGIONE_SOCIALE società controllate o collegate;
in presenza di un siffatto accertamento, la decisione del giudice di merito secondo la quale la dismissione della quota -e la conseguente fuoriuscita dei soci dalla compagine sociale -non richiedesse la previa delibera dell’assemblea della società appa re corretta;
infatti, la volontà espressa nella clausola statutaria di individuare una specifica situazione al ricorrere della quale il socio era obbligato alla alienazione della sua quota di partecipazione al capitale della società senza una previa manifestazione di volontà da parte dell’assemblea non può essere qualificata quale ipotesi di esclusione e ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 2473 -bis cod. civ. che, invece, richiede, sia pure non espressamente, la valutazione dell’assemblea quale suo momento conclusivo;
con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2473 -bis cod. civ. «e RAGIONE_SOCIALE norme sulla interpretazione dei contratti in generale (artt. 1362, 1366 e 1369 c.c.)», per aver la Corte territoriale ritenuto che la controversa clausola statutaria dovesse essere interpretata unitamente all’art. 12 del Piano di incentivazione dei dipendenti;
evidenzia che il Piano era un contratto rispetto al quale la RAGIONE_SOCIALE era estranea sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto quello oggettivo, e che, comunque, il contenuto della clausola statutaria e del Piano sul punto degli effetti della cessazione dell’attività del socio alle dipendenze RAGIONE_SOCIALE società del gruppo bancario sul rapporto sociale con RAGIONE_SOCIALE non erano identiche;
il motivo è inammissibile;
la Corte di appello ha riferito la necessità di valutare il Piano di incentivazione «unitamente alla clausola statutaria» non già, come ritenuto dal ricorrente, al fine dell’interpretazione di quest’ultima, ma al solo fine della comprensione RAGIONE_SOCIALE ragioni che avevano condotto a favorire la partecipazione al capitale sociale del personale dirigenziale, consistenti nella finalità di fidelizzazione, incentivazione e motivazione dello stesso e, al tempo stesso, ad ancorare il mantenimento della qualità di socio al perdurare del rapporto di lavoro con società del gruppo;
-la doglianza, dunque, non coglie la ratio decidendi sottesa all’accertamento della validità d ella contestata clausola statutaria, consistente nella possibilità di prevedere la fuoriuscita di soci dalla compagine sociale alla perdita di determinati requisiti soggettivi o, comunque, al ricorrere di altri eventi concernenti la persona del socio o che intacchino l’efficienza organizzativa della posizione sociale del socio;
può, inoltre, osservarsi, quanto agli evocati paradigmi normativi espressi dagli artt. 1366 e 1369 cod. civ., che i criteri ermeneutici di
cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. sono governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, tanto da escluderne la concreta operatività quando l’applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune intenzione RAGIONE_SOCIALE parti stipulanti (cfr. Cass. 15 luglio 2016, n. 14432);
con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1322 e 2473bis , cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che la cessazione del rapporto di lavoro, «per qualsiasi ragione o causa», costituiva una giusta causa di esclusione o, comunque, una causa di recesso obbligatorio meritevole di tutela;
con il quarto motivo lamenta la violazione degli artt. 1322, 2468 e 2473 bis cod. civ. e 92 t.u.f., per aver la sentenza di appello negato il carattere discriminatorio e immeritevole della clausola statutaria in esame nella parte in cui prevedeva l’obbligo di cessione della partecipazione sociale alla cessazione del rapporto di impiego solo per i soci di minoranza;
con il quinto motivo censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1322, 1366, 1375 e 2473 bis cod. civ., nella parte in cui ha omesso di accertare la contrarietà della clausola all ‘ordine pubblico e al buon costume, in quanto strumentale a far acquisire al COGNOME benefici economici in danno della banca e dei suoi dirigenti e potenzialmente pregiudizievole per il corretto adempimento RAGIONE_SOCIALE mansioni affidate a questi ultimi;
tali motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
ritiene questa Corte che sia pienamente valida una clausola statutaria che imponga ai soci di possedere determinati requisiti, accertabili senza margini di discrezionalità;
infatti, risulta meritevole di tutela l’interesse a che la compagine sociale sia composta da soci aventi determinati requisiti soggettivi, in quanto funzionale al mantenimento della sua omogeneità soggettiva e
del conseguente assetto organizzativo;
in tal senso può osservarsi che la disciplina in tema di trasferimento RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nelle società a responsabilità limitata consente l’introduzione di clausole statutarie che prevedono limiti alla circolazione RAGIONE_SOCIALE stesse (art. 2469 cod. civ.) e tali limiti ben possono avere carattere soggettivo, in relazione alle qualità dei potenziali cessionari;
con il sesto motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2437, 2473 e 2473bis cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che il criterio legale di liquidazione del rimborso spettante ai soci uscenti, costituito dal valore di mercato della partecipazione posseduta, fosse derogabile anche nei casi in cui la fuoriuscita dalla società fosse avvenuta contro la volontà di tali soci;
con il settimo motivo critica la sentenza di appello per violazione degli artt. 2426, 2473 e 2473bis cod. civ., nella parte in cui ha ritenuto che la liquidazione della quota del socio uscente in misura pari a una quota proporzionale del patrimonio netto rappresentasse una equa valorizzazione della partecipazione sociale;
-con l’ottavo motivo allega la violazione degli artt. 1354, 2473 e 2473 bis cod. civ., in relazione alla omessa considerazione, ai fini della valutazione della correttezza del criterio di liquidazione della partecipazione sociale, del fatto che la cessazione dell’attività lavorativa del socio era avvenuta per fatto illecito altrui;
i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
le doglianze muovono dall’assunto che si sia in presenza di un exit dalla società «contro la volontà del socio» e «per fatto illecito altrui» e, in quanto tale, riconducibile alla fattispecie dell’esclusione laddove, invece, la Corte di appello ha escluso la ricorrenza di una siffatta fattispecie e ricondotto l’uscita dalla società del socio all’operatività di una causa convenzionale di recesso;
la doglianza, dunque, non si confronta con la ratio decidendi ;
con il nono motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul motivo di appello vertente sull ‘accertamento dell’inadempimento dei soci all’obbligo statutario di cedere le rispettive quote di partecipazione;
il motivo è inammissibile;
si rileva, sul punto, che la lettura della sentenza di appello, la quale riferisce analiticamente i motivi di appello proposti e, quindi, procede al relativo esame, non restituisce l’evidenza della proposizione del motivo di gravame indicato dal ricorrente, atteso che dalla stessa emerge che l’ottavo motivo di appello investe il capo della sentenza di primo grado concernente le spese processuali;
parte ricorrente omette di riprodurre siffatto motivo nella sua integralità o, comunque, nella parte essenziale per comprenderne l’esatto contenuto, per cui la doglianza si presenta priva della necessaria autosufficienza;
si rammenta, infatti, che la deduzione del vizio di omessa pronuncia postula, per un verso, che la domanda asseritamente non esaminata sia puntualmente riportata nel ricorso per cassazione nei suoi esatti termini e che la Corte di cassazione, quale giudice del fatto processuale, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (cfr. Cass. 14 ottobre 2021, n. 28072; Cass. 20 agosto 2015, n. 17049; Cass. 4 marzo 2013, n. 5344);
in ogni caso, si rileva che, secondo quanto riferito dal ricorrente, il motivo di appello asseritamente non esaminato si fonderebbe sul fatto che, pur ammessa la validità della contestata clausola statutaria, l’esclusione del socio avrebbe richiesto la delibera dall’assemblea della
società, con effetto dopo trenta giorni, per cui solamente alla scadenza di tale termine avrebbe potuto procedersi alla verifica del dedotto inadempimento;
-tale motivo di appello poggerebbe, dunque, sull’assunto che si sarebbe in presenza di una vicenda riconducibile alla fattispecie dell’esclusione del socio, ma come già evidenziato -la ricorrenza di tale assunto è stato negata dalla Corte di appello con statuizione non utilmente aggredita in questa sede, per cui la doglianza non risulta essere concludente;
con il decimo motivo il ricorrente lamenta, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per ultrapetizione nella parte in cui ha affermato che la RAGIONE_SOCIALE era una società e non un patto parasociale;
il motivo è inammissibile;
il vizio di ultrapetizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione ( petitum o causa petendi ), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ( petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ( petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti RAGIONE_SOCIALE pretese o RAGIONE_SOCIALE eccezioni fatte valere dai contraddittori (cfr. Cass. 21 marzo 2019, n. 8048; Cass. 11 aprile 2018, n. 9002);
nel caso in esame, la Corte di appello , nell’esaminare il motivo di appello vertente sulla sussistenza della facoltà di recesso ad nutum dalla società perché contratta a tempo indeterminata, ha premesso che la società doveva qualificarsi come tale ed è giunta alla conclusione dell ‘inconfigurabilità dell’invocata facoltà di recesso in ragione del fatto che la stessa era stata contratta a tempo determinato;
da un lato, dunque, la Corte territoriale si è limitata a pronunciarsi sul motivo di appello articolato, respingendolo, dall’altro, non vi alcuna indicazione degli elementi obiettivi dell’azione che sarebbero stati alterati;
-con l’ultimo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., per aver la sentenza impugnata disatteso il motivo di gravame concernente la condanna disposta dal giudice di primo grado alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese processuali nella misura di tre quarti RAGIONE_SOCIALE stesse;
il motivo è inammissibile;
con riferimento al regolamento RAGIONE_SOCIALE spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, sia la determinazione RAGIONE_SOCIALE quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti (cfr. Cass. 20 novembre 2017, n. 30592; Cass. 4 agosto 2017, n. 19613);
pertanto, per le suindicate considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
le relative spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte dichiara l’estinzione del giudizio tra COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, da un lato, e la RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, dall’altro; rigetta il ricorso proposto da COGNOME NOME; condanna quest’ultimo alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di giudizio di legittimità, che si liquidano, in favore di ciascuna parte controricorrente, in complessivi euro 7.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater , dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente COGNOME NOME, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 9 maggio 2024.